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Genesi teologica degli Inni Sacri di Alessandro Manzoni

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Academic year: 2021

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Premessa

Nella fase di raccolta del materiale per iniziare il lavoro di ricerca sulla genesi degli Inni Sacri di Alessandro Manzoni, mi è capitata tra le mani un'antologia datata 1933, Il fiore della lirica italiana dalle origini ad oggi, di E. Falqui – A. Capasso1, che con mia grande

sorpresa non aveva antologizzato nessuno degli Inni Sacri. Andando a ritroso nel tempo, ho rilevato che diversi illustri personaggi, come ad esempio Giosuè Carducci, non avevano visto di buon occhio questi scritti, tant'è che nell'estate del 1857, in Risorse di S. Miniato al tedesco, il nemico degli “stenterelli manzoniani” 2 si gloriava e compiaceva di «aver gettato

fuor di finestra» il testo contenente gli Inni Sacri. Non più dolcemente intervenne lo scrittore Cesare Tronconi, il quale in un suo scritto affermò che «lo sviluppo dello spirito in Italia è stato ritardato di almeno mezzo secolo dai Promessi Sposi e dagli Inni Sacri di Alessandro Manzoni». Ancora prima, nel 1830, Marie-Henri Beyle, meglio noto come Stendhal, affermava che quei versi erano «il patetico tentativo» di Manzoni di ammorbidire la censura di Klemens von Metternich sui Promessi Sposi. Anche il silenzio che accompagnò per ben quattro anni (dal 1815 al 4 luglio 1819) la pubblicazione degli Inni Sacri, è definito dal Conciliatore, tramite la penna di G. B. De Cristoforis, «una stupida e maliziosa indifferenza».

Alessandro Manzoni era ben conscio che trattare la materia religiosa ed in particolare quella cattolica, fosse operazione non facile e di sicuro scarso interesse. Si legge infatti nelle Osservazioni sulla Morale Cattolica: «si usa una strana ingiustizia cogli apologisti della Religione cattolica. Si sarà prestato un orecchio favorevole a ciò che vien detto contro di essa, e quando questi si prestano per rispondere, odono dirsi che la loro causa non è abbastanza interessante, che il mondo ha altro a pensare, che il tempo delle discussioni teologiche è passato. La nostra causa non è interessante!»3 Quest'ultima esclamazione risuona per ben

cinque volte nella stessa pagina del testo manzoniano, a testimonianza di quanto l'argomento stesse a cuore all'autore ed evidenziando come questa noncuranza non fosse in realtà il frutto di una lunga discussione e di una civilizzazione avanzata, né tanto meno l'ultimo e più terribile nemico della religione cattolica, bensì il primo, fin dagli albori del Cristianesimo. Si legge infatti poco più avanti l'episodio di Paolo di Tarso il quale, nell'Areopago di Atene, si

1E. FALQUI, A. CAPASSO, Il fiore della lirica italiana dalle origini ad oggi, Lanciano, Ed. Giuseppe Carabba,

1933.

2G. CARDUCCI, Poesie e Prose Scelte, Firenze La Nuova Italia Editrice, 1968, p.199.

3R. AMERIO, Osservazioni sulla Morale Cattolica, Testo critico con introduzione, apparato, commento,

appendice di frammenti e indici, accompagnato da uno studio delle dottrine, Napoli, Ed. Ricciardi, 1966 . Le citazioni per questo lavoro vengono però tratte dall'edizione di Antonio Lamperti, Milano, 1819, in ristampa digitale, pp. IX-X.

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sentì dire dai colti cittadini di quella città che avevano cose ben più importanti di Dio, l'uomo, il peccato e la redenzione su cui meditare.

In una lettera del 20 novembre 1815 destinata a Carlo Mazzoleni, Manzoni aveva inoltre affermato con la consueta ironia:

Amico Venerat.mo,

Ho ritardato d' alcuni giorni il rispondere alla gentil.ma vostra per accompagnare la mia lettera con quattro Inni che si stavano stampando quando la vostra mi pervenne. Io non so quali grazie rendervi per le lodi colle quali mi fate animo a proseguire questi lavori. Se io non dovessi attribuirle in gran parte alla indulgente vostra amicizia, mi leverei davvero in superbia, ma ad ogni modo l'indifferenza del pubblico mi farà stare a segno.4

Anche ai giorni nostri, del resto, è sicuramente più agevole ed immediato comprendere un Leopardi rispetto ad un autore come Manzoni, nel quale arte e fede erano così strettamente legati. Accingersi allora ad affrontare la religiosità di Manzoni è sicuramente un'operazione complessa, anche per il fatto che generalmente la scuola, operando una eccessiva semplificazione, ci trasmette l'immagine di un «Manzoni frainteso», come lo definisce Angela Nanetti. Ci troviamo quindi di fronte ad un personaggio il cui pensiero non sarà mai rinchiudibile nelle gabbie delle categorie e che, come affermava Carlo Angelini, «ci darà da fare per tutta la vita».5

Faccio mie, per concludere questa premessa, le parole con cui Alberto Chiari inizia la sua opera Manzoni il credente: «con questo, sia ben chiaro, non ho la pretesa di aver visto tutto giusto, perché, essendo uomo, non ho il dono della infallibilità. Ho avuto soltanto l'impegno (del resto abituale nei miei studi, per poveri che siano) di servire la verità, che si trova sempre agli antipodi della moda.»6

4A. MANZONI, Tutte le lettere, a cura di C. Arieti, Milano, Adelphi Ed., 1986, t. I, p. 152.

5C. ANGELINI, Capitoli sul Manzoni vecchi e nuovi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1969, p. 1 6A. CHIARI, Manzoni il credente, Milano, Istituto di Propaganda Libraria, 1979, p. 7.

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Introduzione

Questo lavoro, o come lo chiamerebbe Manzoni, questa «opericciuola», ha come intento

quello di giungere a comprendere la genesi e la lunga elaborazione di quelli che furono i primi frutti del suo ritorno alla fede, gli Inni Sacri, partendo dal pensiero religioso manzoniano e sciogliendolo da un vincolo a mio parere troppo forte, che spesso ha portato ad accostare il nome dell'autore al giansenismo; pensiero con il quale egli ha avuto rapporti innegabili ma dal quale, come dimostrerò in seguito, ha più elementi di separazione che non di condivisione.

Per Manzoni, l'evento della conversione «comportò un riesame dei testi anzitutto (ma non solo) quelli pubblicati»7: vi fu quindi un cambiamento totale della sua poesia, nel

contenuto e nella forma, in consonanza con il totale mutamento della sua vita e della sua fede. Vi è negli Inni una modificazione delle regole di natura metrica; si legge infatti nel verso della carta 5 del codice VS.IX.3 della Biblioteca Braidense una postilla scritta a mano da Manzoni: «all'ingegno umano pajono belle quelle cose dell'arte che hanno analogia con esso. Le regole sono i modi già trovati e posti in uso per arrivare a questa analogia. Coloro che giudicano secondo le regole intendono principalmente a scoprire l'analogia dell'opera colle regole, e così l'animo loro preoccupato non può sentire se vi sia quell'altra prima analogia. Questi giudicj sono imperfetti per molte ragioni; e le principali sono: che le regole non comprendono tutte le possibili analogie, e che si può errare assai nell'applicazione di esse anche buone. Il vocabolo pedantesco pare significhi tali maniere di giudicj.»

Gli Inni incontrarono, oltre all'indifferenza per la materia religiosa trattata, anche la censura classicista nei confronti di quella metrica ritenuta “sconveniente”, come ben testimonia la critica di Giuseppe Salvagnoli nel suo Intorno gl'Inni Sacri di A. Manzoni. Dubbi: «Metri tutti […] che per la brevità dei versi, siccome dissi al Borghi, per la vicinanza delle troppe rime, per l'alternar degli sdruccioli e dei tronchi […] troncano la gravità di un lento e maestoso, e non hanno perciò corrispondenza, né convenienza di espressioni e di numero della dignità di un Inno Sacro, che spiega le sue ali fino al trono dell'Eterno. Ed avvegnaché i versi abbiano la misura di quelli usati nelle anacreontiche e negli scherzi amorosi, in quest' Inni non tengono neppure quell'abito di dolcezza, che tener sogliono in quei componimenti: poiché il verso tronco della prima strofa rimando col tronco della seconda, il metro si prolunga a quattordici e sedici versi »8.

7P. FLORIANI, Manzoni, Alessandro in D.B.I. Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni

Treccani, 2007, vol. 69.

8 G. SALVAGNOLI MARCHETTI, Intorno gl'Inni Sacri di A. Manzoni. Dubbi. Roma, 1829, pp.

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Mi propongo pertanto, in questo lavoro, di approfondire le tematiche teologiche dei quattro Inni pubblicati nel 1815, della lunga gestazione de La Pentecoste, di alcuni Frammenti (come quello che Manzoni inviò a Louise Colette, Ognissanti) ed il frammento Il Natale del 1833, che rappresenta il tentativo più intimo e personale di esternare in versi l'immenso dolore per la perdita della moglie Henriette Blondel.

