1
Introduzione
L’ oggetto di questo lavoro sarà lo studio delle sette pievi edifica-te in Versilia dall’VIII al XIII secolo, medianedifica-te la ricostruzione della loro storia sai documentaria che architettonica. In particolare sa-ranno quindi esaminate: la pieve di San Pantaleone a Pieve a Eli-ci, di Santa Felicita a Valdicastello, di Santo Stefano alla Pieve di Camaiore, la Badia di San Pietro a Camaiore, la pieve di Santo Stefano di Vallecchia, di Santa Maria Assunta a Stazzema e di San Martino alla Cappella di Azzano. Per rendere la trattazione il più possibile completa da un punto di vista informativo, verranno consultati gli scritti di storici d’arte che hanno trattato dell’argomento, ma anche di storici locali che si sono occupati della storia della loro terra.
La finalità sarà innanzitutto quella di contestualizzare tutte le pievi versiliesi attraverso una introduzione storico geografica che descriverà il territorio, che ne narrerà le vicende storiche fino al periodo medievale incluso e infine che descriverà l’asse viario che l’attraversava con attenzione alla via Francigena lungo la quale quasi tutte le pievi vi furono edificate.
Al termine di tutta la trattazione, sarà possibile verificare come ogni pieve possederà caratteristiche comuni alle altre e ciò per-che costruite in territori adiacenti e perché influenzate da uno stesso prototipo di architettura sacra; cioè quella lucchese. Per questa ragione durante lo studio saranno citate alcune costru-zioni religiose appartenenti solo al territorio lucchese in cui
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paiono elementi presenti nelle pievi esaminate, limitando così la ricerca. Tenendo presente che a ciascun edificio sacro studiato saranno attribuibili caratteri decorativo strutturali peculiari, si ri-troveranno elementi ricorrenti che si tradurranno in uno schema ripetitivo: pianta basilicale a tre navate, copertura a capriate li-gnee, superfici e volumi che si corrispondono secondo precisi calcolati rapporti modulari sulla base del raggio absidale interno (misure ricavate da uno studio condotto da Mannelli e Puntoni), muratura liscia a bozze di pietra, un alto stilobate poco aggettan-te che corre sempre lungo il perimetro dell’edificio. Sul prospetto si aprono, in ordine, un portale con archivolto composto da conci tagliati a forma di cuneo e architrave monolitico privo di decora-zione scultorea, una bifora retta da una colonnina di marmo con capitello a stampella e sopra questa apertura una croce a giorno. Gli spioventi della facciata hanno una orlatura costituita da una bassa cornice modanata in modo semplice, infine l’abside semi-circolare è ubicata nel punto d’incontro tra l’alzato della navata centrale e gli spioventi delle navate minori.
La metodologia d’indagine seguita sarà comune a tutte le pievi studiate nella quale si tratteranno alcuni punti fissi. In particolare se ne narrerà la storia grazie al consulto delle sole fonti docu-mentarie ritenute utili alla trattazione e che quindi conterranno informazioni relative alla primitiva costruzione, alla sua ubicazio-ne, al cambio d’ intitolazioni e sull’acquisizione del fonte batte-simale. Verranno poi esaminati, attraverso un’analisi sull’edificio stesso, gli interventi e i lavoro effettuati tra l’XI e il XIII secolo, periodo in cui tutte le chiese esaminate subirono i cambiamenti
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maggiori, infine saranno elencati i principali lavori di restauro che pur essendo caratteristici degli ultimi secoli, e non del periodo medioevale, risulteranno estremamente utili a giustificare l’attuale aspetto della chiesa studiata.
L’ indagine proseguirà con lo studio dei muri perimetrali esterni, nel tentativo di dare una datazione alle diverse sezioni, passando per la descrizione della facciata, dell’abside e delle aperture pre-senti, quali monofore o bifore. Si parlerà poi dell’apparato mura-rio interno con attenzione alle colonne, ai loro capitelli e allo studio del soffitto. Oggetto di ricerca saranno anche le strutture adiacenti e gli annessi, quali il campanile o la canonica, che van-no ad integrare l’aspetto generale della costruzione.
Sarà poi presente una sezione dedicata alle opere d’arte custodi-te all’incustodi-terno di ogni pieve. Saranno esaminacustodi-te opere di scultura e di pittura inquadrabili per la maggior parte nel periodo medio-evale, ma anche altre che, pur appartenenti a periodo diversi, sa-ranno citate perché ritenute di particolare interesse.
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1-Introduzione storica-geografica.
Il toponimo Versilia.
Indagando l’origine del toponimo Versilia troviamo la sua prima menzione nella Tabula Peutingeriana,1 dove è riferito al fiume Vesidia, identificato con l’attuale torrente Seravezza, ma che la
carta colloca a sud dopo il fiume Arno2. La prima volta che il
to-ponimo appare con significato territoriale è in un documento del 757 in cui si annota che il prete Sicherad, insieme a Filerad e al nobile Alapert dona alla chiesa lucchese dei Ss. Gemignano, Pao-lo e Andrea “Tertia parte de oliveto meo in Versilia”3. Un altro documento in cui il toponimo ha ancora un significato territoriale è quello del 764, attraverso il quale veniamo a conoscenza che Teuprando e sua moglie fondarono a Lucca la chiesa di San
1 La tabula Peutingeriana è una copia del XII-XIII secolo di una antica carta romana che mostrava le vie
militari dell’ impero. Porta il nome dell’umanista Konrad Peutinger che la ricevette in eredità da un ami-co. E’ composta da 11 pergamene e mostra più di 200.000 chilometri di strade, ma anche la posizione di città, mari,fiumi, foreste e catene montuose.
2
P. Dinelli, Camaiore dalle origini ai giorni nostri, Parte prima: Dall’epoca preromanica ai primordi del
1500, Camaiore 1971, p. 23.
3 D. Barsocchini, Memorie e documenti per servire all’istoria del principato lucchese, vol.2, Lucca 1860,
5
chele Arcangelo e alla quale fecero diverse donazioni, tra i cui beni ci fu una “casa in Versilia qui regitur per Sisolo massario homine livero” 4.
Nel 769 il prete Sicherado, molto probabilmente lo stesso del do-cumento del 757, rettore della chiesa di S. Gemignano di Porta San Donato a Lucca, offre per l’anima sua e di Alaperto chierico vari appezzamenti di terra in Versilia5.
Un’altra menzione è rintracciabile nella narrazione della vita del nobile pisano san Walfredo, scritta dal nipote Andrea, terzo aba-te del monasaba-tero di Monaba-teverdi e risalenaba-te all’anno 804, la quale racconta come Walfredo, suo cognato, nobile lucchese, e il ve-scovo Forte, dopo aver fondato un monastero vicino a Monte-verdi in Maremma, costruirono nei loro possedimenti in Versilia un oratorio in onore della Beata Vergine, del Salvatore e di San Pietro e anche un monastero nel luogo di Pitiliano “*…]Ubi in loco de die in diem magnum aedificaverunt monasterium sirime ipsis ad habitandum. Nam et alium simili modo construxerunt oracu-lum in loco, qui dicitur Pitiliano, situm secus fluvium Versi-liam[...+”6.
Del 1148 è un antico elenco delle chiese versiliesi in cui troviamo scritto “Plebem sancti Stephani de Versilia cum cappella et Aliis
4 D. Barsocchini, op. cit., vol. IV, documento LVIII, p.102, P. Dinelli, op. cit., p.23.
.
5
D. Barsocchini, op. cit., vol. IV, dissertazione V, p. 304, L. Pegna, op. cit., pp. 11-13.
6 K. Schmid, La vita di Walfredo e il monastero di Monteverdi, Tubinga 1991, p.44 e V.Santini, Commen-tari storici sulla Versilia centrale, Pisa 1858, p.96.
6
cappellis suis”7. Infine nella cronaca di Tolomeo Lucchese trovia-mo scritto nell’anno 1255 “*…]In Versilia duos Burgos, unum, (Pietrasanta) alterum verò Campum Majorem[...], egli
compren-deva quindi nella Versilia anche Camaiore8.
La ricerca dell’origine del nome Versilia ha interessato diversi studiosi, tra cui il Pieri che lo collocò tra i termini di origine oscu-ra ed incerta, ritenendo però che Versilia dovesse essere legato al Vesidia fluvis della già citata Tabula Peutingeriana, proponen-do però di leggere Vesidia con “ss” che diventarono “r” e con
cambio di consonante, arrivando, perciò a Versilia9. Anche per un
altro studioso di toponomastica, il Merlo, il termine è un vero rompicapo, ma anche per lui Versilia derivava da Vesidia, per una legge preromanza di latino volgare che portò la doppia ‘s’ a sin-gola per assimilazione10. Infine lo studioso Belli spiega come in la-tino esista l’aggettivo Versilis che al neutro plurale esce con Ver-silia che ha il significato di mobile, cioè sottoposto a
trasforma-zione e cambiamento11.
Estensione del territorio della Versilia.
7 G. Pistarino, Le pievi della diocesi di Luni, Istituto nazionale di studi liguri, La Spezia 1961, parte prima
pp.11,14,16.
