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«Il filo delle sparse pagine»: serialità e continuità nelle raccolte narrative di metà Novecento

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Academic year: 2021

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Miscellanea di studi in onore

di Giovanni Bardazzi

a cura di

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Volume finanziato dal

Département des langues et des littératures romanes dell’Università di Ginevra

e con il contributo

della Formation continue e dell’Atelier-théâtre «Il Ghiribizzo» dell’Università di Ginevra

ISBN 978-88-6760-443-2

2018 © Pensa MultiMedia Editore s.r.l.

73100 Lecce • Via Arturo Maria Caprioli, 8 • Tel. 0832.230435 25038 Rovato (BS) • Via Cesare Cantù, 25 • Tel. 030.5310994

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Premessa

Sul canone delle opere volgari di Dante GIULIANOTANTURLI

Petrarca Amans sine intermissione FRANCESCOBAUSI

Petrarchismo politico del Cinquecento: una canzone inedita di Filip-po Valentini a Ercole II

ALBERTORONCACCIA

Una «lacrima distinta». Echi di poemi cavallereschi nelle Rime di Lui-gi Groto, Cieco d’Adria

BARBARASPAGGIARI

«… uno dei più preziosi doni che possa far a noi poveri mortali la Provvidenza». Su una lettera di Metastasio

GEORGIAFIORONI

Bettinelli, il latino, il francese: una «praefatio» inedita del giovane Ce-sarotti

CARLOENRICOROGGIA

Vittorio Alfieri e l’invenzione della tramelogedia MARCOSABBATINI

Botta, Sismondi, Alfieri. Un’eco europea della polemica romantica italiana: Parigi, dicembre 1816

LUCABADINI CONFALONIERI

Foscolo dantista

MARIAANTONIETTATERZOLI

Lo spartito della rima interna e della rima al mezzo nei ‘Canti’ leo-pardiani STEFANO CARRAI 9 11 29 49 73 89 115 133 147 177 201

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Leopardi cerca casa. Su una lettera da ricollocare (e altre osservazioni sul carteggio con Giuseppe Melchiorri)

CHRISTIANGENETELLI

Sulla cronologia dei sonetti manzoniani LUCADANZI

I poeti e i contadini (Manzoni a Fauriel, 9 febbraio 1806) SIMONEALBONICO

Il ritorno alla Casa del Padre. La dottrina della penitenza nelle

Osser-vazioni sulla morale cattolica (1819)

FABIOJERMINI

Prima della battaglia. Ancora su Manzoni e Shakespeare ELENAPARRINICANTINI

Per l’Adelchi: semaforo rosso ISABELLABECHERUCCI

Il sublime di Martino. Comico e tragico nell’Adelchi VALTERBOGGIONE

Specularità e antagonismo nei personaggi dei Promessi sposi: note di lettura su fra Cristoforo e don Rodrigo

ROBERTOLEPORATTI

Incrementi grossiani. Con una lettera inedita di Alessandro Manzoni AURELIO SARGENTI

«Il gelsomino notturno». Una lettura GIANMARCO GASPARI

Sul «Cane notturno» di Odi e Inni. Una lezione pascoliana EMILIOMANZOTTI

«Tristi sulla terra ma felici nello spazio». I destini incrociati di Romai-ne Brooks, Gabriele d’Annunzio e Ida Rubinstein

RAFFAELLACASTAGNOLA

L’identità europea di Miss Ketty (Guido Gozzano, «Supini al rezzo ritmico del panka»)

MAURIZIOPERUGI 215 235 257 269 287 299 317 341 411 431 463 499 517

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UBERTOMOTTA

Il Veneto di Gadda LUCIANOZAMPESE

Un addendo extratestuale per la Cognizione del dolore: la sfida di una messa in scena

CLELIA MARTIGNONI

«Une nourriture inépuisable»: Gustave Roud lettore di Montale GABRIELEBUCCHI

Intermittenze montaliane. Su una lettera inedita e un testo dimenti-cato

MATTEOM. PEDRONI

«Il filo delle sparse pagine»: serialità e continuità nelle raccolte narra-tive di metà Novecento

