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Studi floristici e vegetazionali delle aree umide salmastre della Toscana settentrionale: il caso di Galanchio

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Biologia

Corso di Laurea Magistrale Conservazione ed Evoluzione

Classe LM 60

TESI DI LAUREA

Studi floristici e vegetazionali delle aree umide

salmastre della Toscana settentrionale: il caso di

Galanchio

Relatori

Candidata

Prof.ssa Tiziana Lombardi

AngelaSaggese Prof. Andrea Bertacchi

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INDICE

INTRODUZIONE……… PAG. 5 MATERIALI E METODI...……… PAG. 25 RISULTATI……….……… PAG. 43 DISCUSSIONE……….. PAG. 75 CONCLUSIONI………. PAG. 82 APPENDICE A………...……... PAG. 84 APPENDICE B………...…... PAG. 85 APPENDICE C……….. PAG. 91 BIBILIOGRAFIA……… PAG. 94

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Ringraziamenti

Si ringrazia il Personale del Parco Migliarino, San Rossore Massaciuccoli per la disponibilità nel fornire informazioni relative all’inquadramento legislativo dell’area studio, in particolare Luca Goreri e Antonio Perfetti.

La Dott. ssa Raffaella Grassi del Museo di Storia naturale del Mediterraneo della Provincia di Livrono per informazioni riguardanti la geologia dell’area.

Il Prof. Silvestri Nicola per informazioni relative alle caratteristiche chimico fisiche dell’area.

Per il prezioso sostegno, durante tutto il periodo di svolgimento della tesi, i relatori Prof.ssa Tiziana Lombardi e Prof. Andrea Bertacchi; un ringraziamento speciale anche al Dott. Valerio Lazzeri per quanto riguarda l’identificaziione delle specie censite nell’area nonché per il supporto durante alcune fasi critiche dello studio. La Dott.ssa Piccotino Diletta e Andrea Ermete Viti, personale tecnico del Laboratorio del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-Ambientali, per la loro simpatia, disponibilità e professionalità dimostrata nel corso delle indagini chimico-fisiche.

Un ringraziamento a mio padre Luigi Saggese che con sudore a fatica mi ha accompagnato e dato coraggio in quel che non sembrava possibile durante le attività di campo nella raccolta di campioni di terreni.

Ringrazio l’amica e Dott.ssa Barbara Giovannini, il Maestro Paolo Maggiore, mia madre e tutti gli amici per l’incoraggiamento durante tutti questi anni

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ABSTRACT

The Galanchio is partially brackish wetland area of about one hectare, located in Tuscany along the Pisan Coast.

It extends near the Cornacchiaia Reserve in the Tombolo Estate (Migliarino San Rossore, Massacciuccoli Regional Park) in front of the floodway channel.

The site represents the residue of much larger area of the estate which was made up of extended wooded swampy and very little anthropized bands. A reality that remained as such until the early 1900s, when the massive interventions of reclamation started to change the physiognomy of the territory with progressive disappearance of lamose areas characteristics, and the elimination of a large audienceforest, whose land was subsequently used for agricultural purposes.

The site despite being within the MSRM Regional Park and being recognized as wet area, has no recogniction as Ramsar area or any other form of special protection.

The study, played from April to October 2016, hallowed to outline the floristic and vegetational component as well as the feathures physical-chemist of the area under examination.

The chemical analysis confirm the brackish feathures of water and soil.

The good degree of conserved natural and its great naturalistic valence is demonstrated by the presence of high number of census species (133) including numerous floristic emergencies (10,5% of the total species) referd 9 proper to brackish environment.

The vegetation investigation highlighted 10 plant communities characteristics of brackish enviroment present in Habitat Directive 92/43 CEE one priority.

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RIASSUNTO

Galanchio è un’area salmastra parzialmente umida, localizzata in Toscana lungo il Litorale pisano.Si estende in prossimità della Riserva della Cornacchiaia nella Tenuta di Tombolo del Parco Regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli, davanti al Canale Scolmatore.

Il sito rappresenta ciò che rimane di un’area della Tenuta ben più ampia costituita da estese fasce boscate paludose e assai poco antropizzate. Una realtà che rimase tale fino ai primi del 1900, quando gli interventi massicci della bonifica iniziarono a mutare la fisionomia del territorio con la progressiva scomparsa delle caratteristiche zone lamose, e l’eliminazione di una larga fascia di bosco, il cui terreno fu successivamente utilizzato a fini agricoli. Nonostante si collochi all’interno di un Parco Regionale e sia identificato come “Zona umida”, Galanchio non è riconosciuto come area Ramsar ne è soggetto ad altre forme di protezione speciale.

Questa mancanza di tutela rende l’area, già di per sé molto fragile, a rischio costante di interventi antropici che possono comprometterne drasticamente le caratteristiche. Non sono rari i casi di utilizzo di Galanchio come spazio per il deposito di rifiuti di vario genere.

Sulla base di queste considerazioni è stato avviato uno studio volto ad approfondire le conoscenze sulle caratteristiche naturali dell’area a partire dalla componente floristico-vegetazionale al fine di valutarne le criticità e il dinamismo e il reale grado di valenza ambientale.

Le indagini, effettuate da Aprile a Ottobre 2016, si sono soffermate prevalentemente sulla flora angiospermica e sulla vegetazione estivo/autunnale seguendo i metodi canonici di campionamento e determinazione delle specie tramite la Flora d’Italia, rilievi fitosociologici tramite il metodo di Braun-Blanquet, nonché sulle sue caratteristiche chimico-fisiche.Le analisi chimiche confermano le caratteristiche salmastre di acqua e suoli.Il buon stato di conservazione dell’area e la sua valenza naturalistica è dimostrata dalla presenza di un grande numero di specie (133) incluse numerose emergenze floristiche (10,5%) del totale delle specie di cui 9 tipiche di ambienti salmastri.Le analisi vegetazionali hanno inoltre consentito di individuare 10 fitocenosi caratteristiche di aree salamstre presenti nella Direttiva Habitat (92/43 CEE) di cui una prioritaria.

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INTRODUZIONE

Le Zone Umide

Le zone umide (Wetlands) sono aree dove il fattore ambientale principale che controlla l’intero sistema, compresi animali e piante ad esso associati, è l'acqua.Si trovano infatti, dove la falda freatica è vicino alla superficie o dove il terreno è coperto da acque poco profonde.

Non essendo singoli ecosistemi (Centrostudinatura, 2010) ma un mosaico di ecosistemi dipendenti da caratteristiche naturali estremamente variabili per geologia, idrologia, clima etc., non è possibile dare una definizione univoca di

zona umida.

In letteratura si ritrovano, infatti, molteplici tentativi che sono spesso strettamente correlati agli obiettivi (biologici, geologici, economici, sociologici etc) per cui le definizioni stesse vengono formulate.

Per una migliore comprensione è comunque utile fare riferimento a quanto stabilito dalla Convenzione di Ramsar nel 1971 in base alla quale le zone umide si definiscono come(Ramsar Convention Seretariat, 2013):

"zone di acquitrino, palude o torbiera o acqua libera, sia naturali che artificiali, temporanee o permanenti, tanto conacqua ferma che corrente, dolce, salmastra o

salata, incluse le zone di acqua marina la cui profondità, durante la bassa marea, non superi i sei metri, ... incluse le zone ripariali ecostiere adiacenti alle aree umide o isole o tratti di acque marine la cui profondità non superii sei metri durante

la bassa marea"

In base a tale definizione per aree umide si possono intendere quindi molte delle zone allagate per tutto l’anno o solo in alcuni periodi, le aree di transizione tra ambiente terrestre e acquatico o anche le depressioni naturali e i suoli a scarsa permeabilità. Ne sono esempio i fiumi, i laghi, le paludi, le torbiere edanche le lagune costiere, i delta dei fiumi e tutte le aree umide artificiali, come adesempio le saline, le vasche di colmata, i bacini artificiali, le risaie ecc. In ogni caso si tratta di ambienti con peculiari condizioni fisico-chimiche determinanti lo sviluppo di peculiari comunità vegetali e/o animali.

