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Academic year: 2021

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Alberto Gianquinto

A PROPOSITO DI RAINER MARIA RILKE (Un maturo amore)

Raccolta nelle sue piante,

tra acquosi vetri e futilità lievi, nei suoi legni accolse la saletta e nel colore di limpidi vini: la brezza fuori e carezze accecanti intorno;

frangersi dell’acqua sullo scoglio viscido e ritrarsi

nel gorgo verdebianco: il fulgore di mezzogiorno ingoiato gelosamente nel fitto dondolio di alghe <>

Se volessimo anche noi seguire le angeliche schiere, impassibili nei loro canti d’ascesi,

i volti impietosi senza sguardo, non a loro potremmo chiedere: non dell’artropode favoloso – spina di rosa ostile – che sopprime,

forra d’una bocca sghemba, il suo embrione bambino: l’avresti iniziato mai alla vita,

nei loro impietosi volti senza sguardo? <>

E l’intuizione?

capace di compatire l’oscuro, il male

o l’infamia che t’accompagna

e il marchio che ti sei segnato a fuoco? Silenti restano,

nei loro impietosi volti senza sguardo. E, per dire,

soltanto per dire, ché nulla si può fare: le lunghe dita, le incomparabili interpreti, stroncate dal tempo e dal male,

(2)

2 per sempre fermate

nei loro impietosi volti senza sguardo? E pensi all’esodo

che mortalmente ha separato affetti? l’hai pensato,

strappato da uncinate mani davanti ai forni, vai bambino, non posso accompagnarti, or devi andar solo …

ché di questo si tratta, angeli di pietra, le mani giunte, dov’è la pietà divina? <>

Ammutolita poesia! tace la parola

<>

E la debolezza tua che stringe il cuore, più radi capelli di miele,

striature inermi di vene e la curva di spalle amorevoli, segnata

nel peso del tempo e delle cose: violette ombre che affiorano, venute dal cuore della vita, ferme ora sotto gli occhi,

più pesanti, per quanto han visto: in quell’imbrunire, che è la vita? <>

Fin quando ci guardiamo,

intero, siamo ancora, il nostro stuolo; verrà poi - solo dopo -

il momento d’andar soli. Davanti al viola

di questo mare, allora,

tenersi per mano può bastare Il vino scalda, asciutto e brusco come questa emersa terra; e balugina il tuo sguardo verdemare nel cristallo rossavvinato

<>

Può esser mai una corsa la fine del proprio tempo, un pungolo a riparare cosa? Basta saperla come ombra, ombra che s’acquatta, ombra che s’intana,

(3)

3 senza viverne la dimora

sospetta

e quell’impronta incerta

e fosca, nel nostro armeggiare: che accompagni soltanto

con ambio passo ambiguo <>

Andare

su incerti sentieri di perfezione? errare

tra false erte d’autentico io? sostare

nel gelo dei pneumi interiori? <>

Se fragili - precarie strutture e complessità ascese

lungo ere quasi infinite -

così fragili, non ci guarderemo che nel compiuto, confortati nello specchio del già esaurito, ricco solo di puntiformi casi, sosteremo allora su stradelle di vecchi nostri giardini: ricorderemo - ben poca cosa - (velati da segreti pesi

d’un tempo amniotico) e arroganti

affretteremo il passo

ad ammirare cosmiche anime ricondotte alla pochezza nostra. <>

Raccogliamo allora ogni spira che con sé porta le ragne tele di consonanze,

di affinità e corrispondenze: e la notizia infine;

raduniamone i cenni conservati nelle gocce d’un’ambra resinosa, d’una lagrima di sole,

d’un succo che bruci il dolore: ignoranza superba aiuti

a trovare l’altro giardino e consenta, noncuranti, di metter le mani in tasca,

(4)

4 nel tratto quando l’immagine

degrada nel suo specchio <>

Quando il vento ti vuole e l’eco delle notti

comincia a chiamare, quando fontane d’estate radunano bambini invano alle giostre della vita e la natura - consumata in acrilici colori -

scandisce le ultime stagioni, tanto più preziosa sarai; ché non si può amare senza oggetto d’amore. <>

Ora che una notte ossidiana taglia translucidi gradini e il grido dell’uccello notturno attraversa gli spazi dello sguardo, sfiorando con l’ala

anamnesi improvvise, che pigre sciabordano poi insieme al mare…

perduti negli occhi dell’altro assenti e dimentichi tacciono amori raccolti in comuni pensieri.

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