NICCOLÒ SCAFFAI

Da Ampelio a Ampelio: trasformazioni di un racconto di Giorgio Orelli

GUIDO PEDROJETTA

Forme dell’autocommento meneghelliano fra Libera nos a malo e

Po-mo pero

SVEVAFRIGERIO

Lettura di Luscinia Svecica di Fernando Bandini FRANCESCALATINI

Machiavelli nella fiction contemporanea: da Michael Ennis a France-sco Bausi

ARNALDOBRUNI

Virgole contemporanee. Dalla prosodia al testo, e dal testo alla prosodia ANGELAFERRARI

Indice dei nomi

Tabula gratulatoria 533 567 585 601 611 637 675 693 711 737 767 787 813

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Se è vero che talune occasioni, secondo una consolidata tradizione accademica, invitano a rendere omaggio a uno studioso (e in questo caso l’occasione è offerta dal congedo dall’impegno universitario di Giovanni Bardazzi), è ancora più vero che questo volume nasce soprattutto dalla stima e dall’affetto per il festeggiato: stima e affetto che, d’altra parte, so-no testimoniati dalla generosa partecipazione di coloro che, al so-nostro in-vito, hanno aderito senza esitazione.

L’avvio dell’iniziativa risale ormai al 2014; imprevisti di varia natura hanno poi rallentato notevolmente i tempi, e solo oggi vediamo la rea-lizzazione del volume, che ospita contributi di allievi, colleghi e amici. E, fra questi, teniamo a ricordare una cara voce: quella di Giuliano Tanturli – e la cronologia (ma, forse, non solo la cronologia) vuole che sia proprio la sua voce ad aprire l’opera – che ci ha lasciati nel 2016.

La miscellanea propone metodi e approcci diversi, come crediamo sia normale e opportuno che avvenga quando l’estensione temporale sia notevole (dal Duecento alla contemporaneità). Ci si addentra così, ac-canto a zone particolarmente vicine al festeggiato (si pensi in particolare, ma non solo, alla cospicua serie manzoniana), in periodi e autori da lui forse meno studiati, ma certamente apprezzati per la curiosità intellettua-le e l’attenzione – qualità rara – nei confronti dell’altro che contraddi-stinguono lo studioso e la persona.

È proprio nello spirito di quella medesima attenzione che abbiamo voluto omaggiarlo in questa circostanza: la Festschrift per Giovanni Bar-dazzi vuole dunque essere sia un riconoscimento oggettivo allo studioso – di notevole finezza metodologica e di scrupoloso rigore scientifico – sia un segno di fedeltà all’amico e collega: a un tempo pacato e ironico, discreto e presente.

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Premessa

I curatori ringraziano tutti coloro che hanno contribuito, in modi e tempi diversi, alla realizzazione di questo volume: i partecipanti, per il lo-ro impegno e la lolo-ro pazienza; il Département des Langues et des Litté-ratures romanes dell’Università di Ginevra, la Formation Continue e l’atelier-théâtre «Il Ghiribizzo» del medesimo ateneo per il sostegno finan-ziario; e, ancora, amici e colleghi per il prezioso incoraggiamento.

Ginevra, febbraio 2018

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1. «Il filo delle sparse pagine»: l’espressione è ripresa da una lettera che Italo Calvino inviò al poeta Alfonso Gatto nel giugno del 1960: «Ho let-to il tuo saggio sui Racconti di Pavese» scriveva Calvino «e m’ha colpilet-to […] come ne ritrovi il filo anche attraverso quelle sparse pagine».1Il

sag-gio di Gatto, uscito su «Paragone» nell’aprile del 1960, trattava di un au-tore (Pavese) e di una forma (la raccolta di scritti narrativi brevi) parti-colarmente cari a Calvino, che appena due anni prima, nel 1958, aveva riunito la gran parte dei propri racconti in un volume a lungo meditato e dalla complessa organizzazione. Lo sviluppo interno di quel libro può essere esemplificato attraverso il confronto tra due racconti, scritti a dieci anni di distanza l’uno dall’altro (1947-1957), intitolati Si dorme come cani e L’avventura di un viaggiatore:

