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Classificazione dei rifiuti: riflessi nell’organizzazione delle attività di raccolta e trattamento da parte di un gestore

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Academic year: 2021

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Master Universitario di II livello in Gestione e Controllo dell’ambiente: economia circolare e management efficiente delle risorse

XXXXX

Anno Accademico

2016/2017

Classificazione dei rifiuti: riflessi nell’organizzazione delle

attività di raccolta e trattamento da parte di un gestore

Autore

Dott. Edoardo Giusti

Tutor Scientifico

Dott. Francesco Testa

Tutor Aziendale – Alia Servizi Ambientali Spa

Dott. Stefano Chiari

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2 INDICE

Introduzione ……….…...pg. 3

Capitolo 1. L’Autorità per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani ..pg. 4 1.1. La riorganizzazione del servizio di raccolta dei rifiuti urbani in Toscana …....pg. 4 1.1.1. ATO Centro ………..…pg. 8 1.1.2. ATO Costa ……….…...pg. 10 1.1.3. ATO Sud …….……….…....pg. 12 1.2. Alia Spa ….……….……pg. 12 Capitolo 2. Rifiuti urbani e rifiuti speciali, l’evoluzione del sistema normativo e lo stato attuale ………..pg. 16 2.1. Assimilazione dei rifiuti, gli sviluppi di una regolamentazione incompleta ...pg. 22 2.2. Le disomogenee politiche a livello locale ………...…….……...pg. 22

2.2.1. TARSU ……….………...pg. 22 2.2.2. TARES ……….………...…...pg. 25 2.2.3. TARI ………..………...…….pg. 27 2.3. L’attività di gestione dei rifiuti da parte di un operatore locale …...……..pg. 29

2.3.1. Rifiuti speciali, gli imballaggi terziari in carta e cartone ….….…..…....pg. 29 2.3.2. Un caso specifico: la gestione della carta e cartone fuori dagli accordi ANCI-CONAI nel rispetto della libera concorrenza di mercato ……….……...pg. 34 Capitolo 3. Verso un nuovo modello di regolamentazione ……….………..pg. 37 3.1. Criticità e conseguenze della nuova bozza di Decreto ……….………...pg. 37 3.2. Conclusioni ……….………...…..pg. 41

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3 Introduzione

Il presente lavoro prende spunto dalla condizione di continuo mutamento che ha subito negli ultimi anni la normativa in tema di gestione del servizio di raccolta integrato dei rifiuti urbani. Nello specifico viene affrontato il succedersi di nuove discipline sul metodo di calcolo della tariffa e sui criteri di assimilazione, demandati dal Legislatore in un momento di assoluta incertezza alle singole amministrazioni comunali, che di fatto hanno frammentato il panorama nazionale e comportato un’eterogenea applicazione a livello territoriale.

A ciò deve affiancarsi la sempre maggiore consapevolezza da parte del mercato del valore che stanno ad oggi progressivamente assumendo i rifiuti di questo tipo in seno alle strategie economiche-politiche aziendali, da cui ne discende un diverso tenore della domanda, in aumento rispetto agli anni precedenti. Tutto ciò trae paradigma dalle ormai mature tecnologie e processi di riciclo dei materiali che rendono vantaggioso il loro acquisto sotto un profilo economico, declinato secondo canoni di sicurezza degli approvvigionamenti e risparmio generale di costi di produzione.

Se, dunque, ciò che fino a poco tempo fa era classificato come un’esternalità di cui disfarsi oggi ricopre un ruolo da protagonista, in virtù anche delle nuove politiche europee sull’Economia circolare, rimane certamente oscuro il motivo per cui ciò non possa trovare una valutazione in tal senso anche in sede di costi di gestione ed altresì nella normativa di riferimento.

La ricerca da parte del Legislatore di un criterio di ripartizione delle spese del sistema che faccia i conti con tutte le esigenze dei soggetti coinvolti deve accordarsi in tal senso con le accezioni sopra rilevate, senza creare attriti con l’ormai sistema radicalizzato di gestione integrata dei rifiuti e con il giusto costo che le aziende hanno diritto a sostenere.

L’attuale situazione nazionale è senza dubbio arrivata ad un punto in cui il raggiungimento di un corretto equilibrio tra gli stakeholders non può realizzarsi esclusivamente con la sola introduzione disposizioni normative, ma anche grazie allo studio di settori dedicato, fase istruttoria fondamentale alla creazione di un equo profilo funzionale.

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4 CAPITOLO I

L’AUTORITÀ PER IL SERVIZIO DI GESTIONE INTEGRATA DEI RIFIUTI URBANI

1. LA RIORGANIZZAZIONE DEL SERVIZIO DI RACCOLTA DEI RIFIUTI URBANI IN TOSCANA

Le attività relative ai principali servizi di pubblica utilità che insistono sulle risorse naturali e sull’ambiente sono quasi tutte regolate dall’Autorità nazionale indipendente AEEGSI1, Autorità per l’energia elettrica il gas ed il sistema idrico, che, come avviene per altri specifici settori pubblici strategici, ha la funzione di favorire lo sviluppo di mercati concorrenziali nelle filiere elettriche, del gas naturale e dell'acqua potabile, principalmente tramite la regolazione tariffaria, dell'accesso alle reti, del funzionamento dei mercati e la tutela degli utenti finali.

Prendendo le mosse proprio dalla normativa di riferimento che disciplina le attività antropiche dirette allo sfruttamento del territorio, il Testo Unico dell’Ambiente D.lgs 152/2006, è possibile giungere alla considerazione che l’unico ambito rimasto escluso da questo tipo di regolamentazione, per il quale non esista ancora un’Autorità a livello nazionale, sia quello sulla gestione dei rifiuti solidi urbani (RSU). Un ritardo che trova giustificazione, oltre che nell’efficace ruolo suppletivo che hanno svolto sin dal ’97 i Consorzi nazionali2 istituiti dal Decreto Ronchi D.lgs 22/1997, anche nel giudizio che fino a poco tempo fa il nostro Paese e la società aveva nei confronti dei rifiuti, un’esternalità che doveva trovare una collocazione che non fosse in frizione con gli interessi della collettività generale.

1 L'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico è un organismo indipendente, istituito con la legge 14 novembre 1995, n. 481 con il compito di tutelare gli interessi dei consumatori e di promuovere la concorrenza, l'efficienza e la diffusione di servizi con adeguati livelli di qualità, attraverso l'attività di regolazione e di controllo. L'Autorità svolge inoltre una funzione consultiva nei confronti di Parlamento e Governo.

2 CONAI, Consorzio Nazionale Imballaggi, è un Consorzio privato che opera senza fini di lucro. Nato sulla base del Decreto Ronchi del 1997, si basa sulla prevenzione, sul recupero e sul riciclo dei sei materiali da imballaggio: acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro. Collabora con i Comuni in base a specifiche convenzioni regolate dall’Accordo quadro nazionale ANCI-CONAI e rappresenta per i cittadini la garanzia che i materiali provenienti dalla raccolta differenziata trovino pieno utilizzo attraverso corretti processi di recupero e riciclo. Indirizza l’attività e garantisce i risultati di recupero di 6 Consorzi dei materiali: acciaio (Ricrea), alluminio (Cial), carta/cartone (Comieco), legno (Rilegno), plastica (Corepla), vetro (Coreve), garantendo il necessario raccordo tra questi e la Pubblica Amministrazione.

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Come anzi detto, solo grazie ai Consorzi nazionali è stato infatti possibile raggiungere taluni risultati che sarebbero stati ottenuti grazie alla presenza e alle azioni di una specifica Autorità nazionale, quali lo sviluppo e funzionamento di mercati concorrenziali che, di riflesso, hanno condotto alla tutela degli utenti finali in termini di costi per la gestione dei rifiuti. Hanno svolto e svolgono un ruolo importante per la gestione dei rifiuti urbani, facendo fronte ad un contesto operativo frammentato, in cui alcune realtà a livello locale erano e sono spesso incapaci di gestire in modo efficiente gli RSU per mancanza di un’organizzazione che possa soddisfare sia da un punto di vista logistico che impiantistico.

Quindi, se con il tempo i rifiuti urbani, da essere solo un costo per la collettività, sono divenuti una risorsa, acquisendo un proprio valore economico per il contributo che in molti casi forniscono alla realizzazione di nuovi prodotti finiti, dall’altra questo mercato congiunto al servizio strategico di pubblica utilità della gestione degli RSU, rimane ancora orfano di un’Autorità a livello nazionale che garantisca i medesimi interessi portati avanti dall’AEEGSI3.