Secondo l’UNEP World Conservation Monitoring Centre la distribuzione delle zone umide è molto ampia e diversificata andando dalle regioni di tundra ai tropici, e ricopre una superficie complessiva che si aggira intorno a 570 milioni di ettari, pari a circa il 6% della superficie della terra. Per quanto riguarda l’Italia secondo l’inventario realizzato dall’Ispra allo scopo di monitorare le popolazioni di uccelli acquatici, in Italia le zone umide rilevanti ai fini dell’Aewa (African Eurasian

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WaterbirdAgreement, finalizzato alla tutela dell’avifauna acquatica migratrice e dei loro habitat)sono 2.500 e coprono complessivamente una superficie di 6.000km2,

pari al 2% del territorio nazionale.

In base alla convenzione di Ramsar sono riconoscibili 5 tipi principali di zone umide:

• Marine (zone umide costiere comprese lagune, coste rocciose e scogliere coralline)

• Estuarine (tra cui delta, acquitrini e paludi di mangrovie) • Lacustri (zone umide associate ai laghi)

• Palustri (paludi e torbiere)

• Artificiali (stagni di pesca sportiva, laghetti di fattoria, canali etc.)

Si tratta in ogni caso di ambienti che rivestono un ruolo essenziale da molti punti di vista, siano essi ecologici che socio-culturali o economici. In questo contesto esiste una vastissima bibliografia che evidenzia le importanti funzioni delle zone umide, una sintesi delle quali viene riportata di seguito.

Importanza

- In termini ambientali è decisamente significativo il ruolo delle zone umide in diverse problematiche idrogeologiche quali la regolazione dei fenomeni naturali come le piene dei fiumi, il controllo dell’erosione e il consolidamento delle rive. Le paludi lungo i corsi d’acqua, per esempio, hanno un effetto a “spugna” raccogliendo le acque durante le piene, diluendo gli inquinanti e rallentando il deflusso delle acque e riducendo il rischio di alluvioni; restituiscono, inoltre al fiume, durante i periodi di magra, parte delle acque accumulate. In alcuni casi sono anche importanti serbatoi per le falde acquifere.

Dal punto di vista chimico/fisico questo tipo di habitat, grazie alla ricca e diversificata vegetazione, presenta un’ elevata capacità, di assimilare nutrienti (composti di P e N) con la possibilità di creare condizioni favorevoli per la decomposizione microbica della sostanza organica. Le zone umide possono quindi considerarsi “trappole per nutrienti” e“depuratori naturali”.Il fenomeno dei continui abbassamenti e innalzamenti del livello delle acque fa sì che i nutrienti subiscano un ininterrotto rimescolamento, rendendosi così costantemente disponibili.

Importantissimo il loro ruolo nella conservazione della biodiversità.Su scala planetaria, insieme alle foreste tropicali, alle barriere coralline e alle profondità oceaniche, le zone umide sono tra gli ecosistemi dove c’è un maggior livello di diversità di forme viventi. Alle medie latitudini, per esempio, nella fascia climatica temperata in cui si trova il nostro Paese, non esistono ambienti altrettanto ricchi di

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specie: boschi, praterie, macchie, steppe e altri ambienti terrestri, per quanto possano essere diversificati e possedere emergenze naturalistiche, non raggiungono il numero di forme viventi che contraddistinguono le zone umide.

Il motivo di questa straordinaria ricchezza biologica risiede nell’elevata produttività, abbinata a un alto livello di diversificazione. E’ stato stimato che in questi ambienti, la cui superficie è pari a circa il 3% di quella delle terre emerse, è immagazzinato oltre il 30% del carbonio totale presente sulla Terra.

Le condizioni fisiche di questi ambienti favoriscono un notevole sviluppo della biomassa vegetale (rappresentata sia dalle piante vascolari, che dalle alghe che vivono immerse nell’acqua). Questa enorme biomassa consente il sostentamento di un gran numero di organismi; al tempo stesso, la differenziazione di situazioni, legata alla variazione dei parametri chimico-fisici delle acque (salinità, pH, temperatura ecc.) e della conformazione morfologica (gradiente di profondità, tipologia del sedimento ecc.), permette la coesistenza in spazi relativamente ristretti di specie contraddistinte da esigenze ecologichedifferenti (Brinson et al., 1981; Wetzel, 1990).La tutela delle wetlands dovrebbe quindi andare nella direzione della conservazione e dell’incremento della diversità ambientale e del patrimonio genetico di flora e fauna selvatiche.

Se si analizza il ruolo delle zone umide in ambito sociale è da segnalare il loro utilizzo per svariate attività ricreative tra cui il birdwatching. Le Oasi WWF e LIPU, oltre a essere siti di protezione e conservazione degli habitat e delle specie, costituiscono luoghi elettivi per l’osservazionedell’avifauna acquatica e sono visitate da migliaia di persone all’anno.

Interessante in campo scientifico risulta il ruolo delle zone umide come fonte di materiali quali reperti di varia origine organica o meno.

Ne sono esempio le torbiere ambienti ricchi di acqua in cui, per la maggior parte dell'anno, la falda idrica si localizza sempre in prossimità, se non al di sopra, della superficie creando condizioni di anossia che ostacolano l'attività di decomposizione ad opera dei micro-organismi. Questo permette l’accumulo di materiale organico solo parzialmente decomposto che da origine alla torba nella quale possono anche rimanere intrappolati manufatti vari. All’interno della torbiera possono trovarsi anche i pollini di varie specie grazie ai quali è possibile ricostruire gli ambienti vegetali del passato nelle aree prossime alle torbiere stesse.

A riguardo molto interessante lo studio di una lente a torba, rinvenuta sotto 5 metri di ghiaia in una cava del veronese, che ha permesso di risalire alle specie arboree di oltre 18000 anni fa, che ricoprivano appunto il nord italia. Si trattava di foreste rade, soprattutto a conifere con qualche traccia di betulla nana e ontano verde. Nelle torbe abbondano anche frammenti di artropodi, in particolare ostracodi e coleotteri. Questo ha dato vita a quella disciplina denominata entomologia del Quaternario, che si è sviluppata soprattutto in Inghilterra.

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Minacce

-gli habitat acquatici (torbiere, acque dolci e costiere) sono senza

dubbio fra quelli maggiormente minacciati in Europa (Report UE Art.17, 2016). Solo il drenaggio e la conversione in terre agricole hanno contribuito a ridurre la superficie delle aree umide europee di più della metà. La loro perdita ha contribuito direttamente all’erosione della biodiversità e alla perdita di molte specie. In generale, le minacce arrivano su più fronti: degrado degli habitat, gestione dell'acqua, agricoltura, turismo, inquinamento, gestione rifiuti, attività di estrazione, pesca, sfruttamento delle foreste, urbanizzazione.

Tra le principali cause vi sono:

a. distruzione diretta–considerate per molto tempo ambienti “ostili e malsani”,le zone umide sono state oggetto di imponenti opere di bonifica che, attraverso i secoli, hanno condotto ad una loro inesorabile contrazione che nelle aree interne (non costiere) ha rischiato di provocarne la completa scomparsa. Tali interventi sono stati spesso accompagnati dal rimaneggiamento del terreno che costituisce una minaccia diretta e indiretta per gli habitat e le specie.

La bonifica delle zone umide ha segnato periodi storici diversi a partire dall’epoca romana, caratterizzando anche profondi sconvolgimenti sociali (si pensi alle popolazioni venete trasferitesi in Lazio per la bonifica delle paludi Pontine avviata nel 1777). Per meglio comprendere il fenomeno basta ricordare che in epoca romana esistevano in Italia 3.000.000 di ettari di zone umide, circa il 10% del territorio nazionale. All’inizio del XX secolo esse si ridussero a 1.300.000 per giungere secondo alcune fonti (Cuizzi et al., 2005) a 190.000 ettari nel 1972, lo 0,6% dello stesso territorio; secondo altre fonti (Montemaggiori,1996) si sarebbero invece ridotte a 300.000 ettari nel 1991, l’1,1% del territorio nazionale.

I processi di perdita e di degrado hanno comunque interessato non solo il nostro territorio matutta l’Europa e l’intero bacino del Mediterraneo (Finlaysonet al., 1992; Tucker e Evans, 1997; Casale et al,2000). Negli ultimi duemila anni è andato perduto il 60% delle aree umide europee: l’estensione di questi ambienti ancora oggi esistenti in tutto il bacino del Mediterraneo è di circa 28.500 km2, una

superficie grande appena come la Sicilia (Pearce e Crivelli, 1994).

