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L’innovazione sociale: aspetti concettuali, problematiche metodologiche e implicazioni per l’agenda della ricerca

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Il Mulino -Rivisteweb L'innovazione sociale: aspetti concettuali,

problem-atiche metodologiche e implicazioni per l'agenda della ricerca

Article · January 2020 DOI: 10.1424/96443) CITATIONS 0 READS 94 1 author:

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Filippo Barbera

L’innovazione sociale: aspetti concettuali,

problem-atiche metodologiche e implicazioni per l’agenda

della ricerca

(doi: 10.1424/96443)

Polis (ISSN 1120-9488)

Fascicolo 1, aprile 2020

Ente di afferenza:

Universit`a di Torino (unito)

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POLISπóλις, XXXIV, 1, aprile 2020 pp. 131-148

L’INNOVAZIONE SOCIALE: ASPETTI CONCETTUALI, PROBLEMI METODOLOGICI E IMPLICAZIONI PER L’AGENDA DELLA RICERCA

Social Innovation: Concepts, Methods and Consequences for the Re-search Agenda

Social innovation is a concept with significant public relevance, but not equally defined from an analytical point of view. It is actually closer to a quasi-concept than to a true concept. As such, it connects and overlaps analytical, regulato-ry and practical objectives, seamlessly. The historegulato-ry of social innovation has a karst trend, which brings out the idea in conjunction with turbulent historical conjunctures, characterized by demands and needs that are not fulfilled in the existing institutional structures. Social theory addresses the issue in a rather ge-neric and not particularly useful way, while the field of innovation studies bring it back more precisely to the field of collaboration economy. The two most influential contemporary narratives are the critical-movementist one and that of social entrepreneurship; they emphasize different purposes and priorities that are only partially reconcilable. The methodological debate is not, at least for the definition of the indicators, particularly mature, while the one on the conceptual dimensions appears more promising. In this regard, social innovation presents risks and opportunities, which must be addressed without indulging either in rearguard battles or in managerial enthusiasms.

Keywords: Social Innovation; Entrepreneurship; Collaboration Economy;

Quasi-Concepts; Boundaries.

Cosa c’è di realmente innovativo nel concetto di «innovazione

so-ciale»?1 Quale è il suo valore aggiunto per l’analisi e per la ricerca in

sociologia? Ha finalità esplicative, descrittive o normative? Chiunque si sia avvicinato al tema ha dovuto fare i conti con queste (e altre) doman-de, sollevate criticamente dalla comunità scientifica di fronte alla ten-1 Ringrazio Nicola Negri per i commenti a una versione precedente del lavoro.

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sione tra l’ampia e crescente rilevanza pubblica dell’idea e la sua inde-terminatezza analitica (Bock 2012; Edwards-Schachter e Wallace 2017; Marques et al. 2017; Pel e Bauler 2015; Pol e Ville 2009; Segnestam Larsson e Brandsen 2016). Proprio alla luce di questa tensione e a fron-te di giudizi che spaziano dal «confuso», al «vago», «opaco» e «piglia-tutto» è necessario, prima di esaminare la tematica, chiarire in quale modo occuparsene.

1. Somiglianze di famiglia, quasi-concetti e oggetti di confine

Quando guardiamo una di quelle foto scattate alla fine di un pranzo di Natale tra parenti, o in occasione di un battesimo, o anche quando portiamo alla luce gli oggetti che teniamo nello scatolone dei ricordi, o se giustapponiamo immagini di giochi diversi, notiamo un effetto di somiglianza che, pur in modo impreciso, ci fa percepire le persone e gli oggetti come «imparentate»:

Non posso caratterizzare queste somiglianze meglio che con l’espressione «so-miglianze di famiglia»; infatti le varie so«so-miglianze che sussistono tra i membri di una famiglia si sovrappongono e s’incrociano nello stesso modo: corporatu-ra, tratti del volto, colore degli occhi, modo di camminare, temperamento, ecc. ecc. E dirò: i «giochi» formano una famiglia. E allo stesso modo formano una famiglia, ad esempio, i vari tipi di numeri (Wittgenstein 1953, trad. it. 1974, pp. 46-47).

