Il porto di Napoli
e la politica di riforma
Attori, logiche di azione ed esiti
∗Paola De Vivo
The Port of Naples and Policy Reform. Actors, Logics of Action and Outcomes The debate on the state of liberalization and privatization has further flourished dur-ing the recent financial crises, when the negative performance of the Italian economy leads to reflect on the necessity of reforms in certain strategic sectors for the market. The paper addresses the issue of the Italian port reform and, through the analysis of the results produced by a research on its implementation, shows the difficulties and opportunities that arise in a specific context. The focus is on the role of the private and public actors in building a new model of territorial governance. Specifically, the attention is on a group of private actors who already have economic interests in the Neapolitan port and on the ways they attempt to counteract the aim of the reform – the liberalization – to avoid the entrance of new players in the competition for the management of public services.
Keywords: Liberalization; Reform; Local governance.
1. Il problema
Il dibattito sulle liberalizzazioni e sulle privatizzazioni in Italia è quanto mai acceso. Nella vasta letteratura dedicata all’analisi del te-ma, il filo comune che emerge tra i diversi approcci interpretativi ri-guarda il rapporto che esso intrattiene con il ritardo, o con il declino, dell’economia italiana (Boeri et al. 2005). Le principali argomenta-zioni che si rintracciano investono ora le cause delle mancate libera-lizzazioni, ora i percorsi legislativi, procedurali e attuativi di quelle che si tentano di avviare, ora gli esiti ottenuti da quelle già avvenute in alcuni settori strategici quali le telecomunicazioni, l’energia
elet-∗ L’autrice desidera ringraziare i due referees anonimi per i loro preziosi
trica, il gas, i trasporti; ci si interroga cioè su quanto esse abbiano fa-vorito meccanismi di concorrenza nei mercati e sugli effetti che ciò ha comportato nei termini di una riduzione dei prezzi per gli utenti. Al di là delle diverse valutazioni sui processi in corso, il dato condi-viso rimane quello dell’esistenza di un’eccessiva regolazione dei mer-cati dovuta alle riforme incompiute, o rimandate, nel mercato del la-voro, dei beni e dei capitali (Boeri e Garibaldi 2011; Nannicini 2011; Nuzzi 2007; Pacifico 2007).
In Italia, anche la ridefinizione della regolamentazione del siste-ma dei trasporti portuali si inquadra nella questione della liberalizza-zione e della privatizzaliberalizza-zione dei grandi servizi di pubblica utilità. Es-sa origina, peraltro, dalle prescrizioni comunitarie che Es-sanciscono l’apertura di mercati storicamente caratterizzati dalla persistente vi-genza di diritti speciali ed esclusivi tipici delle imprese pubbliche ti-tolari della loro gestione. Alla luce di ciò, nelle pagine che seguono si discuterà del processo di riforma della politica portuale italiana1 os-servandolo nel caso specifico del Porto di Napoli. Il problema di fondo da analizzare è come si producono le scelte collettive e quali conseguenze esse generano sulla politica considerata. La conclusione cui si è giunti è che l’obiettivo principale della riforma – la liberaliz-zazione delle attività portuali – ha finito per generare in quel conte-sto degli esiti inattesi e per certi versi contraddittori. Mentre si verifi-ca una loro ulteriore concentrazione tra pochi attori privati, che già in precedenza operavano nel Porto, si rileva che attraverso l’attuazione della riforma si è riusciti comunque a ridurre la totale resistenza che tali attori inizialmente opponevano all’ingresso di im-prese concorrenti. Dalla stessa riforma, poi, sono scaturiti altri bene-fici apprezzabili quali la modernizzazione delle infrastrutture portua-li e un aumento dell’offerta di servizi che sono andati a vantaggio de-gli interessi della collettività. In questo trade-off tra interesse indivi-duale e collettivo2 la domanda principale intorno a cui ruota l’analisi riguarda l’incidenza di particolari attori-chiave nell’imprimere, attra-verso le proprie scelte decisionali, di volta in volta e intenzionalmen-1 La legge 84/94 di «Riordino della legislazione in materia portuale» ha la
fi-nalità di «disciplinare l’ordinamento e le attività portuali per adeguarli agli o-biettivi del piano generale dei trasporti, dettando contestualmente i principi di-rettivi in ordine all’aggiornamento e alla definizione degli strumenti attuativi del piano stesso, nonché all’adozione e modifica dei piani regionali dei trasporti» (art. 1).
2 Le caratteristiche e il ruolo dei gruppi di interesse nelle politiche pubbliche
sono stati di recente oggetto di rinnovata attenzione scientifica, dopo circa un quindicennio di offuscamento da parte della letteratura politologica (Lizzi 2011).
te, una determinata direzione al percorso di attuazione della riforma e, di conseguenza, ai suoi esiti. La rilettura degli eventi salienti da cui è stata caratterizzata la politica in esame muove da un interrogativo che sovente è emerso nella letteratura, ovvero quali sono gli attori che fanno le politiche pubbliche e chi svolge un ruolo determinante nell’influenzare i processi decisionali e i percorsi di attuazione aventi una rilevanza nella ricerca di soluzioni a problemi collettivi (Capano 1996, 2009; Regonini 2001). La comprensione degli esiti di tali poli-tiche può perciò essere ricondotta alle strategie d’azione che gli atto-ri in esse coinvolti pongono in essere in relazione agli interessi che quelle politiche mettono in gioco e alle motivazioni che li accompa-gnano. Ciò che rimane però da dimostrare è come strategie, interessi e motivazioni si rapportino al contesto e alla situazione in cui gli stessi attori sono collocati, attraverso l’interpretazione di senso che danno alle regole – formali e informali – che governano il loro cam-po di azione. L’osservare una determinata cam-politica da questa prospet-tiva analitica rinvia ad altre implicazioni collegate ai profondi cam-biamenti che hanno riguardato l’amministrazione pubblica, con il passaggio da forme di coordinamento centralizzate nell’intervento a forme organizzative ibride e complesse (Capano e Lippi 2010; Dono-lo 2006). La ridefinizione dell’azione pubblica verso forme di gover-nance allargata, caratterizzate da una maggiore flessibilità, impreve-dibilità e incertezza, può cioè accrescere i margini di azione e il livel-lo di discrezionalità nell’attività amministrativa di determinati sog-getti, dotati di specifiche risorse personali e relazionali, durante i percorsi di attuazione delle politiche. Si tratta di emergenti dinami-che istituzionali dinami-che finiscono per generare forme di organizzazione dell’attività amministrativa inedite e autocentrate (Cooper e Brady 1981; De Vivo 2004; Doig e Hardgrove 1987; Sinclair 1999; Vecchio 2003). Si fa strada in tal modo un differente modello di regolazione che riproblematizza il tema dei meccanismi di connessione tra i vari livelli istituzionali, pubblici e privati, e quello degli strumenti neces-sari per incentivarli (Bifulco e de Leonardis 2006; De Vivo 2006; Le Galès 2011; Mayntz 1999), ponendo però l’accento su «chi» diviene l’artefice dei processi di integrazione e, soprattutto, su «che cosa» ciò comporta per gli altri attori implicati.
2. La riforma, la scelta del caso e degli attori
La riforma rappresenta un’importante occasione per la riqualifica-zione e modernizzariqualifica-zione del porto di Napoli, che era contrassegnato
da numerose criticità gestionali e infrastrutturali (es: debolezza dei sistemi di controllo sulle merci in entrata e uscita; stallo degli inve-stimenti pubblici e privati, e, per ultimo, commissariamento dell’ente per motivi di dissesto finanziario). Una serie di ostacoli, tuttavia, si sono manifestati durante il suo incedere. Oltre al rimando ai regola-menti di attuazione, vi è sin dall’inizio da risolvere il problema della dotazione di risorse finanziarie necessarie a far fronte agli investi-menti per le iniziative infrastrutturali previste dalla riforma. A ciò si sopperisce dopo circa quattro anni con la legge 413 del 1998 per il «Rifinanziamento di interventi per la cantieristica ed armatoriale ed attuazione della normativa comunitaria di settore». Una legge che completa, sul versante finanziario, l’impegnativo disegno di innova-zione istituzionale intrapreso con la riforma portuale, ed è anzi parte integrante della costellazione normativa nazionale e comunitaria che, a partire dagli anni Novanta, ha reso più competitivi i porti italiani.