8
Tolomeo da Lucca (Bartolomeo Fiadoni), Annales ab anno salutis MLX ad MCCCIII, nunc primo in lucem
editi, Lucca 1880, dissertazione X, p. 330, D. Barsocchini, op. cit. Vol. III dissertazione duodecima, p.182. 9
S. Pieri, Toponomastica delle valli del Serchio e della Lima, in Arch. Glott. Suppl. disp.5°, Bologna 2003, p.223.
10
C. Merlo, fornì questa spiegazione al G. Dinelli il quale pubblicò il relativo studio in La Versilia,
contri-buto al Glossario dei nomi territoriali italiani,in Bollettino della Reale Società Geografica Italiana, Roma
1921, p.14, nota 2.
11
7
La discordanza di opinioni da parte degli storiografi circa i confini della Versilia è piuttosto varia e marcata.
In una pergamena del 101812 si descrive il piviere di Santa Felicita a Val di Castello, ritrovando un territorio che sembra sovrappo-nibile a quello della Versilia alto medievale, che comprendeva gli attuali comuni di Pietrasanta, Seravezza e Camaiore. Se questa è la regione della Versilia che viene effettivamente documentata almeno fino all’anno Mille, notiamo un successivo allargamento di questo nucleo originario fino a comprendere gli attuali comuni di Camaiore, Viareggio e Massarosa.
Nei suoi Annales lo storico lucchese Tolomeo Fiadoni, vissuto nella prima metà del XIV secolo, utilizza il termine Versilia nel suo significato regionale più vasto, comprendendovi la valle di Ca-maiore e la pianura costiera fino al contado pisano. Narra che nel 1169 i lucchesi andarono “*...]ad devastandam planitiem dicam de Fillungo in Versilia”13, che si trova nel piano camaiorese pres-so l’odierno Capezzano. Nel 1170 i lucchesi “*…]in versilia fuerunt devicti a Pisani set eorum amicis prope Viaregium[…]”14. Inoltre nell’anno 1255 scriveva che “*…]Dominus Guiscardus de Petra-sancta fuit hic potestas qui fecit fieri de Versilia duos burgos,
12
Non sono riuscita a trovare questo documento, ma sia E. Repetti in Dizionario Geografico fisico Storico
della Toscana, Firenze 1833, vol. III, p. 20; L. Pegna in op. cit., pp. 87-88; V. Santini, op. cit., pp. 124-125
e D. Barsocchini in op. cit., vol.III, p.107 parlano di questa pergamena a proposito della Pieve di Santa Felicita a Val di Castello.
13 Tolomeo da Lucca, op. cit., vol. VI, pp. 57-58,78. 14
8
num quem et suo Cognomine nominavit; alterum vero campum Majorem[…]”15.
Per il padre Nicolao Cianelli questo nome assumeva un significa-to ancora più ampio. Nel trattare le vicende degli antichi feuda-tari versiliesi così scriveva: “ Sebbene sotto il nome di Versilia si sia voluto comprendere soltanto quel tratto di paese che si mani-festa al presente con l’idea di Capitanato di Pietrasanta, nulladi-meno si trova convenire a questa voce nelle antiche storie anco-ra alla contigua valle camaiorese”16, e dopo aver accennato ai motivi che a parer suo avevano determinato questo ampliamen-to dell’originario significaampliamen-to, così concludeva “In qualunque ma-niera per altro sia ciò accaduto io porrò sotto il nome di Versilia quel distretto che da Seravezza giunge ai monti cosiddetti di Quiesa”17.
Il Pegna rileva che negli elenchi delle circoscrizioni diocesane
ri-levabili dalle imposizioni delle decime dell’anno 1260-138718 nel
territorio Versilia sono comprese le Pievi di Santa Felicita a Val di Castello, di Santo Stefano a Camaiore e Sant’ Ambrogio a Pieve a Elici19. Infine annota che in un censimento voluto da Arrigo VII redatto nell’anno 1312, durante la sua permanenza a Pisa,
15
Ibidem.
16
N.Cianelli, Memorie lucchesi discorrendo dei nobili di Corvaja e Vallecchia, Lucca 1836, si riferisce pro-babilmente agli Annales di Tolomeo Fiadoni.
17
N. Cianelli, Dè conti rurali nello stato lucchese in Memorie e documenti per servire la storia di
Luc-ca,vol.III Lucca 1813, p. 398.
18 Archivio Arciv. di Lucca, Cancelleria Arciv., libro n° 2, foglio 12. 19
9
viamo comprese nelle Provinciae Versiliae i comuni di Lombrici e Fibbialla aggiunti alla vicaria di Camaiore20.
Il Targioni Tozzetti intese per Versilia il Capitanato di Pietrasanta, dipendente dal governo del granduca di Toscana, il quale oltre che alla valle del fiume di Seravezza si estendeva anche a quelle percorse dal rio di Strettoia a nord e dal torrente Baccatoio a sud21.
Il Repetti comprese in Versilia la “contrada che abbraccia oltre l’attuale Vicariato di Pietrasanta, per dove passa il fiumicello Se-ravezza già denominato Versilia, anche il paese percorso dai
tor-renti Baccatoio e Camaiore”.22
Il camaiorese Rinuccini ritiene che Versilia sia “ tutto quel territo-rio che si estende fra il Serchio e il Magra lungo il mar Tirreno, mentre a tergo di chi guarda il mezzogiorno ha per confine una catena di deliziose valli che a guisa di piccoli golfi si succedono in linea semicircolare lungo la base meridionale di quegli alti
Ap-pennini che dagli antichi distinguevansi col nome di Apuani“23.
Per lo Sforza la Versilia è “una breve striscia di terra lungo la ma-rina tra le due provincie di Pisa e di Massa e abbraccia i comuni
di Camaiore, Viareggio, Pietrasanta, Seravezza e Stazzema”24.
20 L. Pegna, op. cit., p. 110. 21
G. Targioni Tozzetti, Relazioni d’ alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le
pro-duzioni naturali,e gli antichi monumenti di essa, Firenze 1768-1779, vol.IV, pp. 113-117. 22 E. Repetti, op. cit., vol. V, p.825.
23
G.B.Rinuccini, Di Camaiore come città della Versilia e sue adiacenze. Compendio storico municipale, Firenze 1858, pp. 9-10.
24 G. Sforza, Gli studi archeologici sulla Lunigiana e i suoi scavi dal 1801 al 1850 In Atti e Memorie. Storia patria prov. Modenesi, vol I, p.81.
10
Arrivando a considerare secoli successivi, come il XIII e il XIV, il Dinelli ci fa notare che sotto il termine Versilia si continuò ad in-dicare ancora la regione che abbracciava tutta la valle di Seravez-za, la valle di Camaiore, la pianura di Massa, esclusa, fino a Mas-saciuccoli, il versante ovest delle Alpi Apuane, e i colli che sepa-rano la valle della Freddana dalla pianura costiera, fino a Quiesa nel versante sud est e fino a Montemagno nel versante nord-est. La stessa organizzazione territoriale ecclesiastica di quell’epoca risponde in pieno a tale concetto di Versilia25.
Origine del territorio versiliese.
Dopo questa premessa sul termine Versilia e sulla sua estensio-ne, si può parlare della storia di questo territorio. E’ una valle di origine quaternaria e per lo più di natura alluvionale. Nell’era pa-leolitica la parte più bassa doveva essere occupata dalle acque del mare, come si può supporre dal ritrovamento di conchiglie e di ami nella Grotta del Vento in località Fornovolasco. Col passa-re dei secoli la valle si andò modificando sia per effetto dei mo-vimenti tellurici, sia per il trasporto del materiale di sgretolamen-to dei monti, giungendo all’aspetsgretolamen-to attuale. In particolare la valle di Seravezza, di origine tettonica, si formò in seguito al progressi-vo assestamento dei vari strati, da quelli più antichi a quelli più recenti con monti alti con racchiusi splendidi marmi, mentre la valle di Camaiore fu conseguenza di un’azione più erosiva26. Al
25 P. Dinelli, Massarosa dalle origini ai giorni nostri, Firenze 1955, p.28. 26
11
tempo stesso si ebbe la formazione dei fiumi che ebbero un ruo-lo decisivo sul modellamento della pianura costiera. I primi abi-tanti di questa zona dovevano lottare quindi con un ambiente piuttosto ostile per la presenza di laghi, paludi ed acquitrini che
rendevano impraticabile la pianura costiera27.
I primi insediamenti e la loro organizzazione.