La somiglianza di famiglia offre al ricercatore la possibilità di mettere a fuoco la grammatica dell’oggetto e: «vedere le differenze grammaticali con oggetti presi altrove ma che hanno una stessa aria di famiglia» (Boltanski 2006, p. 103). Le idee alla base della somiglianza di famiglia sono spesso ambigue, poco definite dal punto di vista tecni-co, metaforiche ed evocative. Ma, come ci ricorda anche Amartya Sen (1992, p. 75): «se un’idea di base possiede un’essenziale ambiguità, una formulazione precisa di quell’idea deve tentare di catturarla piut-tosto che ignorarla».

Per queste ragioni la somiglianza di famiglia lavora con quasi-con-cetti, cioè con ibridi che connettono e sovrappongono finalità conosci-tive, normative e pratiche (Bifulco 2017a e Ziegler 2017). I quasi-con-cetti hanno come referente empirico oggetti di confine capaci di far dialogare e di catalizzare interessi differenti (Star e Griesemer 1989), conservando al tempo stesso un nucleo grezzo di significati condivisi. Locuzioni come sviluppo sostenibile, economia circolare, qualità

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socia-le, coesione sociale e, appunto, innovazione sociasocia-le, sono esempi ben noti a riguardo: non solo rivelano una molteplicità di accezioni anali-tiche, ma sono anche utilizzati per definire un contenitore di progetti e azioni che, non trovando una effettiva coerenza analitica al loro interno, fungono da mezzi di traduzione tra mondi sociali diversi (Pellizzoni e Osti 2003, p. 177).

In un mondo di quasi-concetti e oggetti di confine, il cartografo che guida il disegno della mappa deve ispirarsi più al realismo magico dello scrittore argentino Jorge Luis Borges (Barbera 2011), che all’idea di verità come corrispondenza del realismo critico di Karl Popper (1959). Deve, per riprendere l’efficace formulazione di Amartya Sen, catturare con precisione l’ambiguità. A differenza delle mappe tradizionali basate sull’ideale epistemologico della verità come corrispondenza, potremmo anche sostenere, la mappe basate sui quasi-concetti non si occupano degli oggetti e dei loro confini, quanto dei confini e dei loro oggetti

(Abbott 1995)2.

Sulla base di queste considerazioni, tanto di sfondo quanto di pro-spettiva, per «mappare» l’innovazione sociale si percorreranno i confini interni a quattro tematiche: i significati dell’idea in prospettiva diacro-nica (par. 2), il dibattito scientifico e applicato sull’innovazione sociale (par. 3 e 4), le dimensioni metodologiche e loro implicazioni (par. 5) e le conseguenze del tema per l’agenda di ricerca (par. 6). Nel percorrere i confini in parola, si metteranno in luce i ponti e le interconnessioni tra obiettivi analitici, normativi e applicativi che caratterizzano il qua-si-concetto di «innovazione sociale».

2. Uno sguardo prospettico e di lungo periodo

L’idea di innovazione sociale non è una novità (Mulgan 2019). Nei suoi dettagliati contributi storiografici, Bernard Godin (2012; 2015; 2017) identifica alcune fasi definite nella storia sociale del quasi-con-cetto (cfr. l’articolata ricostruzione di Busacca 2013 e 2019). La prima fase emerge a cavallo di metà ‘800, in corrispondenza del socialismo utopistico e dei tentativi di riforma criticati da William Lucas Sargant (1809-1889), che, nel 1858, scrive appunto un’aspra critica dal titolo: 2 Ogni mappa è comunque una ricostruzione selettiva e dipendente da criteri di traduzione e non è mai una rappresentazione fedele e «a specchio» della realtà.

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Social Innovators and Their Schemes. Gli innovatori sociali erano fi-gure come Robert Owen, Charles Fourier, Joseph Proudhon, Henry de Saint-Simon: socialisti animati dalla ricerca di soluzioni ai problemi di povertà, malattia e accesso ai beni primari che caratterizzavano le nascenti società industriali. L’accezione peggiorativa caratterizza il di-battito in Inghilterra, mentre il contesto francese ne offre una narrazione molto più simpatetica (Moualert e MacCallum 2019, pp. 12-13).