Nonostante il Legislatore avesse previsto agli artt. 199 – 204 del T.U.A. una regolazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti secondo un sistema di pianificazione e controllo delle attività su base regionale per sopperire a tale “lacuna”, le evoluzioni normative ed i ritardi per l’applicazione di tale sistema hanno senza dubbio prodotto un momento di stasi nell’evoluzione di un settore in rapida crescita ed espansione, che ha negli ultimi tempi affermato la propria importanza anche grazie alle nuove politiche europee sull’economia circolare.

A livello territoriale in tema di organizzazione delle funzioni si sono susseguite nell’ultimo periodo alcune evoluzioni in ordine all’organizzazione della gestione dei rifiuti. In particolare, gli AATO (Autorità d'Ambito Territoriale Ottimale), inizialmente previsti all’art. 200 del TUA, erano stati prima abrogati4 e poi successivamente sostituiti

dagli ATO (Ambiti Territoriali Ottimali). Il vuoto lasciato da tale disposizione è stato infatti poi di fatto colmato dal Legislatore con l’art. 3-bis, comma 1-bis del D.L. n.

3 L’Autorità nel settore era stata demandata anch’essa all’AEEGSI dall’art. 16 bis della bozza del Decreto Madia di attuazione della Legge 124 del 2015 ma non ha mai visto la luce a causa della scadenza della legge delega.

4 L’abrogazione è avvenuta ad opera dell’art. 2 co. 186 bis della legge n. 191/2009, come modificato dall’art. 1, comma 1 quinquies, D.L. n. 2/2010, convertito con modificazioni dalla l. n. 42/2010, in G.U., n. 302, 30 dicembre 2009.

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138/2011, convertito in legge n. 148/20115, il quale ha imposto un’organizzazione dei servizi pubblici locali (S.P.L.) a rilevanza economica su base di ambiti o bacini territoriali ottimali ed omogenei, governati da specifici Enti, istituiti dalle Regioni.

Gli ATO, Enti Locali di secondo grado, sono governati dalle Autorità d’Ambito cui spetta l’esercizio esclusivo delle competenze locali in materia di gestione integrata dei rifiuti e alle quali i Comuni devono aderire per l’espletamento di tali servizi ambientali. Infatti, secondo l’inderogabile principio di unicità della gestione integrata dei rifiuti6, ogni disposizione regionale che possa condurre ad una nuova frammentazione della gestione del servizio si pone in contrasto con l’art. 200 TUA7. Da ciò ne discende la

necessaria appartenenza degli Enti Locali all’organizzazione sovracomunale del servizio di gestione dei rifiuti.

In base alle disposizioni di legge appare netta la ripartizione delle funzioni di governo, affidate esclusivamente all’Autorità, rispetto a quelle di gestione del servizio, secondo cui vige la linea di principio di divieto per il soggetto affidatario del servizio all’interno del perimetro prescritto di ricoprire cariche all’interno dell’Autorità, né che la propria compagine societaria possa constare della presenza di soggetti politici.

Al fine di ottenere un maggior controllo sul territorio, di omologare l’attività di gestione dei rifiuti urbani ad un alto livello d’efficacia gestionale ed allinearsi alla disciplina nazionale di cui all’art. 200 D.lgs 152/20068, la Regione Toscana, prima con la

legge regionale n. 61/20079, di modifica del precedente disposto n. 25/199810, e in un secondo momento con la l.r. n. 69/201111, ha identificato gli Ambiti Territoriali Ottimali,

5 Legge 14 settembre 2011, n. 148, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, in G.U., n. 216, 16 settembre 2011. Disposizione a sua volta inserita dall’art. 34, comma 23, D.L. n. 179/2012,convertito con modificazioni dalla legge n. 221/2012, in G.U. n. 294 del 18 dicembre 2012, la cui vigenza è stata fatta salva dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 20 luglio 2012 n. 199.

6 Articolo 200 co. 1 lettera a, D.lgs. n. 152 del 2006.

7 Vedi Corte Cost., 22 dicembre 2010, n. 373, che ha annullato l’art. 6, comma 4, della legge della Regione Puglia n. 36 del 2009, la quale ammetteva la deroga al suddetto principio, in G.U., Serie Speciale - Corte Costituzionale n.52, 29 dicembre 2010.

8 Art. 200 D.lgs 152/2006, Organizzazione territoriale del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani. 9 Legge regionale 22 novembre 2007 n. 61, Modifiche alla legge regionale 18 maggio 1998, n. 25 (Norme per la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati) e norme per la gestione integrata dei rifiuti, in B.U.R.T., n. 40, 30 novembre 2007.

10 Legge regionale 18 maggio 1998 n. 25, Norme per la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati, in B.U.R.T., n. 19, 28 maggio 1998.

11 Legge regionale 28 dicembre 2011 n. 69, Istituzione dell'autorità idrica toscana e delle autorità per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani. Modifiche alla L.R. n. 25/1998, alla L.R. n. 61/2007, alla L.R. n. 20/2006, alla L.R. n. 30/2005, alla L.R. n. 91/1998, alla L.R. n. 35/2011 e alla L.R. n. 14/2007, in B.U.R.T., n. 63, 29 dicembre 2011.

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la struttura degli organi e le funzioni delegate alle rispettive Autorità di riferimento composte dai Sindaci dei Comuni ricadenti nel perimetro sotteso.

Un ulteriore passo verso una riorganizzazione in tal senso è stato, inoltre, apportato dalla legge regionale 61/201412 che ha meglio definito le competenze tra Regione e le Autorità d’Ambito. Infatti, alla luce della legge nazionale 56/201413, con il venir meno del piano interprovinciale in materia di rifiuti previsto dalla precedente legge regionale 25/1998, che stabiliva una programmazione articolata su tre livelli (regionale, interprovinciale e di ambito), si è di fatto affermata una programmazione della gestione dei rifiuti esclusivamente su due piani, quello regionale e quello d’ ambito. Il primo riguarda la gestione integrata dei rifiuti urbani che individua i fabbisogni, la tipologia e il complesso degli impianti di smaltimento e recupero, nonché gli obiettivi, gli indirizzi e i criteri per la gestione integrata dei rifiuti urbani. Il secondo, oltre a dover dare attuazione alle prescrizioni della regione, ha non solo il compito di affidare il servizio ad un gestore unico, ma anche l’onere di regolare le tariffe e la qualità del servizio offerto dal quest’ultimo.

La somma di tali interventi ha comportato, quindi, la suddivisione del territorio regionale in tre macro aree regolate dalle rispettive Autorità, ATO Centro, ATO Costa, ATO Sud, sulla base delle caratteristiche socio-economiche e territoriali, della dotazione impiantistica esistente, nonché delle quantità di rifiuti prodotti annualmente, dando un pedissequo avvio ad un processo di riorganizzazione delle aziende preesistenti che operano nel settore della gestione degli RSU nelle realtà locali interessate.

Gli impianti funzionali a trattare i rifiuti urbani, realizzati dagli enti locali o per tramite delle società che operavano sul territorio in regime in house, e ricadenti nei suddetti ambiti, secondo la normativa nazionale14, saranno invece concessi in comodato d’uso agli affidatari del servizio.

Quindi, in linea con la regolamentazione nazionale, la Regione ha disposto che per ciascun ambito di servizio si dovesse procedere all’individuazione di un unico gestore secondo le procedure di gara pubblica, ovvero alla costituzione di una società mista a

12 Legge regionale 28 novembre 2014 n. 61, Norme per la programmazione e l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di gestione dei rifiuti. Modifiche alla l.r. 25/1998 e alla l.r. 10/2010, in B.U.R.T., n. 52, 5 novembre 2014.

13 Legge 7 aprile 2014 n. 56, Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, in vigore dall’8 aprile 2014, in G.U., n. 81, 7 aprile 2014.

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capitale pubblico-privato assieme ad un partner privato, eletto sempre seguendo il medesimo pubblico criterio

Pertanto i Comuni ricadenti nelle aree delle tre ATO hanno dovuto scegliere la modalità più idonea alle loro esigenze, potendo optare tra una soluzione più “imprenditoriale”, aggiudicando l’attività dei servizi ambientali all’azienda che avesse vinto una gara d’appalto ad evidenza pubblica, o per una più “conservativa”, come nel caso della società mista pubblico/privata.