Fortunatamente ad oggi, il rischio posto dalle grandi “bonifiche”almeno in Italia e in molti paesi europei, praticamente non esiste più, grazie anche a regolamenti comunitari che incentivano la protezione delle zone umide da parte degli agricoltori che in diverse occasioni hanno potuto usufruire di contributi per mancati redditi (regolamenti CE) a favore del mantenimento e ripristino di questi ambienti. E’ per questo che si ritiene debba essere incentivatala politica Agraria Comunitaria (PAC), volta a favorire le misure più compatibili con l’ambiente, in particolare le misure agroambientali. Tra queste ve ne sono diverse che consentirebbero uno sviluppo di attività agricole più compatibili, rispetto alle attuali, per la gestione degli ecosistemi acquatici. Vi sono, ad esempio, l’arboricoltura da legno o per la produzione di biomasse o il ritiro dei coltivi per ricreare aree naturali come zone umide. Anche in questo modo si possono creare opportunità per offrire redditi alternativi agli agricoltori, rafforzandone una funzione legata alla manutenzione del

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territorio.

Se da un lato le grandi opere di bonifica non sono più un pericolo, dall’altro vi sono ancora numeroseattività che tendono a compromettere le ultime aree naturali rimaste. In particolare molteopere infrastrutturali hanno coinvolto o interessano zone umide.Ne sono esempio la canalizzazione ecementificazione dei fiumi che hanno determinato la scomparsa di numerose paludi perifluviali o l’inquinamento delle acque che ha compromesso interi habitat o la captazione indiscriminata che hatrasformato intere zone umide in lande semiaride.

b. caccia, pesca, acquacoltura- la scomparsa delle specie animali che vivono nelle zone umide è strettamente connessa all'attività venatoria causa anche di un pesantissimo inquinamento da piombo (circa 25000 tonellate annue) dei suoli e delle acque dei corpi idrici con gravi conseguenze anche sulla salute umana e ovviamente degli stessi uccelli acquatici (saturnismo). Il tutto è reso ancora più preoccupante dalla gestione dell’attività venatoria ormai di competenza delle regioni e spesso soggetta alle priorità elettorali. Ma le Regioni non sono le sole responsabili dell’attuale situazione di cosiddetta“deregulation”, perché anche in Parlamento si discutono nuove leggi di riforma della materia che nulla hanno a che vedere con la protezione e la tutela della fauna selvatica e quindi dell’ambiente naturale.

Oltre alla caccia anche le attività di pesca e di acquacoltura presenti nel Mediterraneo già ai tempi dei Romani, rappresentano una forte minaccia allo stato di salute delle aree umide. La domanda di pesce per l'alimentazione umana è aumentata in maniera tale che ben 46.000 Km di aree costiere mediterranee vengono sfruttate per l’allevamento ittico, con un fortissimo impatto sull'ambiente, soprattutto nelle lagune vicine al mare (Rosecchi & Charpentier, 1995). Nel 1993 la produzione globale ottenuta attraverso gli impianti di acquacoltura, soprattutto di tipo intensivo, ha superato ii 16.000 milioni di tonnellate di pesce (marino e di acqua dolce) e molluschi. Tutto questo ha comportato e comporta un notevole impatto sull'ambiente e la sua componente biotica, in particolare a causa dei cambiamenti fisico-chimici prodotti dalle acque che rifluiscono in natura da questi impianti e delle immissioni di specie non appartenenti alla nostra fauna e flora. La sovrabbondanza di sostanze nutrienti reimmesse dagli impianti di acquacoltura in aree umide come le lagune costiere, già di per sé ricchissime naturalmente di nutrienti, provoca gravi fenomeni di eutrofizzazione, con conseguente riduzione delle piante fanerogame ed aumento spropositato della biomassa algale. Ciò, come ben noto, provoca anossia nelle acque e conseguente moria delle specie aerobiche (pesci, ecc.). Oltre all'eccesso di nutrienti vengono poi immessi nelle acque moltissimi antibiotici, pesticidi ed alghicidiutilizzati nell’allevamento ittico di tipo intensivo.Un altro problema è legato alla biodeposizione di materiale organico prodotto comeresiduo dai molluschi allevati. Questo materiale, mescolato a filamenti di muco, formapseudofeci che tendono a sedimentare sul fondale creando biodepositi.

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c. inquinamento naturalistico -un altro notevole problema che riguarda lezone umide e in generale le acque interne è l’introduzione, più o meno continua, di specie esotiche. Questo problema è specialmente grave negli ambienti acquatici in cui risulta quasi impossibile contrastare la diffusione di specie invasive che entrano in diretta competizione con le specie autoctone causandone in molti casi la completa scomparsa. Ne è un esempio eclatante il settore dell’ittiofauna, gravementeminacciato a causa delle continue introduzioni di specie alloctone come i Persici Sole, i pesci Gatto, il pesce Siluro, i Rodeiamari oltre all’ormai naturalizzata Carpa (introdotta dai Romani) e a tante altre specie arrivate in tempi molto recenti.

d. rischio industriale - uno dei fattori di degrado che più minaccia le zone umide di molte parti della terra comprese quelle italiane, è l’inquinamento industriale.Questo fenomeno raggiunge proporzioni estremamente allarmanti in quelle aree che sitrovano nelle immediate vicinanze di grossi impianti industriali ad alto rischio come adesempio i poli petrolchimici. Molti di questi complessi sono tristemente noti per i loro impatti sull’ambiente e sulla salute umana. Il caso forse più ecclatante è quello di Porto Marghera, polo industriale altamente inquinante situato nel cuore della Laguna Veneta, unadelle zone umide più importanti d’Europa (individuata come Important Bird Biodiversity Area ma mai classificata aisensi della convenzione di Ramsar). Non si tratta però del solo caso. Molti dei complessi industriali più inquinanti del nostro paese sono situati nelle immediate prossimità di zone umide di grande importanza ambientale e conservazionista. Questo è il caso di Priolo, Augusta, Gela, Mantova e Ferrara. Lo sversamento di liquidi inquinanti all’interno di unazona umida comporta conseguenze ambientali particolarmente pesanti. Le sostanze inquinanti, in particolar modo i metalli pesanti e gli organoclorurati, entrano rapidamentenelle catene alimentari acquatiche, concentrandosi via via che si sale di livello trofico. Il processo di bioaccumulazione porta ad una moltiplicazione delle concentrazioni nei tessuti degli organismi che si trovano ai vertici delle catene alimentari come i rapaci o lo stesso uomo. Gli inquinanti tendono anche ad accumularsi nei sedimenti delle zone umide persistendo così anche a molti anni di distanza dalla cessazione degli sversamenti. Oltre“all’ordinario inquinamento” si aggiunge il rischio di incidenti che possono provocare vere eproprie catastrofi ambientali: un caso ecclatante è stato lo sversamento di reflui di minieraricchi in metalli pesanti che ha devastato pochi anni fa le zone umide a ridosso del Parco Nazionale di Doñana in Spagna, una delle più importanti zone Ramsar d’Europa.

A tutto ciò possiamo aggiungere, come altro fattore limitante la conservazione delle aree umide,la crescente ed eccessiva domanda di acqua da parte dell'uomo che rischia di compromettere lo stato di salute dell’ambiente e quindi il suo stesso benessere. Problema questo aggravato dall’incremento costante della popolazione umana che pare destinata ad aumentare di 70 milioni ogni anno.

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Le Zone Umide Salmastre

Le aree umide salmastre sono aree di transizione tra la terra e il mare e si rinvengono all'estremità di bacini sedimentari in prossimità di lagune, delta o estuari fluviali; possono essere direttamente connesse al mare e quindi interessate dalle maree come le lagune, oppure isolate da questo da fasce sabbiose come molti stagni salati (Beeftink, 1977).

In ogni caso, gli habitat che si vengono a creare in queste situazioni presentano livelli di salinità dei substrati che non raramente raggiungono valori molto elevati,>33.000 ppm. Salinità che, pur in presenza anche di altri sali, è determinata in larga misura dal cloruro di sodio (NaCl), di cui è ampiamente nota la fitotossicità. Solitamente tali concentrazioni non sono comunque mai costanti e variano nell’arco dell’anno, in base alle stagioni, alla piovosità, all’irraggiamento solare, alla temperatura, alle fasi di marea ed eventualmente anche agli apporti fluviali di acqua dolce.