Cercherò inoltre di evidenziare come i temi toccati dagli Inni siano i medesimi che tornano a scorrere nella libera “prosa poetica” del Romanzo; in questa operazione Manzoni si collega al testo biblico, all'innografia cristiana ed ai laudensi.

Infine, riprendendo gli studi di Salvatore Nigro, analizzerò Il Cinque Maggio come prototipo di “cripto-Inno sacro”.

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Cap. I – La spiritualità di Manzoni: “Fu vero giansenista?”

Questo primo capitolo avrebbe, nelle mie intenzioni, il desiderio di dare al lettore una chiave teologica e spirituale per una migliore comprensione degli Inni Sacri qui presi in considerazione.

Davvero «ardua», parafrasando Il Cinque Maggio, è la discesa nella complessa e silenziosa religiosità di Manzoni che potrei definire, con un'espressione cara al teologo Hans Urs von Balthasar, «polifonica». Stiamo parlando dell'esperienza di una intera e lunga vita, della quale non si può non considerare il divenire; divenire che ha nomi e volti ben precisi, dall' abate Eustachio Degola (1761-1826) al sacerdote Antonio Rosmini (1797-1855).

Il primo periodo della giovinezza di Manzoni è connotato da un forte disprezzo nei confronti della Chiesa e del clero; sentimento confermato dal pastore calvinista Giovanni Gaspare Orelli che benedisse religiosamente, il 6 febbraio 1808, le nozze civili del poeta con Henriette Blondel; e che così affermava: «E' odiato dai preti e li disprezza». 9

Francesco Ruffini, nella sua opera La vita religiosa di Manzoni, dedica un intero capitolo alla miscredenza che caratterizzò la giovinezza dello scrittore e che ci è confermata da diversi successivi passi, nei quali egli manifesta il suo sincero rimorso per quella condotta di vita.

Si racconta infatti di un giovane ribelle che frequentava, come giocatore accanito, il ridotto della Scala e che Vincenzo Monti redarguì severamente per questo motivo, avendolo trovato per caso al tavolo della roulette.

L'incontro con la calvinista Henriette Blondel aveva fatto nascere nel giovane Manzoni la volontà di aderire al protestantesimo. Dopo il loro matrimonio, quando si trasferirono a Parigi, la madre di Alessandro Giulia Beccaria, che li aveva seguiti, decise di prestare servizio come infermiera in un ospedale protestante.10

Agli inizi del 1809, anno precedente al “ritorno alla fede”, cominciano i primi contatti della famiglia con il mondo giansenista francese. Colpisce il fatto che in quell'anno, precisamente il 29 ottobre, l'abate Degola volle organizzare un evento grandioso, a ricordo del primo centenario della distruzione del luogo simbolo del giansenismo francese: Port Royal.11

Vi fu una processione grandiosa sulle rovine di questa Abbazia e il Degola tenne un solenne e commovente sermone, nel quale commemorò i grandi del giansenismo classico come Arnauld, Nicole, Pascal. Ma Manzoni non partecipò a questa celebrazione.

9 F. ULIVI, Manzoni, l'itinerario dell'uomo e dello scrittore, Milano, Ed. Rusconi,1984, p. 98. 10F. RUFFINI, La vita religiosa di Manzoni, Bari, Ed.Laterza 1931, vol. I, p. 166.

11Il 29 ottobre 1709 era la data in cui il luogotenente di polizia, marchese Marco d'Argenson fece sgombrare a

mano armata l'Abbazia, allontanandovi le religiose presenti, mentre l'effettiva distruzione del complesso religioso avvenne il 29 gennaio 1770.

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E' difficile semplificare le linee generali di questo movimento che, nato con il vescovo di Ypres Cornelio Giansenio (1585-1638), ebbe soprattutto a livello spirituale notevole evoluzione e mutamento.

Diversi studiosi, tra cui Carlo Arturo Jemolo, definiscono il giansenismo come una «corrente spirituale che non si esaurisce nella formulazione di una premessa teologica, ma ha caratteristiche più sfumate e più vaste».12

Il giansenismo delle origini non è più quello uscito dal Sinodo di Pistoia del 1786, ad esempio per quanto riguarda il tema sulla dottrina della grazia. Adamo, prima del peccato, era libero; se peccò fu perché possedeva solamente la grazia sufficiente. Con il peccato perse la libertà intrinseca e, di conseguenza, l'uomo per qualunque atto buono avrà sempre bisogno della grazia efficace, la sola che determina necessariamente e infallibilmente la sua volontà. Perciò Dio predestina al cielo o all' inferno, con volontà antecedente a qualunque considerazione del merito.

Il giansenismo ha come fine la restaurazione della pietà cristiana ormai lassa. La vita e la dottrina devono procedere parallelamente in questa tensione, per ritornare alla purezza della chiesa primitiva. In entrambe le direzioni, quella teologica e quella spirituale, viene dato al cristianesimo un tono rigido e di chiaro sapore calvinista.

Manzoni ebbe indubbiamente rapporti anche profondi con il mondo giansenista, attraverso le figure dell'abate Degola prima e del vescovo di Pavia Mons. Tosi, poi; egli tenne inoltre in grande stima e considerazione le figure preminenti di Port Royal, lesse e approfondì le loro opere. Ma di lui si può dire giustamente, come afferma il Ruffini: «Come Pascal, che pure assentendo fondamentalmente alle dottrine dei dottori di Port Royal, ci tenne sempre ad accentuare la sua indipendenza da essi ed a pensare con la propria testa; così Manzoni si contenne e di fronte ai Giansenisti e di fronte agli stessi insegnamenti della Chiesa Cattolica. L'autonomia del suo pensiero egli rivendica ove la Chiesa Cattolica ha lasciato ad esso libero campo alla sua esplicazione; e quanto ai Giansenisti egli si riserva, a più forte ragione, di aderire soltanto a quelle loro dottrine e a quelli fra di essi che lo avessero persuaso e che gli andassero a genio».13

E' degna di nota un'accesa disputa che si consumò sulle pagine de « La Civiltà Cattolica » del 1931. In questa rivista dei gesuiti il padre Enrico Rosa fa un'attenta confutazione dell'opera già citata del senatore Francesco Ruffini, opera assai voluminosa che aveva il preciso intento di unire in modo indissolubile il binomio Manzoni-giansenismo. Ma per chi è,

12C. A. JEMOLO, Il dramma del Manzoni, Firenze, Ed. Le Monnier, 1973, p. 56. 13F. RUFFINI, La vita religiosa di Manzoni, op.cit., vol. II, p. 297.

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come direbbe Manzoni, «avvezzo» alle cose di teologia, questo immane lavoro porta in realtà ad una conclusione contraria alle tesi del suo autore.

Afferma padre Rosa: «Ma con quale frutto? Con quello, curiosissimo, di vedervi provato proprio tutto il contrario: che il Manzoni non ha nulla del vecchio giansenista. Tale è la nostra schietta impressione; a lettura finita abbiamo sentito svanire anche l'ombra dell'antica prevenzione, non contro l'ortodossia degli scritti, che fu per noi sempre indiscutibile, ma contro la “romanità” del sentimento, la purità dello spirito cattolico e la vivacità della fede, insomma, di Alessandro Manzoni […] Con questa specie di summa giansenista, ossia raccolta di tutti i titoli, di tutte le congetture o indizi del giansenismo manzoniano, dovrebbe porre fine, secondo noi, alla leggenda di un Manzoni giansenista […] Se un così nobile avvocato -quale Ruffini- si trova in fallo, chi dovrà più curarsi degli altri azzeccagarbugli filogiansenisti di cui è divenuto vittima il mite Lombardo»?14

Il Ruffini non riporta, in realtà, alcuna frase di Manzoni che rievochi o ricordi una delle più note affermazioni del giansenismo, procedendo più per congetture che per fatti.

Ricorda sempre padre Rosa che quando uscì il romanzo manzoniano, i più agguerriti nemici del giansenismo, i gesuiti, lo accolsero con favore, tanto che i confessori ne ordinavano la lettura alle loro penitenti, come viene riportato dal conte Monaldo Leopardi in una lettera inviata al figlio Giacomo il 23 giugno 1828: «Appena letto quel romanzo, ne fui rapito e lo giudicai prezioso non tanto alle lettere, quanto alla religione e alla morale. Ebbi poi molta compiacenza nel sentire che in Roma, i confessori gesuiti lo danno a leggere alle loro penitenti».15

In uno scambio epistolare del 1828 con il padre Antonio Cesari, che gli chiedeva conto delle voci che lo accostavano al pensiero giansenista, Manzoni chiarifica la questione; risponde infatti in una lettera inviata da Brusuglio in data 8 settembre 1828:

«Venerato e Chiar.mo Signore,

[…] Le è stato detto ch'io son legato alle opinioni del Quesnel16e de' suoi partigiani. Se per

rispondere a codesto, io mi stendessi prima a dimostrare in genere, che non mi lego ad opinioni ch'io non abbia bene o male esaminate, o almeno riconosciute, mi parrebbe di fare

14«La Civiltà Cattolica», 1931, I, p. 338.

