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"IL PAESAGGIO AGROFORESTALE DEL MONTE TUTTAVISTA (NU)" Indagine conoscitiva sul paesaggio vegetale e agricolo ai fini della pianificazione territoriale

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INTRODUZIONE

L’intervento dell’uomo ha trasformato poco a poco tutti i paesaggi naturali e creato una nuova geografia della terra1.

Per sottolineare lo stretto legame fra uomo e paesaggio, e come questo sia l’opera risultante dalla trasformazione fisica dello spazio prodotta dall’antropizzazione, Massimo Giovannini afferma che, “il paesaggio è l’uomo”2.

Ancora, secondo Lucien Kroll “tutto è paesaggio…”3, ampliando il significato di questa definizione, il paesaggio “è la totalità dinamica è unitaria del mondo in cui viviamo”4.

La Convenzione Europea, per Paesaggio “designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”5.

Queste definizioni, sono solo alcune delle tante esistenti, e ciascuna è il risultato dell’assidua ricerca del significato complesso di paesaggio, che soprattutto nell’ultimo secolo, è stato oggetto di riduzione ad oggetto disciplinare6 al fine di fornire una definizione esatta.

Responsabile dell’accelerazione di tale ricerca è la visione innovativa, basata più sugli aspetti naturalistici e ambientali introdotti dalla pubblicazione della definizione scientifica di paesaggio. In risposta a questo “nuovo ordine”, si assiste alla nascita di due orientamenti che, per tutto il novecento si sono contrapposti sul ruolo assunto dall’uomo nel costruire il paesaggio. Il primo si inserisce nella visione ecologista, che studia e si interroga sulla capacità dell’uomo di modificare e turbare gli equilibri naturali, il secondo, quello umanista, che mette al centro del paesaggio l’uomo, dà molta importanza alla percezione, mediatore sensoriale attraverso il quale l’uomo si rapporta alla natura.

Sembra però che attualmente, molti studi si stanno muovendo in una direzione che, sempre più, conduce all’integrazione dei molteplici concetti. Gli ultimi sviluppi emergono dai recenti studi sulla comunicazione visiva e, soprattutto, da quanto espresso dalla teoria dell’informazione. Tali “sviluppi”, concordano sia con le teorie appartenenti alla grande

1

Mainardi, 1989.

2

Giovannini Massimo, Il Paesaggio è l’uomo, in Zagari F., Questo è paesaggio, Mancosu Editore, Roma 2006.

3

Lucien Kroll, Tutto è paesaggio, Testo&Immagine, Universale di Architettura, Torino 1999.

4

Romani V., Il Paessaggio. Teoria e Pianificazione. Franco Angeli, Milano 1986.

5

Art. 1, Convenzione europea del Paesaggio, Firenze 20 Ottobre 2000.

6

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corrente tradizionale, sia con quelle più recenti derivate dalla geografia e dall’ecologia (Maddalena Gioia Gibelli7).

Quindi, ciò che emerge da questa trattazione è che, anche se siamo sempre più vicini ad una concezione “olistica”8 di paesaggio, è altrettanto evidente come il concetto di paesaggio moderno sia ancora in fase di definizione.

Con l’auspicio di contribuire a sviluppare nuovi strumenti integrativi ed applicativi comuni a tutti i settori che si occupano di paesaggio, questa tesi si propone di fornire un possibile metodo di lettura del paesaggio, risultato della ricerca e dell’integrazione delle relazioni reciproche che accomunano le diverse discipline sul paesaggio. In particolare, l’attenzione verserà sulla ricerca della valenza ambientale e paesaggistica di un paesaggio agroforestale, indagando non solo per arrivare alla semplice conoscenza del territorio come risultato di uno studio mirato e sistemico, ma guardando invece anche su altri aspetti attraverso un processo conoscitivo basato su un progetto di paesaggio moderno in rotta con quanto afferma contenuti la Convenzione Europea del Paesaggio, che punti a far conoscere alla collettività le radici e la valenza del paesaggio dei territori che li circonda.

7

Maddalena Gioia Gibelli, Architetto, Vicepresidente del SIEP-IALE, Società Italiana di Ecologia del Paesaggio.

8

Olistica, è una posizione filosofica basata sull'idea che le proprietà di un sistema non possano essere spiegate esclusivamente tramite le sue componenti.