Nello specifico, per quanto riguarda quest’ultima opzione, gli operatori locali in house devono confluire all’interno di una società costituita ad hoc assieme ad un partner esterno privato individuato per tramite l’espletamento di una procedura di gara pubblica a cura dell’Autorità d’ambito. Quest’ultima, detta anche a doppio oggetto, deve riguardare “la sottoscrizione o l'acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato e l'affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell'attività della società mista.”, tenuto inoltre conto che “la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al trenta per cento e la selezione del medesimo si svolge con procedure di evidenza pubblica a norma dell'articolo 5, comma 9, del decreto legislativo n. 50 del 2016”15.

L’ingresso del socio privato nel capitale della nuova società deve avvenire mediante un’offerta da articolarsi sia in forma di aumento di capitale riservato che in sovrapprezzo allo stesso. Con l’aggiudicazione e l’affidamento del servizio da parte dell’ATO, la nuova costituita società acquisisce le dotazioni impiantistiche e strumentali per lo svolgimento del servizio attraverso il pagamento della quota parte non ammortizzata degli investimenti. Gli impianti, di proprietà comunale o di società a totale capitale pubblico ex comma 13, art. 113 TUEL16, restano in capo agli attuali soggetti proprietari, fermo restando l’obbligo dei Comuni e/o delle società pubbliche di mettere a disposizione della società mista la loro gestione.

1.1. ATO Centro

Costituita a decorrere dal 1° gennaio 2012 dai Comuni compresi nelle province di Firenze, Prato e Pistoia, con esclusione dei Comuni di Marradi, Palazzuolo sul Senio e

15 D.lgs 175/2016, art. 17 co. 1, in G.U., n. 210, 8 settembre 2016. 16 TUEL, Testo Unico Enti Locali, Parte I, Titolo V.

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Firenzuola, l’Autorità per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani ATO Centro è ente rappresentativo di tutti i Comuni appartenenti all’ambito territoriale ottimale di riferimento, con una popolazione di quasi un milione e mezzo di abitanti. L’area, che comprende ben 19 impianti per la selezione, preparazione ed avvio a riciclo/recupero dei rifiuti solidi urbani, era precedentemente servita da sette aziende locali di cui sei operanti in regime in house.

Per ottemperare alle prescrizioni della disciplina nazionale e regionale è stata intrapresa la scelta di bandire una gara d’appalto pubblica a procedura ristretta, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea (GUCE) in data 30 novembre 2011 e con successiva trasmissione degli inviti ai concorrenti per la presentazione delle offerte in data 24 aprile 2014.

All’esito di ciò, le uniche due proposte economiche pervenute furono quelle risultati da parte dell’ATI guidata da Quadrifoglio Spa con ASM Spa, Publiamente Spa e CIS Srl, e dalla cordata facente capo alla Società Cooperativa Lavoratori Ausiliari del Traffico L.A.T con Siena Ambiente Spa e Servizi Ecologici integrati Toscana Spa CFT.

A fine 2015, in sede di valutazione tecnica, la Commissione di gara aveva in ordine prima escluso dalla corsa per l’affidamento del servizio il secondo raggruppamento in questione, in virtù di un giudizio negativo sulla qualità del modello gestionale proposto, poi aggiudicato in modo provvisorio l’appalto alle società guidate da Quadrifoglio Spa. Invero la situazione si complicava già dall’aprile del 2016 quando, con determina del Direttore Generale dell’Autorità ATO Centro, veniva revocata anche a quest’ultima l’affidamento temporaneo per carenza di requisiti di una delle aziende mandanti.

Avverso tale disposizione venne presentata istanza all’ATO, opportunamente motivata e documentata, per la sua revoca e/o annullamento in autotutela ex art. 21 quinquies e nonies L. 241/1990. Con l’accoglimento della presentata doglianza da parte dell’Autorità d’ambito, veniva di fatto sanata la posizione giuridica dell’ATI guidata da Quadrifoglio e, di conseguenza, nuovamente aggiudicato l’appalto, questa volta in maniera definitiva, in data 8 luglio 2016.

A seguito di tale decisione, l’ATI concorrente precedentemente esclusa, proponeva ricorso al TAR Toscana, opponendo l’illegittimità dell’aggiudicazione dell’appalto da parte dell’Autorità ATO Centro.

All’esito del giudizio, in data 16 giugno 2017, il Tribunale amministrativo allo stesso modo riconosceva «la piena e completa legittimità dell'aggiudicazione ad Alia Spa

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della procedura per l'affidamento in concessione»17, confermava l'esito della gara chiusa nel luglio 2016 e altresì convalidava l'esclusione dell'altro concorrente per «l’offerta non adeguata ed in contrasto con le disposizioni di gara».

1.2. ATO COSTA

Il territorio che interessa l’ATO Costa comprende le Province di Pisa, Livorno, Lucca e Massa, includendo nel proprio perimetro 102 Comuni. A differenza dell’area ricompresa nell’ATO Centro, in cui operavano solo quattro operatori ambientali, in questo specifico contesto sono presenti ben 22 gestori in house del servizio di raccolta dei rifiuti urbani e 17 gestori di impianti. Tale assetto ha pertanto condotto a gestioni disomogenee dei livelli di servizio e del sistema impiantistico, un limitato coordinamento degli investimenti, eterogeneità tariffaria, difficoltà di “chiusura” del ciclo e processi decisionali frammentati.

I Comuni, in forza della loro competenza e tramite l’Autorità ATO Costa, hanno scelto di progredire in direzione di un nuovo ordine di governo grazie alla costituzione in data 16 dicembre 2011 di una società mista18 denominata Retiambiente Spa.

La scelta di ricadere su questa tipologia di società è stata dovuta alla fatto che, dato il complesso panorama imprenditoriale presente sul territorio, consentisse meglio ai Comuni di salvaguardare gli assets aziendali, evitando il rischio della perdita definitiva di valore delle partecipazioni in caso di mancata aggiudicazione della gara ad uno degli attuali soggetti gestori; Oltremodo ciò consente di individuare e mettere insieme un complesso di know-how, di capacità imprenditoriali, oltre che di risorse tecniche e finanziarie necessarie a dar vita ad un rilevante aggregato di tipo industriale, e di perseguire un completo ciclo integrato dei rifiuti urbani, dalla raccolta, al trasporto ed allo smaltimento, superando il livello ancora assai elevato di frammentazione esistente in questo settore dei servizi pubblici locali.

L’iter, non ancora concluso, per l’individuazione del socio privato prende le mosse dalla pubblicazione del bando di selezione a evidenza pubblica sulla Gazzetta

17 TAR Toscana, sentenza n 833, pubblicata il 16 giugno 2017.

18 Per società “miste” s’intendono, in generale, quelle con presenza nel capitale sociale sia di soggetti pubblici che di soggetti privati. Il fenomeno è assai diffuso nel nostro Paese tanto negli ambiti statali e regionali quanto nell’area degli enti locali.

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Ufficiale dell’Unione Europea in data 28.12.2011 e su altri periodici a cura dell’Autorità d’Ambito.

I primi ritardi sul cronoprogramma, oltre ad essere legati alle evoluzioni del quadro normativo che interessano l’assetto societario prescelto per la riorganizzazione del settore, sono giunti a causa della rilevante modificazione dell’estensione territoriale dell’ATO Toscana Costa. Nello specifico, si è registrato il passaggio dei Comuni di Piombino, San Vincenzo, Sassetta, Suvereto, Campiglia Marittima, Castagneto Carducci all’ATO Toscana Sud dopo aver presentato istanza all’Autorità d’ambito nel settembre 2011 accolta l’11 giugno 2013 con Deliberazione del Consiglio Regionale della Toscana.

Dopo una sospensione delle procedure di gara a causa dei motivi di cui sopra, il 13 febbraio 2014 l’Autorità per il servizio rifiuti aveva provveduto alla riapertura dei termini di partecipazione al suddetto bando, con avviso sulla Gazzetta dell’Unione Europea.

Il procedimento ad evidenza pubblica per la scelta del partner privato di RetiAmbiente S.p.A. avrebbe dovuto procedere di pari passo con la sottoscrizione degli aumenti di capitale della società da parte dei Comuni soci. Questi, inoltre, avrebbero dovuto conferito a tal fine, ex artt. 2343 ss. c.c., le partecipazioni da loro detenute delle società pubbliche svolgenti il servizio di gestione dei rifiuti urbani e/o altre dotazioni patrimoniali destinate a tale scopo.