15Lettere scritte a Giacomo Leopardi dai suoi parenti, a cura di G. Piergili, Firenze, Ed. Le Monnier, 1878, p.

258, Ristampa digitale.

16Quesnel: chi era costui? Meriterebbe una più approfondita riflessione la figura di Pasquier Quesnel

(1634-1719), sacerdote e teologo francese che faceva parte della Congregazione dell'Oratorio e che conobbe ed ebbe stretti rapporti con il mondo giansenista francese, stringendo una forte amicizia con Antoine Arnauld. I suoi scritti, di chiaro sapore giansenista, furono messi all'indice. Quesnel fu costretto all'esilio inizialmente a Bruxelles ed infine ad Amsterdam dove morì. Con la Costituzione Apostolica Unigenitus del settembre 1713, papa Clemente XI condannava le 101 tesi delle proposizioni scritte dal Quesnel nel suo libro Rèflexions

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cosa soverchia: Le dirò dunque, venendo alla specie addirittura, ch'io non ho letto mai, né il famoso libro del Quesnel, al quale suppongo ch'Ella voglia alludere, né alcun suo scritto in difesa di quello, né alcun altro chicchessia, composto a tale intento. Ella vede da ciò quanto stranamente Le sia stata posta la questione sul conto mio: e crederei qui pure di far cosa soverchia, se prendessi a dimostrare che non sono, né posso essere legato ad opinioni di cui non conosco le formole, non che gli argomenti […] Colla Chiesa dunque sono e voglio essere, in questo come in ogni altro oggetto di Fede; colla Chiesa voglio sentire, esplicitamente, dove conosco le sue decisioni; implicitamente, dove non le conosco; sono e voglio essere colla Chiesa, fin dove lo so, fin dove veggo, e oltre».17

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Cap. II - Il progetto iniziale.

I cinque Inni Sacri sono conservati nel ms. VS.IX.3, dono di Manzoni a sua nipote Vittoria, figlia di Pietro, andata in sposa a Pietro Brambilla, il quale ne fece a sua volta dono alla Biblioteca Nazionale Braidense nel 1885. In questo manoscritto è riportata la prima data certa del nuovo impegno artistico e religioso di Alessandro Manzoni, dove nell'abbozzo de La Risurrezione troviamo indicato “aprile 1812”.

A questo seguono altri fogli recanti tre inni: Il nome di Maria (6 novembre 1812-19 aprile 1813); Il Natale (15 luglio 1813-29 ottobre 1813); La Passione (3 marzo 1814-ottobre 1815). Questi primi quattro Inni Sacri verranno stampati a Milano il 20 novembre 1815 dal tipografo Pietro Agnelli, come confermato anche dalla lettera a Carlo Mazzoleni citata in premessa.

Più tardiva, La Pentecoste, iniziata il 21 giugno 1817, interrotta più volte, riscritta, sensibilmente modificata e terminata alla fine del 1822, dopo ben cinque anni di riflessione e di altri sudati lavori. Come possiamo notare, Manzoni compone i primi quattro Inni seguendo una ispirazione personale, dettata più dagli eventi particolari della sua vita che non dal calendario liturgico della Historia Salutis.

In una lettera all'amico Claude Fauriel del 25 marzo 1816, inviandogli una copia degli Inni, egli confida di aver cercato di ricondurre alla religione tutti quei sentimenti nobili, grandi ed umani che da essa derivano naturalmente e gli manifesta l'intenzione di comporne «encore une douzaine en célébrant les solennités principales de l'année»18. Ma in realtà,

dall'unico elenco che ci rimane, non datato e incollato sul codice autografo conservato nella Biblioteca Braidense, il piano innografico appare di dodici componimenti “binari”, ossia logicamente e teologicamente abbinati a due a due:

Il Natale - l'Epifania

La Passione - La Risurrezione L'Ascensione - La Pentecoste

Il Corpo del Signore - La Cattedra di S. Pietro L'Assunzione - Il nome di Maria

Ognissanti - I morti.

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Facsimile del ms. VS, c. IV: cartiglio con indice degli Inni (da Inni sacri di Alessandro Manzoni, a cura di Dino Brivio, Lecco, Banca Popolare di Lecco, 1973).

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Da questo elenco si può capire come nel pensiero teologico di Manzoni fosse ben chiara “l'economia salvifica”, ossia il modo in cui Dio, partendo dall'Incarnazione del Verbo (Natale), per salvare l'uomo dal peccato (Passione e Risurrezione) gli fa dono dello Spirito (Pentecoste) e della Chiesa (Cattedra di S. Pietro), per farlo giungere, come già Maria nel mistero dell'Assunzione, alla gloria del Regno, nella Comunione dei Santi (Ognissanti), insieme a tutti coloro che ci hanno preceduto (i defunti). Abbiamo quindi un duplice movimento, quello discendente di Dio, chiamato in teologia “kènosis” e quello ascendente della Sua creatura, chiamato “anàbasis”, movimento perfettamente simmetrico, compreso tra la nascita e la morte.

Soltanto un uomo dotato di profonda conoscenza della materia teologica poteva elaborare un progetto innografico così equilibrato, anche se ciò non dovrebbe meravigliarci, in quanto è lo stesso autore che ha concepito la sua maggiore opera come un perfetto gioco di equilibrio tra i vari “rapporti di forza” messi in campo, secondo la nota definizione data da Italo Calvino nel suo saggio sui Promessi Sposi.

Anche se il progetto iniziale non fu mai portato a termine e apparentemente si possa avere l'impressione di un lavoro incompiuto, è in realtà evidente come i cinque Inni Sacri composti siano il fondamento della fede cristiana ed il nocciolo stesso dell'economia salvifica (concetto che in teologia prende il nome di kérygma). E' infatti uno dei Misteri principali della religione cristiana, insieme con la Trinità, quello rappresentato dall'Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo.

Anche nella predicazione paolina troviamo più volte questo “annuncio” sostanziale, non inventato dall'apostolo ma da lui stesso ricevuto ed al quale si impone la totale fedeltà senza travisamenti: «Cristo è morto sulla croce, è vivo, non è rimasto nella morte, è risorto, aprendo così per chi crede in Lui un futuro di vita e di speranza»19. A questo nucleo fondamentale si

uniscono la devozione per Maria Madre di Dio e, nella Pentecoste, la nascita e la missione della Chiesa Universale.

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II.1 - Gli Inni Sacri, artistiche preghiere liturgiche.

Negli Inni Sacri sono trasportati «gli stessi schemi di quelli liturgici: l'annuncio dell'evento, l'approfondimento meditativo, l'invito alla testimonianza, la supplica al Cielo per ottenere le forze adeguate a sostegno della nostra fragilità».20

Il genere innografico, che è parte integrante della liturgia cattolica e in modo preminente di quella ambrosiana (la liturgia propria della Chiesa Milanese di cui faceva parte il Gran Lombardo), ha come caratteristica un tono particolarmente celebrativo e laudativo. Generalmente gli inni vengono eseguiti a cori alterni e sono composti per suscitare nel cuore dei fedeli, come si ricorda anche nel celebre episodio della conversione di S. Agostino, sentimenti di amore e di pietà; sentimenti che nemmeno l'indolente don Abbondio riesce a trattenere, ascoltando gli inni eseguiti dai suoi confratelli: verso la fine del capitolo XXIII dei Promessi Sposi così scrive infatti Manzoni: «Don Abbondio cavò pure il suo cappello, si chinò, si raccomandò al cielo; ma udendo il concerto solenne dei suoi confratelli che

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cantavano alla distesa, sentì un'invidia, una mesta tenerezza, un tale assalto di pietà al cuore, che durò fatica a tenere le lagrime».

Manzoni ben conosceva questo genere di preghiere, solitamente contenute nel libro della Liturgia delle ore. Egli stesso conservava infatti, nella sua biblioteca, un testo di “pietà” dal titolo Exercices de piété che, per come si presenta al giorno d’oggi nella sua forma esterna, tutta sdrucita e logora, dà l'idea di essere stato assiduamente usato.

Egli ha avuto, negli Inni, la grande capacità di saper unire il pensiero teologico con l'ispirazione artistica. Le immagini usate, come vedremo nelle analisi dei testi, derivano il più delle volte dalla Sacra Scrittura e dall'eucologia; l'analisi delle varie edizioni, delle varianti e dei tempi legati al problema filologico degli Inni Sacri, assume un'importanza del tutto particolare.

