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Desiderio di riconoscimento e intersoggettivita in Rousseau: il ruolo dell'amour-propre

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Academic year: 2021

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I

Introduzione

L’orizzonte della riflessione psicologica e morale di Rousseau può essere riassunto nella principale distinzione fra due passioni: amour de soi e amour-propre, le quali vanno a delimitare l’intero percorso della storia interiore individuale e collettiva. La prima rappresenta la forma originaria della coscienza, in quanto passione innata e sentimento di esistenza che permette all’uomo la comprensione di essere qualcosa che vive, in modo del tutto autoreferenziale. Bisogni e desideri sono immediati e dettati direttamente dalla natura dell’interiorità tipica dell’amor di sé; l’io desidera in modo spontaneo e guida l’uomo in modo chiaro e distinto all’interno del mondo, segnalandogli ciò che serve alla sua sopravvivenza e al suo benessere. Speculare all’amour de soi è l’amour-propre la cui fenomenologia si esplica nella consegna della consapevolezza di sé alla testimonianza delle altre coscienze: l’intersoggettività diventa allora il fondamento ultimo dell’io. Una volta sviluppato l’amor-proprio, la riflessione diventa l’organo privilegiato della

conoscenza di sé, la cui perfetta espressione è la metafora dello sguardo dell’altro. Adesso l’io si pensa come uno fra i molti e si attribuisce determinate qualità paragonandosi con essi, interiorizzando il loro sguardo e assumendo i loro principi. L’amor-proprio sembra essere fonte di alienazione in senso metafisico, come uscita dall’ordine naturale nel divenire altro da sé, e in senso dinamico, come perdita di energia, di quell’impulso vitale caratteristico dell’uomo nello stato di natura. Sembra che quest’alienazione vada a

costituirsi come una perdita di libertà, una continua dipendenza dal giudizio degli altri per confermare la propria esistenza. In questo divario fra l’amor di sé, considerato dalla tradizione interpretativa come bene, e l’amor-proprio, etichettato invece come male, può inserirsi un’interpretazione di tipo diverso che tenti di riscoprire il grande valore attribuito dal filosofo ginevrino alla passione dell’amour-propre quale base indispensabile per lo sviluppo di tutte le capacità cognitive dell’uomo e di beni irrinunciabili, come l’amore,

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II l’amicizia e la felicità. Rivelare il potenziale positivo di questo sentimento conduce a un’elaborata ricostruzione della teoria dell’amor-proprio nella filosofia di Rousseau principalmente attraverso il Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra

gli uomini, Émile o dell’educazione e Il Contratto sociale. Affidandosi però anche ai

romanzi, spesso ignorati dalla tradizione filosofica, considerandoli invece luogo incredibilmente fecondo per comprendere la psicologia di Rousseau.

Come suggerisce Starobinski già dal titolo di un suo celebre testo, “Il rimedio nel male”, è possibile ricercare l’origine del male e, allo stesso tempo, come porvi rimedio in un unico gesto. Il rimedio è presente nel male stesso, ovvero nell’amor-proprio: possibile fonte dei mali che affliggono l’uomo, in esso è nascosta una possibilità di riscatto, non come l’evidenza di un disegno provvidenziale che conduce alla promessa di una piena felicità, ma come un percorso da coltivare partendo dalla volontà umana. Vedremo allora come diventa possibile pensare alla realizzazione di una società ben organizzata, in grado di gestire i pericoli dell’amor-proprio e di indirizzarlo verso la realizzazione di ciò che di più prezioso e grande l’uomo possa costruire.