Si dorme come cani (1947)

Ogni volta che apriva gli occhi si sentiva addosso tutta quella luce gialla e acida delle grandi lampade della biglietteria. E s’in-volgeva gli occhi nel bavero tirato della giacca, in cerca di buio e di caldo. Coricandosi non s’era accorto di come gelide e dure era-no le lastre di pietra sul pavimento […]. Il posto però se l’era scel-to bene, in quell’angolo a ridosso della scalinata, riparascel-to e non di passaggio: tant’è vero che dopo un po’ ch’era lì, arrivarono quattro gambe di donna alte sopra la sua testa e dissero: – Ehi, quello ci ha

serialità e continuità nelle raccolte narrative

di metà Novecento

NICCOLÒ SCAFFAI

1I. CALVINO, Lettere 1940–1985, a cura di L. Baranelli. Introduzione di C. Milanini,

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Niccolò Scaffai

preso il posto. L’uomo sentiva ma non era sveglio: sbavava da un angolo della bocca sul cartone scorticato della piccola valigia, il suo cuscino, e i capelli s’erano messi a dormire per conto loro, se-guitando la linea orizzontale del corpo.

– Ben, – disse quella voce di prima […]. – Si tolga. Almeno prepariamo il letto.

[…] Macché: dormiva. – Deve avercene una carica, – disse la più giovane. […] Erano tre della borsanera e venivano giù coi sac-chi pieni e le latte vuote. […] Intanto l’uomo ch’era con loro […] s’era già ficcato tra una coperta e l’altra e tirato il purillo sugli oc-chi. – Alé. Vieni sotto: non sei pronta?

[…] Erano lì che facevano per dormire, quando arrivarono tre di Bassitalia. Erano un padre con i baffi neri e due figlie brune e grassotte, tutt’e tre piccoli di statura, con delle ceste di vimini e gli occhi schiacciati dal sonno in mezzo a tutta quella luce. […] Già qualcuno russava, ma il bassitalia non riusciva a dormire […] e il grido disumano degli altoparlanti: …accelerato… binario… par-tenza… lo teneva in continua inquietudine. […] Finì per decidersi a svegliare uno e prese a scuoterlo: era quel disgraziato che dor-miva lì fin da prima.

– La latrina, compare, la latrina, – diceva […].

– Americane, svizzere, – fece l’altro che non aveva capito, fa-cendo spuntare un pacchetto. […]

– Si dorme come cani, – disse il bassitalia. – Sei giorni e sei notti che non vedo un letto.

– Un letto, – disse Belmoretto, – delle volte me lo sogno, un letto. Un bel letto bianco tutto per me. […]

In quella tutti sentirono un corpo estraneo che s’intrufolava in mezzo a loro, come un cane che scavasse sotto le coperte. Qualche donna gridò. […]. – Scusate, – disse, – non volevo disturbare.

Ma ormai tutti erano svegli e sacramentavano […]: – Qui ci si rompe le ossa, qui ci si gela la schiena, – dicevano. […] – Materas-so, – ripetevano gli altri. – Materasso. […]

– Noi già venti giorni che viaggiamo, – dissero i venezia, – tre volte che tentiamo di passare questa fottuta frontiera e ci ributtano indietro. […] – Io entrerei in una casa come un ladro, – disse un venezia, – ma non per rubare. Per ficcarmi in un letto e dormirci fino al mattino. […]

A Belmoretto veniva un’idea. – Aspettate, – disse, e se ne andò. Girò un po’ sotto i portici finché non incontrò Maria la Matta [...]. Non eran passati dieci minuti e rieccoti Belmoretto, che ar-riva con un materasso arrotolato sulle spalle. – Sotto, – disse, sten-dendolo per terra […]. Aveva noleggiato un materasso da Maria la

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Matta che ne aveva due nel letto […]. All’alba avrebbe riportato il materasso a Maria la Matta e sarebbero stati a far capriole sul letto fino a giorno fatto. Poi, finalmente, si sarebbero addormentati.2 L’avventura di un viaggiatore (1957)