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Il Paesaggio

Primi a tutti ad utilizzare la parola paesaggio sono stati popoli di più antica civiltà come quello ebraico, dove il termine paesaggio (noff) compare già nel libro dei Salmi, circa tremila anni fa (Naveh and Lieberman, 1984). Questa parola, in ebraico noff, richiama alla percezione del paesaggio basata soprattutto sull’aspetto visivo (Ingegnoli, 2002).

A conferma di questa teoria sulle origini della parola paesaggio bisogna ricordare come, nel corso dell’evoluzione dell’uomo, la percezione visiva ha svolto una funzione fondamentale dal punto di vista ecologico: «nell’ambiente in cui l’uomo ha trascorso la maggior parte della sua fase evolutiva, la savana africana, solo una precisa percezione dell’ambiente esterno poteva consentire all’individuo di sopravvivere. Ne consegue che le modalità di percepire visivamente l’ambiente, e quindi il paesaggio, sono una parte essenziale del patrimonio genetico cosi com’è stato selezionato nel corso di milioni di anni» (AA.VV., 2006).

Il primo a dare una definizione scientifica (1840) del concetto di paesaggio (landschaft) è stato il bio-geografo tedesco Alexander von Humboldt che lo definì come “Der Totalcharakter einer Erdgegend”, ovvero, l’insieme dei caratteri propri di un determinato territorio, sia dal punto di vista percettivo che degli elementi naturali.

Dalle definizioni del concetto di paesaggio, più recentemente, grazie all’avanzamento degli studi sull’argomento si è passati alla scomposizione in base a logiche gerarchiche, che vedono il paesaggio come modello “pattern”, inserito all’interno di un’unità di paesaggio “landscape unit” facenti parte di un mosaico più grande, ulteriormente scomponibile in unità più piccole, come ad esempio gli ecotopi, da Zonneveld (1995), le teselas (tessere) da Rivas-Martìnez (2005), gli elementi da Blasi, Carranza, Frondoni e Rosati (2000).

Forman e Godron (1981, 1986) definiscono queste unità o elementi alla base della struttura del paesaggio come patches (tessere) di ecosistemi, e cioè “superfici non lineari apparentemente differenti dalle aree che le circondano”, insiemi di patches formano mosaici caratteristici che più corretto sarebbe chiamare ecotessuti (Ingegnoli, 1991).

All’interno degli ecotessuti si possono ulteriormente distinguere insiemi di patches che formano patches più grandi, corridoi e matrici. Questa scomposizione del paesaggio, corrisponde alla visone di ecomosaico di Forman e Godron secondo il modello patch-corridor-matrix model, dove i corridoi sono definiti come elementi di unione fra le tessere, e le tessere connesse dai corridoi sono chiamate “nodi”. Solitamente, i corridoi sono patches di forma allungata che svolgono funzioni sia di connessione che di separazione tra gli altri

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utenti, le matrici, rappresentano un aggruppamento di patches che determinano il carattere predominante dell’ecomosaico (ecotessuto), ad esempio, l’uso suolo prevalente.

Il paesaggio tuttavia è anche il risultato delle azioni e delle pressioni che l’uomo esercita sul territorio e dell’intensità con la quale queste si verificano. Il fattore antropico è infatti un fattore imprescindibile nello studio del paesaggio e di tutti i fattori che lo caratterizzano. Le attività antropiche da sempre hanno sfruttato il territorio e tutto ciò che comprende, con fini e scopi a vantaggio esclusivo dell’uomo, introducendo una alterazione più o meno marcata della naturalità di quasi tutti gli ecosistemi del mondo.

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Paesaggi italiani

Del ‘mosaico’ di paesaggi agroforestali di cui narra Goethe nel suo “Viaggio in Italia” (1786-1788), a noi non ci resta altro che il ricordo, e forse, la nostalgia di quel paesaggio primigenio che, anche se trasformato dalla secolare attività agricola, custodiva ancora molti elementi e tratti fisionomici naturali. L’autore, nella sua descrizione pur sia poetica dei paesaggi del nostro paese, è stato capace di tramandarci un’immagine chiara di quello che era il paesaggio rurale italiano di due secoli fa, il paesaggio della piantata padana, dell’olivo, della vite, del grano, verdeggiante e carico di profumi e colori in ogni stagione, caratteristico per l’esclusività del clima, distinto per l’ordine e le simmetrie del giardino all’italiana, immerso in una cornice di campi coltivati, pascoli e ampie superfici forestali.