Caratteristica comune di questi ambienti è di conseguenza, la presenza di comunità vegetali formate per lo più da specie con un elevato grado di alotolleranza (dalle alofite obbligate alle alofite facoltative) che possono crescere e riprodursi ove la maggior parte delle altre piante non riuscirebbe a sopravvivere. In questo ambito si possono distinguere specie tipiche delle aree lagunari, direttamente soggette ai flussi tidali, e che sopportano periodiche e spesso giornaliere sommersioni di acqua di mare, e specie delle aree limitrofee separate dal mare, non soggette direttamente ai moti di marea, nei cui suoli comunque, almeno in determinati periodi dell’anno, a causa dell’innalzarsi delle temperature e della conseguente intensa evaporazione, si verifica un aumento della concentrazione di sali (Ungar, 1991; Sen e Mohammed, 1994).

I valori massimi di concentrazione di sali nel substrato, si rinvengono paradossalmente nel secondo caso, dove, in condizioni estreme,si possono registrare livelli tre volte maggiori della stessa acqua di mare (Chapman,1964). Ciò è in relazione al fatto che nelle aree lagunari, i suoli delle barene, prevalentemente argillosi e privi di porosità, costituiscono una facies impermeabile alla penetrazione dell’acqua salata (Silvestri e Marani, 2004). In entrambi i casi tuttavia, le acque dolci di drenaggio dei bacini retrostanti o dei fiumi che permanentemente o periodicamente si riversano o esondano nelle aree salmastre determinano, nello spazio e nel tempo, fluttuazioni nei valori di salinità estremamente elevate, determinando spesso un mosaico di condizioni ecologiche diverse e quindi di habitat differenti .

Dal punto di vista fisiologico, le specie che colonizzano questo tipo di ambienti devono essere in grado di superare condizioni di stress duplice, idrico e salino, in quanto i suoli, anche in presenza di acqua, possono risultare nel complesso non solo salini in senso stretto ma anche fisiologicamente aridi. L’elevata concentrazione di sali in essi presenti, può, infatti, dare luogo ad una pressione osmotica tale da impedire alla maggior parte delle piante di assorbire l’acqua

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dolce disponibile.Fintanto che la concentrazione salina rimane al di sotto dello 0,5% (massimo 1%) i sali agiscono generalmente come stimolatori per la crescita dei vegetali. Quando però tale concentrazione si eleva,i sali diventano tossici per tutte le piante, eccetto naturalmente per quelle specializzate e conosciute con il termine di alofite in contrapposizione alle glicofite (Taiz et.al., 2002) tipiche di habitat dove le concentrazioni di sali determinano una EC i cui valori si mantengono al di sotto dei 4 dS/m.

Il comportamento delle specie alofile o alotolleranti non è comunque univoco presentando modi e gradi diversi di adattamento che possono essere ricondotti a 3 modelli generali (Khan e Ungar, 1995):

• Alcuni generi come Salicornia, Salsola e Suaeda accumulano cloruro di sodio all’interno dei vacuoli cellulari e somigliano alle cosiddette piante “grasse” con fusti e foglie per lo più succulente. Nei loro tessuti la concentrazione salina può arrivare fino al 10%, come nel caso della Salicornia, e questo gli permette di assorbire acqua dall’ambiente esterno grazie all’elevata tensione di assorbimento osmotico generata.

• Una scarsissima permeabiltà ai sali è invece caratteristica delle radici di altre piante alofite quali il genere Artemisia (A. coerulescens ed A. maritima) e l’Aster tripolium. Queste specie vivono su suoli meno salati delle precedenti e ricavano la tensione di assorbimento necessaria per l’assunzione dell’acqua accumulando nelle loro cellule composti organici.

• Il terzo gruppo di piante alofile è infine costituito da quelle specie con radici sprovviste di barriere fisiologiche che assorbono l’acqua salata ma riescono poi ad espellere il sale attraverso apposite cellule secretrici presenti nel fusto e nelle foglie. Il genere Limonium ne è un tipico esempio. A questo gruppo appartengono molte specie, tipiche non solo dei suoli salati costieri ma anche di quelli continentali desertici e/o di steppa.I soluti disciolti nella zona radicale, infatti, generanoun potenziale osmotico negativo, che abbassa il potenziale idrico del suolo. Poiché le foglie necessitano di sviluppare un potenziale idrico più negativo rispetto al suolo, per mantenere un gradiente in "discesa" tra suolo e foglie, il bilancio idrico generale della pianta viene quindi modificato.

Dal punto di vista vegetazionale, a seconda delle diverse condizioni ambientali quali il tipo di suolo (sabbioso, limoso o argilloso), la durata media di emersione dall’acqua, la concentrazione salina dell’acqua circolante ecc., si instaurano comunità differenti di piante alofile e/o alotolleranti.

La distribuzione spaziale della vegetazione alofitica negli ambienti salmastri è normalmente organizzata spazialmente in “patches” (Silvestri et. al., 2003) la cui dinamica è, in molti casi, estremamente complessa. Molti studi hanno infatti,

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evidenziato come le dinamiche delle zone umide salmastre non sempre seguono gli schemi classici della successione, soprattutto in caso di mutamenti ambientali. Questo in apparente contrasto con l'assunto più generale, secondo il quale in una zona salmastra, dopo una fase iniziale di colonizzazione da parte della vegetazione pioniera, variabile nel tempo e nello spazio, i substrati divengono più stabilie compatti, ottimali per lo sviluppo di nuove specie, producendo a loro volta cambiamenti verso un ecosistema maturo e stabile o climax.

Per riuscire a dare comunque una breve descrizione di questo tipo di vegetazione occorre innanzitutto evidenziare che la zonazione tipica di questi ambienti, dipende in primo luogo dalla durata del periodo di emersione che può essere persistente o occasionale. Possiamo cosi distinguere:

a. vegetazione perennemente sommersa– si tratta di vegetazione (sia

piante superiori che alghe) condizionata principalmente da salinità, temperatura e profondità ma anche dalla granulometria del suolo. Facendo riferimento alle zone umide costiere come lagune, velme o barene, è possibile notare come i fondali sabbiosi siano spesso popolati dall’associazione pioniera dominata dall’alga verde “a candelabro” Lamprothamnium papolosum. Spingendosi verso la fascia prettamente marina e in fondali sempre sabbiosi ma più profondi questa specie può essere sostituita dalla Posidonia oceanica, una monocotiledone estremamente importante per lo sviluppo della catena trofiche marina. I fondali fangosi di profondità molto bassa, talvolta emersi nei periodi estivi, sono invece popolati prevalentemente da Ruppia spiralis, spesso accompagnata da diverse specie di alghe verdi. I fondali fangosi più profondi perennemente sommersi (da 1 a 10 metri) invece sono spesso colonizzati da Zostera marina e Zostera noltii. Nelle acque salmastre di stagni e fossati vicini al mare dominano popolamenti con Ruppia maritima, Zanichellia palustrise più raramente Najas marina. Altre piante superiori comunemente associate a quelle appena citate sono Potamogeton pectinatus, Ranunculus baudotii e Callitriche obtusangola. Negli estuari, dove vi è una progressiva minore concentrazione salina via via che si procede verso l’interno, sono tipici i raggruppamenti a Phragmites australis e/o Agrostis stolonifera, specie che comunque non riescono a tollerare salinità maggiori dell’1%.

b. vegetazione terrestre degli stagni salmastri (Fig. 1)- le piante più

tipiche delle velme, delle barene e dei bassi argini degli stagni salmastri periodicamente emersi/sommersi sono le “Salicornie”, piccole piante carnose, sia annuali che perenni, che danno luogo a vaste praterie e le cui molteplici specie,molto simili tra loro, risultano difficili da classificare con precisione.Grazie alla loro presenza i limi vengono accumulati e via via dando luogo all’innalzamento del suolo che, non essendo più soggetto all’immersione, permette l’instaurarsi della comunità vegetale successiva dominata da specie di graminacee come quelle appartenenti al genere Puccinellia. I territori marginalmente interessati dalle maree (e quindi dall’afflusso di acque salmastre) spesso sono anche colonizzati

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dalle specie di Spartina più resistenti alle salinità elevate e a lunghi periodi di sommersione, che formano gruppi sparsi,e accumulano sedimento inducendo quindi anch’essa l’innalzamento del suolo.

La comunità successiva a quella di Spartina, situata ad un livello leggermente più elevato, è rappresentata dalle praterie dominate da Puccinellia maritima. Anch’essa tollera molto bene periodici momenti di sommersione in acque salmastre anche a salinità elevate e, come anche le praterie di Spartina, riesce dare origine ad accumuli di limo che possono arrivare a 5 cm all’anno.