«Il genio creativo del Manzoni, in quel misterioso e impenetrabile processo della fantasia, anticipava spesso la parola, il sintagma e la frase che restavano, per così dire, solitari ed isolati sulla pagina; era l'intuizione del bello collocato naturalmente e liberamente sul registro della poliritmia e della polisemia, del bello aperto, cioè, alla pluralità del ritmo e del significato. Poi, il concetto religioso, che cresceva in lui sempre più puro su un ripensamento a volte tormentato, si impossessava di quella parola, di quel sintagma e di quella frase, o li alterava o li variava o li sostituiva.»21

Altro momento di riflessione si impone se ci chiediamo perché Manzoni abbia voluto comporre i suoi Inni in lingua volgare, quando l'innodia ufficiale della Chiesa era in latino e, cosa ancora più forte, usando lemmi lontani dalla musicalità poetica. Sicuramente il Manzoni desiderava, come il suo grande amico, il sacerdote Antonio Rosmini, una liturgia che fosse compresa dal popolo e che purtroppo solo con il Concilio Ecumenico Vaticano II, e siamo alla metà degli anni sessanta del Novecento, sarà pienamente attuata. Anche in un lettera al Fauriel del 9 febbraio 1806 il giovane Alessandro già manifestava all'amico il desiderio di un vocabolario nazionale comprensibile alla grande maggioranza.

Ma credo che gli Inni Sacri abbiano avuto soprattutto il merito, con la loro “oscura prosa ritmata”22, il loro apporto di forti innovazioni rispetto ad una tradizione ancora fortemente

influenzata dalla lirica petrarchesca e con l'uso del periodo sintattico che «sconfinava sistematicamente dall'unità metrica delle strofe»23, di infondere uno slancio energico verso la

prosa “sliricata” dei Promessi Sposi. A tal proposito Franco Gavazzeni, nell'Introduzione ad

21 AA.VV, Manzoni nella terra ambrosiana, Casale Monferrato, Ed.Piemme, 1985, pp. 57-58. 22C. LERI, Oscura prosa ritmata, studi sugli Inni Sacri manzoniani, Pisa, Ed. Pacini, 1989 23G. LANGELLA, Manzoni poeta teologo (1809-1819), Pisa, Ed. ETS, 2009, p. 75

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Alessandro Manzoni, fa notare come questi, per gli Inni, avesse fatto uso di un lessico che il Vocabolario della Crusca aveva circoscritto esclusivamente all'ambito prosastico.

Come possiamo notare dallo studio metrico, Manzoni abbandona qui la solennità dell'endecasillabo e la completezza dell'ottava, scegliendo un succedersi di settenari a rima alternata nei primi quattro versi, baciata nel quinto e nel sesto, mentre il settimo verso tronco termina sempre con un verbo accentato, fatta eccezione per due participi sostantivati, la cui derivazione verbale è facilmente intuibile.

Affermava Giosuè Carducci: «Il Parini, il Monti e il Foscolo avevano già trattato maestrevolmente i metri brevi in generale e specialmente i settenari: il Manzoni andò più oltre, abbandonò le volte troppo lunghe o troppo intrecciate di endecasillabi; abbandonò la stanza; serrò e variò il tratto un po' monotono del decasillabo, incitò la lentezza dell'ottonario, svolse in tutta la sua epica solennità il verso d'arte maggiore, il dodecasillabo; e a tutti diede una sciolta ed austera concinnità tra di ode classica e di melodia metastasiana».24

24G. CARDUCCI, A proposito di alcuni giudizi su Alessandro Manzoni, in Leopardi e Manzoni, Edizione

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Cap. III – Il primo Inno: La Risurrezione (aprile 1812) III.1- Elementi di teologia

«Se Cristo non è stato risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede».25Questa affermazione di San Paolo, che troviamo nella lettera agli abitanti di

Corinto, manifesta quanto per la Chiesa la Risurrezione sia un evento di fondamentale importanza. Va tenuto presente che il binomio morte-risurrezione è un elemento inscindibile e costituisce il kerygma, cioè il cuore, il centro dell'annuncio cristiano. La risurrezione permette di comprendere la morte di Cristo, non come segno di abbandono, ma come manifestazione della divina volontà di salvezza. Questo concetto viene ampiamente sviluppato nella predicazione apostolica così come la troviamo negli Atti degli Apostoli, dove la Pasqua di Gesù è chiaramente al centro del piano di Dio. Quel Gesù che i Giudei hanno ucciso è in realtà quello di cui parlavano i profeti, e il Dio che lo ha risuscitato è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che realizza in pienezza il suo piano iniziato con l'esodo dall'Egitto. Nella risurrezione Dio manifesta definitivamente sé stesso, il suo essere «amante della vita»,26 che non vuole la sofferenza, il dolore e la morte.

La Pasqua è la più solenne celebrazione della Chiesa ed inizia con i vespri del Giovedì Santo, per avere il suo culmine nella Grande Veglia del Sabato Santo; veglia ricca di gesti e segni, ricordati nell'Inno da Manzoni, ma a noi completamente indecifrabili, a motivo della riforma liturgica attuata dal Concilio Vaticano II a metà degli anni sessanta del novecento.

La celebrazione prende avvio nel segno del fuoco nuovo estratto dalla selce, per affermare che nella pietra del sepolcro c'è la luce, e che da lì a poco illuminerà il mondo intero. Questo concetto è espresso nel successivo rito dell'accensione del cero pasquale e di tutte le lampade che si trovano nella chiesa buia, dove il sacerdote canta per tre volte il resurrexit pasquale.

Nell'antichità la Veglia del Sabato Santo terminava con un'agape fraterna, durante la quale, per mano dei sacerdoti e diaconi, si distribuivano ai fedeli di ogni censo le offerte che venivano portate all'altare; di questo antico gesto permaneva, al tempo di Manzoni, l'usanza di raccogliere offerte a favore dei più poveri e di invitare a pranzo coloro che non avevano famiglia o conoscenti che l'avevano lontana. Manzoni riprenderà questa immagine nell'Inno,

251Cor 15,14. 26Sap 11, 26.

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per rielaborarla poi nel Romanzo, nell'episodio del pranzo domenicale27 che si tiene nella casa

del sarto dopo la liberazione di Lucia.

III.2 - La “risurrezione” manzoniana.

Alessandro Manzoni diviene membro della Chiesa ricevendo il Battesimo in San Babila lo stesso giorno della nascita, l'8 marzo del 1785. Riceve la Cresima nella parrocchia di Castello sopra Lecco il 10 giugno 1794, ma alla Chiesa fa ritorno ufficialmente soltanto nel febbraio del 1810, con la ratifica del suo matrimonio secondo le norme della Chiesa Cattolica, presentando la supplica a papa Pio VII e poi, definitivamente, con l'abiura della moglie calvinista Enrichetta Blondel, avvenuta il 22 maggio 1810.

L'intimo affanno del ritorno alla fede, di cui non conosciamo la durata e i difficoltosi passaggi, culmina però in un luogo ben preciso: la chiesa di San Rocco a Parigi. Qui sicuramente qualcosa di fondamentale deve essere accaduto, anche se le fonti su questo punto sono discordanti.

Carlo Magenta, in un suo scritto del 1876 dal titolo Mons. Luigi Tosi e Alessandro Manzoni, afferma che «passando il Manzoni un giorno del 1810 davanti alla Chiesa di San Rocco in Parigi, all'udire i canti religiosi che vi si levavano, entrò nel tempio, e tanta ne fu l'emozione da cui in quel momento sarebbe stato preso, che, dopo avere esclamato - O Dio se tu esisti rivelati a me - ne sarebbe uscito credente»28.

Questa affermazione dal sapore agiografico richiama la conversione di S. Agostino per mano del vescovo milanese S. Ambrogio, quando nel libro nono de Le Confessioni afferma: «Quante lacrime versate ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che risuonavano dolcemente nella tua chiesa! Una commozione violenta: quegli accenti fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la verità, eccitandovi un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi facevano bene».

Continua però il prof. Magenta: «Nulla ho ad eccepire alla veracità del racconto: ma niuni a mente serena potrebbe considerarlo come causa principale d'un fatto, che fu certamente il frutto di mature e lunghe meditazioni»29.

Altre e più numerose fonti ci parlano di questa stessa chiesa in cui Manzoni, il 2 aprile 1810, in occasione dei festeggiamenti per il matrimonio di Napoleone Bonaparte con Maria Luisa D'Austria, si sarebbe rifugiato per sfuggire ad una calca improvvisa della folla, nella

27Per i cristiani la domenica è chiamata Pasqua settimanale.

28 C. MAGENTA, Mons. Luigi Tosi e Alessandro Manzoni, Pavia, Ed. Bizzoni, 1976, p. 21. 29 IBIDEM.

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quale aveva smarrito l'esile moglie Enrichetta. «In questo luogo chiese a Dio un segno, l'ottenne e credette» 30.

Infine Giacomo Zanella, nella Storia della letteratura italiana dalla metà del Settecento ai giorni nostri, a pagina 129 afferma che «nella chiesa di San Rocco, dopo un'affannosa preghiera, si levò da terra credente e pensò, come un giorno mi disse, sin d'allora l'Inno della Risurrezione».

E' facile sentire come nel tema della Risurrezione di Cristo, centro della fede cristiana, (anzi, usando un' espressione di Agostino d' Ippona, la Risurrezione è la fede della Chiesa), entri la risurrezione personale del poeta, che celebra il portento del Risorto ed il suo. L' evento della Risurrezione si rinnova in ogni anima che è disposta a credere in Lui; ricordiamo come la notte oscura della conversione dell'Innominato rappresenti il punto di svolta di tutto il romanzo e che non a caso l'episodio, per il citato “rapporto di forze” si trovi, come una boa di svolta, proprio nel cuore dei Promessi Sposi. Questa collocazione sembra indicare la centralità della risurrezione di quell'uomo, altrimenti condannato a restare senza nome, pena terribile che, nella simbologia veterotestamentaria della Bibbia e in particolare nel racconto della costruzione della Torre di Babele, viene riservata a chi vive e costruisce senza Dio.