Il sentimento dell’amour-propre è interamente artificiale in quanto nasce col mondo sociale, fondato dagli uomini, nel passaggio dallo stato di natura alla civiltà. Non si tratta però di una passiva accettazione del giudizio altrui, ma implica una volontà libera sempre al lavoro nell’interiorizzazione dei valori provenienti dall’esterno. Il desiderio di riconoscimento è il cuore primitivo dell’amor-proprio e Rousseau lo fa scaturire dal primo paragone che l’uomo delle capanne istituisce con gli altri a causa della nuova abitudine di frequentarsi fra i giovani. Essi iniziano così ad acquistare inavvertitamente idee di merito e bellezza da cui nascono sentimenti di preferenza. Il canto e la danza diventano

l’occupazione principale dei giovani di quest’età idilliaca: ognuno comincia a guardare gli altri e vuole, a sua volta, essere guardato. Chi canta o danza meglio diventa il più

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III disprezzo, alla vergogna e all’invidia. La felicità sembra dunque essere interrotta dalla comparsa di questi nuovi valori dipendenti dal giudizio altrui. L’amor-proprio, se non soddisfatto, è capace di ispirare atti di violenza e crudeltà, concentrando tutta l’attenzione sulla sola ricerca di stima e rivoluzionando le forze interiori verso quell’unico scopo. Preferire se stessi agli altri richiede la stessa attestazione di preferenza da parte di chi ci circonda, richiesta impossibile da soddisfare e che si rivela destinata a creare conflitti e desideri frustrati fra gli uomini. Anche nella remota possibilità di accedere a una

superiorità riconosciuta esternamente, il mantenerla richiede molto sforzo e fa perdere il piacere intrinseco che essa porta con sé. L’uomo sociale vive in un mondo di apparenza dove sono le opinioni a contare e non la realtà che esse dovrebbero riflettere, dunque egli è portato a invertire la gerarchia realtà-apparenza. Altra fondamentale implicazione che conduce all’insoddisfazione del desiderio di riconoscimento è la mancata corrispondenza fra ciò che io penso sia il mio valore e il valore che un altro mi attribuisce: posso ottenere l’approvazione dell’altro, ma questa può non eguagliare l’approvazione che io do a me stessa.

Forse però proprio questa plasticità dell’amor-proprio può essere sfruttata per dare una direzione positiva alle aspirazioni dell’uomo. Istituzioni sociali ed educazione

adeguata possono incanalare la volubilità del bisogno di riconoscimento al fine di ottenere un ordine sociale capace di soddisfare gli interessi di tutti, garantendo egualmente felicità e libertà. Nell’educazione fornita a Émile si scongiura fin da subito la possibilità che egli possa credere di essere il più felice degli uomini e soprattutto il più meritevole di tale felicità mostrandogli come le sue qualità, effettivamente presenti, siano soltanto il risultato di circostanze fortuite (l’ottimo insegnamento del suo precettore) e non di abilità innate superiori. C’è un ruolo giocato dall’occasione e un ruolo giocato dall’impegno che ogni uomo deve riconoscere nella formazione dei propri meriti. Un individuo, come Émile, può essere fiero della sua eccellenza e dunque aspettarsi dagli altri che essa venga riconosciuta,

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IV ma deve anche comprendere che questa sua caratteristica non è affatto indice di una

superiorità sostanziale sugli altri. Trattare tutti con dignità diventa naturalmente un argomento razionale sulla base di questi principi. Si potrà portare rispetto a tutti,

considerandoli quali persone morali, aventi gli stessi diritti e doveri che assegniamo a noi stessi, e, allo stesso tempo, avere stima di alcune eccellenze, senza che questo significhi una loro superiorità relativamente alla natura umana o all’anima interiore. Fonte di tutti mali non è dunque un peccato originale, ma una cecità, una mancanza di conoscenza che può essere colmata dalla filosofia a partire dalla conoscenza della psicologia umana.

È possibile divenire membri virtuosi della società proprio facendo leva sul bisogno di riconoscimento, che può spingerci a un continuo miglioramento delle nostre attitudini, senza perdere l’integrità del nostro io. L’educazione di Émile, che ha fatto di lui un uomo, può integrarsi con l’essere un cittadino nell’eliminare quel divario apparente fra il