Federico V., abitante in una città dell’Italia settentrionale, ama-va Cinzia U., residente a Roma. Ogni volta che le sue occupazioni lo permettevano, prendeva il treno per la capitale. […] Il viaggio era costoso e Federico non era ricco. Se in un vagone di seconda classe coi sedili imbottiti si trovavano scompartimenti vuoti, Fede-rico prendeva il biglietto di seconda. […] Per prima cosa doveva cambiarsi i pantaloni buoni con un paio da strapazzo, per non ar-rivare tutto spiegazzato. L’operazione doveva avvenire nella toilette; ma prima, per avere maggior libertà di movimenti – era meglio sostituire alle scarpe le pantofole. […]. Cambiò il pullover buono, per non gualcirlo, con un pullover da strapazzo; la camicia invece l’avrebbe cambiata l’indomani. […] Dormire in treno voleva dire svegliarsi coi capelli tutti dritti e magari trovarsi in stazione senza neanche il tempo di darsi un colpo di pettine; perciò si calcò in testa un basco. […]

Quando veramente si svegliò, fu accecato dalla luce che entra-va da tutti i vetri senza più tendine. Sul sedile di fronte era schie-rata una fila di persone che gli parvero molte di più di quante non potessero starci, e in realtà c’era anche un bambino sulle ginocchia d’una donna grassa, ed un uomo era seduto sul suo stesso sedile, nel posto lasciato libero dalle sue gambe ripiegate. […] E tutti co-storo, alcuni alzando gli occhi dal giornale “Il Tempo”, osservava-no Federico steso lì sotto all’altezza delle loro giosservava-nocchia, informe, infagottato in quel soprabito, senza piedi come una foca, che s’an-dava staccando dal guanciale macchiato di saliva, e, spettinato, col basco sul cocuzzolo, una guancia rigata dalle pieghe della fodera, si sollevava, si stirava con movimenti informi, da foca, e andava ri-trovando l’uso delle gambe, e infilava le pantofole sbagliando di piede, e ora si sbottonava e grattava tra i pullover sovrapposti e la camicia spiegazzata, e faceva scorrere su di loro gli occhi ingrom-mati, e sorrideva.

Dai finestrini, s’apriva larga la campagna romana. Federico stette un po’ lì con le mani sulle ginocchia, sempre col suo sorriso, poi chiese con un gesto il permesso di prendere il giornale di sulle

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Niccolò Scaffai

ginocchia del suo dirimpettaio. Scorse i titoli, avvertì come sem-pre il senso di trovarsi in un paese remoto, guardò olimpico gli ar-chi degli acquedotti che correvano fuori dal finestrino, restituì il giornale, s’alzò a cercare nella borsa il nécessaire.

Alla stazione Termini, il primo a saltar giù dal vagone, fresco come una rosa, era lui. In mano stringeva il gettone […], fece il numero, ascoltò col batticuore il trillo lontano, udì il – Pronto… – di Cinzia […] e capiva che non sarebbe riuscito a dirle nulla di quel che era stata per lui quella notte, che già sentiva svanire, come ogni perfetta notte d’amore, al dirompere crudele dei giorni.3

Dislocati in sezioni diverse e non contigue del volume (Si dorme come cani fa parte della serie ‘picaresca’ nel libro primo, Gli idilli difficili; L’av-ventura di un viaggiatore è invece nel libro terzo, Gli amori difficili), i due racconti condividono l’ambientazione ferroviaria, ma si distinguono net-tamente per le diverse tecniche enunciative adottate (corale o plurifocale in un caso, individuale nell’altro); per i punti di vista, quasi inquadrature (mobile nel primo racconto, fisso nel secondo); per lo stile (incline a una sorvegliata tendenza mimetico-gergale nel primo, più ‘depurato’ nel se-condo). A partire da una omogeneità tematica di base, si realizza così una dinamica di iterazione e variazione, di simmetrie e opposizioni, che si in-dividua prendendo in esame l’insieme dei racconti organizzati dall’auto-re nel macrotesto dei Racconti. Quello «che conta è un disegno geome-trico» si legge nella lunga e importante Nota introduttiva al volume degli Amori difficili (1970), non firmata ma certamente scritta da Calvino, «una struttura di simmetrie e opposizioni, una scacchiera in cui caselle nere e caselle bianche si scambiano di posto».4