Dopo un periodo di stasi – dalla seconda metà dell’800 fino ai primi decenni del 1900 – il tema conosce una nuova diffusione in parallelo al corporate liberalism negli USA e al welfare capitalism nei paesi euro-pei. Secondo Godin (2012) qui l’idea di innovazione sociale si identifi-ca con quello di social invention: il progresso tecnologico è molto più rapido del mutamento sociale che, per tenere il passo, deve adeguarsi attraverso «invenzioni sociali» (Ogburn e Nimkoff 1940) che riguar-dano la vita sociale organizzata e le sue forme tipiche. Oggi, diremmo noi, attraverso nuove configurazioni istituzionali che offrono soluzioni a problemi collettivi che non trovano risposta negli assetti esistenti. Il welfare state è stata – in questa accezione – una delle più importanti innovazioni sociali della modernità.

La terza fase corrisponde all’età dell’oro dell’innovazione sociale movimentista, quando negli anni ’60 e ‘70 l’uso del concetto «esplode» fino a corrispondere a quello di «emancipazione e autonomia», in con-comitanza con l’emergere della «critica artistica» all’organizzazione gerarchica e burocratica della società (Boltanski e Chiappello 1999). In questa fase il concetto assume una declinazione marcatamente normati-va, con riferimento all’economia sociale e ai processi di sviluppo locale che prevedono l’empowerment delle comunità marginali (Paidakaki et al. 2018). In questa prospettiva, l’innovazione sociale è stata definita un bene normativo (Membretti 2007).

Dalla metà degli anni ’70 e per tutti gli anni ‘80 si assiste a una perdita di rilevanza della tematica, fino alla recente rinascita che, dal-la prima metà degli anni ’90 poggia sul ruolo dei think-tank e delle istituzioni nazionali e sovra-nazionali a supporto dell’imprenditorialità sociale, ma anche sulle organizzazioni ibride e sul ruolo «civico» delle nuove tecnologie (Mulgan 2007). Come sottolineeremo (par. 4) sono queste due ultime «fasi» – quella critico-movimentista e quella dell’im-prenditorialità sociale – a costituire oggi le due narrative più influenti sull’innovazione sociale.

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3. Il dibattito contemporaneo: tra ricerca-azione e imprenditorialità sociale

L’accezione critico-movimentista è propria del c.d. filone

«euro-ca-nadese» (Moulaert et al. 2013, Moualert e MacCallum 2019) che mette in primo piano l’empowerment, la solidarietà e la generazione di alter-native al modello neoliberale. L’innovazione sociale ha per obiettivo la piena soddisfazione dei bisogni e milita a sostegno dell’emancipazione dei soggetti, gruppi e territori marginalizzati. La costruzione di contesti di governance multilivello bottom-linked sono qui al centro della scena (Moulaert et al. 2005 e 2007; Miquel et al. 2013). Simili accezioni con-cepiscono l’innovazione sociale come un cambiamento strutturale che può investire l’organizzazione sociale, i rapporti di potere e i modi di produzione del valore (Unger 2015, p. 237). È importante sottolineare come in questa prospettiva lo studioso partecipi ai processi e alle azioni in un’ottica di ricerca-azione, supportando dall’interno gli esperimenti di innovazione sociale (Moualert et al. 2005; Moualert e MacCallum 2019, cap.6; Moualert et al. 2013).

Il secondo importante filone è riconducibile alla crescente attenzio-ne che le istituzioni pubbliche e le organizzazioni filantropiche hanno riservato alla tematica (Adams e Hess 2010; Commissione Europea 2010; 2017). Una definizione nota e diffusa è quella contenuta in varie versioni dei documenti della Commissione Europea, dove il fenomeno è inteso come:

Nuove idee (prodotti, servizi, modelli) che rispondono contemporaneamente a dei bisogni sociali (in modo più efficiente rispetto alle alternative) e creano relazioni sociali nuove o collaborazioni inedite. Queste sono innovazioni che non solo rappresentano un bene per la società, ma che in aggiunta ne migliora-no la capacità di azione (Commissione Europea 2013, traduzione mia, corsivo aggiunto).