conseguire il proprio interesse e il conseguire quello degli altri. La pubblica ragione sarà allora l’autorità finale che ci permetterà di giudicare, una volta sottoscritto il contratto sociale, quali bisogni privati devono essere sacrificati in vista del bene della comunità. La volontà generale andrà a sostituire l’egoismo deformante dell’amor-proprio perché soltanto in una rete di intersoggettività è possibile per l’uomo dispiegare la piena autorità razionale. Osservando gli altri e desiderandone l’approvazione si sviluppa una capacità cognitiva in grado di assumere più prospettive e, dunque, idonea alla comparazione e alla successiva assegnazione della stessa dignità morale a tutti. Non si tratta di un’espansione, ma di una contrazione del sé, al fine di comprendere ciò che c’è di essenzialmente umano in me per poi estenderlo agli altri soggetti, riconoscendoli come eguali. Mentre l’amor di sé fa sentire continuamente la propria presenza, il proprio io nell’altro, considerato come mera

appendice e in vista della sola autoconservazione, l’amor-proprio segna uno scacco e permette di istituire una reale uguaglianza fra gli uomini.

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V Ciò che mi interessa far emergere è la positività intrinseca dell’amor-proprio che può essere innescata grazie all’ausilio di due condizioni determinanti per Rousseau: l’educazione privata e la filosofia politica. Il progetto pedagogico deve essere sostenuto e concluso dalla partecipazione nella società, a cui l’uomo giusto potrà apportare il suo contributo diventando cittadino e intervenendo attivamente alla creazione della volontà generale. Rousseau si trova spesso, nei suoi scritti, a criticare la società e a sostenere un modello di vita basato sul mito della trasparenza, ovvero della possibilità di sfuggire agli ostacoli che si interpongono fra il sé e la sua piena realizzazione, isolandosi dal resto degli uomini, visti come possibile fonte di distorsione della comprensione della propria

interiorità e della realtà circostante. Tuttavia, emerge piano piano un profondo legame con la società che conduce il filosofo ginevrino a criticarla solo perché corrotta e non perché intrinsecamente nociva all’uomo. La solitudine professata e praticata da Rousseau è infatti di tipo emancipativo, è una continua tensione etica che vuole contrastare la passività e l’omologazione promossa da un ordine sociale corrotto. Durante il suo ritiro (ma retraite), Rousseau non smette di pensare agli altri, non fa altro che scrivere per loro, anche se non si rivolge ai suoi contemporanei, verso i quali nutre ben poche speranze, è convinto di poter essere un giorno compreso da un pubblico più intelligente.

L’io rousseuviano si erge a giudice condannando anche le scienze, le lettere e le arti perché tentano di nascondere le catene che avvolgono gli uomini sotto belle parole o false speranze. Ma dietro alla maschera che molti uomini indossano in società, si trovano volti ancora più belli: la trasparenza può essere allora una lettura diversa da attuare sulla comunità, spogliandola delle vane apparenze per approdare a una reale visione che sappia ricostruire uguaglianza e libertà per tutti. L’uomo è in fondo una creazione della società, l’homme de la nature è semplicemente un animale che non sa di esistere, privo della consapevolezza che solo l’amor-proprio può assegnargli. L’unico scarto che differenzia l’uomo dagli altri animali è allora la libertà, la possibilità di rifiutare il comando della

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VI natura, che si configura come scelta di un rapporto intersoggettivo: l’uomo diviene tale quando, riconoscendosi negli altri, si sceglie quale essere sociale. Solo in questo senso si può comprendere perché Rousseau sia uno dei primi filosofi della modernità a donare un’esistenza reale all’essere collettivo, che siamo soliti individuare come popolo.

Nel primo capitolo inquadro la filosofia di Rousseau all’interno del suo tempo, confrontandolo brevemente con i suoi contemporanei sul tema della consapevolezza della debolezza umana, e di una teoria che abbandona progressivamente la presunta autonomia e razionalità perfetta dell’uomo per avvicinarsi alla concezione dell’altro quale donatore di senso della propria esistenza. Il confronto si sposta poi sulla figura di Adam Smith, che, partendo dalla comune convinzione che il principio di approvazione morale vada ricercato nelle passioni e non tanto nell’intellettualità umana, può spingere il lettore verso una rivalutazione del testo rousseauviano. Smith può essere avvicinato a Rousseau in quella creazione di un campo proprio dell’etica che vada a escludere le condotte mosse dalla ricerca vanitosa dell’approvazione pubblica o dalla volontà di ottenere consenso