A causa dell’allungarsi dei tempi originariamente stabiliti e constatato che l’operazione, dopo circa trentaquattro mesi dalla riapertura dei termini, non riusciva ancora a concludersi, rimanendo ancora da espletare la fase di invito alla formulazione delle offerte, questa rimaneva incompiuta, tenuto inoltre conto del necessario svolgimento della due diligence funzionale a render noti ai concorrenti gli aumenti di capitale fino ad allora eseguiti.

A tal proposito, visto il mutamento delle condizioni economiche e di servizio, oltre che delle evoluzioni normative nel settore delle società a partecipazione pubblica19 e nelle procedure di gara pubblica20, in data 9 gennaio 2017 l’Autorità per il servizio di gestione

19 D.lgs 175/2016, Testo Unico in materia di società partecipate dalla pubblica amministrazione, in G.U., n. 210, 8 settembre 2016.

20 D.lgs 50/2016, Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonche' per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in G.U., n. 91, 19 aprile 2016.

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integrata dei rifiuti urbani ATO Costa ha annullato la gara indetta per ricognizione dei presupposti e delle stime economiche.

Il 31 marzo 2017, l’assemblea dei Sindaci aderenti alla neo società mista ha approvato i due nuovi schemi sul Contratto di servizio e sulla Carta della qualità dei servizi, primo passo per giungere alla pubblicazione di un nuovo bando di gara.

1.3. ATO SUD

L'ATO Toscana Sud è la prima area ad aver concluso il percorso tracciato dalla Legge Regionale n. 61/2007 sull’accorpamento dei bacini nei tre macro ATO. Si tratta dunque della prima gara nel settore dei rifiuti che arriva a conclusione in Toscana e una delle prime in assoluto in Italia.

Il territorio servito racchiude 105 comuni presenti sul territorio delle province di Arezzo, Grosseto, Livorno e Siena21. Gestore unico del servizio integrato dei rifiuti urbani dell’intera area è la società SEI Toscana, costituita in forza dell’aggiudicazione dell’appalto all’ATI con capogruppo Siena Ambiente Spa che, da fine marzo 2013, ha firmato il contratto di servizio con l'Autorità d’ambito ATO Sud divenendo così, a partire dal 1° gennaio 2014, unico gestore.

Per ottemperare alla riorganizzazione del settore in questo contesto è stato scelto, come è avvenuto anche nel caso dell’ATO Centro, di perseguire la strada della gara pubblica a procedura ristretta e di non convergere verso la soluzione della “società mista” come nel caso dell’ATO Costa.

2. ALIA SPA

Alia Spa nasce il 13 marzo del 2017 a seguito della fusione societaria per incorporazione in Quadrifoglio Spa di ASM Spa, Publiambiente Spa e CIS Srl e rappresenta il quinto player italiano nel mondo delle utility.

Le predette aziende in house hanno in un primo tempo costituito l’ATI22

strumentale alla partecipazione alla gara indetta da ATO Centro per l’aggiudicazione

21 Comuni facenti parte dell’ATO Sud: 36 aretini, 28 grossetani, 6 livornesi e 35 senesi.

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della concessione ventennale del servizio di gestione degli RSU nelle territorio delle province di Firenze, Prato, e Pistoia, per poi unirsi a seguito di ciò in data 8 luglio 2016 in virtù della regolamentazione di gara. Tale azione ha di fatto rappresentato un passaggio preliminare alla sottoscrizione del contratto di servizio con l’ente d’ambito e a tutte le operazioni volte ad assicurare la piena operatività del gestore unico e della gestione della concessione.

Il capitale sociale della nuova costituita è interamente pubblico23, con una compagine azionaria ripartita fra 19 Comuni e 3 aziende pubbliche fino a quel momento in possesso delle quote delle quattro società protagoniste della fusione. Rappresenta il primo esempio in Italia di azienda mono utility a capitale totalmente pubblico che ha partecipato e vinto una gara d’appalto a rilevanza pubblica per l’aggiudicazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti.

Risulta molto interessante il sistema di ripartizione adottato in sede di costituzione delle quattro tipologie di azioni tese a ripartire in modo equilibrato le votazioni in sede assembleare, tenuto conto della posizione di maggioranza assoluta in possesso del Comune di Firenze che da solo avrebbe potuto decidere le sorti delle politiche aziendali.

La sottoscrizione del contratto di servizio con l’Autorità d’ambito ATO Centro è avvenuta in data 31 agosto 2017, data dalla quale sono iniziati a decorrere centottanta giorni utili a porre in essere le attività oggetto del contratto. Con l’aggiudicazione della gara d’appalto Alia è uscita dal regime di affidamento diretto in house che, come anzi detto, caratterizzava le preesistenti quattro aziende, comportando un radicale cambiamento nell’organizzazione delle attività amministrative inerenti agli approvvigionamenti e al subappalto di servizi.

In particolare rileva, sotto il profilo giuridico, la nuova posizione assunta dalla società nei confronti del Testo Unico degli Appalti, D.lgs 50/2016 al quale non è più soggetta in modo incondizionato tenuto conto della nuova veste di società di mercato. Si deve infatti procedere ad una distinzione in termini di tempo e attività svolte.

23Comune di Firenze 58,873%, Comune di Prato 16,047, Publiservizi Spa 11,084%, Consiag Spa 3,916%,

Comune di Sesto Fiorentino 1,984%, Comune di Campi Bisenzio 1,664%, CIS Srl 1,294%, Comune di Scandicci 1,233%, Comune di Bagno a Ripoli 0,700%, Comune di San Casciano V.P. 0,680%, Comune di Impruneta 0,663%, Comune di Fiesole 0,601%, Comune di Calenzano 0,425%, Comune di Greve in Chianti 0,399%, Comune di Tavarnelle V.P. 0,324%, Comune di Signa 0,091, Comune di Montemurlo 0,012%, Comune di Carmignano 0,006%, Comune di Vaiano 0,005%, Comune di Poggio a Caiano 0,004%, Comune di Vernio 0,002%, Comune di Cantagallo 0,002%.

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Per tutti i rapporti commerciali sottoscritti nei successivi centottanta giorni dalla firma del contratto di servizio, periodo entro il quale Alia dovrà perfezionare il subentro a titolo definitivo nella gestione integrata dei rifiuti, qualora questi producano i loro effetti fino al 27 febbraio 2018, dovrà continuare ad essere impiegato il Codice gli appalti e le rispettive procedure. Al contrario, qualora i contratti producano i loro effetti anche oltre il termine del regime transitorio, in tal ipotesi non sarà necessario perseguire le regole del testo normativo.

Un’ennesima ripartizione tra il regime pubblicistico e quello privato emerge per quanto riguarda l’approvvigionamento di beni e servizi anche strumentali all’espletamento delle attività oggetto di concessione. Se pur infatti Alia è libera di poter agire secondo le norme del codice civile, rimangono fermi gli obblighi a garanzia dell’Autorità d’ambito sulla qualificazione degli operatori selezionati per “servizi base” oggetto del contratto. Continua invece ad essere sottoposta agli schemi di gara fissati nel D.lgs 50/2016 per i lavori pubblici strettamente strumentali all’espletamento del servizio, ex art. 1 co. 2 lett. d, previsti nel suddetto contratto di servizio. Va da sé che questa linea di confine tra il regime pubblico e privato comporta una sostanziale diversità in termini di gravami burocratici che i fornitori devono sopportare per contrarre con il gestore unico del servizio di gestione integrata dei rifiuti.

L’azienda, pur non avendo ancora a disposizione alcun impianto di termovalorizzazione dei rifiuti, detiene la partecipazione della società Q.Thermo, ente di scopo sorta nel 2012 dalla collaborazione industriale con un’importante società specializzata in gestione dei rifiuti selezionata a mezzo procedura di gara pubblica che, all’eventuale buon esito delle pendenti controversie giudiziarie amministrative, costruirà e gestirà il termovalorizzatore della Toscana Centrale.

La società, partecipata al 60% da Quadrifoglio spa e al 40% dal Gruppo Hera, è stata realizzata grazie ad una procedura di gara ad evidenza pubblica indetta dalla stessa Quadrifoglio su incarico dell’ATO 6 (oggi ATO Toscana Centro) con l’obiettivo specifico di individuare un partner industriale che fosse in grado di seguire l’intero processo di realizzazione del termovalorizzatore, dalla progettazione alla gestione.