I primi insediamenti furono opera dei Liguri Apuani, seguirono poi gli Etruschi e, alla fine della seconda guerra punica (219 a.C.-202 a.C.), i Romani, in espansione verso l’Italia settentrionale. La necessità di difendersi dagli Etruschi impose agli Apuani la co-struzione di fortini e altri luoghi fortificati, in cui la popolazione poteva rifugiarsi in caso di attacco o aggressione, che erano si-tuati per la maggior parte su alture, da dove si poteva avere un maggior raggio di veduta. Gli Apuani dovettero fronteggiare gli eserciti romani, i quali volevano porre sotto il proprio incontra-stato dominio tutta la costa da Marsiglia a Pisa e da qui organiz-zare spedizioni per la conquista della Sardegna e della Corsica. Lo scontro andò avanti con fasi alterne e solo con le campagne mili-tari del 180 e 179 a. C.. Le truppe romane riuscirono ad ottenere risultati decisivi, attraverso una profonda penetrazione nel terri-torio apuano, che portò alla fondazione di due nuove colonie:
Lucca (180 a.C.) e Luni (177 a.C.)28, oppure realizzando opere di
bonifica o di messa a coltura di vaste zone. E’ possibile seguire le
27 P.Dinelli, op. cit., p. 60. 28
12
vicende umane di popolamento di queste zone anche grazie a
un’abbondante documentazione archeologica29.
L’occupazione romana portò in tutto queste terre grandi miglio-rie e condizioni di vita sicuramente più favorevoli tali da far au-mentare la popolazione in modo significativo arrivando alla for-mazione di centri abitati d’importanza sempre maggiore, chia-mati pagi, che, da questo contesto pagano sarebbero poi divenu-ti nell’età del crisdivenu-tianesimo i nuclei denominadivenu-ti plebs30. Dal punto di vista amministrativo si ebbe la divisione del territorio versilia
29
B. Antonucci in La presenza romana in Versilia alla luce delle ultime scoperte geografiche in Studi
ver-siliesi, Massarosa 1984, pp. 7-12 ha infatti dedotto grazie a questi reperti che il periodo in cui la Versilia
vide una maggiore densità abitativa fu il I secolo d. C..
E. Paribeni, Etruscorum ante quam Ligurum. La Versilia tra VII e III secolo a.C, Pontedera 1990, pp. 18, 57. Qui si fa riferimento al ritrovamento di asce e alette di bronzo nella località collinare denominata Colle alle Banche.
A. Maggiani, Baccatoio, Pontedera 1990, p.122. Nel 1861 presso la località Baccatoio fu ritrovata una necropoli durante i lavori per la linea ferroviaria Genova-Roma. Comprendeva circa 50 tombe purtroppo andate perdute , ma di cui ci rimane una dettagliata descrizione di Salvatore Bongi (“Inventario” Lucca 1888), corredata da disegni conservati negli archivi della Soprintendenza Archeologico della Toscana. S. Storti, Baccatoio, Pietrasanta 2005, pp.177-178. Secondo il suo studio, nel 1981 furono recuperati materiali e ceramiche di epoca romana che sembrano riferibili ad un insediamento rurale databile tra la fine del II-I secolo A. C. e forse oltre l’età imperiale e ancora tra il 1930 e 1973 furono rinvenuti nella lo-calità Pievecchia tombe o fosse rivestite e ricoperte con lastroni di pietra, resti di un muro di età roma-na, frammenti di stele funerarie iscritte e ceramiche che vanno dal I secolo a. C. al I-II secolo d. C. Infine nel 1993 a Capezzano Pianore, nella zona della via Acquarella, vennero alla luce i resti di un antico complesso rurale di età romana di notevoli dimensioni. La villa era essenzialmente una “ Villa Rustica”, ovvero una fattoria di grandi dimensioni adibita allo sfruttamento delle risorse agricole della zone ed era inserita nel quadro della centuriazione romana del territorio. Vd. L’articolo del gruppo di Camaiore, “ La villa romana dell’Acquarella: un antico impianto oleario nella Versilia romana.” Durante la costruzione di fondamenta moderne, purtroppo sono andate perdute le strutture murarie di epoca etrusca. Data le va-ste dimensioni della zona si può supporre che anche l’area perduta fosse di grandi dimensioni. Sono stati ritrovati anche resti di un edificio del VI-V secolo a. C. abitato probabilmente da genti etrusche che oc-cupavano la pianura versiliese prima della colonizzazione romana. La fattoria, oltre alla parte residenzia-le, alla zona abitativa degli schiavi e degli animali, aveva anche aree destinate alla produzione ed imma-gazzinamento dei generi alimentari. Numerosi sono i reperti ritrovati. Sull’argomento si veda: M. Cante et al., Complesso rustico di età romana dell’ Acquarella in Liguri, Un antico popolo europeo tra Alpi e
Mediterraneo, catalogo della mostra, Genova 2004- 2005, pp.482-484, e E. Paribeni et al., Il complesso rustico dell’Acquarella: dall’indagine conoscitiva alla valorizzazione, Camaiore 2006, p.4
30
13
in ager pisanus da una parte, cioè quella montana, e ager lunen-sis dall’altra, cioè quella parte pianeggiante31.
Le invasioni: i Longobardi.
Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 a.C.), la storia dei luoghi considerati presenta una profonda lacuna. Infat-ti, le poche e insicure notizie che abbiamo degli inizi del Medioe-vo fanno supporre che essi seguirono la stessa sorte di Lucca, su-bendo le invasioni e le occupazioni delle popolazioni barbariche che avevano invaso parte l’Italia32. Infatti, nel 568 i Longobardi scesero in Italia con Alboino sottomettendo le terre lucchesi
piuttosto facilmente33. Questo popolo riuscì ad integrarsi con gli
abitanti della zona, convertendosi alla religione cattolica e molti-plicando la costruzione di chiese ed ospedali. Quando quindi i Longobardi riuscirono a vincere anche le ultime resistenze dei Bizantini nel 643 poterono creare un nuovo assetto fondiario espropriando le antiche proprietà terriere di origine romana. Quelle nuove, raggruppate in grosse concentrazioni chiamate massae34 sorsero nei pressi delle antiche chiese paleocristiane,
31
L. Marcuccetti, La terra delle strade antiche, Viareggio 1995, p.21; L. Banti, L’Ager Lunensis e
l’espansione etrusca a nord dell’Arno, in Studi Etruschi, Firenze 1931, vol. V, pp.163, 183; G. Ciampoltrini, Insediamenti e necropoli dal II secolo a. C. alla tarda antichità, in Museo Versiliese 1995, pp. 123-125; L.
Belli, Aspetti della colonizzazione romana in Versilia, in Studi Versiliesi, Massarosa 1983, vol. I, pp. 25-36; G. De Santis Alvisi, Questioni lunensi. Note sulla Ricerca Archeologica attraverso le aerografie, in
Qua-derni del Centro Studi lunensi, vol. II, Luni 1977, pp. 3-16. 32
P. Dinelli; Camaiore dalle origini ai giorni nostri Prima parte: Dall’epoca preromanica ai primordi del
1500, Camaiore 1971, prima parte, cap. II, p.58.
33 S. Gasparri, I Longobardi alle origini del medioevo italiano, Firenze 1990, p. 38. 34
E. Finamore, Italia medievale nella toponomastica: dizionario etimologico dei nomi locali, Rimini 1992 p.7, voce massae: di origine latina e fatto proprio dai longobardi, ha il significato iniziale di casa rurale. Passo’ poi a definire tutto il territorio circostante e in seguito una tenuta coltivabile ed un insieme di po-deri. Nel periodo longobardo sembra prevalere il significato di podere assegnato a una famiglia.
14
che a loro volta erano state edificate negli stessi luoghi dei
pa-gi.35 Sotto i Longobardi Lucca rifiorì diventando sede del ducato
della Tuscia, oltre ad essere già sede dell’episcopato, e divenne una delle capitali dell’Italia Longobarda, coinvolgendo in questa rinascita anche le terre versiliesi, grazie anche all’importante fi-gura del vescovo di Lucca Frediano36.
Le vicende storiche in Versilia nell’alto Medioevo.
A partire dal IX secolo una nobile famiglia d’origine longobarda era riuscita ad avere tutta la Versilia come suo possedimento37,
35 P. Dinelli, op. cit., p.102. La “Sala” o fattoria, che corrispondeva alla villa latina, si trovava al centro
del-la Massa i cui proprietari erano per lo più di origine longobarda e del-la popodel-lazione romana del-lavorava alle loro dipendenze. Era passaggio piuttosto comune che queste massae venissero a trovarsi sui vecchi
“Pa-gi” dell’epoca romana. Un esempio è alla Pieve di Camaiore, dove al posto del romano pagus feronianus
sorse in età longobarda una grande Massa al cui centro stava la sala Preiti da cui derivò l’odierna Sala-preti. Questo è anche un esempio di come i Longobardi mostrarono un grande rispetto nei confronti del-la toponomastica romana, infatti i toponimi di origine Longobarda sono scarsissimi : Sadel-lapreti, Cafaggio e Cafaggiolo.
36
M. P. Gavioli Andres e L. Luisi Galleni, Pievi romaniche della Versilia, Viareggio 1988, p.7.
37
E. Repetti, Dizionario geografico, fisico e storico della Toscana, Firenze 1833, vol. I, p. 825. Per quello che concerne i possedimenti feudali da parte dei Longobardi, se ne hanno notizia solo a partire dall’XI secolo, quando ne risultano padroni i discendenti del longobardo Fraolmo. Anche il Repetti dice: “*…+di una potente famiglia di Longobardi lucchesi che sino dai secolo intorno al mille dominavano in Versilia, in Garfagnana e anche nel Val d’ Arno inferiore. Gli annali lucchesi, genovesi e pisani ci hanno lasciato i nomi di quei dinasti, fra i quali figurarono nel secolo X un Fraolmo, nel secolo XII un Veltro*…+”.