Con l’obiettivo di delimitare e porre sotto osservazione alcune delle variabili che entrano in gioco nel progetto di riforma, e per permettere lo svolgimento del lavoro empirico con un adeguato livel-lo di approfondimento, si è preferito focalizzare l’attenzione solivel-lo su tale legge. Sotto il profilo metodologico, oltre ad utilizzare fonti sta-tistiche, giornalistiche e documenti normativi, sono state realizzate 22 interviste in profondità3. Detto ciò, è bene rimarcare da quali mo-tivazioni è scaturita la scelta di approfondire il percorso di attuazio-ne di un singolo segmento di policy.
In primo luogo, la legge 413/98 rappresenta un tassello di una politica molto più ampia, ambiziosa e complessa, governata da diffe-renti livelli amministrativi (europeo, nazionale, locale), che tenta di integrare, attraverso un approccio strategico, obiettivi, risorse e a-zioni con il fine di riqualificare i trasporti marittimi. In secondo luo-go, questo intervento normativo ha consentito di realizzare impor-tanti opere pubbliche, attraverso i finanziamenti concessi in un arco temporale accettabile: le infrastrutture progettate sono state tutte completate e rese fruibili in meno di sei anni (i primi lavori sono ini-ziati alla fine del 2001 e gli ultimi sono stati conclusi nel 2006). In terzo luogo, si è costatato che la politica di riforma portuale, anche grazie all’opera di riqualificazione di alcune aree del porto avvenuta attraverso la legge 413/98, confrontata con i risultati poco soddisfa-centi ottenuti nello stesso periodo da altre politiche per la città, è una delle poche eccezioni che ha contribuito a smuovere Napoli da 3 Si è trattato in particolare: dei due presidenti, di dirigenti e funzionari
dell’autorità portuale, di esponenti di vertice delle parti sociali e degli enti locali, di concessionari, di dirigenti del Ministero dei Trasporti e della regione.
una sorta di torpore progettuale e di immobilismo amministrativo (De Vivo 2007). A sostegno di quanto affermato, vi sono alcuni dati che dimostrano come la performance dello scalo sia migliorata dopo la prima metà degli anni Novanta, quando il porto di Napoli si è contraddistinto per un positivo andamento economico e finanziario. Esso è riuscito a mantenere una costante crescita del tasso occupa-zionale4 e, tra il 2000 e il 2006, ha registrato un aumento dell’utile del 40%.
I progressi compiuti in questi anni sono avvenuti sostanzialmente sotto la guida di due attori, che hanno ricoperto entrambi la carica di presidente dell’autorità di gestione del porto di Napoli. Per questo motivo si è deciso di analizzare la loro attività istituzionale muoven-do da due considerazioni. La prima, in parte scontata, deriva dal loro insediamento al vertice della struttura portuale e dal fatto che ciò of-fre maggiori margini di azione sul versante decisionale e gestionale, in virtù di quanto la normativa prescrive. La seconda è che effetti-vamente, come si dirà nel proseguimento, essi hanno esercitato una funzione di traino nell’innesco e nella prosecuzione del progetto di riforma.
Nel concreto, ai fini di una semplificazione espositiva, si è scelto di prendere come riferimento temporale i tre mandati presidenziali successivi alla promulgazione della legge di riforma: il primo dal 1996 al 2000; il secondo dal 2000 al 2004; il terzo dal 2004 al 2008. La distinzione tra le tre fasi consente di ridurre, almeno sul piano analitico, la complessità del caso. Come si vedrà, infatti, l’agire dei due attori individuati sarà influenzato da diversi fattori, di natura e-sogena ed endogena, ed essi di volta in volta vedranno subentrare nel loro campo di azione altri soggetti con cui dovranno necessariamente rapportarsi. Per la componente privata, si tratta degli armatori, dei concessionari, di una società di consulenza e delle imprese che ap-paltano i lavori. Per il pubblico, entrano in gioco gli enti locali (re-gione, provincia, comune), l’amministrazione centrale attraverso i Ministeri competenti e la dirigenza dell’autorità di gestione. Infine, per le parti sociali si segnala il ruolo dei sindacati e delle associazioni di categoria.
4 Gli occupati diretti generati dalle imprese concessionarie sono 5.000 unità,
3. Lo scenario: la modernizzazione dei porti italiani in Europa e in Italia
Quando la riforma portuale fu introdotta in Italia, significativi mutamenti avevano già investito l’economia mondiale e, per go-vernarli, l’Unione Europea aveva adottato precisi indirizzi politici. Negli anni Novanta, il ritorno all’economia di mercato nei paesi dell’Est Europa e la crescita delle economie asiatiche imprimono una spinta notevole all’aumento dell’interscambio mondiale e ri-chiedono un rimodellamento dell’offerta di politiche infrastruttu-rali. Lo sviluppo delle aree portuali diventa così cruciale e strate-gico nelle politiche europee. La persistenza nel continente di un divario logistico che colpisce prevalentemente le regioni del Sud impone di affrontare la questione del come rilanciare le loro eco-nomie, posto che esse, pur essendo eccellentemente collocate dal punto di vista geografico, non riescono a sfruttare pienamente questa rendita di posizione. Come per altre importanti aree di
po-licy, l’Unione Europea si adopera per dar vita ad un progetto
poli-tico ed economico volto a rafforzare, attraverso le politiche por-tuali, gli scambi internazionali. Gli indirizzi prescelti si fondano sulla convinzione di dover agevolare le connessioni nei trasporti tra i territori europei, per contribuire allo sviluppo di un’ampia area commerciale, potenzialmente in grado di competere con i co-lossi asiatici. In questo quadro, il Mediterraneo italiano appare molto più competitivo rispetto a qualsiasi altra area europea5. L’influenza dell’Unione Europea nella determinazione dei conte-nuti da inserire nell’agenda dei governi nazionali cresce progressi-vamente e, soprattutto, ampliandosi la platea degli attori e le sedi dei processi decisionali coinvolti, aumenta la necessità di un coor-dinamento attivo e di una capacità integrativa tra i diversi ambiti delle politiche e i livelli istituzionali. L’importanza della disciplina comunitaria in materia di concorrenza e l’intervento degli organi di governo della Comunità sono alla base della privatizzazione dei servizi resi dalle imprese nell’ambito portuale italiano. La Com-missione incentiva la modifica delle leggi e dei regolamenti marit-timi che tendono a riconoscere carattere pubblico al territorio e agli insediamenti dei porti (demanio marittimo) e alle attività
im-5 Da qui il rilievo assunto nel progetto dalle aree portuali. L’idea è di farne
ponti di collegamento utilizzabili per raggiungere le sponde del Mediterraneo del Sud e il cuore dell’Europa (il Nord) mediante la costruzione delle «autostra-de «autostra-del mare», come sostenuto dalla Commissione nel Libro Bianco sulla politica europea dei trasporti (2001).
prenditoriali su di esso esercitate (Caruso e Scaglione 2002). In breve, nell’ambito di quanto sinora descritto in merito alla si-tuazione internazionale, anche in Italia, si avverte il problema di do-ver modernizzare le strutture portuali. In particolare, sono i porti del Mezzogiorno a essere contraddistinti da specifiche criticità. Pur es-sendo utilmente posizionati sotto il profilo geografico, essi soffrono di alcune debolezze strutturali che ne limitano le potenzialità6. Allo stesso porto di Napoli non basta godere di una buona posizione ge-ografica – una dotazione naturale – per la crescita del commercio mondiale le compagnie di navigazione hanno bisogno di spazi, per sostenere il carico e il trasporto delle merci, e di un costo dei servizi offerti maggiormente competitivo7.
4. La ridefinizione delle regole: la riforma portuale I contenuti della riforma portuale risentono degli influssi della cor-rente del New Public Management. Sulla scia dei processi di libera-lizzazione e privatizzazione provenienti dai paesi anglosassoni, la ventata di cambiamento che emerge si fonda su una precisa rappre-sentazione del problema: per rimediare all’inefficienza dello stato – ai suoi «fallimenti» – bisogna confidare nell’adozione di principi di mercato da parte del sistema pubblico. «Mercatizzazione» e manage-rialismo (Cerase 2006) si diffondono come una moda (Czarniaskwa e Joerges 1995a e b) che contagia anche l’Italia, dove si assiste ai primi tentativi di riforma della pubblica amministrazione (Avolio 2006; Cerase 1999; d’Albergo e Vaselli 1997; Meneguzzo 2001; Rebora 1999).
I lineamenti generali della legge di riforma si incardinano princi-palmente intorno alle seguenti innovazioni: 1) l’istituzione delle au-torità portuali; 2) una nuova disciplina in materia di classificazione dei porti e di programmazione delle opere portuali; 3) l’affermazione del principio di separazione tra i compiti di amministrazione, affidati 6 Essi manifestano una cronica carenza di magazzini dove stoccare le merci e
la loro attività è centrata per la maggior parte sul cabotaggio interno e è preva-lentemente orientata al traffico dei passeggeri.