Per quanto invece concerne i sistemi di raccolta attualmente in atto, sull’intero territorio su cui opera l’azienda sono in corso eterogenee tipologie di raccolta dei rifiuti urbani, da porta a porta con tariffa puntuale, applicata da tempo in particolar modo nelle zone del Mugello, Pistoia e dell’empolese in precedenza gestite da Publiambiente, al sistema dei cassonetti interrati e non, con e senza chiavetta, per aree dalle eterogenee

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necessità. È in corso di valutazione tecnica l’estensione ad alcune aree limitrofe alla città di Firenze la raccolta porta a porta con tariffa puntuale dopo il successo riscosso nella zona dell’Osmannoro, frazione del Comune di Sesto Fiorentino.

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CAPITOLO II

RIFIUTI URBANI E RIFIUTI SPECIALI, L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA NORMATIVO E LO STATO ATTUALE

1. ASSIMILAZIONE DEI RIFIUTI, GLI SVILUPPI DI UNA

REGOLAMENTAZIONE INCOMPLETA

Il sistema delle leggi in Italia inerente alla gestione rifiuti solidi urbani trova la propria ragione nel Testo Unico dell’Ambiente D.lgs 152/2006 parte quarta titolo I capo III, in cui vengono disciplinati le modalità con cui è organizzato il servizio pubblico essenziale.

A beneficio di una miglior comprensione, così da avere un approccio più sistematico alla materia, risulta opportuno richiamare la ripartizione che esegue l’art. 184 del T.U.A. tra le varie tipologie di rifiuti, classificandoli in base a criteri di origine e, a valle di questo passaggio preliminare, secondo la pericolosità.

Secondo il primo distinguo sono considerati “urbani” i rifiuti derivanti da un’origine domestica, mentre devono essere ritenuti speciali quelli derivanti da attività industriali, artigianali, di commercio e di servizi. Entrambe le categorie possono a loro volta assumere un carattere di pericolosità qualora contengano al loro interno sostanze o inquinanti tossici per la salute umana o l’ambiente in misura tale che debbano essere smaltiti in appositi impianti.

Sul confine tra i rifiuti urbani e quelli speciali agiscono, quindi, le regole di assimilazione definite dalla legge nazionale24, applicate a livello locale con appositi regolamenti comunali per definire quali rifiuti non pericolosi provenienti da attività non domestiche possano rientrare nell’alveo degli RSU secondo criteri di quantità e qualità.

In base alla predetta classificazione dei rifiuti, l’applicazione della Tariffa per la loro gestione è prevista solo le categorie dei rifiuti urbani ed assimilati, mentre per tutti gli altri il produttore o il detentore deve provvedere di propria iniziativa e a proprie spese alla raccolta e allo smaltimento, sulla base delle priorità che il Testo Unico dell’Ambiente gli assegna25.

24 Art. 184 co. 2 lett. B, D.lgs 152/2006.

25 Art. 188 co. 2 D.lgs 152/2006, Autosmaltimento; conferimento a terzi autorizzati; conferimento a soggetti che gestiscono il servizio pubblico di raccolta rifiuti urbani, con i quali sia stata stipulata apposita convenzione; esportazione dei rifiuti.

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Il tema più controverso di questo settore, ancora non opportunamente regolamentato, riguarda proprio la facoltà demandata ai Comuni di poter assimilare taluni rifiuti speciali al regime di gestione di quelli urbani. Ciò, infatti, condiziona in molti casi le attività e le aziende produttrici all’obbligo del versamento della corrispettiva tassa per la loro amministrazione il cui ammontare, nel maggiore dei casi, è calcolato secondo criteri che non rispecchiano una ragionevole ratio, comportando oneri economici di gran lunga superiori a quello che sarebbe il corretto ammontare.

Il tortuoso percorso normativo che definisce in modo tutt’oggi poco omogeneo l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani prende le mosse da un momento antecedente all’entrata in vigore del previgente Decreto Ronchi D.lgs 22/1997, primo concreto tentativo da parte del Legislatore di fare ordine nel settore ambientale.

Lo smaltimento dei rifiuti in Italia è stato infatti regolato organicamente in prima battuta dal DPR 915 del 10 settembre 1982, emanato in attuazione delle direttive CEE 75/442, relativa ai rifiuti pericolosi, CEE 76/403, relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili, e CEE 78/319, relativa ai rifiuti in generale. Il decreto aveva una funzione di dispositivo "quadro" nel perimetro del quale vennero affermate le prime regole in materia di rifiuti. Il sistema introdotto si fondava sulla gestione del rifiuto mediante l’attività di eliminazione dello stesso, senza valorizzarne la possibilità di riutilizzo e riciclo. Per questa e per altre ragioni i diversi Governi fecero ricorso a reiterati interventi normativi d’urgenza, finalizzati a limitare la produzione dei rifiuti e favorire quelle attività di gestione che il D.P.R. 915/1982 aveva trascurato di promuovere.

In attuazione al decreto26 seguì poi, in un secondo momento, l’emanazione della Delibera Comitato Interministeriale 27/7/1984 nella quale vennero definite, oltre a specifiche norme tecniche in materia di smaltimento in discarica, incenerimento, raccolta, trasporto ospedalieri e classificazione dei rifiuti speciali in tossico-nocivi, anche criteri di assimilabilità di rifiuti speciali agli R.S.U. che procurarono non poche discussioni sul tema.

I Comuni, proprio sulla base di quanto disposto, come pedissequa conseguenza a tale apertura normativa, si apprestarono ad azioni di spinta assimilazione, in forza dell’estesa discrezionalità che la delibera offriva loro in materia, effetto di un dettato alquanto generico e dalle larghe maglie interpretative. Nello specifico, il paragrafo 1.1.1

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della delibera stabilisce la possibilità di assimilare agli RSU, oltre ad un elenco di rifiuti speciali in possesso di caratteristiche indicate dalla norma, anche quei rifiuti speciali indicati all’art. 2 del D.P.R. n. 915/1982 se con caratteristiche merceologiche analoghe a quelli urbani.

La prassi adottata dagli enti territoriali locali veniva approvata anche da parte dell’Amministrazione finanziaria che, in più di un’occasione27, aveva ritenuto ammissibile la c.d. “assimilazione implicita” effettuata grazie all’inserimento fra le categorie di tariffa previste dal regolamento comunale dei locali nei quali si producevano i rifiuti speciali.

A porre momentaneo un freno a quanto stava accadendo provvide la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10853 del 1993 in cui ebbe premura di precisare che “la spesa relativa allo smaltimento dei rifiuti speciali (...) deve fare carico a chi li produce, salvo che tali rifiuti siano stati dichiarati assimilabili a quelli urbani; pertanto, in difetto di un provvedimento che stabilisca simile assimilazione, i Comuni devono ritenersi privi di potere impositivo nei confronti dei rifiuti speciali, ferma restando la potestà degli stessi Comuni di recuperare coattivamente a carico dei produttori le spese sostenute per lo sgombero di tali rifiuti e di irrogare le sanzioni amministrative all’uopo previste”28.

Come possibile soluzione alla genericità dei criteri adottati cui aveva seguito una indiscriminata libertà decisionale da parte degli Enti territoriali locali, l’articolo 39 della legge 146/199429 aveva stabilito che i rifiuti propri delle attività economiche, compresi o suscettibili di essere compresi per similarità nell’elenco di cui al punto 1.1.1 della delibera del Comitato interministeriale del 27 luglio1984, dovessero essere ritenuti, ad ogni effetto, assimilati ai rifiuti urbani, senza necessità di un esplicito intervento regolamentare da parte del Comune. Questa equiparazione opes legis comportava l’unificazione dell’assimilazione sia ai fini del pagamento della tassa sui rifiuti sia ai fini tecnici30.

A seguito dell’abrogazione del DPR da parte dell’art. 56, comma 1, lett. b) del Decreto Ronchi D.Lgs. 22/1997, la Delibera interministeriale continuò ad essere applicata

27 Ministero delle Finanze, risoluzione n. 1191 del 29 dicembre 1989; Risoluzione 842/1990 del 20 giugno 1990; Circolare n. 9/1990 del 21 dicembre 1990.

28 Corte di Cassazione, sent. I civ., n. 10853 del 1993.

29 Legge 22 febbraio 1994, n. 146, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 1993, in G.U., n. 52, 4 marzo 1994.

30 In riferimento al giudizio tecnico che l’ente locale era tenuto a esprimere sulla compatibilità qualitativa e quantitativa dei rifiuti speciali che si intendeva assimilare agli urbani.