Da una lettera datata I dicembre 1874 di Vincenzo Santini si ha notizia di un lavoro inedito intitolato : “I Longobardi e la famiglia Tomei Albiani “ nella quale scrive : “La cosa singolarissima a conoscersi si è che le carte autorevolissime dell’arcivescovato di Lucca contraddicono all’ opinione che i feudi tutti abbiano originato da potenti condottieri Longobardi e Franchi per assegnazioni fatte loro dai re o imperatori di quelle nazioni , di terre conquistate sui vinti*…+in Versilia nel VII, VIII e IX secolo erano possessori dei ter-reni le famiglie longobarde e specialmente sulle alture dei monti, le quali in maggioranza dimoravano a Lucca, ed i loro feudi si trovavano per lo più in Terrinca, Levigliani, Stazzema, Pruno, Volegno ecc. ed e-rano certamente quelli rapiti agli indigeni, nell’invasione di Alboino. I vescovi della città summenzionata erano possessori di estesi latifondi in questa contrada fin dall’ VIII secolo, doni probabilmente degli im-peratori dei Franchi, più che dei regi Longobardi e del popolo religioso che per tali donazioni riteneva salvarsi la vita. I Visconti della Versilia, la cui discendenza rimonta, per autenticità di carte, al 666 dell’E. V. originano da Gondualdo, che molti pretendono figlio di Ariperto re dei Longobardi e vantano assai più lunga esistenza dei loro vicini Malaspina ed Estensi. Che fossero affini dei Duchi Longobardi, governatori
15
ma una volta perso il potere a causa delle continue guerre tra Pi-sa e Lucca e per confische e dissidi, si divise in diversi rami che governarono zone differenti38. I più potenti e ricchi furono i si-gnori di Corvaia e Vallecchia, gli unici ad avere anche il titolo di conti o visconti.
Nel 1088 questi signori subirono una prima aggressione da parte di Lucca che aveva come scopo quello di estendere il proprio dominio verso il mare e ciò portò a delle vere e proprie battaglie e ad una loro alleanza con Pisa, che non aveva buoni rapporti con Lucca. Fortunatamente, però, per un certo periodo la situazione andò appianandosi39.
Nel 1116 Enrico IV concesse il litorale che va dalla foce del
Ser-chio fino a Motrone alla città di Lucca40, la quale
contempora-neamente a Pisa aveva visto dal 1115 una rapida crescita, e ciò fu una delle causa delle loro continue diatribe. Obiettivo comune al-le due città era quello di arrivare a conquistare sia la Versilia e la Lunigiana, sia, gli scali marittimi di Luni e Motrone, che con le miniere e la viabilità rappresentavano una grande ricchezza. di Lucca pare che stia a provarlo lo avere avuto le loro abitazioni presso il palazzo Reale, prima che Fra-olmo di Tendi-mondo avesse assunto il titolo di Visconte dei Corvaresi lo che avvenne verso il 970. Il di lui genitore Fraolmo I° fu cancelliere del vescovo di Lucca e parente del medesimo ; egli è il primo che ottenne in livello ed in feudo da quel prelato , terre in Versilia; ma il di lui figlio, il Visconte Fraolmo II° ed i figli di questo, Fraolmo III° e Ranieri Luigi, ottennero tali e tanti beni in feudo dai vescovi di quelle città che si estesero nella Versilia sino a Piazzano al di là di Montemagno, cioè dal mare all’ origine del Ser-chio e tutto lungo la destra sponda del medesimo fiume, compresi i torrenti circondanti il lago di Bienti-na. Gran ricchezza era questa e già importava molto potere; ma il vera i poteri sorse coll’affitto delle de-cime che cento e più villaggi dovevano annualmente al Conte Vescovo di Lucca, la cui Riscossione fu af-fidata ai Fraolmi*…+”
38
D. Barsocchini, op. cit., tomo III, p. 212.
39
L. Santini e F. Ceragioli, La Versilia nel Medioevo. Dalle Pievi ai castelli alle terre nuove, Massarosa 2005, p.37.
40
16
ca, in particolare, voleva avere via libera verso Genova, mentre Pisa voleva monopolizzare il commercio marittimo toscano, di-ventando rivale della città ligure41. Le dispute quindi tra i due comuni toscani continuavano e persino papa Eugenio III (1145 -1153) intervenne, inviando come paciere Pietro di Cluny, senza però ottenere nessun risultato rilevante e soprattutto
definiti-vo42. Secondo il Tronci sembra che ci fu un periodo di pace tra il
1149 e il 1155 su ordine dell’imperatore Federico I, il quale però obbligò i Lucchesi a restituire ai Corvaia quella parte di territorio che andava dall’odierno Rotaio a Pietrasanta, e che avevano conquistato con la forza, riaccendendo così la rivalità fra Lucca e Pisa 43.
Il 21 novembre 1170, sotto il colle di Rotaio, ebbe luogo uno scontro tra queste due città che, nell’opinione di alcuni storici, fu una delle più cruenti e sanguinose battaglie che esse abbiano
combattuto. E’ Maragone44 che ci descrive i due schieramenti: da
una parte si trovarono i Versiliesi alleati ai Pisani, ai Vallecchiesi e ai Garfagnini, mentre dall’altra si trovava l’esercito di Lucca. I Genovesi intanto guardavano l’evolversi della battaglia dal mare, decidendo infine di unirsi ai Lucchesi, che aveva avuto la peggio, e ad alcune famiglie garfagnine e ai vallecchiesi, corrotti con del denaro.
41 L. Santini e F. Ceragioli, op. cit., p. 41. 42
Ibidem, p.42.
43
L. Santini e F. Ceragioli, op.cit., p. 44.
44 B. Maragone, Vetus Chronicon Pisanus ex ms codice bibliothecae armamentarii parisiensis, in Archivio
17
I periodi di tregua erano piuttosto brevi e si alternavano ad altri di belligeranza. Il 5 marzo 1185 i pisani chiamarono in aiuto l’imperatore Federico I, perché avevano subito delle distruzioni delle loro fortezze da parte dei lucchesi. Questi mise sotto la sua ala protettiva i signori di Montemagno, Bozzano, Vallecchia e Corvaia e di tutti i valvassori della Garfagnana e della Versilia di-chiarandoli dipendenti dalla sua volontà45.
Durante i primi anni del 1200 le contese ripresero e la Versilia fu di nuovo sconvolta da alcuni scontri. Nel 1239 Federico II, resosi conto della grave situazione proclamò il marchese Oberto Palla-vicini come vicario imperiale del territorio comprendente la Ver-silia, la Lunigiana e la Garfagnana46. Il Dinelli ci informa che in quel periodo la Repubblica Pisana voleva riottenere l’alleanza con i signori di Corvaia e Vallecchia per poterli schierare contro Lucca. Questi ultimi di orientamento ghibellino, strinsero ancora una volta rapporti con Pisa47.
Un anno particolarmente importante fu il 1255, quando il mila-nese Guiscardo Pietrasanta48, allora podestà di Milano, divenne podestà di Lucca cercando di risolvere la triste vicenda delle riva-lità versiliesi con tutte le conseguenze che ciò comportava. Suo primo passo fu quello di spingersi con un esercito fino a Motrone e al Borgo di Sala, che era in mano ai Pisani, riuscendo a ricon-quistarli. Il secondo passo fu di edificare due “città nuove“ : una,
45 G. Sforza, Memorie storiche di Montignoso di Lunigiana, Bologna 1999, p. 18. 46
D. Shamà, A.Dominici Battelli, Genealogie delle dinastie Italiane. Sito internet: http//www.sardimpex.com/.
47 G. Dinelli, Una battaglia tra Pisani e Lucchesi presso Massa, La Spezia 1915, p.66. 48
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a cui impose il suo nome Pietrasanta e l’altra che chiamò Ca-maiore e fu costruita dove già esisteva un antico villaggio lungo la via Francigena49. Nella prima poterono trovare asilo gli abitanti della Sala e della Massa Versiliese e del borgo di Brancagliano (forse l’odierna località di Ponterosso), mentre nella seconda si stabilirono gli abitanti dei castelli distrutti. Fu così che intere po-polazioni scesero verso la pianura abbandonando quei luoghi for-tificati nelle zone più alte. Camaiore e Pietrasanta sono partico-larmente importanti perché rappresentano i primi esempi tosca-ni di un’urbatosca-nistica programmata che aveva come caratteristica maggiore quella di un impianto a schema ortogonale e a sviluppo chiuso50.
Così dal 1255 ebbero vita progetti sulla fondazione delle terre-nuove di Camaiore e Pietrasanta imprimendo un cambiamento all’interno del quadro insediativo versiliese51. Tra i secoli XIII e XIV sia Camaiore che Pietrasanta furono elevate a sede di due vi-carie, entrando a far parte del territorio chiamato Versilia52.