7 Per queste ragioni le compagnie di navigazione che gestiscono una parte
ri-levante del traffico merci preferiscono rivolgersi principalmente ai porti di Sin-gapore, Shangai, Hong Kong per l’Asia e a Rotterdam, Amburgo, Anversa per l’Europa.
alle autorità portuali, e i compiti di gestione imprenditoriale, riserva-ti alle imprese private (la liberalizzazione); 4) una revisione del regi-me di accesso al regi-mercato delle operazioni portuali; 5) la soppressione della riserva del lavoro portuale e la conseguente trasformazione del-le compagnie e degli enti in imprese societarie di diritto privato, de-stinate ad agire in regime di concorrenza. Inoltre, la legge di riforma introduce due innovazioni organizzative: la contrattualizzazione as-similata al settore privato dei dipendenti dell’autorità portuale e uno strumento di governo dell’area e dei servizi portuali basati su una pianificazione triennale delle attività e delle risorse (Romagnoli 2003).
Le ragioni che dettano la necessità di una riforma in materia, nel 1994, si individuano nel fatto che precedentemente la disciplina dei porti italiani era regolata dalle disposizioni del Codice della Naviga-zione e del Regolamento per la NavigaNaviga-zione Marittima, che affidava-no alle cosiddette autorità Marittime le funzioni di gestione e ammi-nistrazione dei porti. Nel caso di porti di dimensioni notevoli o di rilevanza nazionale, però, tale modello di gestione subiva delle modi-fiche e apposite leggi speciali disponevano l’istituzione di soggetti gestori definiti «enti portuali». La costituzione di tali enti avviava un processo di decentramento dei compiti di governo e di gestione pre-cedentemente accentrati dallo stato verso un’agenzia pubblica peri-ferica, rispondendo alla necessità di concentrare funzioni e attività precedentemente disperse e frammentate tra più amministrazioni statali. Occorreva ridefinire la gestione del porto, affidando la stessa a un unico soggetto pubblico, che avrebbe dovuto svolgere territo-rialmente compiti imprenditoriali (di gestione o erogazione di servi-zi), funzioni di governo dell’economia nonché di vigilanza, ammini-strazione e controllo del territorio. Esso si sostituiva allo stato nella cura degli interessi pubblici locali attinenti alla navigazione, con par-ticolare riguardo allo sviluppo dei traffici portuali e alla relativa of-ferta di servizi (Longobardi 1997). Alcuni enti portuali avevano però derogato alla disciplina dettata dal Codice e avevano affidato le ope-razioni portuali in concessione a imprese private. Così, mentre alcuni porti gestivano direttamente determinati servizi che acquisivano in tal modo natura pubblica, altri avevano optato per il regime di con-cessione. Ai fini delle implicazioni che ciò ha per la riforma, entram-be le modalità finivano per comportare delle forme di alterazione del libero mercato. In un caso, vi era una commistione delle attività di gestione e regolazione da parte pubblica che limitava le opportunità di accesso ai privati e, nell’altro, le imprese concessionarie finivano per godere nei fatti di un vantaggio competitivo all’interno del porto.
Infine, per quanto riguarda il modello di regolazione delle politiche pubbliche in materia portuale, ci si trovava in presenza di una forma idealtipica di management di tipo amministrativo. I processi di go-verno avvenivano attraverso l’interazione tra attori pubblici – l’ente portuale e le burocrazie centrali – con relazioni di tipo gerarchico e obiettivi settoriali, individuati all’interno degli uffici di volta in volta coinvolti nella realizzazione degli interventi.
Frammentazione delle competenze, deresponsabilizzazione e mancanza di una concorrenza tra gli operatori finiscono per diventa-re, contrariamente all’intenzionalità del legislatodiventa-re, le principali criti-cità che originano dall’istituzione degli enti portuali. In primo luogo, la contitolarità di poteri di regolazione e di gestione era interpretata come causa di un forte conflitto di interessi che andava a svantaggio della valorizzazione delle attività economiche portuali. Uguale valu-tazione veniva data a proposito dell’assenza di una pluralità di attori privati nell’esercizio delle attività portuali che rendeva impraticabile il gioco della concorrenza e, di conseguenza, un orientamento volto all’efficienza e alla produttività. Tutto ciò, secondo la dottrina giuri-dica, si poneva in forte contrasto con alcune norme di diritto comu-nitario8 poste a tutela invece della libera iniziativa economica privata.
Nella situazione che si era generata, una possibilità di cambia-mento trova espressione nei contenuti della riforma, che avrebbero dovuto dare avvio alla liberalizzazione del mercato e alla concorren-za tra i porti italiani. Il cammino verso una ridefinizione del rapporto tra pubblico e privato era così tracciato.
5. La prima fase (1996-2000): la presidenza dell’autorità portuale
La modificazione delle regole di governo dei porti italiani ha dei ri-flessi significativi sullo scalo napoletano, un porto centrale nella sto-ria dei traffici delle merci e dei passeggeri a livello nazionale e inter-nazionale.
L’istituzione dell’autorità portuale, un organismo che nasce in at-tuazione della nuova normativa, segna la fine del commissariamento del Consorzio Autonomo Napoletano (l’ente portuale); in questa fa-se di rottura degli equilibri economici e sociali discesi dagli asfa-setti precedenti, avanzano sulla scena attuativa gli attori privati più
sensi-8 La Corte di Giustizia Europea nel 1991 intervenne con una sentenza sul
porto di Genova che ha dato il via a un progressivo processo di liberalizzazione delle attività portuali.
bili ai riflessi della riforma (armatori e concessionari) e cresce il ruolo dei governi locali, dei sindacati e della camera di commercio nelle decisioni territoriali. La creazione dell’autorità, per le competenze che le sono attribuite, finisce per incidere su sedimentazioni culturali retaggio di un lungo periodo di amministrazione «in proprio», con la stessa burocrazia centrale che aveva allentato nel tempo il suo con-trollo. Il cambiamento che il processo di riforma intende promuove-re sarà perciò inizialmente avversato soprattutto dai concessionari e dagli armatori del demanio portuale, gli attori locali più interessati a mantenere lo status quo. Per questi ultimi si tratta di una difesa con-sapevole – di una strategia razionale dal loro punto di vista – poiché la modificazione delle norme di regolamentazione verso forme di li-beralizzazione dei servizi e delle attività, permettendo l’accesso di nuovi attori (loro concorrenti) nelle decisioni cruciali per la vita del porto, può rappresentare una minaccia per la perdita di influenza nel porto e per la posizione di mercato in precedenza conquistata9. Lo svolgersi della vita portuale è scandito da forme di regolazione tacite, da accordi informali e consuetudini formatisi nel corso del tempo. L’equilibrio raggiunto è dipeso proprio dall’accettazione condivisa che i traffici portuali siano di «proprietà» – la definizione è di un in-tervistato – di pochi soggetti, che danno lavoro, che smistano merci, che sostengono il turismo in una città scarsamente sviluppata sotto il profilo economico. I dispositivi di controllo delle attività portuali, comunque presenti e gestiti dalle istituzioni competenti, come la guardia di finanza e la polizia portuale, non sempre riescono a rag-giungere gli obiettivi prefissati10. L’introduzione della riforma è per-ciò il tentativo di scardinare un sistema di governo delle attività pubbliche fondato essenzialmente sul predominio di poche imprese, che nel tempo hanno consolidato i propri interessi grazie al potere economico e agli appoggi politici di cui disponevano. Anche di fron-te ad una situazione diventata fallimentare, a causa dell’incapacità di governare i cambiamenti che sopraggiungevano, armatori e
conces-9 Occorre rilevare che le loro concessioni hanno una durata lunghissima, a
volte superano i trent’anni, essendo state le stesse aziende più volte autorizzate a proseguire durante i rinnovi periodici previsti.
10 Esula dal lavoro esposto l’analisi della presenza dei traffici illegali nel
por-to. Ma essi sono una componente rilevante degli scambi commerciali e hanno dato vita ad un sistema di relazione tra gli attori capaci di governare un mondo parallelo, come documentato da numerose inchieste scientifiche, giornalistiche e giudiziarie (tra queste, cfr. «Gomorra», Saviano 2006). Si stima che nel 2006 la merce sequestrata nel porto di Napoli abbia superato le 460.000 unità di pro-dotto e ben il 93% di queste sono riconducibili a una provenienza cinese (si tratta di giocattoli, scarpe e capi di abbigliamento; D’Alessandro, 2009).
sionari si dimostravano però refrattari ad accettare i principi di mer-cato e la competizione dettata dalla concorrenza.