Ancora, ci viene raccontato, della varietà di paesaggi che si incontravano percorrendo la penisola da nord a sud, di un territorio segnato da trasformazioni dovute soprattutto alle attività agro-silvo-pastorali, dove però tutto era ancora immerso in un contesto caratterizzato da un alto grado di naturalità, come non poteva altro che essere una società realmente rurale o un agro-ecosistema arcaico, segni di un paesaggio che permetteva ancora di scorgere la linea di separazione fra spazi abitati, aree rurali e paesaggio naturale, o per meglio dire semi-naturale.

Gli interventi che incideranno energicamente ed in maniera indelebile sui paesaggi del nostro paese, sono da attribuire all’edificazione di infrastrutture lineari come le ferrovie, avviate nel periodo pre-unitario, alla costruzione di strade e autostrade, alla diffusione della meccanizzazione e all’introduzione della chimica in agricoltura, e per finire, ai più recenti ‘mutamenti’ che si sono avuti principalmente nella breve ma intensa stagione dell’Italia “Repubblicana”, periodo nel quale il nostro paese ha conosciuto la trasformazione epocale del suo assetto territoriale, paesaggistico e insediativo9, che porterà successivamente alla definitiva trasformazione di quei paesaggi che per secoli di storia, hanno dato un’identità culturale alla società del nostro paese.

Questi mutamenti sono l’immagine prodotta dalla “patologia” territoriale (Kasanko et al. 2006) che ha afflitto tutta l’Europa fino alla fine del secolo scorso, esclusa la Gran Bretagna che, con la ben nota legge sulle “green belts”10, ha affrontato l’argomento sul tema fin dal

9

Arturo Lanzani, I Paesaggi italiani, Meltemi editore srl, Roma 2003.

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1935 per cercare di invertire la tendenza di consumo di suolo a favore dell’aumento delle aree urbanizzate a fini insediativi. Risulta comunque sempre più evidente come soprattutto nell’ultimo decennio successivo alla redazione della Convenzione europea del Paesaggio di Firenze, l’attenzione e la sensibilità da parte delle amministrazioni a livello sia nazionale che locale verso i temi ambientali e sul paesaggio, sia in continua crescita. Questo, nonostante spesso le notizie all’ordine del giorno sulle politiche di gestione territoriale, non sempre confermano questo ottimismo.

Le novità principali sui suddetti argomenti sono sorte soprattutto in campo legislativo, ma prima di entrare nel merito di questi ultimi, vediamo brevemente di puntualizzare la situazione italiana partendo da una domanda:

“cos’è stato ad innescare il processo di trasformazione che ha visto cambiare radicalmente i paesaggi italiani?”

L’occasione unica dell’Italia per salvare il suo immenso patrimonio paesaggistico si presentò con la fine della seconda guerra mondiale, quando uno dei problemi più urgenti che avrebbe dovuto affrontare era la ricostruzione del Paese, che era stato teatro di guerra e aveva subito notevoli danni. La fine della guerra doveva rappresentare un nuovo punto di partenza, il momento esatto per stabilire e mettere a punto le basi per una buona pianificazione e il governo del territorio, con lo scopo di salvaguardare l’esclusività di quei paesaggi, che come già detto, erano si il risultato delle trasformazioni dovute alle attività umane legate soprattutto all’agricoltura e alla pastorizia, ma che da secoli ci sono stati e ci vengono invidiati da tutto il mondo.

Al contrario, successivamente alla stasi insediativa che si era protratta sino agli anni quaranta circa, il paese si avviò verso un processo di ricostruzione e ristrutturazione senza uguali, che alimentato dal boom economico, perse progressivamente tutti i caratteri qualitativi e organizzativi stabiliti dagli strumenti urbanistici. Una delle conseguenze principali a questo disordine fu l’innescarsi di processi di speculazione edilizia seguita dalla destrutturazione delle città, dettata da fenomeni meglio conosciuti come ‘urban sprawl’11 (‘dispersione urbana’), e ancora, la perdita di identità nelle aree rurali causata dalle pressioni derivanti da questo nuovo modello di sviluppo e di trasformazione fisica del territorio, che ha portato alla

11

Urban Sprawl, città diffusa o dispersione urbana sono termini che stanno ad indicare una rapida e disordinata crescita di un'area metropolitana, anche in città di dimensioni medie, European Commission, 2006.