uniformandosi passivamente ai valori della società. La motivazione in gioco nella morale allora è quella che spinge l’uomo ad essere degno di lode e, per Smith, essa viene

assegnata dallo spettatore immaginario interno. Lo spettatore imparziale e ben informato rende conto della forza normativa delle cause che muovono all’azione nel desiderio di essere stimati e degni di tale stima, non dissimulando i propri vizi, ma ricercando la virtù. L’amore di sé e dei propri interessi è regolato, nell’ottica di Smith, dal meccanismo della simpatia che ci proietta nell’approvazione o disapprovazione di un’emozione, spingendoci a decidere se ci sentiamo o meno di condividerla rispetto alle cause che l’hanno generata.

La simpatia si configura come un processo immaginativo che ci permette di esaminare una situazione complessivamente considerata sulla base dell’approvazione o

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VII meno che potremmo provare. Il coinvolgimento simpatetico ci proietta direttamente

nell’approvazione o nella disapprovazione, non limitandosi a ravvivare un’emozione già sentita da un altro, ma piuttosto spingendoci a decidere se ci sentiamo o meno di

condividerla rispetto alle cause che l’hanno generata. Grazie alla simpatia l’uomo è in grado di discriminare, tra i sentimenti e le passioni altrui, quelli da accettare e quelli da rifiutare. Inoltre, può anche valutare la propria condotta basandosi sulla presenza di uno spettatore imparziale e ben informato, sia pure solo immaginario. Questo spettatore esterno è rappresentato come un uomo, prodotto della nostra immaginazione: l’accordo fra le nostre emozioni e quelle di quest’ultimo ci consente di essere sicuri di operare in modo giusto, trasmettendoci il particolare piacere della simpatia; al contrario, il disaccordo con lo spettatore genera sentimenti sgradevoli propri di chi, a livello morale, sta compiendo uno sbaglio. La forza motivazionale della morale è dunque tutta racchiusa in questi sentimenti di piacere e dolore che ci spingono a ricercare l’approvazione altrui.

Passo poi a una breve analisi della pitié per individuarne il carattere istintivo e immediato, essendo il primo sentimento che commuove il cuore umano. Come nel processo della simpatia in Smith, anche nella pietà c’è una ricerca del sentimento provato dall’altro che sta dietro al dolore visibile: si cerca di capire come l’altro si possa

relazionare a questa sofferenza, e, in base al sentimento che noi gli attribuiamo, si attiva la pietà. Quest’ultima va tuttavia ampliata a tutto il genere umano per arrivare a comprendere che non ci si abbandona ad essa se non quando in accordo con la giustizia, poiché è la virtù che più contribuisce al bene comune degli uomini. Per l’uomo che vive in società la pietà non è più sufficiente per relazionarsi con gli altri, va coniugata con la capacità di giustizia. L’impulso posto in noi dalla natura deve aiutare la giustizia in ciò che da sola non potrebbe ottenere. La formazione morale individuale deve essere accompagnata da quella di un carattere responsabile: il contributo fondamentale di Rousseau sta nell’aver collegato l’etica con un miglioramento delle capacità simpatetiche spontanee dell’uomo.

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VIII Nel secondo capitolo seguo Rousseau nella sua descrizione della storia filosofica della coscienza umana, ripercorrendo il processo di formazione dell’io dalle sue

manifestazioni primitive e più semplici, fino alle sue caratterizzazioni più complesse e organizzate. Il Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini si configura allora come un romanzo dell’anima umana che si snoda fra due poli,

rappresentati da due figure simmetricamente opposte: l’homme naturel e l’homme civil, i quali, a loro volta, rimandano alle due passioni strutturate agli antipodi l’una dell’altra, ovvero l’amour de soi e l’amour-propre. La particolare impostazione genealogica impressa da Rousseau permette di sciogliere per gradi le antitesi in una medesima e comune storia, quella che coinvolge l’individuo così come la specie. L’intensa reciprocità fra coscienza e mondo circostante costituisce forse uno dei tratti più originali del pensiero di Rousseau che apre a una riforma in senso etico-politico, dato che l’uomo non viene presentato ovunque identico a sé, ma diverso a seconda del contesto in cui si trova a vivere e dunque sempre suscettibile di cambiamenti. Dopo aver descritto i vari stadi ipotetici dello sviluppo dell’essere umano, approdiamo alla nascita del bisogno di riconoscimento e dunque alla comparsa dell’amour-propre: l’abitudine dell’incontro si concretizza ben presto in un vero e proprio bisogno, nasce un sentimento tenero e contemporaneamente capace di forte impetuosità e gelosia. Affiancando l’immagine del Discorso a quella speculare presente nel