Un segnale visibile delle dinamiche che iniziano a generarsi terri-torialmente è dato dalle vicende inerenti l’incarico della prima presi-denza11 dell’autorità portuale. Per comprendere quale sia la posta in gioco, occorre richiamare due contenuti sostanziali che la legge di riforma valorizza: la competenza professionale che avrebbe dovuto fare da argine all’ingerenza della politica e la responsabilità nell’espletamento dei compiti amministrativi assegnati a chi avrebbe guidato la nuova struttura. L’art. 8, a tale proposito, fa riferimento al possesso di specifici requisiti, come un’esperienza di «massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell’economia e dei trasporti e portuale». Le attribuzioni che la legge prescrive per il presidente sono ampie e diversificate e gli concedono un significati-vo potere sugli aspetti giudicati più sensibili dagli armatori e dai concessionari in merito al processo di liberalizzazione. Egli può a-dottare provvedimenti costitutivi, modificativi o di estinzione di di-ritti – quali il rilascio delle concessioni o delle autorizzazioni – e fissa i canoni per l’utilizzo del bene demaniale. Come si può notare, il po-tere amministrativo che gli deriva dall’esercizio delle sue competenze è cruciale per la riproduzione della vita portuale ed è questo il moti-vo per cui armatori e concessionari diventano particolarmente vigili sulla scelta del soggetto che andrà a ricoprire il ruolo di vertice. È a loro chiaro che, sebbene siano previsti dei meccanismi di controllo e di vigilanza da parte di altri organismi e soggetti12, l’operato del prsidente gode di un certo grado di discrezionalità e può incidere e-normemente nelle scelte decisionali e operative.
Gli attori locali, alla luce della nuova situazione che si profila, si compattano intorno ad una potente ed estesa famiglia di armatori napoletani13, i Lauro, cercando in essa un fattore di continuità tale da esercitare delle pressioni sulle associazioni di categoria portuali affinché la presidenza sia attribuita ad un suo membro. Una storia, 11 La procedura è disciplinata dall’art. 8 della legge 84/94, che al comma 1
prevede che il presidente sia nominato, previa intesa con la regione interessata, con decreto del ministro dei trasporti e della navigazione, nell’ambito di una terna di esperti di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell’economia dei trasporti e portuali designati rispettivamente dalla provincia, dai comuni, e dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
12 Per esempio, del comitato portuale e del segretario generale.
13 Per una ricostruzione storica dell’ascesa e del declino dell’impero
finanzia-rio e politico di Achille Lauro e di come le sue vicende personali e familiari si intrecciano con quelle della città, cfr. Allum 1979.
quella legata alla nomina del primo presidente in verità molto com-plessa, scandita da tanti ritardi e da delicati rapporti di potere che intercorrono tra governo centrale e locale.
I molteplici interessi in gioco cominciano a manifestarsi nelle vi-cende legate alle votazioni. Alcune proposte di candidatura sono re-spinte per ben tre volte, con la conseguenza che il conflitto che si genera dilata i tempi della scelta da compiere e lascia scoperta una casella fondamentale, utile a rilanciare le attività marittime della cit-tà. La ragione per cui si indugia, al di là delle caratteristiche profes-sionali e personali di ciascun candidato, si individua nella scarsa fi-ducia che contraddistingue i rapporti esistenti tra gli attori locali, i quali finiscono con l’identificare le designazioni per la nomina con i blocchi di potere cui potrebbero essere collegate (si tratti degli arma-tori del porto, oppure di determinati partiti, o, ancora, di specifiche organizzazioni sindacali). A loro volta, i candidati coinvolti si attiva-no per ottenere un sostegattiva-no nelle loro reti di appartenenza. La ge-stione delle relazioni familiari, politiche e sindacali di cui essi di-spongono, l’esperienza e la competenza professionale che mettono in campo e la stessa reputazione di cui godono nel contesto locale, po-trebbero divenire cruciali per la conquista della carica.
La componente politica ha, per esempio, una sua rilevanza nell’affidamento dell’incarico sul piano nazionale e locale. La legge di riforma si presta a diverse interpretazioni sul ruolo riconosciuto nella procedura di nomina al ministro dei trasporti e della navigazio-ne. La normativa prevede che egli possa respingere la prima terna di nominativi proposta dagli attori territoriali, richiedendo, con atto motivato, una seconda terna. Nella prassi, tuttavia, le istituzioni loca-li preferiscono accordarsi su un unico nominativo, nella convinzione che ciò possa ridurre i margini di scelta che spettano al Ministro14 (Taccogna 2000; Vermiglio 2002). Si tratta di una strategia volta a creare le precondizioni per influenzare la decisione finale, dimo-strando come la ridefinizione delle competenze tra i diversi livelli i-stituzionali avvenga in quel periodo attraverso strappi, fratture e ten-sioni che si generano tra il governo centrale e gli enti territoriali.
D’altronde, i primi tentativi di trovare localmente un accordo u-nitario sulle diverse candidature proposte si infransero contro un muro di diffidenza reciproca. Come si è detto, per tre volte si cercò
14 «[…] Deve, infatti, osservarsi come nella prassi, si sia manifestata di
recen-te la recen-tendenza degli organismi locali a sottoporre al ministro e al presidenrecen-te della giunta regionale non una terna di nominativi tra cui potere effettuare una sele-zione previo concerto tra i due enti indicati, ma l’indicasele-zione di un unico nomi-nativo già localmente prescelto» (Romagnoli 2003, 38).
di far convergere su un unico candidato le designazioni proposte, senza però riuscire a convincere gli schieramenti votanti. Da una par-te, i portuali e i rappresentanti del governo regionale, di centro-destra15, che volevano eleggere un soggetto che conoscesse bene la loro realtà, i loro interessi e che avesse buone relazioni con i sindaca-ti e, più in generale, con le associazioni di categoria. In prasindaca-tica, si trattava del profilo di Lauro. Dall’altra, gli esponenti del governo cit-tadino che rispondevano delle loro azioni ai partiti politici di riferi-mento e che si mobilitarono al fine di conquistare e occupare posi-zioni di potere in settori pubblici ritenuti strategici per l’economia cittadina, e che erano quindi alla ricerca di proprio un candidato.
Quando si giunse finalmente a un accordo su una prima designa-zione da sottoporre al Ministro, essa fu respinta da quest’ultimo per-ché le commissioni parlamentari avevano dato parere discordante e divenne così oggetto di un ricorso al Tar16. Il candidato escluso, un militante del centro-destra che godeva di buoni rapporti con il pre-sidente del governo regionale, sostenne che la sua corsa alla presi-denza fu bloccata da motivazioni politiche. Essa sarebbe stata osteg-giata proprio dal centro-sinistra, che in quel periodo iniziava la sua ascesa politica in Campania17, aiutato dal cambiamento del quadro politico nazionale, dovuto ad una crisi del governo interna allo stesso centro-destra18.
La frattura fra gli schieramenti, che si generò nelle diverse vota-zioni, fu talmente ampia che tutte le proposte fino allora emerse fu-rono accantonate. Soltanto dopo diversi mesi di negoziazione rientrò in gioco il componente della famiglia Lauro, che riuscì a raggiungere l’obiettivo. In ciò contarono i positivi rapporti instaurati nel tempo con gli operatori marittimi (gli armatori, gli spedizionieri, i conces-sionari e le compagnie di navigazione), la peculiare combinazione di relazioni politiche nazionali e locali e le posizioni a lui favorevoli e-spresse dagli altri attori del territorio. In virtù dei legami familiari che aveva, un membro della sua famiglia era un importante esponen-te del partito di maggioranza del governo nazionale, egli riuscì a esponen- tes-sere delle alleanze nella coalizione di centro-destra al governo regio-nale. Inoltre, godeva di aperture anche nel centro-sinistra, dove era-no soprattutto i sindacati ideologicamente affini a questi partiti a
15 Il presidente fu eletto alla guida regione nel 1995, essendo già stato
sotto-segretario al Ministero del Tesoro in un governo di centro-destra (nel 1994).
16 Sentenza del Tar Campania del 25 ottobre 1995.
17 Nel 1993, con la nuova legge elettorale, il centro-sinistra vinse le elezioni e
Antonio Bassolino divenne il Sindaco della città di Napoli.
spingere affinché lo sostenessero, avendo interesse ad evitare che si producessero delle tensioni con i lavoratori portuali. Intanto, il go-verno centrale, divenuto nel 1996 anch’esso di centro-sinistra, conti-nuò a rimanere in una posizione interlocutoria, in attesa di conoscere le decisioni assunte a livello locale. Il faticoso processo di mediazione degli interessi si concluse a distanza di due anni dall’emanazione del-la legge di riforma, mentre quasi tutti gli altri porti italiani erano su questo fronte già in regola, con il raggiungimento di un accordo tra il governo regionale e comunale. Un accordo che fu favorito dalla spin-ta impressa dalla camera di commercio e dall’unione degli industria-li, decisi a chiudere con una fase di stasi che avrebbe finito per dan-neggiare ulteriormente l’economia della città.