Tale accezione è similmente al centro dei vari think tanks come la Young Foundation e Nesta che definiscono l’innovazione sociale come quelle: «attività e servizi innovativi che hanno come obiettivo la sod-disfazione di un bisogno sociale e che sono primariamente diffuse e sviluppate da organizzazioni caratterizzate da scopi sociali» (Mulgan 2007, p. 9; Phills et al. 2008, p. 36, traduzione mia). Anche lo Stanford Centre for Social Innovation ne fornisce una definizione analoga3.

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Negli Stati Uniti, con la Presidenza Obama, è stato istituito il Social Innovation and Civic Participation Office, la cui missione è stimolare le iniziative «dal basso» di gruppi, comunità e associazioni, senza

sostitu-irsi a esse, per l’attuazione di obiettivi pubblici4. Nel contesto europeo,

questa visione «americana» era già stata al centro del New Labour di Tony Blair come tentativo di sintesi tra le politiche economiche liberi-ste e quelle socialdemocratiche (Giddens 1998). La sintesi non è però riuscita e oggi il c.d. «liberalismo compassionevole» – ben rappresen-tato dalla Big Society di David Cameron (Peck 2013) – è agli occhi di molti commentatori critici l’unico vero vincitore rimasto (Nicholls e Teasdale 2017; Martinelli et al. 2017).

La definizione della Commissione Europea, dei poteri pubblici (locali, nazionali e sovra-nazionali) e dai think-tank sono ampiamen-te convergenti (Fougere et al. 2017). In questa new wave dell’innova-zione sociale, in sintesi, le priorità dell’adell’innova-zione pubblica e quelle delle Fondazioni private si (con)fondono in modo inestricabile e parlano con

una sola voce (BEPA 2010, 2014)5. Agli occhi dei suoi critici (Jessop et

al. 2013), questa prospettiva rappresenterebbe la dark-side dell’innova-zione sociale: la partecipadell’innova-zione e l’attivadell’innova-zione individuale market-frien-dly diventerebbero elementi stabili(zzanti) del modello sociale europeo, in un contesto di risorse e responsabilità pubbliche decrescenti verso un welfare produttivista (Ascoli e Sgritta 2014) . Dal punto di vista socio-logico, questa convergenza tra istituzioni e campi organizzativi riman-da alla dimensione ideazionale del potere dei discorsi pubblici (Bifulco 2017a) e alla sua influenza sulle mappe cognitive e normative degli attori. Tale influenza si dipanerebbe con il potere attraverso le idee, cioè con «la capacità degli attori di convincere altri attori ad accettare e ad adottare le proprie opinioni su cosa pensare e fare» (Carstensen, Schmidt 2016, pp. 320). Tramite il potere sulle idee, legato all’impo-sizione di specifiche idee nelle arene decisionali; e attraverso il potere nelle idee, che riguarda i processi di potere istituzionale e ai meccani-smi sub-cognitivi e pre-riflessivi di funzionamento delle istituzioni. In realtà, se si passa dal livello macro della dimensione ideazionale a quel-lo micro degli agenti del cambiamento e delle quel-loro azioni (Barbera e Parisi 2019), si nota come le definizioni e parole d’ordine generate dagli attori centrali del campo organizzativo (Commissione europea, think tanks, Fondazioni) – pur effettivamente convergenti – configurino uno

4 https://www.whitehouse.gov/administration/eop/sicp [23/05/2016]. 5 Bureau of European Policy Advisers.

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spazio interpretativo flessibile, caratterizzato da agency trasformativa in direzioni non desumibili meccanicamente dalle logiche discorsive delle policy e delle istituzioni.