Le parole di Calvino e la sua stessa attenzione alla costruzione del li-bro di racconti esprimono un’esigenza profonda che percorre l’opera dello scrittore lungo tutto l’arco del suo sviluppo; ma possono valere an-che come emblema o espressione di una presa di coscienza an-che interessa l’intero quadro della letteratura italiana allo snodo tra gli anni Quaranta e Cinquanta.

3Ivi, pp. 380-93.

4ID., Romanzi e racconti, ed. diretta da C. Milanini, a cura di M. Barenghi e B.

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2. Il decennio centrale del Novecento è infatti uno dei periodi lette-rari in cui il libro di racconti ha conosciuto in Italia la maggior fortuna. Negli anni Cinquanta, molti dei più importanti autori contemporanei pubblicano raccolte di narrativa breve.

ANNI CINQUANTA: RACCOLTE NARRATIVE D’AUTORE

1950 Dino Buzzati, In quel preciso momento (19552) ("Sessanta raccon-ti, 1958);

Gianna Manzini, Ho visto il tuo cuore; Anna Maria Ortese, L’infanta sepolta; Domenico Rea, Gesù, fate luce; Leonardo Sciascia, Favole della dittatura;

Giani Stuparich, Il giudizio di Paride e altri racconti.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1951 Aldo Palazzeschi, Bestie del ’900 ("Tutte le novelle, 1957);

Lalla Romano, Le metamorfosi.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1952 Riccardo Bacchelli, Tutte le novelle (1952–53) ("Tutte le novelle.

1911–1951, 1958);

Giovanni Comisso, Capricci italiani;

Carlo Emilio Gadda Il primo libro delle favole; Beppe Fenoglio, I ventitré giorni della città di Alba;

Alberto Moravia, Racconti (ed. poi ampliata in I racconti 1927–

1951, 1953).

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1953 Giorgio Bassani, La passeggiata prima di cena ("Cinque storie

fer-raresi, 1956);

Massimo Bontempelli, L’amante fedele;

Carlo Cassola, Il taglio del bosco ("Il taglio del bosco. Venticinque

racconti, 1955; Il taglio del bosco. Racconti lunghi e romanzi brevi,

1959);

Giovanni Comisso, Un inganno d’amore e altri racconti; Carlo Emilio Gadda, Novelle dal Ducato in fiamme; Gianna Manzini, Animali sacri e profani;

Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli; Enrico Pea, La figlioccia e altre donne.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1954 Italo Calvino, L’entrata in guerra ("Racconti, 1958);

Giovanni Comisso, Un gatto attraversa la strada; Tommaso Landolfi, Ombre;

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Niccolò Scaffai

Alberto Moravia, Racconti romani;

Marino Moretti, Uomini soli ("Tutte le novelle, 1959); Guglielmo Petroni, Tre racconti d’amore;

Leonida Rèpaci, Un filo che si svolge in trent’anni; La tenda rossa; Piero Santi, Ombre rosse.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1955 Corrado Alvaro, 75 racconti;

Alba de Céspedes, Invito a pranzo; Silvio Guarnieri, Utopia e realtà.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1956 Giorgio Bassani, Cinque storie ferraresi (poi Dentro le mura, 1973,

primo libro del Romanzo di Ferrara); Eugenio Montale, Farfalla di Dinard;

Alberto Moravia, L’epidemia. Racconti surrealistici e satirici; Marino Moretti, 1945 ("Tutte le novelle, 1959);

Vasco Pratolini, Diario sentimentale; Umberto Saba, Ricordi-Racconti; Saverio Strati, La Marchesina.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1957 Alberto Arbasino, Le piccole vacanze ("L’Anonimo lombardo,

1959);