Il primo tassello per il funzionamento dell’autorità, con l’assegnazione della presidenza, viene posto alla fine di questo lungo processo di negoziazione, accompagnato dal parere favorevole anche del governo centrale, attraverso l’assenso del ministro dei lavori pubblici allora in carica.
6. La costruzione della governance locale
Con il passaggio dal consorzio all’autorità, inizia il percorso di riordi-no territoriale e di razionalizzazione gestionale e finanziaria delle atti-vità portuali. Su questa istituzione si intersecano le due tendenze prin-cipali di quegli anni: il problema di favorire forme di governance locale e quello di incentivare l’adesione ai principi mana-geriali imposti dalla riforma. In entrambi i casi si tratta di impostazio-ni che cercano di ridurre l’incertezza negli scambi economici e sociali in un ambiente caratterizzato da frammentazione e dispersione delle decisioni. Nella tensione tra la ricerca di efficacia ed efficienza ammi-nistrativa e la gestione della complessità dovuta all’innalzamento delle forme di coordinamento necessarie a integrare processi e attori, resta da interrogarsi su come il primo presidente interpreterà il proprio ruolo e su quali saranno i margini di azione di cui disporrà. Nella si-tuazione che si profila, si comporterà come un innovatore capace di assumere su se stesso il rischio di un’azione di rottura con il passato? O, viceversa, asseconderà la continuità dei processi preesistenti? Quali che siano le sue preferenze e le scelte cui darà corso, lo spazio delle sue azioni sarà definito all’interno del campo istituzionale in cui si produrranno. Quali che siano, cioè, le forme di razionalità di cui si so-stanzieranno, esse finiranno comunque per dipendere dal contesto di riferimento e dalle modalità di azione adottate dagli altri attori
pub-blici e privati con cui egli entrerà in rapporto. Il mandato avuto lo e-sporrà sin dall’inizio a numerose difficoltà: vi sarà da governare la transizione dal vecchio al nuovo modello di gestione; occorrerà valo-rizzare una struttura sottoutilizzata; creare la missione, l’identità e la visione strategica che il porto dovrà avere in futuro, rimarcando una discontinuità rispetto al passato. I vincoli che egli incontrerà nel suo percorso trovano la loro origine in un lacunoso quadro normativo. Ba-sti pensare alla mancata definizione dei regolamenti di attuazione che produce incertezza nell’azione amministrativa; alla presenza di norma-tive vigenti che si sovrappongono alle nuove, creando ambiguità nella loro interpretazione; alla carenza di risorse finanziarie e umane utili all’implementazione della riforma. L’autorità, inoltre, pur essendo un organismo a forte caratterizzazione manageriale che dispone di un budget e adotta una programmazione vincolata a precisi obiettivi, non ha una sua piena autonomia finanziaria19.
Ancora una volta si è così in presenza di un progetto di riforma che fa leva su una retorica del cambiamento, su un discorso per lo più simbolico (Battistelli 2002; Czarniaskwa e Joerges 1995b; Morgan 1991). Eppure, tale cornice retorica e simbolica che sostiene i conte-nuti della riforma (liberalizzare, modernizzare ecc.) serve al presidente per dare un senso e una spinta alla modificazione della situazione di partenza in cui agiscono gli attori locali. Egli riesce cioè a convincerli della necessità di cambiare per superare le criticità esistenti nella ge-stione delle attività e di riqualificare il porto per non rimanere esclusi dai traffici internazionali. Si trova, però, di fronte al principale vincolo che la riforma finisce per porre, cioè la carenza di risorse finanziarie utili alla sua attuazione. Il processo di riforma si alimenta a questo punto della ricerca di una soluzione condivisa collettivamente. Il ten-tativo di risolvere un problema (avviare la liberalizzazione per aumen-tare il rendimento delle attività portuali), finisce per farne insorgere un altro, più immediato e contingente (come finanziare la riqualifica-zione delle strutture portuali?). Come si argomenterà in seguito, il fat-to che né l’atfat-tore pubblico né quello privafat-to siano in grado di sostene-re autonomamente il costo finanziario del processo di riqualificazione infrastrutturale costringe entrambi a compiere delle scelte inaspettate, che modificheranno gli equilibri locali, con il privato che riuscirà ad influenzare le decisioni pubbliche.
19 Solo nel 2007 la legge finanziaria ha stabilito che alcune tasse, prima
recu-perate dallo stato, dovevano essere devolute alle autorità portuali perché le ri-scuotessero direttamente, rinunziando però al contributo dei lavori pubblici per le opere di manutenzione ordinarie e straordinarie.
7. Finanziare la riforma: la legge 413/98
Come si è accennato, il presidente si fa carico delle problematiche strutturali e detta le prime linee di indirizzo e di successiva progetta-zione delle opere necessarie. Ma come finanziarle? È a questo punto che diviene cruciale l’emanazione della legge 413/98. Essa consente sul versante finanziario di reperire risorse utili agli obiettivi di risa-namento delle aree portuali e rappresenta la prima fonte cui attinge-re per gli investimenti pubblici a partiattinge-re dalla riforma del 1994. Le aree sottoposte a riqualificazione coincidono con i moli e le banchine gestiti dai più grandi concessionari del porto. Sono questi ultimi ad avvertire con maggiore intensità il bisogno di ammodernare le infra-strutture per l’intensificarsi degli scambi internazionali. L’incentivo derivante dai finanziamenti della legge 413/98 comporta una prima eterogenesi dei fini per gli attori privati. Dopo un’interpretazione i-niziale restrittiva, secondo la quale la riforma finirebbe per limitare i loro margini di azione, il suo significato si trasforma, sino a farla di-venire un’opportunità economica da cogliere. La riforma potrebbe cioè favorire i loro interessi, aumentando il rendimento delle struttu-re del porto e di conseguenza i loro profitti. C’è un aspetto che essi, tuttavia, non sottovalutano: beneficiari ultimi del programma di mo-dernizzazione, una volta completato, potrebbero diventare altri sog-getti, poiché il diritto di concessione acquisito ha un termine tempo-rale e la liberalizzazione potrebbe agevolare l’ingresso di altre impre-se, attirate peraltro dal vantaggio di trovare anch’esse maggiori ren-dimenti in un porto riqualificato. Nel dilemma che si profila, di esse-re partecipi del cambiamento o di subirlo, gli attori privati cercano degli aggiustamenti con l’autorità portuale e il gioco di adattamento reciproco che scaturirà da questo processo finirà per generare delle forme di mutamento inatteso. I privati cioè diventeranno parte attiva del programma di intervento pubblico gestito dall’autorità. Quali sono le ragioni che li spingono a partecipare? Per comprendere il processo che si va delineando occorre esplicitare che: a) i lavori da realizzare, si tratti di ampliamenti o di costruzioni ex-novo, sono pre-visti in aree già date in concessione, si trattava in modo particolare dei vecchi concessionari che usavano il porto in cambio di un canone fisso; b) che le opere pianificate sono parte integrante di un piano di sviluppo più complessivo e, quindi, devono essere in linea con gli strumenti regolatori portuali e comunali; c) che ai fini del rilascio della concessione, così come previsto dall’art. 18, comma 6, della legge 84/96, i destinatari dell’atto di concessione devono presentare un programma di attività, assistito da idonee garanzie, volto
all’incremento dei traffici e della produttività del porto (in sostanza, vi è la ricerca di una compartecipazione finanziaria da parte dei pri-vati); d) che per le iniziative di maggiore rilevanza, sempre all’art. 18, comma 4, il presidente dell’autorità portuale può concludere, previa delibera del comitato portuale, accordi sostitutivi della concessione demaniale ai sensi dell’art. 11 della legge 241/9020.