4. L’innovazione sociale nella teoria della società e negli innovation studies

La teoria sociale ha affrontato il tema con ambizioni di analisi si-stemica o «macro» (Heiscala 2007; Nichols et al. 2015), anche se con risultati non particolarmente rilevanti. L’innovazione sociale è, un po’ genericamente, riportata all’emergere di nuovi ordini simbolici e strut-ture sociali che aumentano il benessere collettivo (Scott 2007; Heiscala 2007), oppure a nuove soluzioni che contribuiscono a distribuire valore alle collettività e non solo ai singoli individui (Scott 2007). Nell’ambito di queste impostazioni, il ruolo degli agenti del cambiamento e/o delle configurazioni istituzionali, rapporti di potere, strategie e interessi che supportano o meno i processi di innovazione sociale – quando men-zionati – non sono particolarmente approfonditi (Howaldt e Schwartz 2010). Troviamo qui definizioni ampie, che dipingono l’innovazione sociale come causa prima del cambiamento sociale, con effetti positivi a favore di una società coesa, sostenibile e inclusiva (cfr. anche Howaldt et al. 2014 e 2015). Queste virtù sono però ingenuamente predicate sen-za chiarire quale sia il valore aggiunto del concetto rispetto a quelli già disponibili nella cassetta degli attrezzi delle scienze sociali, o a una loro ben calibrata combinazione per l’analisi dell’innovazione e del cambia-mento sociale (Granovetter 2017; Ramella 2015; Stark 2009; Swedberg 2000; Boudon 1984). Inoltre, il nesso tra innovazione sociale e rispo-sta for the better a «bisogni» non soddisfatti nasconde una pericolosa curvatura cripto-funzionalista, dove l’innovazione sociale viene intesa come un tipo di cambiamento capace di rispondere magicamente alle «esigenze» sistemiche di un capitalismo produttore di diseguaglianze economiche, degrado ambientale e conflittualità sociale (Barbera e Parisi 2019; Ilie e During 2012).

Più utile e rigorosa, tanto dal punto di vista concettuale che della teoria proposizionale e della ricerca empirica, è la letteratura che ri-conduce l’innovazione sociale nel perimetro degli innovation studies (Ramella 2015), concependola come ambito privilegiato per la produ-zione e distribuprodu-zione collaborativa di beni e servizi (Barbera e Parisi 2019; Ramella e Manzo 2019). Pur essendo un tema marginale in un

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campo di analisi ancora molto focalizzato sull’innovazione tecnologi-ca, organizzativa ed economica dell’impresa for profit e del suo eco-si-stema (van der Have e Rubalcaba 2016), questa prospettiva assume che l’innovazione sociale configuri un sistema complesso a «cognizione

distribuita» 6, che spesso richiede la collaborazione attiva dei fruitori

del bene/servizio.

In questa accezione, l’innovazione sociale si caratterizza per

l’a-dozione esplicita di metriche del valore (Stark 2017) o convenzioni di qualità (Boltanski e Thevenot 2006) che fanno dell’ibridazione dei principi di collaborazione e competizione la cifra della loro strategia

economica7. Ricorrendo all’efficace formulazione mertoniana (1987),

possiamo sostenere che l’innovazione sociale sia uno strategic resear-ch site per analizzare la ridefinizione dei confini tra mondi profit e non profit, tra mercato, politica e società, tra azione civica e imprenditoria-lità. A riguardo (Granovetter 2017) è possibile identificare tre modelli di ibridazione di valenza generale e applicabili all’innovazione sociale così intesa: (i) l’intersezione, che implica una sovrapposizione generati-va tra regole di mercato, obiettivi pubblici, tecnologie e generati-valori civili; (ii) la trasposizione, che richiama l’uso di metriche civiche all’interno di processi di mercato e (iii) l’abbinamento, che rimanda all’uso appaiato di impatto sociale e sostenibilità economica. Così definita, l’innovazio-ne sociale guadagna in chiarezza concettuale e rigore proposizionale: l’innovazione sociale è una potenziale fonte di agency trasformativa (de Vaan et al. 2014; Vedres e Stark 2010) attivata dalla intersezione, trasposizione e/o abbinamento tra ambiti coesi al proprio interno, ma diversi per metriche del valore e convenzioni di qualità (cfr. nota 7) e che, nel contempo, condividono uno o più aree di interdipendenza.

6 L’approccio della «cognizione distribuita» enfatizza la natura «decentra-ta» dei fenomeni cognitivi (apprendimento, conoscenza, elaborazione), connet-tendo l’attività mentale con le risorse e i materiali presenti nel contesto sociale e culturale. Va sottolineato come la cognizione è distribuita non solo nelle intera-zioni e relaintera-zioni sociali, ma anche nella struttura e nell’infrastruttura materiale e tecnologica dell’ambiente.