Dino Buzzati, Il crollo della Baliverna ("Sessanta racconti, 1958); Luigi Davì, Gymkhana–Cross;

Antonio Delfini, La Rosina perduta (cfr. anche Il ricordo della

Ba-sca. Dieci racconti e una storia, nuova edizione, con introduzione

d’autore e sottotitolo, 1956, 19381);

Giuseppe Dessì, Isola dell’Angelo ed altri racconti; La ballerina di

carta;

Arturo Loria, Settanta favole; Aldo Palazzeschi, Tutte le novelle; Michele Prisco, Fuochi a mare; Mario Soldati, Racconti.

–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1958 Riccardo Bacchelli, Tutte le novelle. 1911–1951;

Romano Bilenchi, Racconti;

Giuseppe Bonaviri, La contrada degli ulivi; Dino Buzzati, Sessanta racconti;

Italo Calvino, I racconti;

Gian Carlo Fusco, Le rose del ventennio; Gianna Manzini, Cara prigione;

Anna Maria Ortese, I giorni del cielo; Leonardo Sciascia, Gli zii di Sicilia;

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–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 1959 Alberto Arbasino, L’Anonimo lombardo;

Ennio Flaiano, Una e una notte; Curzio Malaparte, Racconti italiani; Alberto Moravia, Nuovi racconti romani; Marino Moretti, Tutte le novelle;

Giuseppe Pontiggia, La morte in banca: cinque racconti e un

roman-zo breve;

Giovanni Testori, La Gilda del Mac Mahon ("I segreti di Milano). ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––

Non che in altri periodi del Novecento sia mancata una ricca produ-zione di narrativa breve, né sfuggono casi precedenti di raccolte organiz-zate per «trasformare gli sparsa fragmenta in libro»5: basti pensare alle

No-velle per un anno di Pirandello.6Nei primi decenni del secolo, tuttavia,

ro-manzo e racconto sono, in linea di massima, forme entrambe pacifica-mente praticabili, ciascuna con le sue caratteristiche strutturali e la sua funzione nel sistema dei generi.7Alla metà del Novecento (e nella

se-5M. POLACCO, Gli amori, le beffe e la tragedia. Storia di Pirandello novelliere 1894-1908,

Lucca, Pacini Fazzi, 1999, p. 10.

6«M’affretto ad avvertire che le novelle di questi ventiquattro volumi non vogliono

essere singolarmente né delle stagioni, né dei mesi, né di ciascun giorno dell’anno. Una novella al giorno, per tutt’un anno, senza che dai giorni, dai mesi o dalle stagioni nes-suna abbia tratto le sue qualità. […] Raccolgo in un sol corpo tutte le novelle pubbli-cate finora in parecchi volumi e tant’altre ancora inedite, sotto il titolo Novelle per un anno che può sembrar modesto e, a contrario, è forse troppo ambizioso, se si pensa che per antica tradizione dalle notti o dalle giornate s’intitolarono spesso altre raccolte del ge-nere, alcune delle quali famosissime. […] Ogni volume ne conterrà non poche nuove, e di quelle già edite alcune sono state rifatte da cima a fondo, altre rifuse e ritoccate qua e là, e tutte insomma rielaborate con lunga e amorosa cura.» (L. PIRANDELLO, No-velle per un anno I, Firenze, Bemporad, 1922, citato in M. POLACCO, Gli amori, le beffe e la tragedia, cit., pp. 9-10).

7 Tra le voci bibliografiche sul racconto, anche in rapporto al romanzo e altre

for-me, ricordo qui: L. PICCIONI, La narrativa italiana tra romanzo e racconti, Milano, Monda-dori, 1959; La novella occidentale dalle origini a oggi, a cura di A. Asor Rosa, Roma, Canesi, 1960; I maestri del racconto italiano, a cura di E. Pagliarani e W. Pedullà, Milano, Rizzoli, 1964; P. DEMEIJER, La forma breve del narrare, in Letteratura italiana, vol. III, La forma del

testo, t. II, La prosa, Torino, Einaudi, 1984, pp. 782–91; La novella italiana, Atti del Con-vegno di Caprarola (19–24 settembre 1988), a cura di E. Malato, Roma, Salerno, 1989; E. GUAGNINI, Il racconto breve italiano del Novecento, in La Nouvelle Romane. Italia–France– España, Amsterdam–Atlanta, Rodopi, 1993, pp. 115–31; G. GUGLIELMI, La prosa italiana

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Niccolò Scaffai

conda parte del secolo), invece, autori importanti tendono a percepire il racconto come alternativo al grande romanzo realistico ben costruito.