Il percorso di attuazione della legge 413/98 era perciò sottoposto a vincoli difficilmente aggirabili senza il raggiungimento di un’intesa tra i vari soggetti istituzionali e privati. Il vincolo temporale molto stringente, unito alla carenza di regolamentazione dell’area portuale, comporta allora la ricerca di una strategia capace di superare tali o-stacoli. Per l’accesso ai finanziamenti che servono per la realizzazio-ne delle opere infrastrutturali, occorre essere in regola con gli stru-menti di pianificazione. A Napoli è ancora vigente il vecchio piano regolatore, uno strumento rigido che consente scarsi margini per in-tervenire sulle infrastrutture. L’autorità portuale era inoltre tenuta a presentare un programma degli interventi, con un relativo studio di fattibilità preliminare, all’amministrazione centrale che aveva compe-tenza in materia21. La carenza però di adeguate competenze all’interno della struttura e la limitata disponibilità finanziaria, che non permetteva di affidare il lavoro all’esterno, stavano per com-promettere la possibilità di inoltrare la richiesta di fondi. In tali pre-messe si inscrive l’iniziativa dei privati di farsi carico delle spese di progettazione attraverso l’utilizzo dell’accordo sostitutivo, chiedendo però in cambio – ed è questo il punto da sottolineare – di prolungare i tempi della loro concessione. Lo scambio, basato naturalmente su un’intesa «informale», consiste nel fatto che l’autorità portuale, qua-lora fossero finanziati i progetti presentati, restituisca, una volta ul-timati i lavori, le aree riqualificate a quegli stessi concessionari che si trovano nel porto e che hanno cofinanziato lo studio di fattibilità. Attraverso un’attenta interpretazione degli articoli citati nella legge di riforma, si comprende che per dare attuazione alla legge 413 si 20 Nell’art. 11 della legge al comma 1 si afferma che: «In accoglimento di
os-servazioni e proposte presentate a norma dell'articolo 10, l’amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo».
21 Per la realizzazione di opere infrastrutturali di ampliamento,
ammoder-namento e riqualificazione dei porti, il ministro dei trasporti e della navigazione adotta un programma sulla base delle richieste delle autorità portuali o, laddove non istituite, delle autorità marittime, sentite le regioni interessate (art. 9 della legge 413/98).
può fare ricorso a un particolare strumento legislativo, l’accordo so-stitutivo, previsto dalla legge 241 del 1990. La progettazione preli-minare ed esecutiva degli interventi previsti all’interno del porto di Napoli viene così demandata ai concessionari, che la realizzano con fondi propri e avvalendosi di tecnici regolarmente abilitati22. Intorno alla progettazione delle opere infrastrutturali si forma e si coalizza un nucleo di soggetti – alcuni interni all’autorità, altri esterni – che a-vranno un ruolo determinante in questa fase e nel prosieguo della riforma. Esso è composto da dipendenti pubblici, che già lavoravano nel consorzio autonomo, e da alcuni consulenti privati, impiegati in una società specializzata nel campo marittimo, che gravita intorno agli appalti del porto da molto tempo. Un nucleo di soggetti che si rapporta sia con il presidente sia con i concessionari più grandi, a-vendo sviluppato con loro relazioni professionali e legami più stretti di amicizia e di fiducia già nel passato. Come riportato da diversi at-tori intervistati, l’utilizzo dell’accordo sostitutivo è un’innovazione procedurale – una sperimentazione – che essi hanno contribuito a «scoprire» e sottoposto alle altre amministrazioni, anche di livello centrale. Queste ultime, dopo una serie di controlli sulla sua ammis-sibilità, accettano lo schema proposto dall’autorità portuale e le con-sentono di procedere. Sul fronte pubblico la scelta che si compie è dettata, oltre che dai vincoli cui si è già fatto riferimento, anche dal vantaggio che si può ricavare in termini di tempo e di superamento di ulteriori aggravi che potrebbero insorgere optando per una pro-cedura alternativa. Le concessioni, essendo già assegnate, non pos-sono essere revocate improvvisamente e senza ragione. Mancando però l’accordo con i concessionari, che nel frattempo avrebbero do-vuto continuare le proprie attività sui suoli oggetto della riqualifica-zione, l’esecuzione dei lavori sarebbe stata osteggiata o limitata da un loro prevedibile veto. Infine, le ingenti risorse finanziarie da antici-pare per la progettazione delle opere erano sostenibili principalmen-te da parprincipalmen-te delle grandi aziende. Per tutprincipalmen-te quesprincipalmen-te ragioni, l’attore pubblico e quello privato, finiscono per individuare un interesse co-mune nel concordare le loro azioni. Resterebbe da chiedersi sino a che punto, però, la natura di tale accordo non abbia leso altri inte-ressi: come per esempio quelli degli operatori che avevano in conces-sione per le loro attività parti più piccole del territorio demaniale; e quelli dei soggetti potenzialmente interessati a richiedere ex-novo una concessione.
22 Una volta giunti all’approvazione dei progetti nelle diverse sedi
istituzio-nali, i concessionari li riconsegnano all’autorità portuale per la definitiva appro-vazione e la successiva realizzazione attraverso l’indizione di un bando di gara.
8. La seconda fase (2000-2004): l’arrivo di un nuovo presidente
Nelle vicende sinora delineate, il lavoro del primo presidente, che può essere raffigurato come il pioniere della riforma, si arresta all’approvazione in sede ministeriale dei progetti presentati. Durante il suo mandato si compiono i primi passi per l’attuazione della rifor-ma, in un contesto contraddistinto da carenze normative e da debo-lezze sul piano strutturale, decisionale e organizzativo. Si disegnano le linee di programmazione, così come previsto dalla legge 84/94 e si offre una rinnovata visione del ruolo della struttura portuale, riaffer-mando la necessità di sviluppare una relazione più intensa tra lato mare e città interna; si dà impulso al traffico di container e a quello crocieristico. A fronte dei risultati raggiunti, non mancano le ombre. Da parte del governo cittadino e delle associazioni imprenditoriali vengono rimarcate le criticità infrastrutturali che continuano a persi-stere, ma il punto di debolezza più forte si riscontra nell’incapacità del presidente di scardinare un collaudato sistema di interessi. Il fatto stesso di aver assegnato agli armatori e ai concessionari un ruolo così attivo all’avvio della riforma, è un segnale ambivalente dell’interpretazione complessiva che viene data ai suoi contenuti. I privati, oggetto della riforma, chiamati in causa con modalità di com-partecipazione finanziaria dal processo di liberalizzazione cui essa si ispira, sono gli stessi che sino a quel momento avevano avuto e man-tenuto una posizione centrale nella vita del porto. Il meccanismo di anticipazione dei finanziamenti per la progettazione finisce per can-didarli naturalmente a veder soddisfatte le loro esigenze e aspettative escludendo, o ponendo ai margini, gli altri operatori da qualsiasi pro-spettiva di cambiamento. Tutto ciò emergerà ancora più chiaramente nella fase esecutiva dei lavori previsti dalla legge 413/98. L’apertura dei cantieri sarà uno dei compiti che erediterà il secondo presidente, al quale si chiederà essenzialmente una gestione capace di ridare al porto il suo ruolo storico di cerniera del Mediterraneo e di riportare Napoli nel gioco della competizione globale che si è sviluppata tra le maggiori città del mondo (De Vivo 2007; Mariotti 2007).
Dai diversi elementi di analisi sinora presentati e riprendendo al-cuni degli interrogativi posti da Pasquino nell’introduzione al volu-me di March e Olsen (1992, pag. 13), viene naturale chiedersi: «chi, come e quando, costruisce quali istituzioni, con quali risorse, con quali preferenze, garantendo quale accesso a quali interessi, pla-smando quali identità collettive?» Di più, quanti significati assume la stessa riforma a seconda degli attori che entrano, di volta in volta, in
azione? Uscito dalla scena il primo presidente, la seconda fase del percorso di attuazione si contraddistingue per l’ingresso di altri sog-getti e per l’accentuazione degli aspetti imprenditoriali. Mentre il primo presidente si era occupato di decifrare le regole che il cam-biamento imponeva e di rileggerle calandole nella realtà napoletana, il necessario passaggio successivo doveva necessariamente essere quello di dare concretezza alle scelte già effettuate e di ampliare il quadro delle decisioni su temi, come quello dell’internazio- nalizzazione, utili al suo sviluppo futuro. La designazione per l’incarico di presidenza assume localmente il significato di una svolta rispetto alla precedente gestione. Per la ricerca della nuova candida-tura si attivano soprattutto i governi locali – comune e regione en-trambi guidati dal centro-sinistra23 – appoggiati dall’associazione de-gli industriali e dai sindacati, che vode-gliono ora una personalità capa-ce di integrare, più che escludere, altri attori nel procapa-cesso di negozia-zione degli interessi e di dare maggiore impulso all’anegozia-zione manage-riale. La scelta ricade su una figura professionale che ha mostrato una notevole capacità organizzativa e gestionale nelle sue precedenti esperienze. Si tratta di un livornese – quindi un soggetto estraneo al contesto – che ha diretto il porto di Civitavecchia dal 1995 (appena a ridosso della riforma quadro del ’94) proiettandolo in una dimensio-ne internazionale; che è riuscito a far cooperare, secondo il dettato della legge, pubblico e privato, drenando risorse finanziarie da quest’ultimo, riattivando negli investimenti il circuito dell’impren- ditoria locale e facendo, in definitiva, affluire ingenti finanziamenti sulle opere di ammodernamento di questo porto. Sul piano relazio-nale egli ha inoltre sviluppato dei significativi rapporti: è stato presi-dente dell’associazione dei porti italiani e ha dedicato una parte della sua vita alla carriera politica. Senatore della Repubblica di un partito di sinistra (il PDS), il suo curriculum è comunque denso di consulen-ze professionali in comitati dei trasporti e dei lavori pubblici e ha contribuito piuttosto all’elaborazione del testo di riforma dei porti (in sostanza, alla stesura della legge 84/94). Una figura poliedrica e trasversale, un tecnico e al contempo un politico, che gode di buone relazioni anche in Confindustria e che conosce personalmente alcuni dei maggiori esponenti del centro-sinistra locale. La sua designazione mette fine a una stagione di divisioni e di conflitti, ma la vera posta in gioco riguarda i finanziamenti che iniziano ad affluire sulle opere da realizzare per il porto, molti dei quali resi disponibili dalla legge 23 Alle elezioni regionali del 2000 Antonio Bassolino diventerà governatore
della regione Campania. A seguire, nel 2001, alle elezioni comunali sarà sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino.