I Puccinellieti si sviluppano generalmente in una zona che può andare dai 15 cm al di sotto ai 25 cm al di sopra del livello medio dell’alta marea. Solitamente generano dei tappeti erbosi compatti in cui compaiono altre specie vegetali alofile qualiHalimione portulacoides, Suaeda marina, Spergularia media, Cochlearia anglica, Glaux maritima, Limonium vulgare, Plantago maritima, Aster tripolium, Artemisia maritima, Triglochin maritima.

Successivamente ai puccinellieti, o a volte in concomitanza, vi è una zona a giunchi generalmente dominata da Juncus gerardi, J. acutus e J. Maritimus accompagnati a loro volta da Armeria maritima, Limonium vulgare, Plantago maritima, Triglochin maritima, Festuca rubrae Agrostis stolonifera.

Fig. 1 – Alcuni esempi di specie tipiche delle zone umide salmastre. Da sinistra Limonium narbonense Mill., Salicornia sp., Salsola soda L.,

Halimione portulacoides L., Plantago maritima L., Tripolium pannonicum

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Breve Escursus Normativo Sulle Aree Umide

Di seguito vengono brevemente illustrate le principali convenzioni e direttive recepite a livello europeo in merito alle problematiche ambientali delle zone umide.

Conservazione degli habitat

Convenzione di Ramsar - La convenzione fu preparata con una serie di

conferenze internazionali e riunioni tecniche, tenute negli anni sessanta per lo più sotto gli auspici dell'Ufficio Internazionale di ricerca sugli uccelli acquatici (IWRB).

Venne stipulata a Ramsar in Iran nel 1971 è stata uno dei primi accordi internazionali volti alla conservazione della vita delle zone umide. La convenzione, ad oggi sottoscritta da più di 150 paesi per oltre 900 Zone Umide, rappresenta ancora l'unico trattato internazionale moderno per la tutela di questi ambienti.

L'evento determina una svolta importante nella cooperazione internazionale per la protezione degli habitat, riconoscendo l'importanza ed il valore delle zone denominate "umide", come ecosistemi con altissimo grado di biodiversità e habitat vitale per gli uccelli acquatici. L’articolo 2 prevede infatti che:

“ciascuna Parte contraente terrà conto dei suoi impegni a livello internazionale, ai fini della conservazione, della gestione e di un razionale uso delle popolazioni

migratorie di uccelli acquatici”.

La convenzione è stata recepita in Italia attraverso la legge di ratifica D.P.R. 13

marzo 1976, n. 448 come:"Esecuzione della convenzione relativa alle zone umide

di importanza internazionale soprattutto come habitat di uccelli acquatici"

Direttiva Uccelli 79/409/CEE - la Direttiva europea si prefigge la protezione, la

gestione e la regolazione di tutte le specie di uccelli viventi allo stato selvatico ed è applicata ad uccelli, uova, nidi e habitat. Obiettivo della Direttiva è quindi la protezione di determinate specie ornitiche che assume come strumento prioritario la protezione degli habitat in cui tali specie hanno il proprio ambiente vitale. Le finalità di conservazione vengono perseguite attraverso l’adozione, da parte degli Stati membri, di misure atte a preservare, mantenere o ristabilire per tutte le specie di uccelli di cui all’art.1 una varietà e una superficie di habitat, tra le quali spicca l’istituzione delle Zone di Protezione Speciale (ZPS). Le ZPS si sviluppano presso i siti considerati importanti per le specie ornitiche contenute nell’Allegato I (Specie soggette a particolari misure di conservazione) della Direttiva che include specie che presentano particolare vulnerabilità in quanto minacciate di estinzione, considerate rare, danneggiabili da alcune alterazioni del loro habitat o per la particolare specificità di esso. Le stesse modalità di protezione

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vengono adottate per le specie migratrici non in Allegato I con particolare riferimento alle zone umide e specialmente delle zone di importanza internazionale (ai sensi della Convenzione di Ramsar). In Italia la Direttiva è stata recepita dalla legge 157/92 Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio.

Direttiva Habitat 43/92/CEE - uno dei principali strumenti di conservazione della

diversità biologica avente come scopo principale quello di creare “…un sistema coordinato e coerente (una rete) di aree destinate alla conservazione della diversità biologica presente nel territorio dell'Unione Europea…". Il recepimento della Direttiva è avvenuto in Italia nel 1997 attraverso il Regolamento D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357 modificato ed integrato dal D.P.R. 120 del 12 marzo2003. La conservazione della biodiversità in base a questa direttiva, si attua attraverso l'istituzione di una rete di aree protette, destinate alla conservazione delle biodiversità sul territorio dell’Unione Europea, la cosidetta RETE “NATURA 2000” (Minambiente, 2017) a cui appartengono i SIC (Siti di Importanza Comunitaria), istituiti dalla presente direttiva, e le ZPS istituite ai sensi della direttiva 79/409/CEE.

La creazione di Natura 2000 è stata l'occasione per comporre una rete di referenti scientifici di supporto alle Amministrazioni regionali, che, coordinata dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, continua a produrre risultati in termini di verifica e aggiornamento dati. Le attività svolte, tutte finalizzate al miglioramento delle conoscenze naturalistiche sul territorio nazionale, vanno dalla realizzazione delle check-list delle specie alla descrizione della trama vegetazionale del territorio, dalla realizzazione di banche dati sulla distribuzione delle specie all'avvio di progetti di monitoraggio sul patrimonio naturalistico, alla realizzazione di pubblicazioni e contributi scientifici e divulgativi.

La Rete Natura 2000, ai sensi della Direttiva "Habitat" (art. 3), contempla anche l’istituzione di Zone Speciali di Conservazione (ZSC).

Le ZSC vengono designate secondo le seguenti fasi:

• Definizione degli habitat e delle specie da salvaguardare (Allegati 1 e 2 della Direttiva)

• Individuazione da parte degli Stati membri delle aree con habitat e specie da tutelare e da proteggere rigorosamente (pSIC) (Siti di importanza comunitaria proposti)

• Adozione da parte della Commissione Europea degli elenchi di aree da proteggere (SIC) (Siti di importanza comunitaria)

• Designazione entro 6 anni dalla selezione, da parte dello Stato membro interessato, del sito come Zona Speciale di Conservazione (ZSC) attraverso l'adozione di un piano di gestione.

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La Direttiva riporta oltre ai 25 articoli, anche 5 allegati. L’allegato I specifica l'elenco degli Habitat naturali la cui conservazione richiede la designazione di ZSC. L’allegato II individua in particolare le specie la cui conservazione richiede l’istituzione di ZSC. L’allegato III specifica i criteri di selezione delle aree suscettibili di essere designate ZSC. L’allegato IV elenca le specie per le quali è necessario adottare misure di rigorosa tutela e delle quali è vietata qualsiasi forma di raccolta, uccisione, detenzione e scambio a fini commerciali. L’allegato V elenca infine le specie il cui prelievo in natura può essere sottoposto a opportune misure di gestione.

In particolare l’Allegato 1 contiene l'elenco degli habitat di interesse comunitario e meritevoli di conservazione in quanto:

1) rischiano di scomparire nella loro area di ripartizione naturale; ad esempio le zone umide;

2) hanno un'area di ripartizione naturale ridotta a seguito della loro regressione oppure perché la loro area è intrinsecamente ristretta;

3) costituiscono esempi notevoli di caratteristiche tipiche di una o più delle regioni biogeografiche: alpina, atlantica, boreale, continentale, macaronesica, mediterranea, pannonica e steppica.

Gli habitat naturali prioritari sono quegli habitat naturali che rischiano di scomparire, e per i quali la CE ha una responsabilità particolare a causa dell'importanza che la loro presenza riveste nel territorio europeo.

Con il DPR n° 357 dell'8/9/1997 modificato e integrato dal DPR n° 120 del

12/03/2003 l'Italia recepisce la direttiva europea 92/43/CEE.

Per la consultazione degli habitat italiani diinteresse comunitario é stato creato un manuale online (Habitat Italia, 2016).

Nel caso specifico della Toscana si deve menzionare anche la LR 30/2015

“Norme per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturalistico-ambientale regionale. Modifiche alla l.r. 24/1994, alla l.r. 65/1997, alla l.r. 24/2000 ed alla l.r. 10/2010”che sostituisce la Legge Regionale 56/00.