Un altro episodio credo meriti di essere qui ricordato, come probabile ulteriore stimolo alla stesura di questo inno sacro, anche se risulta forse un po' troppo forzata la tesi di Ernesto Travi: si tratta della morte di François-Louis Blondel, padre di Enrichetta31 «[...] e la notizia,

per la famiglia Manzoni sorprendente, che il suo corpo era stato sepolto in un campo cattolico, seppure tra i bambini non battezzati». L'episodio è riportato anche in una lettera del Manzoni all'amico Claude Fauriel del 20 aprile 181032. Quel trapasso non appariva più come una morte,

30 G. LANGELLA, Manzoni poeta teologo (1809-1819), op. cit., p. 55. «L'episodio avvenne in Parigi il 2 di

aprile 1810, il giorno del matrimonio di Napoleone con Maria Luisa [...].Una folla enorme acclamava l'Imperatore [...]. Fu poi la volta delle musiche e, sull'imbrunire, dei fuochi d'artifizio. [...] Ma a questo punto accadde un serio inconveniente. Alcuni fuochi bruciarono malamente, riversandosi con denso fumo verso il pubblico e provocando nell'immensa folla un ondeggiamento [...]. Ora in quella folla che gremiva Place de la Concorde e les Tuilleries si trovavano appunto i giovani sposi Manzoni, che vennero anch'essi trascinati nel vario ondeggiare della moltitudine [...], non riuscirono a tenere il contatto e si trovarono divisi e lontani l'uno dall'altro: di più il poeta nell'atto di vedersi strappata via la moglie dalla corrente della folla ebbe l'impressione che la fragile – ed ai suoi occhi, fragilissima – Enrichetta, soffrisse e venisse come soffocata dalla stretta che l'avvolgeva. […] Uscito barcollante dalla folla in uno stato di smarrimento e di desolazione venne a trovarsi dinanzi all'Église de S. Roque, che è situata appunto ad uno degli sbocchi delle Tuilleries; e, quasi a rifugio del malore che gli incombeva, entrò nella chiesa. Qui nella serenità del canto d'una funzione religiosa egli ritrovò un po' di sollievo al fortissimo turbamento [...], rivolse al Cielo “un'affannosa preghiera”, [...] invocando “o Dio, se tu esisti, rivelati a me” e nel suo sgomento [...] pregò “fammi ritrovare la mia Enrichetta”»

31 G. BACCI, Enrichetta Manzoni Blondel, Lettere Familiari, Bologna, Ed. Cappelli, 1974 p. 162. «Ebbi il

dispiacere di perdere il mio povero Padre d'un terzo colpo d'apoplessia; ma ricevendo tale triste nuova ebbi pure la consolazione di apprendere che i motivi di speranza erano così seri, che si è creduto un dovere accettarlo nel luogo consacrato, assieme ai neofiti.».

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bensì come una risurrezione, proprio come nell'inno, in cui la notizia della morte viene mutata in annuncio gioioso, perché «chi s' affida nel Signore/Col Signor risorgerà»!

La chiesa di S. Rocco a Parigi, tratto da Immagini della vita e dei tempi di Alessandro Manzoni, raccolte e illustrate da

Marino Parenti, Firenze, Sansoni, 1973, p. 74.

III.3- Il testo de La Risurrezione: «una selva selvaggia» di cancellature33

Già nell'Ottocento, Antonio Stoppani aveva dichiarato che il manoscritto VS.IX.3, contenente gli abbozzi dei primi quattro Inni, è «una selva selvaggia, in cui è pericolosissimo inoltrarsi e facilissimo perdersi, ma ci dona altresì la possibilità di “assistere alla lenta, faticosa […] trasformazione di tutti gli Inni»34.

Sappiamo che questo prezioso reperto è rimasto mutilo, anche se non ne conosciamo il motivo, al verso 56 de La Passione, facendoci perdere le strofe dall'ottava alla dodicesima, verosimilmente scritte in due pagine e mezzo.

Il testo de La Risurrezione è conservato, inoltre, in altri quattro manoscritti: il XXX.3 (la copia che Manzoni ricevette dalla censura con la relativa autorizzazione e che fu inviata per la stampa alla tipografia Agnelli); il XXX.6 ed il XIV.25, conservati anch'essi nella Biblioteca Braidense, e in un manoscritto della Biblioteca Querini Stampalia di Venezia, segnato Classe VII Cod. LXXXVII.

Non mi soffermerò, in questo lavoro, ad esaminare le avvertenze che Manzoni scrisse di suo pugno sulle bozze del m.s. XXX.3, inerenti i punti di esclamazione e d'interrogazione in

33 Poesie rifiutate e abbozzi della riconosciute, a cura di Ireneo Sanesi, Firenze, Ed. Sansoni, 1954, p. CCXLII 34 Op.cit. p. CCXLII.

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corsivo, le maiuscole dritte e non corsive, la distanza fra le linee che dapprima era troppo piccola e poi troppo grande, insomma il famoso labor limae e la cura minuziosa – per non dire maniacale – di ogni dettaglio, tratti tipici del rigoroso lavoro manzoniano.

Riporto, di seguito, una sinossi tra i testi de La Risurrezione come li troviamo nel m.s. VS.IX.3 e come invece ci è stato lasciato da Manzoni negli altri manoscritti e nelle prime edizioni. Il testo di sinistra è stato tratto dal volume Poesie rifiutate e abbozzi delle riconosciute, a cura di Ireneo Sanesi, mentre quello di destra da Alessandro Manzoni, Inni Sacri, a cura di Franco Gavazzeni

Secondo il m.s. VS.IX.3 ( Primo getto) Aprile 1812 LA RISURREZIONE LA RISURREZIONE Inno Tentativi di elaborazione della prima strofa

I.È risorto: or come tolta Fia la preda a l'uom robusto?

Come è salvo un'altra volta Quei che preso, in sasso angusto, Giacque immoto in forza altrui? Io lo giuro per Colui

Che da' morti il suscitò.

I.È risorto: or come a morte La sua preda fu ritolta? Come uscì di mano al forte, Come è salvo un'altra volta

Quei che giacque in forza altrui?

I.È risorto: or come tolto A la morte è il suo guadagno? Come è salvo, come è sciolto Quell'umil che senza lagno

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Diè la vita in forza altrui ?

I.È risorto: o morte, or come La tua preda t'è ritolta ? A Sanson le rase chiome Al Sanson vivo le chiome Son cresciute un'altra volta Mentre ei giacque in forza altrui.

I.E' risorto: or come a morte I. È risorto: or come a morte La sua preda fu ritolta ? La sua preda fu ritolta? Come ha vinte l'altre porte, Come ha vinte l'altre porte, Come è salvo un'altra volta Come è salvo un'altra volta Quei che giacque in forza altrui? Quei che giacque in forza altrui? Io lo giuro ecc. Io lo giuro per Colui

Che da' morti il suscitò,

Tentativi di elaborazione della seconda strofa II.E'risorto: ecco il sudario

Che abbracciava il capo santo.

II.È risorto: il capo santo II.È risorto: il capo santo Piú non posa nel sudario. Piú non posa nel sudario. È risorto: da l'un canto È risorto: da l'un canto Dell'avello solitario Dell'avello solitario Sta il coperchio rovesciato. Sta il coperchio rovesciato. Come un forte inebriato Come un forte inebriato Il Signor si risvegliò. Il Signor si risvegliò.

Strofa terza

III. Come a mezzo del cammino III. Come a mezzo del cammino Riposato alla foresta Riposato alla foresta

Si risente il pellegrino, Si risente il pellegrino, E si scote dalla testa E si scote dalla testa Una foglia inaridita Una foglia inaridita Che, dal ramo dipartita, Che, dal ramo dipartita, Lenta, lenta vi risté; Lenta, lenta vi risté;

(21)

Strofa quarta

IV.Tale il marmo inoperoso IV. Tale il marmo inoperoso Che premea l'arca scavata Che premea l'arca scavata Gittò via quel vigoroso, Gittò via quel vigoroso, Quando l'anima tornata Quando l'anima tornata Da la squallida vallea Da la squallida vallea Al Divino che tacea: Al Divino che tacea:

«Sorgi», disse, «io son con te». «Sorgi», disse, «io son con te».