413 del 1998. Come eserciterà il secondo presidente le sue preroga-tive decisionali? Per quali iniziapreroga-tive saranno utilizzati tali finanzia-menti? Quali soggetti pubblici e privati beneficeranno maggiormen-te delle decisioni assunmaggiormen-te? È su questi aspetti cruciali della gestione amministrativa che emergerà lo stile di direzione adottato nella con-duzione dell’autorità portuale dal 2000 al 2008.
9. Tra interessi e strategie.
Gestione del passato e innovazione ricercata
Gli interessi sociali ed economici che il nuovo presidente dovrà go-vernare sono tra loro differenti – in alcuni casi confliggenti – e il compito di contemperarli si presenta sin dall’inizio come un’operazione di sintesi complessa, che richiede una matura espe-rienza nei processi di negoziazione e nelle trattative che ne conse-guono. L’analisi dell’esperienza del suo predecessore lo rende parti-colarmente consapevole dei vincoli che potrebbe incontrare nel con-testo di riferimento della sua azione amministrativa, soprattutto in merito al processo di liberalizzazione. Per questo, il nuovo presiden-te ricerca una cooperazione istituzionale tra pubblico e privato e du-rante il suo mandato comincia a creare le precondizioni per la defi-nizione di un nuovo ordine di governo del porto. Il programma di lavoro da svolgere viene incardinato intorno a tre dimensioni: la ride-finizione dell’azione pubblica come cornice di regolazione delle a-zioni di altri soggetti, principalmente di quelli privati; il recupero della produttività dell’azione amministrativa (il suo rendimento) sul piano finanziario; lo sviluppo di concorrenzialità tra i privati per aumentare la qualità dei servizi e, all’occorrenza, per abbassare le ta-riffe praticate.
I concessionari e gli armatori, avendo compreso le sue intenzioni di imprimere una svolta di mercato nel modello di conduzione del porto, modificano ancora una volta atteggiamenti e preferenze, ri-tornando a opporre resistenza. Durante il mandato del primo presi-dente, avevano trovato un’ulteriore forma di legittimazione alle loro aspettative, convincendosi di avere acquisito, nel processo di libera-lizzazione che si apriva, una posizione e una condizione di vantaggio rispetto ad altri potenziali concorrenti. Come scardinare ora una tale convinzione che era emersa e si era rafforzata, come in un paradosso, attraverso la stessa attuazione della riforma?
La ridefinizione delle pratiche convenzionali e la ricerca di nuovi strumenti per governare la complessità del porto andranno di pari
passo con forme di adattamento al contesto in cui il presidente si troverà ad operare. Le alternative per lui disponibili erano abbastan-za ridotte: a) far saltare completamente gli accordi già stabiliti (au-mentando così la conflittualità nel sistema); b) cercare un accordo meno oneroso rispetto ai fini della riforma (ovvero concedere alcune cose e limitarne altre). La sua scelta ricadde sulla seconda opzione. Poiché non avrebbe avuto senso rimettere tutto in discussione, egli ha giocato la sua partita cercando una rinegoziazione con i privati. I termini dello scambio vengono rinnovati e si sostanziano nel fatto che egli si impegnerà a portare a compimento il programma di riqua-lificazione previsto della legge 413/98, non si opporrà alla richiesta di eventuale rinnovo delle concessioni, ma modificherà le condizioni per l’utilizzo del bene demaniale. In particolare, dove le attività lo consentono, impone alle società concessionarie di gestirle insieme ad altri e che qualsiasi soggetto intraprenda nel porto si faccia carico di investire capitali propri nei progetti di ammodernamento. In questo modo il presidente cerca di coniugare l’esigenza di mantenere gli ac-cordi già stipulati con quella di liberalizzare le attività, permettendo ad altre imprese di entrare nel mercato. In più, riesce a mobilitare capitale privato finalizzandolo al progetto di riqualificazione. Chi si opporrà alle condizioni stabilite sarà tagliato fuori dal gioco. Per ac-compagnare la svolta negli indirizzi di governo, si adopererà poi per costruire una sinergia proficua tra l’assetto decisionale e quello orga-nizzativo interno all’autorità portuale.
La struttura organizzativa dell’autorità portuale viene rafforzata attraverso l’immissione di figure professionali di elevato spessore tecnico, reclutate dall’esterno e dall’interno dell’amministrazione centrale e degli stessi uffici portuali dello scalo napoletano. Il presi-dente le seleziona con il fine di rinnovare e, soprattutto, per la neces-sità di circondarsi di persone di sua fiducia. Quando comincia il suo mandato è piuttosto diffidente e, dopo aver raccolto informazioni e ascoltato il personale, si convince che occorre dare un minore spazio di azione proprio a quei dipendenti appartenenti al nucleo che si era distinto con l’amministrazione precedente attraverso l’individua- zione dell’accordo sostitutivo. Prova così a scontrarsi con essi nel tentativo di ridimensionarli, ma resosi conto del tempo che avrebbe impiegato e del fatto che comunque lo avrebbero continuamente o-stacolato nelle sue scelte amministrative, opta per un’altra strada: quella della cooptazione e dell’alleanza, che riesce ad ottenere favo-rendo il loro passaggio a livelli più elevati della qualifica lavorativa o ad incarichi in posizioni maggiormente visibili e di responsabilità. La ridefinizione della struttura organizzativa, alla fine del processo di
aggiustamento, sarà cruciale nella prosecuzione delle attività relativa agli investimenti da realizzare attraverso la legge 413/98 soprattutto nella delicata fase di affidamento degli appalti alle aziende e nella lo-ro esecuzione.
10. L’apertura dei cantieri e la realizzazione delle opere Nel 2001 viene aperto il primo cantiere, dopo aver provveduto all’emanazione del bando di gara e alla relativa aggiudicazione dei lavori da parte delle imprese. Delle sette opere finanziate, due saran-no completate nel 2003, tre nel 2004 e le restanti due, rispettivamen-te nel 2006 e nel 2007. Si tratta di rispettivamen-tempi piuttosto rapidi, rispettivamen-tenuto con-to dei procedimenti cui esse devono sotcon-tostare e dei nuovi atcon-tori (le imprese) che entrano nel frattempo in gioco.
Sul piano strategico, la rete di attori pubblici e privati che si struttura intorno alla realizzazione delle opere pubbliche è il risulta-to di una peculiare combinazione tra le relazioni che il secondo pre-sidente ha sviluppato a livello locale e nazionale. Tra le aziende ap-paltanti, cui sono affidati i lavori dagli importi più rilevanti, vi sono delle cooperative che operano sul piano nazionale e che sono politi-camente affini con il partito da cui esso proviene.
Come in un gioco a incastro, esse sub-appaltano poi parte delle attività a cooperative locali ancora orientate verso il centro-sinistra. Le altre aziende, invece, gravitano già intorno al porto, avendovi e-seguito lavori. Solo in un caso si è in presenza di una società comple-tamente estranea a legami politici o commerciali nel porto, specializ-zata nel campo delle costruzioni marittime. La distribuzione degli appalti tra le aziende già dimostra l’esistenza della costruzione di un delicato equilibrio tra gli interessi economici e politici. È durante l’esecuzione dei lavori che si pone per il presidente nuovamente il problema dell’«adattamento al contesto».