49
F. Chiappasceni, Storia di Camaiore e sua origine raccolta da diversi antichi manoscritti fino al 1725, Camaiore 1812, p 32. Fotocopia del Manoscritto nella biblioteca comunale di Camaiore.
50
P. Dinelli, op.cit., p.77 e F. Buselli, Pietrasanta e le sue rocche, Firenze 1970, p.54 il quale dice: “*…+La differenza sostanziale sta nel fatto che Pietrasanta fu costruita ex novo, mentre Camaiore sorse am-pliando un borgo già presente lungo l’attuale via IV Novembre, l’ antica via Francigena. Non sappiamo chi fu l’architetto incaricato da Guiscardo di progettare le due cittadine, anche se va probabilmente ri-cercato tra i maestri cattedrali.”; A. Cappellini, La Repubblica di Genova, Genova 1932, p.44.
51 B. Fiadoni, Annales Lucensis, C.40 in Archivio di Stato di Lucca. 52
19
Nello Statuto di Lucca del 1308 sono elencati i trentatré comuni
rurali che sottostavano al pagamento del cero per Santa Zita53.
Ordinamento ecclesiastico.
Tutte le pievi lucchesi dipendevano dal vescovo che aveva il compito, sempre sotto il consenso del Capitolo della Cattedrale, di ordinare i pievani che ricevevano sia l’investitura delle chiese delle pievi che tutte le sue cappelle e tutti i beni ecclesiastici che
si trovavano nel plebanato54. Alla fondazione di una pieve da
par-te del vescovo seguiva, infatti, una dotazione consispar-tenpar-te in una certa quantità di beni sia per il sostentamento del sacerdote, sia per la manutenzione della chiesa. Di solito questi beni consiste-vano in case, bestiame, stalle, vigneti, oliveti e boschi55. Durante i secoli VIII e IX le chiese erano in genere di proprietà privata e quindi riservate alla famiglia che le apparteneva. A volte le chiese
minori erano chiamate anche “oratoria”56, mentre gli
ecclesiasti-ci addetti al servizio delle chiese era quello di “ rector”57.
53
S. Simonetti, Santa Zita di Lucca, Lucca 2006,p.10. La devozione per Zita crebbe per tutta la sua vita fino a che, alla sua morte, i fedeli di Lucca vollero che il suo corpo venisse sepolto nella Basilica di san Frediano e venne eletta subito patrona cittadina. L. Santini e F. Ceragioli, op. cit., p.111.
-Vicaria di Camaiore: C. del Borgo di Camaiore, C. di Pieve a Camaiore, C. di Pieve a Elici, C. di Bozzano, C. di Corsanico, C. di Pedona, C. di Stiava, C. di Massarosa, C. di Bargecchia, C. di Nocchi, C. di Mommio, C. di Piazzano, C. di Pontemazzori, C. di Conca, C. di Montemagno, C. di Rocca di Gombitelli, Puosi e Tor-cigliano, C. di Montignoso, C. di Gualdo, C. di Valpromaro, C. di Migliano, C. di Montramito.
-Vicaria di Pietrasanta: C. del Borgo di Pietrasanta, C. Cappella di san Martino con le sue ville (Basati), C. di Stazzema, C. di Farnocchia, C. di Pruno e Volegno, C. di Pomezzana, C. di Terrinca e Levigliani, C. di Gallena, C. di Vagghiatoia, C. di Retignano, C. di Strettoia, Farneta.
54
D. Barsocchini, op. cit., doc. MLXIX, tomo III, p. 19.
55
A. Lugnani, La chiesa romanica di Pieve a Elici, Massarosa 1989, p.52.
56 L. Nanni, La parrocchia studiata nei documenti lucchesi dei secoli VIII-XIII, Roma 1948, p.89. 57
20
Generalmente le nuove chiese venivano edificate su terreni che appartenevano allo stesso fondatore e non avevano grandi di-mensioni. Successivamente il fondatore le dotava di alcuni beni, ovviamente in relazione alle sue possibilità e alla posizione geo-grafica. Ne conseguiva spesso un controllo anche politico da par-te della chiesa sia sul suolo agricolo, sia sulle attività ad esso connesso, ma anche su coloro che le eseguivano, il tutto sotto l’approvazione dell’autorità vescovile58.
Gli storici si trovano d’accordo nella definizione di plebs (o pieve) durante il periodo medioevale.
Riprendendo il Salmi, con il termine plebs “si definisce un indice di un nucleo di popolazione rurali; è un nome che, fino all’alto medioevo, indica il tempio edificato fuori dal castello, (che rap-presenta il feudalismo laico), intorno al quale si raccolgono i fe-deli di quel nucleo. E nel periodo romanico, come risorgono e crescono i centri cittadini e si rinnovano i monasteri e se ne fon-dano di nuovi, così le pievi si modificano, si ampliano, si abbelli-scono, prendendo un aspetto più nobile preferibilmente dalla fi-ne dell’XI secolo. Nelle regioni alla destra del Po ed in quelle dell’Italia centrale questa architettura religiosa delle campagne è particolarmente intensa” 59.
58
L. Santini e F. Ceragioli, Camaiore nell’alto medioevo. San Giorgio in Feruniano e San Frediano di
Gric-ciano: due chiese e due località oggi scomparse, Massarosa 2005, p.73.
C. Violante, Pievi e parrocchie nell’Italia centrosettentrionale durante i secoli XI e XII , in Le Istituzioni
Ec-clesiastiche della “ Societas Christiana “ dei secoli XI- XII diocesi, pievi e parrocchie, Atti della sesta
Setti-mana internazionale di studio, Milano 1-7 settembre 1974, Milano 1977, p.649.
59 M. Salmi, L’architettura romanica in Toscana, Milano 1928, pag.18 e Le chiese romaniche della cam-pagna Toscana, Milano 1958, p.12.
21
Il Nanni dice : “E’ bene avvertire fin da ora che il termine pieve è di rarissimo uso nelle carte del VIII sec. E diviene di uso comune in quelle del IX sec. ed è tecnicamente adoperato in quelle dei secoli X e XI “60. La pieve rappresenta evidentemente la chiesa più antica del relativo piviere: in seguito sorsero altre chiese mi-nori soggette alla pieve (VIII- IX secc.); che conservano cioè la lo-ro dipendenza ad essa. Erano due gli elementi che costituivano la superiorità della pieve rispetto alle chiese minori: il fonte batte-simale e il cimitero e quelle chiese che nel X e XI secolo ottenne-ro il fonte battesimale si disseottenne-ro esse stesse pievi. Non tutte le chiese minori però furono soggette alla pieve; fin dalla loro fon-dazione molte sorsero come chiese padronali e quindi indipen-denti da essa, ma alla fine anche queste ultime furono donate di-rettamente alla pieve o al vescovo61.
Il Lopes Pegna afferma che “l’esistenza delle pievi ha condiziona-to il nascere di oracondiziona-tori e cappelle“62. Ricorda inoltre che i vesco-vati di Lucca e Luni erano già efficienti nel V secolo e che nel suc-cessivo grazie all’intensa opera religiosa del vescovo di Lucca san Frediano. Anche se mancano elementi certi scritti, molto proba-bilmente le pievi versiliesi proto cristiane sorsero entro la prima metà del VI secolo e ne forniscono prova le loro intitolazioni. An-che Lugnani ammette An-che la maggior parte delle chiese An-che ap-partengono alla diocesi di Lucca hanno per titolo un santo di
60 L. Nanni, op. cit., p.16. 61
L. Santini e F. Ceragioli, La Versilia nel medioevo. Dalle Pievi ai castelli alle terre nuove, Massarosa 2005, p. 69.
L. Nanni, op. cit., p. 57.
62
22
gine romana e che esse furono edificate durante il IV e V seco-lo63.
Tomei, Marrano e Aquilio Lugnani affermano che il termine pieve corrisponde alle circoscrizioni ecclesiastiche minori, come le par-rocchie, e ciò soprattutto per quanto riguarda l’Italia medioevale del centro nord. All’interno del loro studio aggiungono inoltre che solo nella provincia di Lucca si elencano più di una ventina di nomi di santi di origine romana associati a pievi; per esempio:
Pieve Santo Stefano o Pieve San Paolo64.
Anche Gavioli Andres e Galleni si sono occupate della questione, affermando che quando il Cristianesimo si diffuse tra i secoli IV e VI, si cominciarono a edificare le pievi. Il termine deriva dal latino plebs che ha il significato di popolo. Inizialmente fu usato per in-dicare i cristiani nel loro insieme, poi, dal V secolo, connotava una comunità di credenti e la chiesa a cui facevano riferimento. Durante l’alto Medioevo (V-VIII secolo) il termine aveva un signi-ficato sociale religioso perché si costruivano chiese dotate di bat-tistero e con pieve si indicava quindi la comunità rurale con la sua chiesa. In seguito pieve andò a significare solo la chiesa,
tan-to che nel XV secolo furono trasformate in parrocchie65.
Organizzazione ecclesiastica in Versilia.