Tentativi di elaborazione della quinta strofa

V. Fra i sopiti d'Israele Improvviso udissi: « Ei viene ». Il Signor? L'Emanuele? Il promesso a tanta speme?

V. Che parola si diffuse Fra i sopiti d'Israele!

Egli vien, le porte ha schiuse. V. Che parola si diffuse Fra i sopiti d'Israele! V. Il Signor le porte ha schiuse. Il Signor le porte ha schiuse. Il Signor! L'Emmanuele! Il Signor! L'Emmanuele! O sopiti in aspettando, O sopiti in aspettando, E' finito il vostro bando. E' finito il vostro bando. Egli è desso, il Redentor. Egli è desso, il Redentor. Strofe completamente eliminate

Giunto è il dì che a gli occhi frali Quella faccia Ei manifesti, Ineffabile ai mortali, Ineffabile ai celesti. Quella faccia che v'empìa D'ineffabile desiro, Ecco appar, la faccia dia Ch'è degli Angeli il sospiro. Primi padri de' mortali, Sollevate gli occhi frali A la faccia del Signor.

(22)

Strofa sesta

VI. Pria di lui nel regno eterno VI. Pria di lui nel regno eterno Che mortal sarebbe asceso ? Che mortal sarebbe asceso ? A rapirvi al vinto averno, A rapirvi al muto inferno, Padri antichi, egli è disceso. Vecchi padri, egli è disceso: Egli è il fin d'ogni desiro. Il sospir del tempo antico Tanto secol di sospiro Il terror dell'inimico Un momento pareggiò. Il promesso Vincitor. Tentativi di elaborazione della settima strofa

VII. Voi che a gente, ahi troppo sorda, Ragionaste del futuro,

Come il vecchio si ricorda De le cose che già furo E le narra ai figli intenti, Che l'ascoltano sedenti Al notturno focolar;

VII. Voi Profeti che a le genti Favellaste del futuro.

Ai mirabili veggenti VII. Ai mirabili veggenti Che narrarono il futuro, Che narrarono il futuro, Come il vecchio ai figli intenti Come il padre ai figli intenti Narra i casi che già furo Narra i casi che già furo, Si mostrò quel sommo Sole Si mostrò quel sommo Sole Che, parlando in lor parole, Che, parlando in lor parole, A la terra Iddio giurò; A la terra Iddio giurò; Strofa ottava

VIII. Quando Aggeo, quando Isaia VIII. Quando Aggeo, quando Isaia Mallevaro al mondo intero Mallevaro al mondo intero

Che il Bramato un dí verria; Che il Bramato un dí verria; Quando, assorto in suo pensiero, Quando, assorto in suo pensiero, Lesse i giorni numerati Lesse i giorni numerati

E degli anni ancor non nati E degli anni ancor non nati Daniel si ricordò. Daniel si ricordò.

Strofa nona

IX. Era il vespro, e molli il viso, IX. Era l'alba, e molli il viso, Maddalena e l'altre donne Maddalena e l'altre donne Fean lamento in su l'ucciso. Fean lamento in su l'Ucciso.

(23)

Ecco tutta di Sionne Ecco tutta di Sionne Si commosse la pendice Si commosse la pendice E la scolta insultatrice E la scolta insultatrice Di spavento tramortí. Di spavento tramortí.

Strofa decima

X. Un estranio giovanetto X. Un estranio giovinetto Si posò sul monumento: Si posò sul monumento: Era folgore l'aspetto, Era folgore l'aspetto, Era neve il vestimento. Era neve il vestimento. A la mesta che 'l richiese Alla mesta che 'l richiese Diè risposta quel cortese: Diè risposta quel cortese: «E' risorto; non è qui». «E' risorto; non è qui».

Strofa undicesima

XI. Via coi pallj disadorni XI. Via coi pallii disadorni Lo squallor de la viola. Lo squallor de la viola. L'oro usato a spender torni. L'oro usato a splender torni: Sacerdote, in bianca stola Sacerdote, in bianca stola Esci ai grandi ministeri Esci ai grandi ministeri, Fra la luce de' doppieri Fra la luce dei doppieri Fra i molteplici doppieri Il Risorto ad annunziar. Il Risorto ad annunciar.

Strofa dodicesima

XII. Da l'altar si mosse un grido: XII. Dall'altar si mosse un grido: Godi, o Donna alma del Cielo, «Godi, o Donna alma del Cielo, Godi: il Dio cui fosti nido Godi: il Dio cui fosti nido, A vestirsi il nostro velo A vestirsi il nostro velo E' risorto, come il disse. E' risorto, come il disse: Per noi prega. Egli prescrisse Per noi prega: Egli prescrisse Che sia legge il tuo pregar. Che sia legge il tuo pregar».

Tentativi di elaborazione della tredicesima strofa

XIII. Oggi al ciel la via ne aperse L'incolpato che sofferse

Pei colpevoli morir.

XIII. O fratelli, il santo rito Sol di gaudio oggi ragiona: Oggi è giorno di convito,

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Oggi esulti ogni persona. XIII35. Neghi al fasto oggi il potente

Onde possa l'indigente L'umil tavola imbandir. Neghi il ricco al pasto crudo Onde possa il desco ignudo Oggi il povero imbandir.

XIII. Se il fanciullo in tanta festa A la madre sua gioconda

Chiederà: «Che gioia è questa?» «E' risorto», gli risponda, «Quel Signor d'ogni bontade, Quei che disse un dì:'lasciate I fanciulli a me venir'». Ogni madre oggi s'affretta De la spoglia la più eletta I suoi bamboli adornar.

Ogni madre oggi fa gara XIII. O fratelli, il santo rito De la spoglia la piú cara. Sol di gaudio oggi ragiona; Oggi è giorno di convito; Non è madre che sia schiva Oggi esulti ogni persona; Suol la madre oggi giuliva Non è madre che sia schiva Della spoglia piú festiva Della spoglia piú festiva I suoi bamboli vestir. I suoi bamboli vestir.

Tentativo di elaborazione della quattordicesima strofa

XIV. Sia frugal del ricco il pasto, Ogni mensa abbia i suoi doni.

Non del ricco il solo pasto XIV. Sia frugal del ricco il pasto; Colmo sia d'eletti doni. Ogni mensa abbia i suoi doni: E il tesor negato al fasto E il tesor negato al fasto Di superbe imbandigioni Di superbe imbandigioni scorra amico a l'umil tetto Scorra amico all'umil tetto; Faccia il desco poveretto Faccia il desco poveretto Piú ridente oggi apparir. Piú ridente oggi apparir.

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Tentativo di elaborazione della quindicesima strofa

XV. Lunge il grido e la tempesta

De le feste invereconde. XV. Lunge il grido e la tempesta L'allegrezza non è questa De' tripudj inverecondi: Che del giusto in cor s'asconde, L'allegrezza non è questa Che sul giusto si diffonde; Di che i giusti son giocondi;

Ma pacata in suo contegno, Ma pacata in suo contegno, Ma celeste, come segno Ma celeste, come segno De la gioja che verrà . Della gioja che verrà.

Tentativo di elaborazione della sedicesima strofa

XVI. Oh beato! A lui piú bello XVI. Oh beati! A lor piú bello Sorge il Sol dei giorni sacri. Spunta il Sol de' giorni santi; Ma che fia di chi rubello Ma che fia di chi rubello Mosse ardito i passi alacri Torse, ahi stolto! I passi erranti Ne l'avvolta de l'errore? Nel sentier che a morte guida? Chi s'affida nel Signore Nel Signor chi si confida Col Signor risorgerà. Col Signor risorgerà.

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(27)

Comparando le due stesure de La Risurrezione proposte precedentemente, possiamo notare come Manzoni abbia optato, alla fine, per un alleggerimento sensibile della composizione, ad iniziare dal “grido” Pasquale Resurrexit, portandolo al numero di tre, nei vv.1-8-18, proprio nel modo in cui il sacerdote ambrosiano canta innanzi all’assemblea, durante la Veglia Pasquale, per lo stesso numero di volte: Christus Dominus resurrexit!

Si percepisce nell’Inno un “continuum”, inglobato dalla prima esclamazione; “È risorto”,

fino alla conclusione con il verbo “risorgerà”, che crea una sorta di dilatazione nel tempo dell'evento Pasquale, un καιρός36 salvifico che, così come lo è stato per Manzoni, si estende a

tutti gli uomini. Qui, a mio parere, si apre un punto importante, nel quale il Gran Lombardo si distanzia in modo netto dalla dottrina del vescovo di Ypres, Cornelio Giansenio, autore della celebre opera Augustinum, nella quale esponeva il suo concetto di predestinazione concessa agli eletti.

Nella iconografia e nell'architettura giansenista è rimarcata questa distanza di Dio che implica una chiamata che è solo per pochi: questo concetto lo si può notare anche nei crocifissi giansenisti, che hanno come peculiarità le braccia in posizione quasi parallela al corpo. Questo particolare delle braccia quasi chiuse, vuole simboleggiare che Cristo non è morto per tutti, ma solo per il piccolo gruppo degli eletti. Questo concetto è completamente assente ne La Risurrezione e, come vedremo, ne Il Natale pienamente sementino dal verso 33, quando Manzoni afferma di Cristo: «All'uom la mano Ei porge»!

Cristo giansenista di fine XVII secolo

36 O. CULLMANN, Cristo e il tempo:La concezione del tempo e della storia nel Cristianesimo primitivo,

Bologna, Ed. Il Mulino, 1965, p. 61. “ Kairos significa […] una occasione particolarmente propizia”. .