Con appositi Allegati alla legge vengono individuati:

• gli habitat naturali e seminaturali e le specie animali e vegetali di interesse regionale, la cui conservazione può richiedere la designazione di Siti Natura 2000 (Allegato A)

• i siti classificabili di Importanza Comunitaria (SIC), le Zone di Protezione Speciale (ZPS), e i Siti di Interesse Regionale (SIR) (Allegato D)

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Ad oggi l'insieme dei SIC, ZPS e SIR in Toscana ha raggiunto le 167 unità per una superficie complessiva di circa 332mila ettari, quasi il 15% dell'intero territorio regionale. In questo numero sono compresi anche i 10 SIC marini designati con DCR n. 35/2011 quale primo contributo della Regione Toscana all'estensione a mare della Rete Natura 2000.

Le caratteristiche ecologiche di ciascuno dei siti Natura 2000 (SIC/ZSC e ZPS) sono riportate in schede Natura 2000 consultabili e scaricabili sul sito del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Regione Toscana - Biodiversità, 2017). Tali schede rappresentanola base conoscitiva di riferimento principale per analizzare le potenziali incidenze che (ai sensi degli articoli 88 e 89 della LR 30/2015) un intervento o un piano di sviluppo possono avere sulle specie ed habitat per i quali un sito Natura 2000 è stato designato.

Nel Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli dove si inserisce l’area di studio, attualmente sono presenti 4 SIR/SIC e ZPS (Fig. 2 - Parco Regionale Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli, 2017):

• Dune Litoranee di Torre del Lago • Macchia Lucchese • Lago e Padule di Massaciuccoli • Selva Pisana L’area di Galanchio ( Fig. 2) pur trovandosi in prossimità del SIC/SIR Selva Pisana non ne è ad oggi ufficialmente incluso e quindi non inserito negli stessi programmi di gestione e tutela.

A riguardo é di notevole interesse una recente Delibera da parte della Regione Toscana (AA.VV., 2015), che prevede la possibilità di ampliamento del SIC/SIR "Selva Pisana" a comprendere le dune litoranee del sito e le zone umide contigue verso l'entroterra, compresa anche l’area salmastra di Galanchio le cui

Fig. 2 - Siti S.I.R e Z.P.S del Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli

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caratteristiche ambientali e naturalistiche non sono state fino ad oggi mai indagate.

Direttiva 60/2000/CE - direttiva che si occupa delle acque superficiali interne,

di transizione, costiere e sotterranee per le quali propone un regime di tutela delle acque integrato il cui strumento operativo è costituito dal piano di bacino.

La Direttiva non include direttamente le zone umide nel ciclo delle acque e non fornisce obblighi o raccomandazioni che le riguardino direttamente; esse tuttavia, pur non essendo direttamente chiamate in causa, sono parte integrante della gestione del territorio e del reticolo idrografico dei bacini. La Direttiva riconosce infstti, tra le varie premesse, la necessità dell’uso razionale e della conservazione delle zone umide, in ragione della funzione svolta per la protezione delle risorse idriche.

In merito all’applicazione pratica di quanto previsto dalla Direttiva da parte dei paesi dell’Unione, nel 2001 la Commissione Europea ha istituito un processo di consultazione allargato che ha portato alla redazione di specifiche linee guida. Tra questi documenti, un rilevante contributo concernente la funzione delle zone umide nell’ambito della Direttiva è fornito da Wetlands Horizontal Guidance–

Horizontal Guidance Document on the Role of Wetlands in the Water Framework Directive, la linea guida sulle zone umide, redatta nel 2003. Il

documento nasce allo scopo di definire il ruolo delle zone umide nell’ambito della gestione di bacino e di indicare la loro rilevanza rispetto al piano di bacino ed agli obiettivi previsti dalla normativa.

Poichè la Direttiva non fornisce una definizione specifica di zone umide che ne consentano l’identificazione e una stima dell’importanza, la linea guida ha come obiettivo una definizione esaustiva che si possa interfacciare con il testo di legge e comprensiva di tutti gli ambienti acquatici minori considerati.

A tale scopo è stata quindi adottata una definizione “operativa” che si articola in cinque categorie di zone umide indirettamente richiamate nella Direttiva (Pacini, 2005):

▪ corpi idrici fluviali, lacustri, acque di transizione e acque costiere

▪ piccoli elementi di acque superficiali non identificati quali corpi idrici ma connessi a corpi idrici superficiali

▪ elementi di qualità idromorfologica facenti parte di corpi idrici superficiali quali le zone riparie, le rive e le zone intertidali

▪ ecosistemi che hanno un’influenza significativa sulla qualità o la

quantità delle portate che confluiscono in corpi idrici superficiali o in acque superficiali ad essi connesse

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Conservazione delle specie a livello nazionale e internazionale

Per quanto concerne la conservazione delle specie sono da citare:

Convenzione di Berna - relativa alla conservazione della vita selvatica e

dell'ambiente in Europa (Berna, 19 settembre 1979). Ha per scopo di assicurare la conservazione della flora e della fauna selvatiche e dei loro habitat naturali. Nell' Allegato 1 della convenzione si trovano le specie di flora rigorosamente protette

Cites/Convenzione di Washington - accordo internazionale stipulato nel 1973 tra

i governi e volto a controllare il commercio di animali e piante (vivi, morti o parti e prodotti da essi derivati). In particolare:

• specie minacciate da estinzione il cui commercio (importazione-esportazione) deve essere soggetto a norme severe

• specie non necessariamente minacciate ma il cui commercio (esportazione) richiede un controllo rigoroso

• specie non minacciate ma il cui commercio richiede controllo

Liste Rosse – principale strumento a disposizione dell’Unione Mondiale per la

Conservazione della Natura (IUCN), la più antica e universalmente riconosciuta organizzazione internazionale che si occupa di conservazione della biodiversità, proteggendo sia le specie che gli habitat a rischio. In esse si trovano, sulla base di specifici criteri, valutazioni sullo stato di rischio di estinzione a livello di specie.

Ogni nazione aderente ha le sue liste rosse di diversi gruppi sistematici, tra cui quelli riguardanti la flora le cui specie vengono valutate innanzitutto come:

• Policy Species (PS) taxa appartenenti agli allegati II, IV e V della Direttiva “Habitat” 92/43/CEE

• Non Policy Species (NPS), non protette a livello nazionale ed europeo. Ad oggi in totale, sono state valutate 396 specie, così suddivise: 297 piante vascolari, 61 Briofite, 25 Licheni e 13 Funghi.

Inizialmente la Lista Rossa IUCN raccoglieva le valutazioni soggettive del livello di rischio di estinzione secondo i principali esperti delle diverse specie. Dal 1994 le valutazioni sono basate su un sistema di categorie e criteri quantitativi e scientificamente rigorosi, la cui ultima versione risale al 2001. Queste categorie e criteri, applicabili a tutte le specie viventi a eccezione dei microorganismi, rappresentano lo standard mondiale per la valutazione del rischio di estinzione. Per l'applicazione a scala non globale, inclusa quella nazionale, esistono delle linee guida ufficiali.

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Gli obiettivi di questo lavoro sono sostanzialmentecinque:

• Creazione di una rete di esperti per la valutazione del rischio di estinzione delle specie di vertebrati in Italia

• Valutazione del rischio di estinzione per tutte le specie di vertebrati terrestri e un gruppo di vertebrati marini

• Identificazione delle principali minacce antropiche ai vertebrati valutati e delle azioni di conservazione necessarie per contrastarle

• Identificazione delle specie e degli ambienti a maggior rischio in Italia

• Creazione di una base di riferimento utile a valutare la tendenza dello stato di conservazione della biodiversità in Italia, confrontando negli anni a venire il rischio di estinzione delle specie con quello del 2013.

AllegatiII, IV e V della Direttiva Habitat 92/43/CEE –Gli stati membri in base

all’art. 11 della direttiva sono tenuti a garantire la sorveglianza dello stato di conservazione per le specie elencate negli allegati II, IV e V. Gli elenchi allegati alla Dir. 92/43/CEE, aggiornata dalla Dir. 2006/05/CE contengono, rispettivamente:

• le “Specie vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di Zone Speciali di Conservazione (ZSC)” (All. II),

• le “Specie vegetali che richiedono una protezione rigorosa” (All. IV),

• le “Specie vegetali di interesse comunitario il cui prelievo nella natura e il cui sfruttamento potrebbero formare oggetto di misure di gestione”(All. V). Per ulteriori approfondimenti sulle normative complessive relative alle zone umide si veda box successivo (da D’Antoni et al., 2011).