Fin dall’antichità romana le diocesi erano divise in pievi e dal punto di vista amministrativo questo aveva come conseguenza la
63
A. Lugnani, op.cit., p.67.
64 E. Tomei, G. Marrano e A. Lugnani, La Toscana paese per paese, Massarosa 1982, pp.45-46. 65
23
riscossione delle decime (cioè la decima parte del raccolto o del reddito pagato come tributo al signore feudale o alla chiesa),
struttura che continuò per tutto il Medioevo66. Abbiamo già visto
come nell’età feudale i diritti parrocchiali spettassero solamente alla pieve e che le altre chiese erano come cappelle secondarie da essa dipendenti. Nell’età comunale queste chiese dipendenti diventarono parrocchie pur mantenendo una certa dipendenza dalle loro pievi. Questa crescita ebbe come conseguenza la nasci-ta di numerosi liti, soprattutto per la determinazione dei confini parrocchiali. Spesso questi confini coincidevano con quelli della “ vicinia” (villaggio) in cui si trovava la chiesa67. In particolare gra-zie alle carte vescovili, in cui troviamo l’elenco dei villaggi che e-rano sottoposti al pagamento delle decime alla pieve di appartnenza, possiamo analizzare i territori dei pivieri della Versilia, e-sclusi quelli di Massaciuccoli perché inclusi nella diocesi pisana e
66
D Bertini, Organizzazione ecclesiastica nel territorio camaiorese nei secoli XI- XIII, in Documenti per
servire alla storia di Lucca, Lucca 1818, tomo IV, doc.XXVII, compilato nel 1260 troviamo il più antico
ca-talogo delle chiese, degli ospedali, dei monasteri e degli altri luoghi pii che esistevano nell’antica diocesi di Lucca la quale comprendeva anche la Garfagnana e l’intera Versilia, la Val di Nievole e san Miniato. Accanto ad ogni Pieve e parrocchia troviamo anche l’importo relativo da pagarsi per una decima impo-sta dalla Santa Sede in occasione, sembra, di una crociata ed è importante perché ci permette di ricava-re informazioni sull’organizzazione plebanale dell’epoca e ci permette di stabiliricava-re la ricchezza che le di-verse chiese avevano. Infatti, la decima imposta a ogni chiesa era in relazione alla peculiare potenzialità economica. La più ricca era chiesa di San Pietro, poi la Pieve, il Monastero di Gello, la chiesa di Pedona, l’ospedale di San Michele che dipendeva dalla Badia, la chiesa di Corsanico, Mommio e l’ospedale di Montemagno.
P. Guidi, Tuscia. Le decime degli anni 1274-1280, Città del Vaticano, 1932, p. 257. Ci fa vedere che anche se le tassazioni erano cambiate per alcune chiese, quella di Camaiore continuava a primeggiare e ciò for-se dipendeva dal fatto che in tutta l’area di Camaiore i fedeli dovevano recarsi in quella chiesa per rice-vere il Battesimo.
67
24
di S. Stefano di Vallecchia che invece era incluso nella diocesi di Luni68.
Il Dinelli ci dice che nell’età antica il territorio rurale, localizzato quindi fuori dalla città, era suddiviso in pagi ciascuno, dei quali comprendeva un numero diverso di vici. Ogni pago aveva i suoi magistrati dipendenti da quelli della città. Le pievi che vennero edificate corrisposero a questi antichi pagi e ciò perché si pensò di diffondere il messaggio evangelico anche nelle campagne, e si può dedurre che il vicus più ragguardevole, o migliore per la sua ubicazione, era quello che accolse la chiesa primitiva alla quale
68
L. Santini e F. Ceragioli, Camaiore nell’alto medioevo. San Giorgio in Feruniano e San Frediano di
Gric-ciano: due chiese e due località oggi scomparse, Gruppo Archeologico Camaiore, Massarosa 2003, p. 35.
L. Nanni, op. cit., p. 67; D. Barsocchini, op. cit., p. 99.
1) Villaggi sottoposti al pagamento della decima alla Pieve di Santa Felicita a Valdicastello “Valle di Ca-stello (ValdicaCa-stello); Sala (Sala poco sopra Pietrasanta); Bucugna (forse Cugna presso Querceta); Colle Metiano (Colle Mezzana di Pietrasanta); Orticeto (presso Monteggiori); Canora (presso santa Lucia di Camaiore); Gricciano (non più esistente, forse presso la Vallina nel comune di Camaiore); Volegno (Vole-gno, Stazzema); Caprilla (frazione di Pietrasanta); Pomegano (Pomezzana, Stazzema); Farnaccle (Farnoc-chia, Stazzema); Stantieme (centro comune di Stazzema); Ratiniano (Retignano, Stazzema); Capactiana (Capezzano monte o più probabilmente Capezzano pianore , Camaiore); Montipreiti (non più esistente , forse tra Camaiore e Pietrasanta); Barcha (non più abitata tra Camaiore e Pietrasanta); Cicignano; Dode-tiano; Colline; Vatina (località non rintracciabili).
2)Villaggi sottoposti al pagamento della decima alla Pieve di Santo Stefano a Camaiore .L. Nanni, op. cit., p. 67 : “Campo Maiore (oggi capoluogo dell’omonimo comune); Casule (Casoli); Torcigliano (centro di frazione di Camaiore); Montemagno (centro di frazione di Camaiore); Traversaria (località scomparsa forse tra Valpromaro e Montemagno); Mozzatico (località scomparsa forse a Camaiore); Corsanico (Massarosa , frazioni); Nocchi (Camaiore, frazione).
3)Villaggi sottoposti al pagamento della decima alla Pieve di Sant’ Ambrogio poi San Pantaleone a Pieve a Elici.: Riscetulo (località nel comune di Camaiore); Spetio (oggi Spezi, nel comune di Massarosa); Massa (capoluogo, comune di Massarosa); Millano (Miglianello oggi, tra Massarosa e Pieve a Elici); Choncule (Conca); Genestrule (Ginestraio, attuale Goro a Massarosa); Crescionatico (località tra Montigiano e Pie-ve a Elici); Excepatico (Scepato a Stiava); Gabulare (Gomborale (tra Stiava e PiePie-ve a Elici); Sasreto (non identificato); Montisciano (centro della frazione omonima nel comune di Massarosa); Luciano (attuale località di Luciano); Orzale (non identificata); Sclava (centro della omonima frazione nel comune di Mas-sarosa) .
Le decime dovute erano piuttosto cospicue e tutte andavano ad arricchire la chiesa, ma ciò non dovreb-be fare sorpresa perché bisogna tener presente che circa l’80% della popolazione era sottomessa e per legge il padrone era obbligato a provvedere ad ogni suo bisogno sia fisico che morale . La chiesa era l’unica istituzione che si faceva carico delle necessità delle persone che cadevano o che erano in stato di povertà, usando molte risorse provenienti dalle decime.
25
facevano riferimento tutti i fedeli che si trovavano nei vici circo-stanti69. Solo quando in alcune villae70 circostanti, che corrispon-devano ai vici dell’antico pagus Feronianus, sorgeranno chiese minori o cappelle, si ebbe la necessità di distinguere le nuove ec-clesiae subiectae e la chiesa matrice o ecclesia baptisimalis, la quale, a differenza delle altre, mantenne per molto tempo una certa superiorità dettata dal fatto di possedere il fonte battesi-male e il cimitero. Si andò quindi a indicare con pievania il titolo o territorio concernente il ministero di un pievano, e anche l’abitazione del prete o pievano che aveva diverse funzioni71. Per Mancini, il diffondersi del Cristianesimo dal IV al VI secolo, fu la causa principale della costruzione delle pievi paleocristiane, e l’VIII fu detto il “secolo d’oro” per la religione con una prodigiosa e straordinaria fioritura di chiese e monasteri72. Ma per il Repetti la maggior parte delle chiese (plebanali) furono edificate intorno all’anno Mille. Probabilmente la loro edificazione risponde alle necessità di dividere in parti più facilmente amministrabili e per
69
P. Dinelli, Camaiore dalle origini ai giorni nostri. Parte prima: dall’ epoca preromanica ai primordi del
1500, Camaiore 1971, p. 125.
70 A. Lugnani, La chiesa romanica di Pieve a Elici, Massarosa 1980, p. 69. Con villae s’intendeva fino al XII
sec. la località corrispondente alle antiche frazioni (“vici”) di un Pagus romano, per lo più provvisto di una chiesa o di un oratorio. Tra i secoli XII- XIV al posto di villae troviamo sempre più spesso una nuova denominazione per indicare le diverse dipendenze di una chiesa con fonte battesimale : all’ appellativo “ villa “ viene sostituito quello di vicinia o Parrocchia.
L. Santini e F. Ceragioli, op.cit., pag 37: “Dal X secolo , e cioè quando le Pievi diventano circoscrizioni amministrative potendo riscuotere le decime,compaiono le villae, cioè aggregazioni di residenze abitate da liberi coltivatori che,non avendo nessun rapporto con la proprietà ecclesiastica vengono assoggettati a contribuzione collettiva in quanto abitanti di una determinata località.”