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disgregazione e frammentazione dei nostri paesaggi agroforestali e alla ulteriore perdita di nuove aree naturali, tutto dettato dall’efficacia negativa delle leggi del profitto capitalistico. Dunque, quella che poteva essere la più grande scommessa per il futuro del “Bel Paese”, finisce per risultare un’ulteriore sconfitta della quale oggi sono ancora visibili le conseguenze. Oggi, la nuova sfida arriva accompagnata dai pericoli mascherati dalla globalizzazione, la quale negli ultimi decenni sta alterando e velocizzando i modi di produzione, di sfruttamento del territorio e degli usi del suolo, procurando ai paesaggi grandi cambiamenti che stanno portando come conseguenza a un’ulteriore perdita di naturalità, identità e distintività12.

12

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Aspetti normativi sul Paesaggio

Nel 1920, Benedetto Croce13, l’allora ministro dell’ultimo governo Giolitti scrive: «Il paesaggio è la rappresentazione materiale e visibile della Patria con le sue campagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo»; questo concetto è il presupposto di ogni azione di tutela delle bellezze naturali che in Germania fu detta “difesa della patria” (Heimatschuz). Difesa cioè di quel che costituisce la fisionomia, la caratteristica, la singolarità per cui una nazione si differenzia dall’altra, nell’aspetto delle sue città, nelle linee del suo suolo. Da questa proposta, nel 1922 viene approvata la legge 778 che per prima introduce il termine paesaggio nella legislazione italiana. A questa legge ne seguiranno altre, però, la vera novità arriva nel 1985 con la legge 431, cosiddetta Galasso, la prima legge dell’ordinamento italiano a dare un significato più completo e moderno del concetto di paesaggio e di gestione del territorio. Quest’ultima infatti estende la tutela anche ad aree con caratteristiche “geografico-morfologiche” non puntuali come territori costieri, fiumi e torrenti, territori coperti da foreste e boschi.

Nonostante tutto, in Italia sembra che non sia stato ancora possibile arrivare a discostare i termini paesaggio, territorio e percezione dal senso estetico radicato nei comportamenti delle istituzioni responsabili della tutela, attribuitogli addirittura dal più recente Codice dei beni culturali e del paesaggio, cosiddetto ‘Codice Urbani’, legge 42 emanata il 22 gennaio del 2004, dopo che la legge n°137 del 6 luglio 2002 all’articolo 10, conferì al governo la: «delega per il riassetto e la codificazione in materia di beni culturali e ambientali»14.

Tale codice, è la risposta italiana alla crescente importanza assunta a livello internazionale dai temi in materia ambientale e paesaggistica soprattutto dopo la redazione della Convenzione Europea del Paesaggio il 20 ottobre 2000 a Firenze, la quale all’articolo 1 inizia presentando una nuova nozione di Paesaggio, il quale designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. Ancora, in favore di una visione comune e partecipata sul paesaggio, la Convenzione all’articolo 3, come obiettivi si prefigge lo scopo di promuovere la

13

Benedetto Croce è stato un filosofo, storico, scrittore e politico italiano, è considerato un importante protagonista della cultura italiana ed europea della prima metà del XX secolo.

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salvaguardia, la gestione e la pianificazione dei paesaggi e di organizzare la cooperazione europea in questo campo.

Quindi, perché di paesaggio si possa parlare oltre che in termini giuridici/concettuali, ed a favore è agli obiettivi comuni fissati dalla Convenzione, per evitare che la Convenzione rimanga solo una sorta di ‘direttiva’ di adeguamento in termini legislativi dei vari statuti dei diversi paesi firmatari, è necessaria, a mio parere, l’istituzione di un organismo, comune a tutti i stati sottoscriventi, presente fisicamente sul territorio, che sia in grado di vigilare sul rispetto delle linee condivise. Credo infatti che solo così si possa arrivare in futuro ad ottenere risultati ed esperienze condivisibili, evitando così che la Convenzione venga giudicata tra breve come una riforma limitata e per certi versi ‘monca’per incapacità di concretare quanto dettato negli articoli che ne formano il testo.