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ed a produrre i propri effetti grazie alla conferma e al precipuo rimando che il nuovo testo adottato aveva operato agli artt. 18 co. 2 lett. d e 57 co. 1 in tema di competenze statali e di disposizioni transitorie, introducendo esplicitamente all’art. 21 lett. g la facoltà riservata ai Comuni di poter stabilire nei propri regolamenti le misure di assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati ai sensi del sopra citato art. 18, comma 2, lettera d.

La medesima sorte non fu riservata alla legge 146/1994 che, al contrario, fu abrogata dall’art. 17 co. 3 della legge n. 128/199831, dopo che, con l’entrata in vigore del

Decreto Ronchi, era stata attribuita ai Comuni la competenza concorrente in materia di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati. L’art. 21 co. 2 lett. g di detto decreto infatti, aveva nuovamente demandato la disciplina dell’assimilazione ai regolamenti comunali32.

Gli effetti del nuovo assetto hanno prodotto riflessi anche nei confronti del vigente Testo Unico dell’Ambiente 152/2006. Lo dimostra il fatto che attualmente sono considerati speciali quei rifiuti provenienti dalle attività individuate all’articolo 184, comma 3 del decreto33, fatto salvo l’esercizio del potere di assimilazione che spetta ai Comuni ex art. 198 che deve essere esercitato nel rispetto dei criteri tecnici assegnati dallo Stato di cui all’art. 19534, in assenza dei quali viene continuata ad applicare la

classificazione contenuta nella delibera interministeriale di cui sopra.

Se in un primo momento il TUA aveva posto come condizione suppletiva la possibilità di assimilare esclusivamente certe tipologie di rifiuti prodotti da attività svolte su superfici inferiori ad una determinata soglia dimensionale35, tuttavia tale presupposto

31 Legge 24 aprile 1998, n. 128, Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dalla appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 1995-1997, in GU, n.104, 7 maggio 1998.

32 Sicché i rifiuti speciali assimilabili rimangono tali e non sono assimilati agli urbani ma, affinché possano diventare a tutti gli effetti assimilati, occorre una delibera comunale, in assenza della quale le amministrazioni locali non possiedono alcuna potestà impositiva nei confronti dei soggetti produttivi di rifiuti speciali (vedi Cass., sez. trib., 7 maggio 2007, n. 10362).

33 Con conseguente esclusione dal campo di applicazione della Tariffa.

34 Tale disposizione da ultimo richiamata, nel testo riscritto dall’art. 2, comma 26, lett. a, del D.Lgs. n.

4/2008, prevede, infatti, che è di competenza dello Stato “la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani”.

35 La norma è stata oggetto di diverse modifiche ad opera dell’art. 2, comma 26, del D.Lgs. n. 4/2008, poi dall’art. 5, comma 2, l. n. 166/2009, poi dall’art. 14, comma 46, della l. n. 214/2011. Nella sua originaria formulazione essa imponeva dei limiti molto stringenti all’assimilazione, ritenendola valida solo per i rifiuti prodotti da enti e imprese esercitate su aree con superficie non superiore a 150 metri quadri nei Comuni con popolazione residente inferiore ai 10.000 abitanti, ovvero superficie non superiore a 250 metri quadri nei Comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti. Inoltre, la disposizione in parola vietava l’assimilazione anche per i rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie

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è stato poi oggetto di numerosi interventi normativi, fino ad arrivare alla completa eliminazione di tali restrizioni e all’esclusione ope legis di alcune categorie di rifiuti dall’ambito dell’assimilazione, demandando il tutto ancora una volta alla discrezionale regolamentazione comunale.

Il nuovo assetto venne poi confermato anche dalla legge finanziaria del 200736 ribadendo che, nelle more della completa attuazione delle disposizioni del TUA, sarebbero continuate ad applicarsi le norme regolamentari e tecniche comunali che disciplinano la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti, sulla base della citata Deliberazione 27 luglio 1984 del Comitato Interministeriale per i rifiuti per ciò che riguarda i criteri qualitativi, e del D.P.R. 158/199937, per ciò che riguarda i criteri quantitativi.

In fine, con l’abrogazione del capoverso e) comma 2 art. 195 del TUA ad opera del D.L. n. 201/2011 (c.d. Decreto Salva Italia) e l’introduzione poi di nuove disposizioni in materia da parte della Legge di Stabilità 2014, il potere a livello locale ha ulteriormente ampliato il proprio raggio di competenza.

Il citato capoverso prevedeva il divieto di assimilazione per alcune specifiche tipologie di rifiuti, ovvero quelli “che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e prodotti finiti (…) e quelli che si formano nelle aree di vendita con superficie due volte superiore ai limiti di cui all’art. 4, comma 1, lett. d) del D. Lgs. 114/1998”. Rappresentava di fatto la norma quadro relativa alle competenze attribuite allo Stato in materia di assimilazione dei rifiuti speciali al fine dell’assoggettamento alla tariffa rifiuti dei locali e delle aree in cui questi venivano prodotti. Invero, oltre ad assumere tale veste, il dettato prevedeva in aggiunta un vero e proprio mini sistema tariffario esclusivo a cui assoggettare i locali e le aree in cui si producevano i rifiuti speciali assimilati, in deroga a quanto disposto dall’art.238 del D.lgs. n.152/06, a partire da circa fine 2013 per le quantità conferite al servizio di gestione dei rifiuti urbani.

La tariffazione per le quantità conferite deve includere, nel rispetto del principio della copertura integrale dei costi del servizio prestato, una parte fissa ed una variabile

prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavori comunque aperti al pubblico.

36 Art. 1 comma 184 lett. b, Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007), in G.U., n. 299, 27 dicembre 2006.

37 Vedi D.P.R. n. 158/1999, Allegato 1, il quale stabilisce criteri per l’attribuzione della parte variabile della tariffa alle utenze non domestiche in relazione alla dislocazione territoriale dei comuni e alla tipologia di attività considerata (dai Musei alle botteghe artigianali), in G.U., n. 129, 4 giugno 1999.

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oltre ad una quota dei costi dello spazzamento stradale. Questa è commisurata dal regolamento comunale in base anche alla natura dei rifiuti, al tipo, alle dimensioni economiche e operative delle attività che li producono. Inoltre, secondo criterio discrezionale dell’amministrazione, si applica una riduzione che tenga conto delle quantità dei rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero tramite soggetto diverso dal gestore dei rifiuti urbani”.

In altre parole, dal combinato disposto della citata lettera e) e dell’art, 238 del D.Lgs. n.152/06, emergeva pertanto l’esistenza di due distinti ed autonomi regimi di tassazione: uno per le utenze domestiche, dalla natura tributaria fondato sulla disciplina contenuta nell’art.238; l’altro per le utenze non domestiche, il quale costituiva invece un tentativo di strutturare il prelievo in termini di corrispettivo collegando in un qualche modo la tariffa dovuta all’effettivo servizio ricevuto, che trovava appunto fondamento in tale lettera e).

Invero tale approccio sistematico non è mai di fatto entrato in vigore in ragione dell’art. 1, comma 184, lett. b) della Legge n.296/06 il quale disponeva che “in materia di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, continuano ad applicarsi le disposizioni degli articoli 18, co. 2, lett. d), e 57, co. 1, del D.Lgs. n.22/97”.

Con l'art. 14, comma 46, legge n. 214 del 2011 di conversione del D.L. 201/2011, sono stati quindi definitivamente soppressi sia tale regime tariffario speciale sia le esclusioni dei citati locali ed aree relativi alle utenze non domestiche previsti dalla citata lettera e). Della citata lettera e) è rimasta in essere unicamente la parte che conferisce unicamente allo Stato il potere di determinare i criteri di assimilazione, analogamente a quanto contenuto nell’art. 18, co 2, lett. d) del D.Lgs. n.22/97. Ragion per cui i locali e le aree in cui si producono rifiuti speciali assimilati con atto dei Comuni, rimangono assoggettati al nuovo tributo.

Il risultato di tale intervento ha, pertanto, prodotto l’assoggettabilità di tali rifiuti, prima esclusi, alla discrezionalità del singolo Comune, aprendo a questi la possibilità di assimilare ai rifiuti urbani anche quelli che si formano nelle aree produttive.