71 P. Dinelli, op. cit., p.127. 72
26
poter soddisfare in maniera migliore le esigenze spirituali della
comunità cristiana che si trovavano sparse nelle campagne73.
Successivamente, e in modo particolare dopo gli inizi del XII seco-lo, le cose cominciarono a cambiare. Infatti, molte chiese dipen-denti alla pieve principale acquisirono il diritto di avere un pro-prio cimitero e altre ottennero la facoltà di amministrare sacra-menti (tranne il battesimo.)74, e arrivarono quindi a non pagare
più le decime alla pieve75. Così intorno all’anno 1100 nascono le
prime parrocchie in senso moderno, legandosi innegabilmente alla nascita dei Comuni, causa primaria della divisione delle
pie-vi76. Potendo riassumere ciò che è stato detto, il Nanni ha
propo-sto di suddividere il periodo tra i secoli VIII e XII in due parti: la prima, che comprende i secoli VIII-XI, ha come caratteristiche pe-culiari la prevalenza del diritto germanico in tutta l’organizzazione politica, sociale ed ecclesiastica individuando come elementi caratteristici quelli del feudalesimo, della decen-trazione dell’autorità e la mancanza di concetti giuridici chiari e distinti. Le chiese principali dipendevano dall’autorità vescovile ed era la pieve il centro della vita religiosa del popolo cui spetta-vano quei diritti detti parrocchiali. A ogni pieve spettava un certo numero di località circostanti dette vici e nei secoli X-XI ville. I fe-deli che abitavano in quelle località, che in genere comprende-vano un territorio esteso, si recacomprende-vano alla pieve per il Battesimo,
73 E. Repetti, Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, Firenze 1833, p.98. 74
Il diritto di tutte le parrocchie al fonte battesimale è di data recentissima, precisamente del 1917. Co-dice di diritto canonico. Libro IV Can 858, punto 1.
75 A. Lugnani, op. cit., p.69. 76
27
per le sacre funzioni e per la loro sepoltura. Dovevano pagare al-la pieve le decime e fare offerte.
Nel secondo periodo comprende, che i secoli XII e XIII, durante il quale le chiese private, quelle in cui il proprietario poteva eserci-tare certi diritti sia spirituali sia materiali, andarono scomparen-do dalla fine dell’XI secolo, le pievi si trasformano in collegiate, cioè chiese con capitolo di canonici, ma senza vescovo e quelle chiese invece soggette alla pieve diventarono parrocchie,
man-tenendo una certa subordinazione77.
Le strade.
Tavola Peutingeriana, particolare pars IV- segmentum IV.
77
28
presentazione delle zone Apuane con indicate le colonie di Pisa, Lucca e Luni.
Strade romane in Italia.
Gli unici documenti che ci indicano le strade consolari di Versilia sono la Tabula Peutingeriana e l’Itinerarium Provinciarum Anto-nini Augusti, ma entrambi sono lacunosi e contengono delle ine-sattezze sia per quanto riguarda le proporzioni che nelle
29
gnazioni geografiche. Sono stati, e comunque sono, utili
stru-menti per lo studio di questo argomento78.
Grazie ai Romani, la Versilia, come altre terre in loro possesso, fu dotata di buone vie di comunicazione, sia sfruttando vecchi trac-ciati del periodo ligure o etrusco, sia costruendone nuovi79. Durante il Medioevo era in generale logico trovare lungo le arte-rie di maggiore importanza sia chiese che ospedali, cioè ospizi che avevano il compito di dare rifugio e ristoro ai mercanti, ai pellegrini e più in generale ai viaggiatori. Proprio le notizie o an-che i resti di questi edifici risultano documenti importanti per ri-costruire il tracciato delle antiche vie80.
L’arteria più importante che nel Medioevo attraversava il nostro territorio era la via Francigena81 che collegava la Francia all’Italia
avendo come punto d’arrivo la città di Roma82. Se consideriamo
il tragitto da Sud verso Nord, sappiamo che essa passava da Luc-ca e da qui proseguiva verso la Versilia attraverso la Valle della
78
E. A. Stanco, Ricerche sulla topografia dell’Etruria in Melanges de l’ Ecole francaise de Rome Antiquité, 1996, vol.108, n.1, p. 83. La Tabula Peuntingeriana è una carta dipinta che raffigura la rete stradale del mondo conosciuto in età ellenistico romana, in cui vengono annotate le maggiori strade con città e punti di sosta e relative distanze intermedie. L’Itinerarium Provinciarum Antonini Augusti , iniziato nel 217 d.C. durante l’impero di Diocleziano, è un elenco delle vie di comunicazione, con indicate le tappe, le distan-ze, i luoghi di sosta (mansiones) e le stazioni per il cambio dei cavalli, tra le località poste sulle strade dell’impero romano. L. Bosio, La Tabula Peuntingeriana, Rimini 1983, p. 149.
79
P. Dinelli, Camaiore dalle origini ai giorni nostri. Prima parte: Dall’epoca preromanica ai primordi del
1500, Camaiore 1971, p.105.
80 M.P. Gavioli Andres e L. Luisi Galleni Pievi romaniche della Versilia , Viareggio 1988, p.13; F. Vanni, Legami intervallivi. Ragioni politiche economiche e sociali delle diramazioni della via Francigena nella Versilia del Medioevo, in La Versilia e la via Francigena, Poggibonsi 2003, pp. 64-66. Anche Cicerone
ac-cenna alla viabilità romana, e precisamente alle cinque grandi arterie, all’interno della XII Filippica quan-do il grande oratore esprime i suoi timori per i pericoli che avrebbe potuto incontrare lungo quelle vie alla vigilia del suo viaggio per Modena come ambasciatore ad Antonio.
81 R. Stopani, La Versilia ganglio delle correnti, Poggibonsi 2003, p. 11. Prima dei Franchi questa via era
denominata via Romea e solo con l’arrivo dei Longobardi, durante l’alto Medioevo, quest’ arteria assun-se il nome di Francigena.
82 M. G. Gavioli Andres e L. Luisi Galleni, op. cit., p.13. Già abbiamo visto il ruolo importante sia politico
30
Freddana e, oltrepassato Valpromaro prima e Montemagno do-po, giungeva a Camaiore transitando per Nocchi, in particolare attraversava il territorio posto tra la pieve di S. Stefano e S.
Gio-vanni e la chiesa di S. Andrea.83 La via svoltava poi verso
Capez-zano e, prima di arrivare a Sala (nel punto dove nella seconda metà del XIII secolo sorgerà Pietrasanta) si biforcava: un percor-so sulla destra portava alla pieve di S. Felicita a Valdicastello, l’altro deviava verso Ovest in direzione del litorale mantenendosi alle pendici collinari delle Alpi Apuane84. Proseguiva poi per Val-lecchia, per Massa e dopo Luni continuava il suo percorso verso la Francia85. Durante l’VIII secolo divenne il percorso principale sia per i traffici commerciali che come itinerario di pellegrinag-gio. L’arcivescovo di Canterbury Sigerico scrisse nelle sue Memo-rie il viaggio che compì nel 990 di ritorno da Roma, in cui
trovia-mo annotate, tra cui Lucca, Campus Major e Luni86. Anche nelle
Memorie del re di Francia Filippo Augusto di ritorno dalla terza Crociata (1191) troviamo indicate località della Versilia come punto di sosta87.
83
L. Santini e F. Ceragioli, La Versilia nel Medioevo. Dalle pievi ai castelli alle terre nuove, gruppo ar-cheologico Camaiore 1998, p 31; P.Dinelli, op. cit., pag.106.
84
G. Gherardi, Stazzema, la perla dell’alta Versilia, Camaiore 1935, pp. 55-56.
85
A. Tenerini, De Strata Francigena, a cura del Centro Studi Romei, Poggibonsi 1997, p.9 e seguenti. R. Stopani, op. cit., p.12. La via raggiungeva il porto di Luni che aveva ancora un ruolo importante e di cui i Longobardi potevano liberamente disporre anche dopo che il loro re Rotari sottrasse la Lunigiana ai bi-zantini. La via Francigena serviva anche a quei pellegrini che, imbarcandosi presso il porto di Luni prima e di Pisa dal 1300, volevano raggiungere il Santuario di Santiago di Compostela.
86 L. Pegna, La Versilia Ignota, Toscana 1958, p.30. 87
R. Stopani, op. cit., p 14. Il re di Francia Filippo Augusto parla nel suo diario del punto di sosta in Versi-lia denominato “Munt Cheverol“. Esso era il monte Cerbaia presso porta Beltrame oppure la collina di Capriglia ? (Va detto che in francese la parola cerva si traduce “biche” e la parola “capriolo “ si traduce “ Chevreuil“.) Da segnalare che ancora oggi nel locale Palio dei Micci gareggia la contrada denominate Cervia, che corrisponde al luogo prossimo a Porta Beltrame; E. Repetti, Dizionario Geografico Fisico
del-la Toscana, Firenze 1833, vol. 1, pp 294, 620. Il Repetti ci dice che del-la Porta di Beltrame fu posseduta
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Se consideriamo il percorso più a Sud, dopo Lucca esso arrivava ad Altopascio, proseguiva per Roma toccando poi la Val d’Elsa e Siena innestandosi quindi sulla Cassia Romana. Questa era l’altra grande via di comunicazione che univa Roma al centro dell’Italia. In particolare a Firenze e a Pistoia da dove si diramavano due ar-terie: una portava a Bologna e l’altra giungeva in Val di Nievole
dove trovava un raccordo con Lucca88.