7 Vengono a riguardo definiti sei mondi (cités) nell’ambito dei quali si sviluppano le convenzioni di qualità: (i) i mondo dell’ispirazione, (ii) il mondo domestico, (iii) il mondo della fama, (iv) il mondo civico, (v) il mondo del mercato, (vi) il mondo industriale. Un’ulteriore evoluzione del dibattito sull’e-conomia delle convenzioni ha infine identificato il «mondo per progetto» (cité

par projet), le cui caratteristiche principali riguardano la messa al lavoro di una

rete di attori, impegnati in uno sforzo trasformativo condiviso caratterizzato da un orizzonte temporale determinato (Boltanski e Chiapello 1999).

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5. I temi di ricerca e i problemi metodologici

Non in misura minore rispetto alle prospettive di analisi e applica-zione, anche la ricerca empirica sull’innovazione sociale è variamente articolata in una molteplicità di temi e oggetti (Santana 2014, p. 43; Moualert e MacCallum 2019). Si va dall’economia della collaborazio-ne (Ramella e Manzo 2019), alle start-up a impatto sociale/incubato-ri/acceleratori (Social innovation monitor 2017), alle piattaforme e al crowdfunding (Pais et al. 2018; Pais 2019), all’artigianato tecnologi-co e ai fab-lab (Manzo e Ramella 2015), all’implementazione di nuo-vi modelli organizzatinuo-vi nei sernuo-vizi sociali e di welfare (de Leonardis et al. 2016; Oosterlynck et al. 2019), allo sviluppo locale (Moulaert e Sekia 2003), all’agricoltura sociale e alla alla rural social innovation (Di Iacovo 2007), alla rigenerazione di beni e spazi per nuove finalità di «pubblica utilità» (Ostanel 2017). Per mettere un poco di ordine, possiamo notare come le esperienze empiriche di innovazione sociale individuino due grandi famiglie storicamente contingenti (Schumpeter 1939, trad. it. 1977, 128, op. cit. in Ramella 2017). La prima famiglia – che coincide con l’innovazione sociale «movimentista» e «critica» – riguarda casi di auto-organizzazione sociale che datano fin dalla fine degli anni ’80-primi anni 90’: troviamo qui le cooperative di comunità, le monete locali, le fabbriche recuperate, le esperienze di auto-gestione. La seconda, che ha invece i valori modali nel decennio 2005-2015 e che coincide con l’imprenditorialità collaborativa a impatto sociale, include le piattaforme, il crowdfunding, i fab-lab e le start-up a impatto sociale con gli incubatori/acceleratori.

Questa seconda famiglia – quella oggi che più contribuisce a defi-nire il discorso pubblico sull’innovazione sociale – rimanda alla c.d. «Sindrome di Prometeo» (Barbera e Parisi 2019). L’innovatore sociale è un change-maker mosso dalla tensione verso una conoscenza applicata utile per rispondere a vecchi e/o nuovi bisogni insoddisfatti, attraverso il ricorso a mezzi e/o strategie innovativi. Come l’eroe greco, l’inno-vatore sociale vuol prendere l’iniziativa e ha intenzione, con il proprio lavoro, di utilizzare la tecnica e la conoscenza per fare in vista del bene comune e della felicità pubblica. A riguardo, si è sviluppata nel secon-do decennio degli anni duemila una letteratura sugli indicatori e sulla misurazione dell’innovazione sociale (Bund et al. 2015). La mancanza di una definizione analitica cogente ha però ostacolato la costruzione di indicatori stabilmente condivisi (Unceta et al. 2016), mentre il grado di

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consenso sulle dimensioni costitutive è – pur in presenza di differenze importanti – maggiore (Mulgan 2019; Moulaert e MacCallum 2019).

Al netto di questi caveat, le dimensioni principali sulle quali si è concentrata la «misurazione» dell’innovazione sociale sono quattro: (i) il livello dei processi decisionali, (ii) quello dell’attività imprenditoria-le, (iii) quello delle forme organizzative e (iv) quello degli effetti (Bund et al. 2015). A livello dei processi decisionali, è stato notato (Barbera e

Parisi 2019) come l’innovazione sociale si radichi in arene decisionali8

dove il valore economico e i valori morali si intrecciano (Mulgan 2019) a partire dalla «messa in pratica». Caratteristica, questa, che richiede la presenza di dispositivi socio-tecnici utili ad articolare e supportare il confronto continuo e tra concezioni alternative di ciò che ha valore, ciò che è degno, ciò che conta (Stark 2009). Per esempio, l’importan-za ricoperta dal design partecipato nell’innovazione sociale risponde a questa esigenza (Manzini 2014). Attraverso la «messa in pratica» e ai dispositivi socio-tecnici come il design, diverse convenzioni di qualità e ordini del valore si confrontano all’insegna della reciproca differenza e incommensurabilità. Questa confronto dissonante aiuta l’emersione di regole pratiche che funzionano da guida per l’azione all’insegna del pluralismo e dell’anti-perfezionismo.