In cinque dei sette lavori da realizzare, oltre alla progettazione, al-la società di consulenza viene affidata anche al-la direzione dei al-lavori. La decisione origina dall’esigenza di facilitare l’esecuzione delle atti-vità da parte dell’autorità, che trova nei progettisti della società un modo per fluidificare i rapporti tra le aziende esterne per certi versi estranee alle logiche e alle regole, per lo più informali, che permeano i rapporti tra i vari attori che popolano il porto e i concessionari del-le aree dove si devono eseguire i lavori.
Un rapporto quest’ultimo che si trasforma in alleanza durante al-cuni episodi critici che caratterizzano la realizzazione delle opere,
legati essenzialmente alla scarsa competenza lavorativa di una coope-rativa locale, al tentativo di utilizzare materiale di qualità scadente e di prezzo inferiore da parte di un’azienda, ad alcuni controlli da par-te di uffici compepar-tenti dell’amministrazione centrale che finiscono per rallentare i lavori. Per superare tali criticità si ricorre all’utilizzo della rete di relazioni, di livello locale e nazionale, generata dall’insieme dei rapporti posseduti dal presidente, dai progettisti e da alcuni dirigenti dell’autorità portuale. Di volta in volta, in relazio-ne ai problemi, essi cercano alleanze politiche e competenze tecniche per farsi aiutare nella ricerca della soluzione più adeguata. Per fron-teggiare degli ostacoli che emergono in corso d’opera, come la boni-fica del fondale, una competenza che investe il Ministero dell’Ambiente, il presidente ricorre alle conoscenze che ha tra alcuni esponenti politici del governo nazionale, finendo però per sentirsi osteggiato, piuttosto che supportato nelle sue azioni. Analogamente, quando si tratta di dover richiamare una cooperativa locale che non svolge bene il lavoro affidatogli, alcuni esponenti di un partito del centro-sinistra si intromettono e tentano di appianare l’accaduto. E-gli preferisce però utilizzare le regole contrattuali per sanzionarla e per sveltire il lavoro e migliorarne la qualità, assumendo decisioni impopolari sul piano politico ma tecnicamente valide. Le sue scelte, su questi aspetti, dimostrano quanta difficoltà egli incontri nel tenta-tivo di conciliare il doppio ruolo contemplato nel suo profilo: quello di un tecnico e di un politico.
Tra ostacoli procedurali superati, tensioni sorte e attenuate con la componente politica, contrasti appianati con le aziende appaltanti, si conclude il ciclo della legge 413/98, con le opere collaudate e rese fruibili alla cittadinanza.
11. La terza fase: un mandato incompiuto
Il protagonismo del secondo presidente sarà ancora più evidente nel corso del secondo mandato, quando riuscirà a costruire una visione e una programmazione delle attività dello scalo ancorate al reperimen-to di risorse regionali, nazionali e comunitarie. Il porreperimen-to viene ripen-sato alla luce di nuovi ampliamenti e ammodernamenti: si tratta di costruire un nuovo terminale (con una superficie prevista di 250.000 metri quadrati); di ristrutturare la stazione marittima; di creare un porto turistico; di migliorare la viabilità all’interno e all’esterno dell’area portuale. In questa prospettiva, l’uso di uno strumento legi-slativo quale è la legge 413/98 si può considerare come una sorta di
prova generale tesa a sviluppare il suo rapporto con la città, a cali-brare le sue azioni con gli attori locali e a misurarsi, in generale, con un contesto molto complicato. Naturalmente, la delimitazione del campo di analisi alla legge 413/98 non permette un giudizio definiti-vo sugli esiti complessivi della riforma, né sull’operato del presiden-te. Per fare ciò occorrerebbe continuare a indagare altri ambiti di in-tervento e gli ulteriori sviluppi e avanzamenti che si sono determina-ti.
Dal punto di osservazione che si è prescelto, restano tuttavia da compiere almeno tre riflessioni. La prima è che nonostante l’affermazione di un modello manageriale nella gestione amministra-tiva, con la conseguente distinzione tracciata tra gli indirizzi da parte del governo politico e l’attuazione da parte della burocrazia, il confi-ne tra le due sfere è stato spesso travalicato. Basti dire che l’ascesa professionale e il prestigio del secondo presidente sono stati messi in discussione da un avviso di garanzia ricevuto proprio a pochi mesi dalla scadenza del suo secondo mandato24 e legato ad una vicenda di
finanziamenti illeciti al partito politico di suo riferimento. La secon-da è che l’operazione di ammodernamento infrastrutturale di parti del porto ha comportato uno sforzo tecnico attuativo di assoluta ri-levanza, permettendo a navi più grandi di attraccare, di trasportare più passeggeri, di fare arrivare e partire più merci. I benefici di que-sta complessa operazione sono ricaduti sulla collettività, che si è ri-trovata finalmente un porto più moderno e funzionale. Il terzo aspet-to, forse quello più interessante, riguarda gli esiti del cambiamento auspicato dalla riforma, la liberalizzazione. A bene osservare attra-verso le modalità di gestione del provvedimento legislativo – la legge 413/98 – da parte degli attori-chiave emergono due interpretazioni della riforma. La prima è tesa alla salvaguardia degli interessi specifi-ci di determinati soggetti; la seconda è più diretta allo sviluppo di forme di liberalizzazione, anche se rimane orientata a generare delle innovazioni incrementali per non sconvolgere eccessivamente gli e-quilibri preesistenti. Entrambi i protagonisti considerati arrivano a produrre risultati in parte simili, giungendovi attraverso percorsi di-versi. Il modo in cui il secondo presidente ha condotto il gioco è più sottile, perché pur riproducendo lo status quo, ha cercato di cambia-re le cambia-regole di riferimento degli attori locali, costringendoli ad accet-tare un’idea – se si vuole blanda – di concorrenza. I termini, le con-dizioni e la durata delle concessioni che vengono rinnovate alla loro
24 Si dimetterà a dicembre del 2008, in anticipo rispetto alla scadenza del
se-condo mandato, prevista per febbraio 2009. Al suo posto arriverà un commissa-rio straordinacommissa-rio e successivamente sarà eletto come presidente un ammiraglio.
scadenza sono la dimostrazione che i concessionari più importanti riescono comunque ad ottenere ciò che si erano prefissi25. In cambio
però egli ottiene che le società concessionarie, come si è detto, si im-pegnino ad investire risorse finanziarie proprie nelle aree del porto che gestiscono. Non solo. Il presidente cerca di rompere il loro per-durante vantaggio competitivo attraverso un accordo stipulato in-formalmente che, sempre in cambio della concessione, impegna cia-scuno di esse a limitare la partecipazione alle altre gare o attività che si avviano nel porto per dare corso alla liberalizzazione. Così, quan-do si dismetteranno attività prima gestite dallo stato, attori privati diversi da quelli tradizionalmente presenti potranno entrare nei nuo-vi mercati che si creeranno. Quanto una simile strategia abbia ri-specchiato lo spirito della riforma è tutt’altra questione. Di certo, at-traverso la sua azione è riuscito a mediare a livello micro tra una plu-ralità di attori con interessi convergenti sul fine simbolico – l’idea della necessità del cambiamento – ma restii e anzi oppositivi rispetto ad una proposta concreta di liberalizzazione del mercato che avreb-be dovuto, in linea di principio, aprire la competizione ad altri sog-getti. Nuovi attori che, invero, occuperanno la scena in seguito, ri-chiamati dall’afflusso di altri finanziamenti pubblici per la costruzio-ne di infrastrutture. Resta il fatto che fino a quel momento si è raf-forzata la concentrazione da parte dei vecchi attori privati nella ge-stione di nevralgiche attività portuali.
12. Per concludere
Riallacciandosi all’ipotesi principale da cui si era partiti, ovvero agli effetti inattesi della riforma, resta da capire sino a che punto gli inte-ressi della collettività siano stati legittimamente preservati. La nascita di nuova forma di governance locale in un contesto dominato da in-certezza, ambiguità nell’interpretazione delle regole e da una plurali-tà di attori che co-determinano le decisioni, finisce per essere ancor di più condizionata dai caratteri dei singoli attori che sono alla guida del processo di cambiamento (McGuire 2011). Come si è visto, le modalità di interazione e le interdipendenze che si creano tra gli at-tori situati in specifiche reti di relazioni possono condurre alla nasci-ta di coalizioni opportuniste, quando non collusive, piuttosto che clusive (Bobbio 2006). Allentatasi la gerarchia e con essa in parte in-25 Addirittura, in alcuni casi, l’autorizzazione alla concessione avrà una