Saggio sull’origine delle lingue emerge l’orizzonte normativo in cui Rousseau tenta di

offrire legittimazione alla sua proposta morale restando all’interno della descrizione di un ideale limite.

Il «désir du désir autrui» segna la nascita della dipendenza dal riconoscimento sociale, l’amor-proprio ha spostato il baricentro del sé da quella conferma immediata, proveniente dalla propria interiorità, all’esterno, sottoponendolo alla testimonianza e opinione altrui, sempre suscettibile di ricevere un rifiuto. Rousseau coglie in questo modo una delle prime forme di alienazione sperimentate dall’uomo come fenomeno

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IX dell’alterazione del sé, della perdita di qualcosa che lo definisce, che si lega indissolubilmente alla sua identità e che dunque, una volta perso, determinerà una trasformazione qualitativa dell’essere. Ecco allora emergere il problema dell’alienazione che rappresenta il passaggio dall’autarchia psicologica dell’amor di sé all’intersoggettività dell’amor-proprio: il rischio è quello di perdersi, si sottopone il sentimento di esistenza alla volubilità dell’opinione altrui e dunque al pericolo di non vedersi riconosciuti. Diventa chiaro come l’ipotetico stato di natura, congetturato da Rousseau, serva a sottolineare il movimento dell’alienazione, dell’allontanamento dalla felicità e dalla completa armonia. L’intento del filosofo ginevrino non deve essere però frainteso, egli infatti non desidera un ritorno allo stato primitivo: per quanto possa essere pericoloso vivere in società e sottostare alla volubilità dell’amor-proprio, l’esistenza umana non è mai realmente pensata come priva di questo sentimento.

La critica alla società presente in opere quali Il discorso sulle scienze e le arti o Le

Fantasticherie del passeggiatore solitario si chiarisce meglio nel terzo capitolo, dove il

conflitto fra individuo e comunità si scioglie pian piano nel superamento degli ostacoli interposti dalla corruzione di una società ingiusta alla piena realizzazione di sé e nel raggiungimento di un riconoscimento equo. La sofferenza provocata da un mancato riconoscimento è ben visibile anche nell’esperienza personale di Rousseau, trasmessaci grazie alle sue scelte autobiografiche. Ecco perché diventa fondamentale stabilire un modo in cui tutti possano soddisfare il proprio desiderio di riconoscimento, evitando discordie e realizzandosi quali individui e cittadini. Nel quarto e ultimo capitolo l’amor-proprio è posto sotto una lente di ingrandimento che ne sappia mostrare la capacità di contribuire alla formazione di un individuo razionale e sociale, quale può essere Émile. Entrando ne Il

Contratto Sociale e studiando il ruolo svolto dalla volontà generale si vede chiaramente

come l’abilità di adottare il punto di vista dell’altro sia determinante nella creazione di una comunità che valorizzi la giustizia e la libertà. L’umanità degli altri vale quanto la mia,

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X tutti possiedono la stessa condizione morale e il consenso che si raggiunge in un’assemblea di cittadini rappresenta il miglior tentativo di avvicinarsi alla verità sulla giustizia che l’umanità possieda. La giustizia universale che scaturisce dalla ragione per entrare davvero nel mondo degli uomini deve dunque ancorarsi alle richieste del riconoscimento, deve basarsi sulla reciprocità.

La virtù dunque non si incontra per caso, ma è proprio grazie allo studio dei rapporti che si giunge alla conoscenza del bene e all’inseparabile volontà di compierlo. Il paragone con l’altro, a cui siamo spinti dalla costituzione dell’amour-propre, si rivela quale condizione epistemica e etica del bene stesso.

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