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Normativa sulle zone umide

Convenzioni:

- Convenzione Ramsar (Iran, 1971), recepita con D.P.R. del 13 marzo 1976 n. 448 (G.U. 3 luglio 1976, n. 173, S.O.)

- Convenzione per la protezione del Mar Mediterrano dai rischi dell'inquinamento, o

Convenzione di Barcellona (1976), ratificata con Legge del 27 maggio 1999 n. 175 (G.U. 17 giugno 1999, n. 140, S.O.)

- Convenzione sulla Conservazione delle Specie Migratrici degli Animali Selvatici, o CMS (Bonn, 1979), approvata dal Consiglio delle Comunità Europee con decisione 82/491/CEE (G.U.C.E. 19 luglio 1982 n. L210) - Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa (Convenzione di Berna, 1979), recepita in Italia con la legge n. 503 del 5 agosto 1981.

- Convenzione Diversità Biologica (Rio de Janeiro, 1992), ratificata con Legge del 14 febbraio 1994 n. 124 (G.U. 23 febbraio 1994, n.44, S.O.)

Direttive UE e normativa di recepimento nazionale:

- Direttiva ”Uccelli” 2009/147/CE (ex 79/409/CEE) concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GUE n. 20/L del 26 gennaio 2010)

- Direttiva “Habitat” 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche (G.U. delle Comunità Europee n. L206 del 22 luglio 1992)

- D.P.R. 357/97 modificato e integrato con il D.P.R. n.120/2003 “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997 n. 357, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche‖

- D.M. 3-9-2002 “Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000” il cui scopo è l'attuazione della strategia comunitaria e nazionale rivolta alla salvaguardia della natura e della biodiversità, oggetto delle direttive comunitarie “Habitat” (art. 6) e “Uccelli”

- D.M. 17-10-2007 “Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS)”

- D.M. 11-6-2007 “Modificazioni agli allegati A,B,D ed E del Decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e s.m. in attuazione della direttiva 2006/105/CE del Consiglio del 20 novembre 2006, che adegua le direttive 73/239/CEE, 74/557/CEE e 2002/83/CE in materia di ambiente a motivo dell‘adesione della Bulgaria e della Romania. (S.O. n. 150 alla Gazz. Uff. n.152 del 3-7-2007)

- Direttiva Quadro Acque 2000/60/CE - D.Lgs. 152/2006 “Norme in materia ambientale”

- D.M. 16-06-2008, n. 131 “Regolamento recante i criteri tecnici per la caratterizzazione dei corpi idrici (tipizzazione, individuazione dei corpi idrici, analisi delle pressioni) per la modifica delle norme tecniche del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante: “Norme in materia ambientale», predisposto ai sensi dell'articolo 75, comma 4, dello stesso decreto.” (Gazz. Uff. 11 agosto 2008, n. 187, S.O.);

- D.M. 14-04-2009, n. 56 “Regolamento recante «Criteri tecnici per il monitoraggio dei corpi idrici e l'identificazione delle condizioni di riferimento per la modifica delle norme tecniche del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante Norme in materia ambientale, predisposto ai sensi dell'articolo 75, comma 3, del decreto legislativo medesimo». (Gazz. Uff. 30 maggio 2009, n. 124, S.O.)

- D.M. 17-7-2009 “Individuazione delle informazioni territoriali e modalità per la raccolta, lo scambio e l'utilizzazione dei dati necessari alla predisposizione dei rapporti conoscitivi sullo stato di attuazione degli obblighi comunitari e nazionali in materia di acque.” (Gazz. Uff. 2 settembre 2009, n. 203)

- D.M. 8-11-2010, n. 260 “Criteri tecnici per la classificazione dello stato dei corpi idrici superficiali - Modifica norme tecniche Dlgs 152/2006” (Gazz.Uff. 7 febbraio 2011, n. 30, S.O. n. 31)

- Direttiva sulla “Strategia Marina” 2008/56/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino (G.U. L 164 - 2008)

Normativa nazionale (esclusi i decreti di recepimento delle suddette Direttive e Convenzioni):

- L. 394/91 “Legge quadro sulle aree protette”

- L. 157/92 “Norme di protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” - D.LGS. 42/2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio” – detto Codice Urbani

Accordi internazionali

- MEDWET – Mediterranean Wetland Initiative, in applicazione della Convenzione di Ramsar (Grado, 1991) - AEWA - Agreement on the Conservation of African-Eurasian Migratory Waterbirds in applicazione della Convenzione di Bonn (Aia, 1999)

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Le Zone Umide in Italia

Le zone umide d’importanza internazionale riconosciute ed inserite ufficialmente nell’elenco della Convenzione di Ramsar per l’Italia sono ad oggi 52, distribuite in 15 Regioni, per un totale di 58.356 ettari. A queste se ne aggiungono altre 13 già istituite per emanazione Ministeriale e, per le quali al momento, è in corso la procedura per il riconoscimento internazionale: le zone Ramsar in Italia saranno dunque 65 e ricopriranno complessivamente un’area di 78.969 ettari (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, 2016) (Fig. 3).

A questo tipo di ambiente appartengono in realtà diverse tipologie di habitat differenziate già da De Maria (1992) tra Zone umide naturali (laghi interni, laghi montani, laghi costieri, torbiere, fiumi, estuari, delta, stagni, lagune etc.) e Zone umide artificiali (casse di espansione, cave di inerti, vasche di colmate etc.) a cui si possono aggiungere acque sotterranee, risaie, falde freatiche o bacini idroelettrici.

Secondo le opinioni più recenti la rete di zone umide presente nel nostro territorio può considerarsi un vero e proprio sistema linfatico che ci protegge e ci difende dagli effetti del cambiamento climatico. La stessa Commissione Europea ha dimostrato recentemente,

studi alla mano, che le alluvioni prodotte dal cambiamento climatico costeranno all’Europa, un conto molto salato quantificabile solo per l’Italia in 5 miliardi di euro all’anno. Una rete di zone umide ben gestite e protette sarebbe quindi una protezione cruciale dal rischio alluvioni: un insieme di piccoli e grandi capillari capaci di assorbire e distribuire efficacemente il carico d’acqua, mitigando gli effetti nefasti delle alluvioni.

“Se in molti paesi europei si è registrata nel XX secolo una perdita di oltre il 50% della superficie originaria di zone umide, per quanto riguarda l’Italia una recente indagine Ispra ha evidenziato come il 47,6% di questi ambienti sia in “cattivo” stato di conservazione, il 31,7% “inadeguato” e solo il 4,7% è in uno stato “favorevole”: le cause sono da ricercare nello sviluppo urbano, nell’agricoltura intensiva, nell’inquinamento, nelle modificazioni del regime idrogeologico, nell’introduzione di specie invasive e nei cambiamenti climatici, che agiscono in

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sinergia e su scale diverse, causando effetti assai rilevanti sugli ecosistemi e conseguentemente sui loro servizi, per ricadere in definitiva anche sulla nostra società( http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/italia-solo-47-delle-zone-umide-buona-salute/)”.

Tra le aree umide del territorio italiano, rivestono notevole importanza ambientale tutti i corpi idrici in cui le concentrazioni saline assumono valori variabili con il mutare delle condizioni pedo-climatiche, fino ad arrivare a livelli molto elevati. Si tratta di aree

umide salmastre (salt marshes)

rinvenibili per lo più alla foce dei principali corsi d'acqua o nei litorali planiziali, ove non si siano verificate bonifiche o eccessive trasformazioni antropiche.