(28)

Le fonti principali alle quali Manzoni attinge i temi de La Risurrezione sono le Sacre

Scritture e la Liturgia della Chiesa cattolica secondo il rito ambrosiano. All'estremità della prima strofa iniziale del m.s. VS.IX.3, troviamo due annotazioni, nelle quali l'autore indica le fonti bibliche dalle quali ha preso le mosse («Isaia» e «Paul./Ep. Ad Gal. c. I».

Facendo una comparazione dei versi della Bibbia con i corrispondenti ottonari del Manzoni, si nota quanto questi ultimi siano una traduzione del testo sacro e che mantengano

non solo la sintassi, ma anche la «nervatura ritmico-timbrica dell'archetipo».37

Numquid tolletur a forti preda? È risorto: or come tolta Aut quod captum fuerit a robusto, Fia la preda a l'uom robusto? salvum esse poterit? Quia haec dicit Come è salvo un'altra volta Dominus: Equidem, et captivitas a Quei che preso, in sasso angusto, forti tolletur, et quod ablatum fuerit Giacque immoto in forza altrui? a robustoso salvabitur. (Isaia 49,24-25) Io lo giuro per Colui

Qui suscitavit a mortus (Gal 1.1) Che da' morti il suscitò.

Questi “prestiti” sono molto frequenti non solo ne La Risurrezione ma, come vedremo, in tutti gli altri Inni, e sono maggiormente utilizzati quando Manzoni deve esporre il concetto dell'evento salvifico, soprattutto nelle sue prefigurazioni antico-testamentarie, come possiamo constatare nei versi tratti dal Libro del Profeta Isaia.

Degna di un piccolo approfondimento è la parola preda, che troviamo subito al secondo verso dell'Inno sacro e che fa parte di una lunga serie di citazioni, a partire dal Libro del profeta Isaia per arrivare a Dante in Inferno XII, 38.

Or vo' che sappi che l'altra fïata ch'i' discesi qua giù nel basso inferno, questa roccia non era ancor cascata.

Ma certo poco pria, se ben discerno, che venisse colui che la gran preda levò a Dite del cerchio superno,

da tutte parti l'alta valle feda tremò sì, ch'i' pensai che l'universo

sentisse amor, per lo qual è chi creda. ( cfr. Inf. XII 34-42)

37C. LERI, I passaggi dell'anima. Appunti sulle correzioni manzoniane negli «Inni Sacri», in «Annali Manzoniani», Milano, 1990, n.s. I, p. 139.

(29)

Anche nell'Inno Vexilla regis di Venanzio Fortunato, al verso 96 troviamo scritto: «Tulitque praedam Tartari»; Fulberto di Chartres, nel suo inno Pasquale, così afferma: «Quam devorarat improbus/praedam, refudit tartarus».

Al verso 3 troviamo poi ricordato il Salmo 10638:

Quia contrivit portas aereas: Come ha vinte l'atre porte. et vectes ferreos confregi.

La Chiesa Cattolica, in modo particolare il ricco rito ambrosiano che è alla base della ritualità degli Inni Sacri, ha sempre curato le celebrazioni liturgiche, nelle quali i bisogni dello spirito umano vengono saziati dal richiamo dei simboli, che troviamo non solo nella celebrazione Eucaristica, ma anche in tutti gli altri suoi riti.

Anche le orazioni della tradizione cristiana sono “riscritte” da Manzoni in una forma più poetica e partecipata, come la preghiera del Regina Coeli che, nel tempo pasquale, sostituisce la recita dell'Angelus e che troviamo nei versi 79-83. A questa preghiera egli dona «un delicato tocco di significativa pietà liturgica e popolare, da cui, ad esempio, non fu esente, quasi un secolo dopo, Pietro Mascagni ne La Cavalleria rusticana.

Anche nella storia della musica non c'è descrizione di solennità pasquale che non abbia un

gaudioso saluto alla Regina del cielo».39

Regina coeli, laetare, Godi, o Donna alma del Cielo, quia quem meruisti portare Godi: il Dio cui fosti nido

resurrexit sicut dixit: A vestirsi il nostro velo ora pro nobis Deum. E' risorto, come il disse. Gaude et laetare, Virgo Maria. Per noi prega. Egli prescrisse Quia surrexit Dominus vere.

Anche Dante nel Paradiso, al canto XXIII, verso 128, descrivendo la schiera degli eletti, afferma che questi si rivolgono alla Vergine con il canto del Regina Coeli:

E come fantolin che 'nver ' la mamma tende le braccia, poi che 'l latte prese, per l'animo che 'nfin di fuor s'infiamma;

38S. Agostino, Salmi, a cura di G. Ravasi, Milano, Ed. BUR, 1986: «Ma prima dovete osservare quel che Dio ha

fatto per questi uomini, da lui liberati. E li trasse fuori dalle tenebre e dall'ombra di morte, ed infranse le loro

catene. Confessino il Signore le sue misericordie, e le sue meraviglie verso i figli degli uomini». 39G. COLOMBO, op. cit., p. 37.

(30)

ciascun di quei candori in su si stese con la sua cima, sì che l'alto affetto ch'elli avieno a Maria mi fu palese. Indi rimaser lì nel mio cospetto, «Regina celi » cantando sì dolce, che mai da me non si partì il diletto.

La poetica e la tematica dantesca ritornano più volte negli Inni: nei primi quattro versi troviamo ritolta in rima con volta, come in Purgatorio II 91-93; XVIII 88-90; XXIV 140-42; XXXII 151-153; in Paradiso XII 116-118; XVIII 22-24.

Merita inoltre un approfondimento l'articolo di fede che Manzoni inizia a presentare con il verso 25, e che troviamo nel Credo Apostolico: la discesa ad inferos. La Scrittura chiama gli

inferi Shéol, da non confondere con il limbo dei bimbi40, né con l'inferno; si tratta piuttosto di

uno stato meta-temporale di “soggiorno” dei morti, dove Cristo è disceso per liberare i giusti che l'avevano preceduto. «Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la sua anima nella dimora dei morti. Ma egli vi è disceso come Salvatore, proclamando la

Buona Novella agli spiriti che vi si trovavano prigionieri»41.

Dante sviluppa nel canto IV e XII dell'Inferno questo articolo di fede con molte somiglianze, lessicali e scritturistiche, ad alcuni passi de La Risurrezione, nella quale, a mio avviso, si può scorgere anche un' altra fonte rappresentata da un' Antica omelia del Sabato Santo che la Chiesa è solita leggere da secoli, nell'Ufficio del Sabato Santo mattina e che Manzoni possedeva nei suoi breviari:

Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.

Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. [...] Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: «Sia con tutti il mio Signore». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: «E con il tuo spirito». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: "Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.

Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. […]. (Breviario della Chiesa Cattolica).

40Il limbo, come affermato nel documento di 41 pagine redatto dalla Commissione Teologica Internazionale, è

una realtà inesistente.

(31)

Cap. IV - Il Nome di Maria (6 novembre 1812 - 19 aprile 1813) IV.1- Elementi di Mariologia

Di Maria poco si parla e poche parole Ella dice nel Vangelo: viene ricordata dall'evangelista Luca nella parte relativa all'infanzia di Gesù; e nel momento della sua morte dal Vangelo di Giovanni. Non era affatto necessario che Dio unisse l'incarnazione di Cristo alla maternità di Maria, ma nel misterioso disegno dell'Onnipotente Maria diventa l'elemento prediletto, al quale Dio dona il compito, sotto l'influsso dello Spirito Santo, di formare la natura umana del suo Figlio Unigenito. «Quando venne la pienezza dei tempi Dio mandò suo figlio fatto da donna».42 In questa prima testimonianza del messaggio

apostolico riguardante Maria, abbiamo l'evidenza della realtà che Maria assicurò a Cristo l'inserzione nella stirpe umana. L'incarnazione costituisce quindi il punto di partenza della redenzione e «la Madre di Cristo si trova intimamente legata all'inaugurazione della salvezza escatologica».43

La Chiesa non può ignorare la Madre del Signore, che incontra soprattutto nella celebrazione annuale dei misteri della redenzione, a cui Ella è intimamente legata. «Il rivolgersi con particolare amore a Maria e il dovere di celebrarla con sacra memoria non hanno nulla d'arbitrario, ma sono fondati nella natura stessa della Chiesa».44 Questa

maternità non fa di Maria un semplice personaggio che appare nella storia della salvezza per compiere una funzione e poi svanire. Il suo compito è talmente importante da innalzare la Vergine al di sopra di ogni creatura. La maternità di Maria non è un ruolo ma riveste una grande dignità che la lega indissolubilmente alla Trinità. Ma Maria, come afferma Sant'Agostino, è anche veramente Madre delle membra di Cristo, cioè della Chiesa, che si rivolge a Lei con affetto filiale, e che da Lei ottiene, come madre, la protezione in questo pellegrinaggio terreno, come ricorda Manzoni nell'ultima strofa dell'Inno.

42Gal 4,4-5.