La seconda dimensione è quella dell’attività imprenditoriale dell’in-novatore sociale, rivolta alla presa in carico e soddisfazione di vecchi e/o nuovi bisogni, eventualmente non ancora organizzati in forma di domanda e che possono opporsi – in modi e gradi diversi – a quelli istituzionalmente legittimi (Merton 1968). Gli innovatori sociali non sono solo o tanti imprenditori economici, quanto moderni imprendi-tori morali (Becker 1963) che identificano nuovi equilibri distributi-vi, nuovi modelli di giustizia sociale e inedite giustificazioni valoriali dell’azione imprenditoriale, volta a segmenti svantaggiati della popo-lazione e/o a wicked problems (Alford e Head 2017). Gli esempi sono noti: dal microcredito della Grameen Bank, alla nuova imprenditorialità sociale, alle soluzione di economia circolare, all’economia della col-laborazione. L’innovazione sociale non si limita a creare l’offerta per una domanda esistente ma, se necessario, contribuisce a organizzare la domanda generando connessioni di senso dotate di valore colletti-vo (Appadurai 2004). Anche per questo, i bisogni oggetto dell’azione imprenditoriale si qualificano come beni che circolano in markets for collective concerns (Frankel et al. 2019) e mettono in campo scenari dei 8 Quindi in contesti caratterizzati da sistemi di decisione collettiva: orga-nizzazioni, movimenti, club, cartelli, imprese, partiti (Scharpf 1997).

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futuri possibili, plausibili e/o auspicabili (Pellegrino 2019; Poli 2019; Mulgan 2019).

La terza dimensione riguarda le forme organizzative ibride che qua-lificano le esperienze di innovazione sociale come generative di nuove relazioni tra mercato, stato e società, disintermediazione tra domanda e offerta, nuovi modelli di business e accoppiamento tra nuove tecno-logie e relazioni sociali (Raab e Oerlemans 2016). Le soluzioni propo-ste rimandano a fattispecie che mescolano ordini del valore, strategie e modelli organizzativi (Haigh et al. 2015; Venturi e Zandonai 2016). A riguardo, Paolo Venturi e Flaviano Zandonai (2017, 16) stimano in più di 90.000 unità lo «spettro dell’imprenditorialità sociale in Italia». Tale bacino comprende: «le organizzazioni non profit market oriented, quel-lo delle imprese for profit operanti nei settori dell’impresa sociale insie-me alle start-up innovative a vocazione sociale (SIAVS) e società be-nefit» (ibidem, p. 16). Tra queste, circa 60.000 sono classificabili come «Imprese di capitali operative nei settori della l. 118/05» e circa 19.000 sono imprese sociali. Le organizzazioni ibride che ne risultano con-nettono gli innovatori sociali in modo trans-settoriale, promuovendo pratiche d’azione territorialmente auto-contenute ma non strettamente legate a uno specifico settore di applicazione (Maiolini et al. 2015). Inoltre, promuovono forme organizzative nuove anche in termini for-mali (per esempio le c.d. Benefit Corporation, parte del magma delle imprese a impatto sociale, Calderini e Fia 2019), nonché rispetto alle strategie e connessi veicoli finanziari che supportano gli investimenti negli esperimenti di innovazione sociale (cfr. il dibattito sulla c.d. fi-nanza d’impatto).