Dall’altra parte, la Legge di Stabilità 201438, che ha eliminato tutti i previgenti

regimi di prelievo in materia di gestione dei rifiuti urbani sostituendoli con la nuova tassa Tari componente dell’imposta unica comunale (IUC), prevedendo per il Comune la facoltà di individuare le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili oltre ai

38 Vedi l’art. 1, comma 649, della l. n. 147/2013, come modificato dal D.L. n. 16/2014, convertito in l. n. 68/2014.

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magazzini di materie prime e merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività, ai quali estendere il divieto di assimilazione39, non ha fatto

altro che confermare la piena disponibilità del potere regolatorio in ambito di assimilazione agli RSU agli enti locali.

2. LE DISOMOGENEE POLITICHE A LIVELLO LOCALE

2.1. TARSU

Costituita per tramite del D.lgs. 507 /199340 ed entrata in vigore a decorrere dal

01/01/1994, la TARSU demandava ai Comuni di istituire una tassa annuale da applicare “in base a tariffa” secondo gli appositi regolamenti a copertura parziale, dal 50% al 70%, del costo del servizio stesso.

Questa era dovuta da chiunque occupasse o utilizzasse locali e aree scoperte adibiti a qualsiasi uso, fatta eccezione per le aree comuni del condominio, le aree scoperte di pertinenza o accessorie di abitazioni civili, le aree a verde e gli spazi di manovra delle aree commerciali. Inoltre, la tassa, poteva “essere commisurata in base alla quantità e

qualità medie ordinarie per unità di superficie imponibile di rifiuti solidi producibili nei locali ed aree per il tipo di uso, cui i medesimi sono destinati, e al costo dello smaltimento”41.

Ciò che, quindi, rilevava ai fini della commisurazione della tassa era che oggetto dell’imposizione non fosse il servizio prestato dal comune, bensì la potenziale attitudine a produrre rifiuti da parte dei soggetti detentori degli spazi. Infatti, fatta eccezione per i

39 Tuttavia, v. la pronuncia del 9 ottobre 2014 prot. 38997 del Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che in risposta ad un quesito, ha chiarito che i Comuni non possono applicare la tassa sui rifiuti ai magazzini e alle aree che sono funzionalmente ed esclusivamente collegate all’attività produttiva, e più in generale, nei loro regolamenti, possono solo ampliare i criteri di esclusione di spazi aziendali dalla tassazione, mentre non possono proporre criteri che finiscono per ridurre le aree escluse dal tributo. Il dipartimento in tal modo ha fissato il principio che esclude dal tributo tutte le aree asservite al ciclo produttivo, nelle quali si generano in via continuativa e prevalente rifiuti speciali. I Comuni con i propri regolamenti, secondo il MEF, potranno pertanto solo individuare ulteriori aree escluse dall'assimilazione, e quindi dalla tassazione.

40 D.lgs. 507 /1993, Revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicita' e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonche' della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell'art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale, in G.U., n. 288 del 09 dicembre 1993. 41 D.Lgs 15 novembre 1993, n. 507 art. 65.

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Comuni con popolazione inferiore a 35.000 abitanti, l'importo da corrispondere per questa tassa non era commisurato ai rifiuti prodotti, ma alla quantità di spazi occupati.

L’evidente natura pubblicistica, e non privatistica, del prelievo era oltremodo intuibile, oltre che dalla regola secondo cui “l’interruzione temporanea del servizio di

raccolta per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi non comporta

esonero o riduzione del tributo”42, anche dalla previsione di una tassa giornaliera.

In ordine ai rifiuti speciali, l'art. 62 co. 3 del D.lgs 507/93 prevedeva espressamente l'esclusione della TARSU per quelle superfici dove "per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano di regola rifiuti speciali".

Di tal che, ai fini dell'esclusione, risultavano conditio si ne qua non il fatto che le zone d’interesse dovessero riguardare locali o aree idonee ad usi produttivi, che fossero effettivamente utilizzati a tali scopi e, infine, che al loro interno si producessero in modo continuativo rifiuti non assimilati agli urbani.

L'inciso "di regola", che il Legislatore ha avuto interesse di specificare nel dettato normativo, voleva sottolineare che, ai fini dell'esclusione, la produzione di rifiuti speciali non assimilati dovesse essere prevalente rispetto alla eventuale produzione anche di rifiuti assimilati. Da ciò ne derivava che, ai fini dell'esclusione, la produzione di rifiuti speciali non assimilati avrebbe potuto anche non essere esclusiva e concorrere con la produzione di rifiuti assimilati, demandando un carattere di continuità e prevalenza rispetto a quest’ultimi.

Quindi, qualora all'interno degli stessi locali avvengano talune attività produttive che producano una quantità apprezzabile di rifiuti sia speciali non assimilati che assimilati, in tali ipotesi, ai sensi dell'art. 62 co. 3 del Decreto e se previsto dal regolamento comunale, era possibile applicare una riduzione percentuale della tassa, non potendo aver luogo la sua l'esclusione.

Un siffatto quadro normativo ha dato adito a numerosi ricorsi innanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali con, in talune occasioni, rimandi alla Corte di Giustizia europea a causa della scarsa correlazione tra l’entità del prelievo e il grado di fruizione del servizio, in contrasto con il principio europeo del “chi inquina paga”43. In particolare, le

principali questioni oggetto di discussione riguardavano il rapporto mediato alla

42 VI comma dell’articolo 59 d.lgs. 507/1993.

43 Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione eriparazione del danno ambientale (GU L 143 del 30.4.2004, pagg. 56-75).

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produzione dei rifiuti e la compatibilità della disciplina comunitaria con un’entrata di carattere tributario, anziché propriamente corrispettivo44. Era, pertanto, da valutare la flessibilità della normativa europea in materia, così da stabilire la corretta modalità di declinazione che ogni singolo Stato membro avrebbe avuto a disposizione.

È il caso di quanto avvenuto con la sentenza della Corte di Giustizia UE del 16 luglio 200945, dopo che il TAR Campania, preso atto dell’impugnazione della delibera comunale di determinazione delle tariffe per la gestione degli RSU da parte di talune aziende alberghiere, adiva la Corte europea per un sospetto contrasto della normativa nazionale al principio comunitario “chi inquina paga”. In particolare le aziende lamentavano il gravoso ammontare della tassa da corrispondere per il servizio di gestione dei rifiuti, di gran lunga inferiore di circa sette o otto volte rispetto a quella riservata alle utenze domestiche, se pur la tipologia dei rifiuti fosse la medesima.

In base a quanto deciso dalla Corte, il principio comunitario sotteso detta esclusivamente un obiettivo da raggiungere, senza tener conto delle modalità e mezzi che gli Stati debbano assumere. D’altro canto, riprendendo le conclusioni dell’Avvocato Generale riguardo alle difficoltà legate alla predisposizione di strumenti per la misurazione puntuale dei rifiuti oltre all’assunto carattere d’interesse generale proprio della gestione dei rifiuti, la Corte affermava la sostanziale discrezionalità degli Stati membri all’adozione di sistemi di tipo tariffario o tributario. In conclusione, assunta la legittima natura tributaria dell’importo domandato per il servizio di gestione degli RSU, fu ribadita la necessaria equa commisurazione tra l’ammontare dei costi di smaltimento ed i volumi/natura dei rifiuti prodotti, escludendo tutti quei sistemi a carattere reddituale e patrimoniale talvolta impiegati per finanziare il sistema di gestione dei rifiuti46.

Con l’introduzione del Decreto Ronchi D.lgs 22/97, alla TARSU, rimasta in vigore fino al 2009 grazie ad una serie di deroghe normative nonostante la sua abrogazione da parte dell’art. 49 del medesimo decreto, le furono ampliate le condizioni per assurgere l’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani. In particolare, all’art. 21 co. 2 lett. g del Decreto, assunsero rilievo nei regolamenti profili in ordine di qualità e quantità alle quali i Comuni dovevano rifarsi per accedere a tale speciale disciplina quale presupposto inderogabile per l’applicazione della tassa.

44 G. Debenedetto, L. Lovecchio, Dalla TARSU alla TARES, Rimini, 2013, p.19. 45 Corte di Giustizia dell’UE, seconda sezione, C-254/08.

46 Vedi Consiglio di Stato, decisione del 29 maggio 2000, «ai sensi dell’art. 270 del TUFL le tariffe per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani devono essere commisurate soltanto alla capacità dei locali tassabili a produrre rifiuti e non alla loro redditività», n. 3092, in Bollettino tributario, 2000, p. 1593.

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Da quanto detto consegue che la semplice inclusione nel Regolamento Comunale di categorie di locali astrattamente idonei a produrre rifiuti speciali, non specificati per qualità e quantità, non avrebbero valso ad integrare la vera e propria dichiarazione di assimilabilità, con conseguente intassabilità ai sensi e per gli effetti dell’art. 62, terzo comma, D. Lgs. n. 507/9347.