43A. FEUILLET, La Vierge Marie dans le Nouveau Testament, in “Maria”, t. VI, Parigi, 1961, p. 19. 44S. DE FIORES, Maria nel Mistero di Cristo e della Chiesa, Roma, Ed. Monfortane, 1984, p. 32.

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IV. 2- Il culto mariano nella vita e nelle opere di Manzoni

Nel capitolo XIII delle Osservazioni sulla Morale Cattolica, Manzoni afferma che il nome di Maria «desta i sentimenti più teneri e più nobili». Una devozione, quella mariana, che il Gran Lombardo coltiverà per tutta la sua lunga esistenza e che affiora più o meno marcatamente in numerose sue opere.

Ne La Risurrezione abbiamo potuto vedere che, proprio nel cuore dell'inno, si schiude il canto di gioia alla Vergine per il Figlio risorto, Lei che è la prima chiamata a godere del dono della vita nuova donata dal Cristo; come abbiamo visto a pagina 4, L'Assunzione avrebbe dovuto precedere Il Nome di Maria; dogma, quello dell'Assunzione, nel quale la Chiesa celebra la Vergine come la prima associata, in corpo ed anima, alla gloria del suo Figlio. Anche negli altri Inni la figura di Maria si rivela fondamentale e della sua presenza ne sono letteralmente imbevuti. Inoltre, nei Promessi Sposi, troviamo tanti segni di questo amore mariano; in modo particolare nella preghiera del rosario, con la quale Lucia formula il proprio voto durante la terribile prigionia nel castello dell'Innominato: «Ma in quel momento, si rammentò che poteva almen pregare, e insieme con quel pensiero, le spuntò in cuore come un'improvvisa speranza. Prese di nuovo la sua corona, e ricominciò a dire il rosario; e, di mano in mano che la preghiera usciva dal suo labbro tremante, il cuore sentiva crescere una fiducia indeterminata»45.

Come non ricordare, sempre in questo capitolo, il dialogo tra Lucia e la sua rude carceriera che nel sentir pronunciato il nome di Maria scorge uno spiraglio di salvezza per la sua vita immersa nel peccato e dalla quale sembrava impossibile uscire? Medita infatti Manzoni: «Quel nome santo e soave, già ripetuto con venerazione ne' primi anni, e poi non più invocato per tanto tempo, né forse sentito proferire, faceva nella mente della sciagurata che lo sentiva in quel momento un'impressione confusa, strana, lenta, come la rimembranza della luce, in un vecchione accecato da bambino».

Nel verso 50 dell'inno Il Nome di Maria, si legge di una fanciulla che depone la «spregiata lacrima» nel seno regale della Vergine, e a Lei presenta tutti i suoi dolori ed affanni; dopo pochi anni quella «femminetta» avrà un nome preciso: Lucia. Di lei conosceremo le angustie e la speranza in Dio, quando afferma: «Ma il Signore sa che ci sono»46 e la sua totale fiducia

in Maria espressa attraverso la preghiera: «O Vergine Santissima! Voi, a cui mi sono raccomandata tante volte, e che tante volte m'avete consolata! Voi che avete patito tanti dolori, e siete ora tanto gloriosa, e avete fatto tanti miracoli per i poveri tribolati; aiutatemi! […]

45A. MANZONI, I Promessi Sposi, cap. XXI. 46IBIDEM.

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Proferite queste parole, abbassò la testa, e si mise la corona intorno al collo, quasi come un segno di consacrazione, e una salvaguardia a un tempo, come un'armatura della nuova milizia a cui s'era ascritta.»47

Sempre scorrendo le pagine dei Promessi Sposi, si legge della promessa fatta da Renzo a Lucia quando si trovavano ancora nel lazzaretto, di chiamare con il nome della Vergine la prima figlia che fosse loro nata. Al capitolo XXXVIII così troviamo scritto: «Prima che finisse l'anno del matrimonio, venne alla luce una bella creatura; e, come se fosse fatto apposta per dar subito opportunità a Renzo d'adempiere quella sua magnanima promessa, fu una bambina; e potete ben credere che le fu messo nome Maria».

Nel giansenismo il culto mariano, soprattutto dopo la pubblicazione nel 1673, da parte del giurista tedesco Adam Widenfeld (1618-1678), di un opuscolo intitolato Monita salutaria B. V. Mariae ad cultores suos indiscretos, si vestì in alcuni di loro di un certo colore nestoriano.48. Questo modo di sentire non rispecchia sicuramente la fede e la devozione per la

Vergine del Manzoni, che è espressa in maniera sublime nella lettera che questi scrisse alla figlia Vittoria in occasione della sua prima Comunione, dopo il doloroso lutto della morte di Enrichetta: «Senti in questa felice tua e santa occasione, una più viva gratitudine, un più tenero affetto, una più umile riverenza per quella Vergine, nelle cui viscere il nostro Giudice si è fatto nostro Redentore, il nostro Dio s'è fatto nostro fratello: proponi e prega d' averla a protettrice e maestra per tutta la vita».49.

Con Il Nome di Maria «Manzoni dimostrava di saper convivere ormai con gli argomenti della sua fede, prima di tutto il soggetto femminile e materno della Madonna. Sia pure in forme classiche come la saffica, era un po' il ritmo di una canzonetta sacra che voleva rendere domestico l'inno».50 Quel sapore domestico che ritroviamo anche in un episodio ricordato dal

cardinale Giovanni Colombo, arcivescovo di Milano: «Giulietta, una sera del settembre 1827, in prossimità della festa liturgica del nome di Maria, insistette per avere - e ottenne - quei cantabili Versi improvvisati sopra il nome di Maria»51.

47Op.cit. cap.XXI.

48Nestorio (381c. - 451), fu patriarca di Costantinopoli. Le sue teorie furono condannate dal Concilio di Efeso nel

431, insieme alla sua visione mariologica nella quale, enfatizzando la natura umana di Cristo a svantaggio di quella divina, riduceva l'importanza di Maria, non più intesa come madre di Dio, la Θεοτόκος, ma semplicemente intesa come la madre di Cristo-uomo.

49 A. MANZONI, Tutte le lettere, op. cit., t.I, p. 46.

50 F. ULIVI, Manzoni, l'itinerario dell'uomo e dello scrittore, op. cit., 1985, pp.152-153. 51 G. COLOMBO, op.cit., p. 51.

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IV.3- Il testo de Il Nome di Maria: un incipit abortito.

Lasciato il fasto lirico del primo Inno, connotato dalla malleabilità dell'ottonario, Manzoni introduce in questa composizione un nuovo metro, la strofa saffica, con il quale vuole, sfruttando più gli endecasillabi di clausola settenaria anzichè quinaria, creare il clima per un profondo discorso ed una elaborata meditazione sulla figura della “tacita” madre del Salvatore, pur mantenendo un clima di familiarità.

La scelta di concludere le strofe con un settenario credo sia spiegata molto bene da Giuseppe Borghi, il quale afferma:

Il settenario è uno de' versi più nobili e più lirici che la poesia possa scegliere; o sia perché le sue poggiature lo possono far considerare, e come il principio e come la fine d'un endecasillabo intero; o sia perché queste stesse poggiature son così varie da dare al numero una grande pieghevolezza ed efficacia; o sia infine perché tra il saltellare dell'ottonario, e lo scorrere del decasillabo, il settenario conserva una mezzana agilità non disgiunta da gravità e da energia […] dove la Saffica italiana che posa sul quinario ha un non so che d'avventato e leggero, che non s'affà ad ogni genere d'argomenti. E per avvedersene basta paragonare quelle odi di Labindo che poggiano sul quinario, con quelle del Monti che ha il settenario alla fine di ogni stanza.52

Come già abbiamo potuto vedere nel precedente inno, anche in questo, aiutato dall'uso del nuovo metro, l'autore introduce nella poesia frasi tipiche della prosa, come ad esempio: «che bei nomi ti serba ogni loquela!» o «anco ogni giorno se ne parla».

Il testo de Il Nome di Maria è contenuto nei manoscritti VS.IX.3, XXX.3 e nel cod. LXXXVII, cl. VII della Biblioteca Querini Stampalia di Venezia. Quest'ultimo, scritto tutto di mano da Manzoni ed inviato ad Andrea Mustoxidi, porta in fondo alla colonna di destra della seconda pagina questa raccomandazione: «Gli amici ai quali si danno a vedere, per avere consiglio, questi versi non ancora corretti sono pregati di cuore a non mostrarli ad altri»53.

Avviso che ci fa ritenere certa l'anteriorità di questo scritto rispetto alla pubblicazione del 1815.

Propongo ora la sinossi tra i testi de Il Nome di Maria come li troviamo nel m.s. VS.IX.3 e come invece ci viene riportato da Franco Gavazzeni. Nel m.s. VS.IX.3 troviamo questo abbozzo di apertura dell'inno, mai accolto nella redazione finale, nel quale, sotto il titolo Il Nome di Maria, è riportata la data «6 9mbre 1812».

52C. LERI, Oscura prosa ritmata, studi sugli Inni Sacri manzoniani, op.cit. p. 32. 53Poesie rifiutate e abbozzi delle riconosciute, op. cit., p. CCLIII.

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