Il tema dell’impatto rimanda alla quarta dimensione, relativa ai ri-sultati dell’innovazione sociale, tema certamente cruciale ma ancora poco strutturato e formalizzato in indicatori condivisi. La parola d’or-dine più importante è qui quella del social impact, il cui interesse so-ciologico in chiave di analisi e ricerca risiede nella problematizzazione delle tre proprietà – intenzionalità, misurabilità, addizionalità – che gli vengono attribuite (Calderini e Fia 2019). Anzitutto (intenzionalità), l’impatto sociale è volto a ottenere un risultato positivo per la comu-nità, attraverso la definizione ex-ante di impatti sociali misurabili che intervengono in aree sottocapitalizzate, altrimenti escluse da altri tipi investimenti. Se l’innovazione sociale è l’esito perseguito ab initio dal progetto imprenditoriale, la letteratura sociologica sull’imprenditoriali-tà e l’innovazione è, come già sottolineato, fondamentale per affrancar-si da una concezione cripto-funzionalista dell’innovazione sociale e

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in-dividuare con precisione il ruolo svolto dagli «agenti del cambiamento» (Barbera e Parisi 2019). Inoltre (misurabilità), se l’innovazione sociale deve contemplare una metrica di impatto, occorre riflettere sulle possi-bili tensioni tra la valutazione come strumento che accompagna l’azio-ne politica ed eventualmente la qualifica e la valutaziol’azio-ne come tecni-cizzazione del processo che, in realtà, ne occulterebbe surrettiziamente la natura politica (Bifulco 2017b). Se l’innovazione sociale interviene in aree sottocapitalizzate (addizionalità), poi, è centrale l’analisi delle condizioni che differenziano l’ibridazione innovativa – investo per il sociale – dalla colonizzazione del sociale da parte dei capitali finanziari (de Leonardis et al. 2016).

6. Conclusioni. La costruzione dell’agenda di ricerca di fronte agli og-getti di confine

La natura di quasi-concetto e di oggetto di confine configura l’inno-vazione sociale alla stregua di una posta-in-gioco il cui significato è og-getto di negoziazioni fra attori, a livello cognitivo, normativo e pratico. È cruciale ricordare che gli oggetti di confine non nascono all’interno del perimetro della comunità scientifica per risolvere un problema ana-litico: la loro finalità ha un orientamento anzitutto pratico e normativo. La sociologia, e le scienze sociali in generale, sono oggi sempre più chiamate a occuparsi di oggetti di confine, cioè di oggetti che non na-scono con finalità analitiche e di conoscenza pura. Per riprendere la metafora prima suggerita, esse sono stimolate a lavorare con mappe di confini che creano i propri oggetti – spesso mescolando priorità politi-che, visioni del mondo, dati empirici e modelli analitici – più che con mappe di oggetti dai confini chiari e definiti, ancorché in base a criteri convenzionali e non di mero rispecchiamento (cfr. nota 2).

Semplificando un quadro certamente più sfumato e complesso, pos-siamo sostenere che oggi l’agenda di ricerca della sociologia è sempre più dipendente da priorità esterne, vuoi dei soggetti finanziatori (vedi Horizon 2020 et similia), vuoi delle agenzia governative (si veda la co-stituenda Agenzia Nazionale per la Ricerca), vuoi in rapporto al ruolo crescente della terza missione delle Università (Ramella et al. 2019). Per queste ragioni, quasi-concetti come quello di innovazione socia-le sono con ogni probabilità destinati a occupare spazi crescenti nelsocia-le agende di ricerca dei sociologi. Qui il punto. La implicazioni pratiche della ricerca sociale non sono certo una novità, ciò che fa la differenza

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in questo scenario non sono solo o tanto le conseguenze applicative della ricerca, quanto il fatto che problemi, temi e oggetti dell’agenda di ricerca si configurano in misura crescente come oggetti di confine che funzionano come connettori tra dimensioni cognitive, normative e pra-tiche. Ciò comporta certamente il rischio di rescindere alla radice il rap-porto sinergico tra ricerca di base e ricerca applicata, fondato sulla loro relativa autonomia. Nel contempo, la sfida posta dagli oggetti di confine apre nuove opportunità e scenari, che vanno affrontati senza indulgere né in battaglie di retroguardia che rifiutano ogni contaminazione, né in entusiasmi gestionali che barattano l’autonomia dell’agenda di ricerca della sociologia in cambio di una manciata di risorse economiche e di un poco di status nei policy-network di riferimento.

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