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Metodologie di studio del paesaggio vegetale

Per paesaggio vegetale, si intende l’insieme delle comunità vegetali spazialmente distribuite e caratterizzanti un determinato territorio (Biondi et al, 2002). La mera analisi basata sulla descrizione delle comunità vegetali non è però sufficiente a fornire un quadro dettagliato di un’unità paesaggistica. Il paesaggio vegetale può essere caratterizzato infatti da altre esclusività, queste sono legate perlopiù alla presenza/assenza di attività umane, dalla qualità e dalle dimensioni delle stesse, e dal livello di artificialità/naturalità che caratterizza il contesto. Il paesaggio agrario,“...quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale...” (Sereni, 1961), è l’esempio classico di territorio dove è maggiormente visibile l’intersezione e la confluenza di caratteri fra vegetazione naturale ed aree coltivate (Bertacchi e Onnis, 1998). Di stessa connotazione sono i paesaggi agroforestali, recepiti come il risultato dell’integrazione fra paesaggio vegetale sensu Arrigoni (1978), con il paesaggio agricolo sensu Sereni (1996). Questi paesaggi trasformati dall’uomo, sono il risultato di processi evolutivi segnati dalle attività e dalle utilizzazioni antropiche che affondano le radici nei vari passaggi storici che hanno concepito i paesaggi agroforestali odierni. Successivamente analizzare come queste hanno influito e continuano ad influire sulla composizione e l’estensione delle comunità vegetali costituenti una determinata unità di paesaggio. Tali situazioni si presentano soprattutto in contesti dove aree naturali o semi-naturali si trovano a contatto a zone agricole, forestali o in prossimità del tessuto urbano o di aree industriali. Lo studio della vegetazione è argomento di trattazione della Fitosociologia, che è la scienza che studia e confronta le diverse tipologie vegetazionali e ne ricerca le relazioni con i fattori ambientali. La fitosociologia, mediante il rilievo fitosociologico, mette in evidenza i tratti di vegetazione omogenea per dominanza di specie o di forme biologiche, denominati popolamenti elementari, che sono alla base di ogni studio di vegetazione. Riunendo in un'unica tabella un insieme di rilevi fitosociologici simili, si ha modo di dedurre un modello medio e astratto di un aggruppamento vegetale partendo da una serie di dati relativi a casi particolari e puntiformi. A questa entità astratta viene dato il nome di associazione vegetale. In base alla definizione data dal botanico svizzero Braun-Blanquet (1928), per associazione vegetale si intende "un aggruppamento, più o meno stabile e in equilibrio con il mezzo ambiente, in cui certi elementi quasi esclusivi (specie caratteristiche) rivelano con la loro presenza un'ecologia particolare ed autonoma". Nel metodo Braun-Blanquet la caratteristica

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più informativa per individuare senza ambiguità un preciso tipo di vegetazione e di ambiente vegetazionale, è la composizione floristica della fitocenosi.

Per la lettura del paesaggio vegetale, si ricorre a varie unità di riferimento individuabili in base a determinati parametri floristici, fitogeografici ed ecologici: l’associazione vegetale, la serie di vegetazione, il sigmeto e il geosigmeto, concetti che sono stati introdotti dai ricercatori nell’ambito della Scuola fitosociologica europea (Tüxen 1979; Géhu 1991, Rivas Martinez 1985).

Al di là di della metodologia di studio proposta dalla scuola sigmatista (Braun-Blanquet, 1951), basata sulla fitosociologia classica, che meglio si adatta a contesti contraddistinti da un alto grado di naturalità, lo studio della vegetazione e la lettura del paesaggio vegetale di ambienti dove la ‘vegetazione’ di un territorio, è il risultato evidente degli usi antropici, oltre che delle interazioni fra clima, pedologia, geomorfologia e altre peculiarità caratteristiche di ogni sito, a portare a designare altri criteri di studio, è proprio il grado di antropizzazione dell’area di studio, in base alla quale vengono messe a punto delle metodologie impostate su scomposizioni in tipologie, connesse al livello di naturalità/artificialità del paesaggio.

Sulla base di queste considerazioni è stato composto il metodo di studio del paesaggio vegetale improntato per l’area indagata in questo lavoro di tesi.

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