2.1. TARES

La TARES venne Introdotta dal decreto legge n. 201 del 6 dicembre 201148, cosiddetto "Decreto salva Italia", convertito con legge 22 dicembre 2011, n. 214,

in sostituzione dal primo gennaio 2013 della precedente tariffa di igiene ambientale (TIA) e tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU).

A beneficio di una miglior comprensione, merita premettere taluni cenni sulla TIA, tariffa di igiene ambientale, introdotta con l’art. 49 del Decreto Ronchi. Questa, era suddivisa in due parti di cui una fissa e una variabile. La prima era dovuta a fronte della copertura dei costi generali di gestione, quali ammortamenti e spese amministrative; la seconda, invece, si riferiva alle spese per la gestione dei rifiuti prodotti dalle utenze. La sua incerta natura contabile ha trovato qualificazione grazie alla sentenza n. 238/09 della Consulta che la ha in conclusione ricompresa nel perimetro dei tributi. La Tia 2, invece, è stata la tariffa integrata ambientale prevista dall'articolo 238 del Codice dell'ambiente d.lgs 152/2006. Funziona in modo analogo alla Tia 1, anche se è stata qualificata entrata non tributaria dal Dl 78 del 2010. Entrambe le tariffe, a differenza di quanto al contrari avveniva in regime TARSU, dovevano prevedere l’integrale copertura dei costi di gestione, come anche concordava la succedente tassa TARES.

Quest’ultima, dalla sua entrata a regime come anzi detto nel 2011, si componeva di due tributi: una tassa, istituita a fronte del servizio pubblico di gestione dei rifiuti urbani e un’imposta, formalmente collegata ai servizi indivisibili dei comuni, ma priva di qualunque vincolo di destinazione. La prima prende le mosse dal passato schema della

47 Cfr. Corte di Cassazione, Sez. Tribut. Civ., sentenza del 13.09.2004, n. 18382; Corte di Cassazione, Sez. Tribut. Civ., sentenza del 02.09.2002, n. 12752; Commissione Tributaria Regionale, Sardegna, Sez. IX, sentenza del 25.02.2003, n. 14; Corte di Cassazione Sez. Un. Civili, sen. del 30.03.2009, n. 7581.

48Decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201, art. 14, Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici, in G.U., n. 284, 6 dicembre 2011; Convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, in G.U., n. 214, 27 dicembre 2011.

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Tarsu di cui agli artt. 58 e seguenti, Dlgs 507/1993, con taluni aspetti ispirati alla Tia1, quali la suddivisione della tariffa in quota fissa e variabile, il richiamo ai criteri di determinazione del prelievo recati nel Dpr 158/1999, la previsione relativa alla riduzione della tassa in presenza di avvio dei rifiuti al recupero e l’obbligo della copertura integrale dei costi del servizio, che nella TARES deve essere assicurato già dal primo anno di applicazione. La seconda invece assume la forma di una sorta di addizionale della tassa, calcolata in misura pari a 30 centesimi di euro al metro quadrato, concedendo ai Comuni la possibilità di elevare tale importo sino a 40 centesimi di euro, anche in misura differenziata in funzione della zona di ubicazione dell’immobile.

La nuova imposta suscitò non poche perplessità in riferimento alla sua effettiva compatibilità con l’ordinamento costituzionale di cui all’art. 53 della Costituzione. Infatti, riconosciuta la natura giuridica tributaria della TARES da cui ne conseguiva un calcolo dell’ammontare eseguito in base ad indici espressivi di capacità contributiva, era difficile sostenere che la sola superficie dell’immobile utilizzato, di per sé, avesse potuto rappresentare una manifestazione di ricchezza sufficiente a determinare il criterio di riparto delle spese pubbliche49. Inoltre, tenuto conto che l’imposta sui servizi risentiva di talune riduzioni valevoli ai fini della tassa, quali il recupero dei rifiuti o la riduzione per unico occupante, circostanze queste che non hanno nulla a che fare con l’attitudine alla contribuzione alle spese pubbliche, i dubbi sulla sostenibilità dell’imposta non mancarono.

Con l’emanazione del D.L. 35/2013 venne meno nella disponibilità comunale parte dell’entrata del tributo TARES concessa fino a quel momento ai Comuni dal Legislatore, divenendo di competenza statale50.

Allo stato dell’arte, tenuto conto delle risultanti difficolta applicative che caratterizzavano il passaggio dalla previgente Tarsu al nuovo sistema di prelievo, si rese opportuna la scelta del Legislatore con il D.L. 102/201351 di accordare ai Comuni la decisione sul più opportuno modello di calcolo dei costi del servizio e delle tariffe teso a

49 L. Lovecchio, La tariffa rifiuti e la Tares nel sistema del Codice ambientale, in Rifiuti, bollettino di informazione normativa, n. 198 del 08 settembre 2012, p. 14.

50 Seppure occorre sottolineare che, già prima della devoluzione della maggiorazione allo Stato, il decreto legge 201/2011, all’art. 14, comma 13-bis, aveva previsto una sottrazione di risorse destinate ai comuni pari al gettito stimato della maggiorazione, mediante la corrispondente riduzione del fondo di solidarietà comunale. Quest’ultima è stata successivamente eliminata in seguito alla trasformazione della maggiorazione in entrata erariale (art. 14, comma 13-bis, del D.L. 201/2011 - art. 10 D.L. 35/2013). 51 Decreto legge n. 102/2013, Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalita' immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonche' di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici, in GU, n. 204, 31 agosto 2013, convertito con modificazioni dalla L. 28 ottobre 2013, n. 124, in G.U., n. 254, 29 ottobre 2013.

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garantire la gestione dei rifiuti urbani. Poste tali premesse, gli enti locali, pur passando formalmente al regime di TARES, avevano così modo di applicare il metodo Tarsu, TIA1 o TIA2, a seconda di quello utilizzato nel 2012. Ciò permetteva agli enti in Tarsu di ridurre la crescita complessiva del gettito, limitandosi al finanziamento con il tributo dei costi determinati con i criteri Tarsu, di cui all’art. 61 del D.lgs 507/1993, i quali escludono alcune voci da finanziare obbligatoriamente invece in regime di Tares, quali i costi amministrativi, di riscossione e contenzioso (carc), alcune voci di costi comuni e generali e, in taluni casi, anche i costi di spazzamento52.

Oltre a ciò, i comuni ottennero la facoltà di mantenere applicate le tariffe calcolate con il criterio Tarsu53, eliminando così la variabilità nelle percentuali di crescita delle stesse tra le differenti categorie di utenze riscontrata con il passaggio dalla Tarsu alla TARES. Questo consentì di basare le tariffe solo sulla superficie dei locali, come già avveniva nella Tarsu54. Infine, sempre nelle prescrizioni adottate nel D.L. 102/2013, veniva conferita ai comuni la facoltà di confermare tout court anche per il 2013 il regime di prelievo vigente nel 2012 (Tarsu o Tia), rinviando di fatto l’applicazione della Tares.

2.2. TARI

La tassa rifiuti (T.A.R.I.), che ha sostituito i preesistenti tributi dovuti ai Comuni dai cittadini, enti ed imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, rappresenta il prelievo fiscale destinato alla copertura integrale del costo del servizio per la gestione dei rifiuti solidi urbani ed assimilati. Per tale motivo appare strettamente collegato alla normativa che disciplina il corretto svolgimento del servizio, nonché alle attività di smaltimento e recupero dei rifiuti prodotti; la normativa prevede che l’Ente Comunale provveda ad individuare, mediante l’approvazione del Piano Economico Finanziario, i costi che devono essere coperti con la T.A.R.I., mentre con la delibera di determinazione tariffaria il Comune provvede a ripartire i costi indicati nel Piano Economico Finanziario tra gli utenti, a loro volta divisi nelle due macrocategorie delle utenze domestiche e utenze non domestiche, tra le quali la ripartizione dei costi, in

52 A cura di S. Baldoni e M. Migliorisi, La tassa sui rifiuti 2015. Disciplina, gestione e indicazioni operative, in Dossier e manuali, IFEL Fondazione Anci, 2015, p. 17 ss..

53 Art. 65 del D.Lgs 507/1993 o criteri ante art. 65, adottabili dai comuni ai sensi dell’art. 1, comma 7, L. 26/2001.

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