In Versilia la Emilia era la seconda via per importanza. Essa era il prolungamento della via Aurelia che inizialmente collegava Ro-ma a Cerveteri e solamente in un secondo momento si portò fi-no in Francia. Subì quindi diversi intervanti: il primo fu il prolun-gamento con l’obiettivo di arrivare almeno fino a Pisa. Da qui però la viabilità consolare lungo la costa tirrenica si interrompe-va a causa di due fattori: da una parte la presenza dell’ampia
zo-na paludosa detta Fossae Papiriazo-nae 89 ,nell’attuale costa del
la-go di Massaciuccoli e dei suoi canali, dall’altra la presenza degli scomodi e bellicosi Apuani. Per meglio collegare la colonia di Lu-ni con il resto della Liguria, nel 109 a. C. fu dato incarico al cen-sore Emilio Scauro di realizzare una strada che aggirasse le A-puane: tale strada prese il nome di Emilio Scauri. Così l’Aurelia, dopo Pisa deviava verso Lucca, passando per la Garfagnana e la tino (1513) la detta porta fu munita di una torre più solida da Cosimo I. Conserva attualmente il nome di Porta Beltrame una piccola torre abbandonata sull’ antica strada postale di Genova, nella parrocchia di Querceta, situata ai piedi del monte Cerbaja; L. Giampiccolo, Il Leioarvisir di Nikulas Bergsson, un
itinerarium islandese del sec. XII , Tesi di laurea in Lingue e Culture Europee, Università di Catania, a. a.
2006-2007. Tra il 1151 e 1154 l’abate islandese Nikulas di Munkathvera intraprese un lungo e faticoso pellegrinaggio che lo portò a passare per la via Francigena. Il suo viaggio verso la Terra Santa è contenu-to nel Leioarvisir. Anche lui, come il re francese Filippo Auguscontenu-to, cita” Munt Cheverol” come luogo di so-sta.
88 P. Dinelli, op. cit., p. 110. 89
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Lunigiana arrivando a Luni. Il tratto occupato dalle Fossae Papi-rianae interruppe invece la viabilità costiera fino a quando nel 56 a. C. Giulio Cesare ebbe la necessità di sveltire i collegamenti viari in vista della conquista della Gallia. Per tale ragione strate-gica incaricò il figlio di Emilio Scauro di costruire una sorta di scorciatoia che potesse collegare Pisa con Luni. La scorciatoia seguì un percorso collinare che può anche essere individuato in parte con l’attuale Sarzanese, che passava per Conca e Gricciano costeggiando le pendici del monticello di S. Frediano e l’attuale Vallina, proseguiva per Camaiore passando per l’odierna via del-le Capanne raggiungendo la località Capo Cavallo dove si univa
con la strada proveniente da Lucca90. Secondo il Sardi il
traccia-to, dopo aver percorso la via delle Capanne, attraversava il fiu-me di Camaiore e, imboccando la via Carraia, giungeva a Capez-zano da dove proseguiva per Pietrasanta seguendo l’odierna Sta-tale Sarzanese91.
Altre due strade furono invece costruite per collegare il porto di Motrone92, di cui si tentava di ampliare il bacino, con il retroter-ra. La prima era formata da semplici ciottoli e metteva in comu-nicazione il porto con Pietrasanta, la seconda da Motrone
90 P. Dinelli, op. cit., p.111 91
C. Sardi, Vie romane e medioevali, in Atti della reale accademia lucchese di scienze, lettere ed arti, Lucca 1938, p. 26; R. Chellini, L. Conti e S. Patitucci Uggeri, La via Francigena e le altre strade della
To-scana Medievale, All’ insegna del Giglio” 2003, collana “ Quaderni di Archeologia medievale”, p.50.
Ci sono dei reperti archeologici che attestano questo percorso, soprattutto nel tratto di strada che da Camaiore porta a Capezzano e a monte della via delle Capanne.
92 P. Pelù, Motrone di Versilia, Modena 1998, pp. 50-59. La fortezza di Motrone castello militare portuale
non è più esistente. Si trovava vicino alla località curve di Motrone a 2 Km ad ovest di Pietrasanta e a 5 m di altitudine. A seguito del continuo ritirarsi del mare perse importanza , ma è da sottolineare come la sua funzione non era collegata solo alla presenza del porto , ma anche al controllo dei fossi navigabili attraverso i quali si poteva trasportare la merce fino a Pisa.
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vava sotto Rotaio con un percorso rettilineo, forse era quello che nelle mappe dei XVII e XVIII secoli era chiamato “fosso di confi-ne” poiché divideva i territori del Capitanato di Pietrasanta da quello della Repubblica lucchese. Era una via che permetteva il transito dei carri che trasportavano a Lucca le merci scaricate nel
porto di Motrone93. Le arterie secondarie avevano diverse
gran-dezze e collegavano le case dominicate con le massericia oltre che con le chiese private e la pieve di appartenenza; erano sicu-ramente le strade più importanti per gli abitanti94.
Per completare l’argomento della viabilità, si può parlare anche del fiume di Camaiore, che assieme agli altri corsi d’acqua aveva un ruolo importante nello spostamento delle merci, e del fiume Versilia, che vedeva nelle sue rive uno scalo marittimo naturale
per le maggiori miniere apuane95. Intorno all’VIII secolo il fiume
di Camaiore o Lucese giunto verso il Ponte di Sasso, correva ver-so Montramito perdendosi nel palude di Massarosa. Per impedi-re le diverse inondazioni di cui era impedi-responsabile durante la sta-gione più piovosa, bisognava dargli sbocco al mare. Proprio in quel tempo giunsero nella zona i monaci benedettini che sugge-rirono di dare uno scolo alle acque basse del fiume per salva-guardare i terreni (i quali spesso erano di loro proprietà). Così da Pian di Mommio, dove più o meno scorre il fosso della Sassaia, venne scavato un canale che sfociava nel mare passando per le Cateratte. Questo fosso prese il nome di Fossa dell’Abate, nome
93
V. Santini, Commentari storici sulla Versilia Centrale, Pisa 1858-1862, vol. V, p. 113.
94
P. Dinelli, op. cit., p.112.
95 R. Francovich e R. Farinelli, Potere e attività mineraria nella toscana altomedievale, in La storia dell’ alto medioevo italiano ( V- X secolo) alla luce dell’ archeologia, Firenze 1994, pp. 443-465.
34
originato dall’abate della Badia di San Pietro che ne aveva trac-ciato il corso96. Quando nel 1250 fu costruito il Forte di Motrone, importante scalo navale dei Lucchesi, il fiume di Camaiore fu in-dirizzato e fatto sfociare alla foce di Motrone97. Probabilmente la maggior parte delle sue acque, assieme a quelle del torrente Baccatoio, veniva fatta convogliare nella Fossa dell’Acqualunga, una delle più importanti arterie navigabili che, prima della co-struzione da parte di Castruccio della strada detta inizialmente via del mare e poi via del sale, rappresentò per molto l’unico mezzo di comunicazione tra il porto di Motrone e il suo
entroter-ra98. Le merci venivano scaricate a Motrone, caricate e
traspor-tate sopra imbarcazioni dette piacte che, dopo aver percorso un tratto dell’Acqualunga arrivavano fin sotto il colle di Rotaio e da qui le merci proseguivano il loro viaggio attraverso le vie sopra citate99. Altro scalo importante era il porticciolo di Pieve a Elici, presso Massarosa, dove giungevano alcune mulattiere che
met-tevano in comunicazione la stessa pieve con il mare100.
96
P. Dinelli, op. cit., p. 112. Questo fosso fu quello che poi prese il nome di Fossa dell’ Abate, nome ori-ginato dall’abate della Badia di San Pietro che ne tracciò il corso.
97F. Melis, La bonifica della Versilia 1555, in I Georgofili, atti dell’accademia dei Georgofili, 1968, pp.
89-101. Oggi, dice, è difficile individuarne i confini a causa dei lavori di bonifica effetuati; P. Pelù op. cit., pp. 50-59, L. Santini e F. Ceragioli, Aree minerarie e attività metallurgiche in Versilia, in La Versilia nel
Medioevo. Dalle pievi ai castelli alle terrenuove, Massarosa 2005, p.107. 98
P. Dinelli, op. cit., p. 113.
99
F. Chiappasceni, Storia di Camaiore e sua origine raccolta da diversi antichi manoscritti fino al 1725, vol. II Camaiore 1812, , p. 58.
100
35
2- Le pievi romaniche in Versilia
Pieve a Elici.Dalla strada che, passando da Massarosa, giunge al Monte Pito-ro, è possibile scorgere la grande torre campanaria della chiesa di Pieve a Elici, che si trova al centro di un piccolo terrazzamento e che domina buona parte delle colline che la lambiscono.