In Fig. 4 sono evidenziate le aree salmastre ad oggi censite per l’Italia lungo gli 8000 km di costa (Bertacchi et al., 2007):

• le grandi lagune di Grado-Marano e Venezia-Chioggia

• le estese aree umide lungo il delta del fiume Po, • i grandi laghi costieri della Puglia,

• le aree di Noto e Pachino nell'area sud orientale e di Trapani in quella nord occidentale per la Sicilia,

• le aree salmastre lungo quasi tutta la costa della Sardegna,

• le aree umide litoranee tosco-laziali, con le Lagune di Sabaudia, Burano ed Orbetello, • le zone estuarine dei fiumi Tevere, Ombrone eArno

Per quanto riguarda nello specifico la Toscana, regione in cui si inserisce l’area di studio, i dati relative alle aree umide complessive sono ancora piuttosto discordanti e variano molto nel tempo. Secondo Tomei e Guazzi (1993) le zone umide naturali sarebbero 55 tra montane, fluviali, costiere dulciacquicole, costiere salmastre e carsiche, mentre secondo censimenti più recenti sarebbero solo 38, di cui 11 di importanza internazionale, per una superfície occupata di 15.816,80 ha (ISPRA, 2011).

Fig. 4 - Aree umide salmastre presenti nel territorio italiano

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MATERIALI E METODI

Inquadramento area studio

Localizzazione -

L’area di studio di Galanchio si inserisce nel Parco naturale Regionale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli situato in Toscana nelle Province di Pisa e Lucca (Fig. 5). Istituito nel 1979 (Legge Regionale n. 61) con lo scopo di tutelare gli aspetti storico-ambientali del litorale pisano e lucchese“in funzione dell’uso sociale di tali valori”, rappresenta uno dei primi parchi italiani di istituzione regionale e il secondo in Toscana dopo il Parco della Maremma istituito nel 1975.

Nel 2004 il Parco è stato riconosciuto dall'UNESCO (sezione dell'ONU per l'educazione, la scienza e la cultura) quale Riserva della Biosfera (Parco Regionale Migliarino, San Rossore, Massacciucoli, 2017), col nome di "Selva pisana". Questa Riserva é parte del Programma mondiale MaB (Man and the

Fig. 5 - Ambiti amministrativi Parco MigliarinoSan Rossore Massaciuccoli

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Biosphere) e attualmente comprende anche il complesso dei Monti Pisani e territorio agroforestale di Collesalvetti.

Il Parco si estende per circa 24.000 ettari lungo la costa tirrenica in un territorio planiziale di recente formazione, compreso tra Viareggio e Livorno (Fig. 6) e caratterizzato da un’accentuata difformità pedo-climatica. Nonostante la vicinanza a centri fortemente antropizzati sono ancora presenti diversi e ampi ambienti del tutto naturali, con flora e fauna tipiche e rare, tali da suscitare costantemente

l’interesse del mondo

scientifico per una loro tutela e conservazione.

Dal punto di vista

strutturale ancora oggi, il Parco è suddiviso in Riserve

naturali e in Tenute storiche

; queste ultime derivanti dalla suddivisione dei possedimenti terrieri di proprietà di casate importanti come Medici, Lorena, Borbone, Salviati e Savoia e della Mensa Arcivescovile (Vettori, 2005).

Nello specifico, Galanchio fa parte della Tenuta di

Tombolo (tra le coordinate

geografiche 43°35'45" e 43°41'45" di latitudine Nord e 2°5'30" e 2°10' di longitudine Ovest) situata nel Comune di Pisa ed estesa su una superficie pressoché rettangolare di circa 5000 ettari nella fascia litoranea tirrenica, compresa tra l'ultimo tratto dell'Arno a Nord, il sistema di canali di drenaggio al confine tra le province di Pisa e di Livorno a Sud, il vecchio canale di Navicelli a Est ed il Mar Tirreno ad Ovest.

Dal punto morfologico l'area della Tenuta si presenta come una pianura

Fig. 6 – Tenute e Riserve del Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli

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lievemente ondulata grazie ad una tipica successione di cordoni sabbiosi: tomboli o cotoni, che correndo paralleli alla costa, si alternano a zone depresse e periodicamente allagate denominate lame, le cui condizioni ecologiche e morfologiche sono state nel tempo fortemente modificate dall’azione degli agenti geomorfologici nonché dai massicci interventi di bonifica attuati all'inizio del secolo scorso. Negli anni compresi tra le due guerre alcune delle lame più grandi sono state inoltre utilizzate per lo scavo di una rete scolante di canali di bonifica collegata con impianti idrovori che assicurano il continuo drenaggio delle acque superficiali. Nel complesso, l’altezza dei rilievi si mantiene sempre al di sotto dei 10 metri, a differenza di ciò che avviene sulla destra orografica del fiume dove questo valore viene spesso superato. La caratteristica ondulazione rimane soltanto nelle zone del bosco, a causa dello delle lavorazioni nelle zone coltivate. La larghezza dei tomboli raramente supera i 100 metri, mentre quella delle lame è per lo più ancora minore. Il passaggio dalle zone rilevate a quelle depresse generalmente è progressivo. In talune zone l’alternanza di lame e cotoni è molto più fitta; ne consegue una larghezza dei rilievi molto più ridotta rispetto alla media generale.

Dal punto di vista idrografico oltre al fiume Arno ed al Canale dei Navicelli, la Tenuta si caratterizza per la presenza di una fitta maglia di canali drenanti di origine antropica, formata da canali principali paralleli alla costa (Nuovo Lamone, Collettore Occidentale), e canali secondari, sia paralleli sia perpendicolari alla predetta linea.

Cenni storici della Tenuta - la Tenuta di Tombolo apparteneva all'inizio del Medioevo alle famiglie imperiali tedesche; insieme alle altre Tenute del parco,

faceva parte della cosiddetta “selva Palatina”, retta e governata da feudatari locali fino alla metà del secolo XI, quando venne donata alla Diocesi di Pisa (Rupi, 1985).Durante questo periodo, il territorio di Tombolo, coperto da boschi e paludi, si presentava ben poco antropizzato, e solo in parte bonificato nei pressi di San Piero a Grado, unico centro abitato presente all'interno della Tenuta, sorto attorno all'omonima storica basilica.

La Tenuta di Tombolo, a differenza delle altre Tenute che passarono ben presto in possesso a nobili famiglie di Pisa e Firenze, rimase proprietà della Mensa Arcivescovile di Pisa fino al 1866, anno in cui, a seguito della promulgazione della Legge di incameramento dei beni della Chiesa (7 luglio 1866), passò al Demanio dello Stato italiano.

La gestione del territorio sotto la Chiesa non diede luogo a mutamenti sostanziali, probabilmente per mancanza di mezzi finanziari, e per scarso interesse a sviluppare rendite. L'area era caratterizzata dall'alternanza di zone dunali più asciutte, e di zone depresse e palustri, testimonianza della lenta evoluzione della linea di costa.

Le zone rialzate parallele chiamate "Tomboli" rappresentano infatti, altrettante fasce dunali, che si sono formate in corrispondenza di successivi arretramenti del

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mare.I boschi e le macchie che coprivano la Tenuta erano costituiti da querce, lecci, pini, cerri, eriche.

Nella prima metà dell'XIX secolo furono effettuati alcuni interventi quali la piantumazione di pinete e la creazione di alcuni fossi ad andamento irregolare (Lamone e Lamalarga); tali azioni limitarono le zone paludose, ma non modificarono in maniera radicale il rapporto fra zone umide e bosco.

In una mappa del 1850 si nota infatti, la zona di Arnovecchio completamente paludosa; sono ancora presenti le Lame ed il Galanchio, un vero e proprio lago situato nella parte meridionale della tenuta (Fig 7).

A partire dal 1920 venne organizzata la definitiva bonifica idraulica, che prevedeva l'installazione di 2 idrovore, situate alle estremità del Nuovo Lamone, in località Arnovecchio e Galanchio (ancora attive) e Nuova Lama Larga.

Queste idrovore, collocate nelle zone più depresse, elevano l'acqua immettendola in canali sopraelevati che la scaricano in mare.

L'opera di bonifica si concluse nel 1928, e mutò radicalmente la fisionomia del territorio, facendo scomparire la caratteristiche zone lamose, ed eliminando una larga fascia di bosco, il cui terreno fu successivamente utilizzato a fini agricoli.

Per quanto riguarda nello specifico Galanchio, l’analisi dei catasti storici della regione Toscana (Progetto Castore – Regione Toscana, 2006-2012), permette di effettuare una ricostruzione storica dell’area a partire dal 1954 ad oggi (Fig.8).

Nel 1954, 26 anni dopo la bonifica, l'area era interamente zona ad uso agricolo; a partire dal 1978 compare la prima zona umida dal lato terra; dal 1988 si osserva la comparsa della seconda area al lato mare. Da allora non sono avvenuti cambiamenti significativi.

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1954

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