Questo almeno per due ragioni. La prima è che la struttura del libro di racconti ha un’ossatura meno rigida rispetto a quella del romanzo e perciò particolarmente adatta alle sperimentazioni. Moravia ha parlato del racconto come di un genere «disossato», appunto; la «principale dif-ferenza e fondamentale, tra il racconto e il romanzo,» scrive Moravia «è quella dell’impianto o struttura della narrazione [...]. Il romanzo insom-ma ha un’ossatura che lo sostiene dalla testa ai piedi; il racconto invece per così dire, è disossato». Per questo Moravia pensa anche che l’arte del racconto sia «più pura, più essenziale, più lirica, più assoluta di quella del romanzo».8Concettualmente analoga, anche se più estrema, è la

posizio-ne di Giorgio Mangaposizio-nelli, secondo cui il romanzo si afferma in modo autoritario e per così dire cruento:

Il romanzo è l’Erode dei racconti. Può svolgersi solo uccidendo continuamente possibili racconti, come quel juggernaut che schiac-ciava i fedeli; e questo fa perché i racconti si collocano trasversal-mente al percorso del romanzo. Quando Don Abbondio incontra i bravi, deve passare sul cadavere del racconto dei bravi – di che si saran parlati andando a quel bivio? – e il cadavere del racconto che voleva nascere attorno a quel tabernacolo dipinto d’anime pur-ganti; e poco dopo quel «si racconta che il Principe di Condé» non è una confessione di denegato – necatus – racconto? Insom-ma, un romanzo si può scrivere solo rinunciando alle minuscole, ripetitive eresie dei racconti; le mostruosità effimere; le frettolose perversioni; gli appunti per un delirio. Non che un romanzo non possa essere eretico, mostruoso, perverso delirio; ma l’eresia stante diventa ortodossia; la mostruosità duratura si consolida

co-del Novecento II. Tra romanzo e racconto, Torino, Einaudi, 1998; Leggiadre donne. Novella e racconto breve in Italia, a cura di F. Bruni, Venezia, Marsilio, 2000; Racconti italiani del No-vecento, 3 tomi, a cura di E. Siciliano, Milano, Mondadori “I Meridiani”, 2001; Le forme del racconto, a cura di F. Pellizzi, «il verri», 30 (2006), pp. 27–139; G. BERTONCINI,

Narra-zione breve e personaggio (Tozzi, Pirandello, Bilenchi, Calvino), Macerata, Quodlibet, 2008; La fortuna del racconto in Europa, a cura di M. Curcio, Roma, Carocci, 2012; Il racconto e il romanzo filosofico nella modernità, a cura di A. Dolfi, Firenze, FUP, 2013; Le forme della brevità, a cura di M. Curcio, Milano, Franco Angeli, 2014; C. BERTONI, Il racconto, in Let-teratura europea, a cura di P. Boitani e M. Fusillo, vol. II: Generi letterari, Torino, UTET, 2014, pp. 91-105.

8A. MORAVIA, Racconto e romanzo, in ID., L’uomo come fine e altri saggi, Milano,

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me mutazione felicemente realizzata; la perversione accolta e ac-cettata si fa a modo e per bene; e il delirio dà luogo, dopo tre ca-pitoli, ad un nuovo linguaggio, robusto di grammatica e diziona-retto. Si potrebbe dire che il romanzo tende al monomorfismo, mentre il racconto è intrinsecamente polimorfo; e per la sua labi-lità non giunge mai a fare istituzione del delirio, a far dignitosa la perversione, ovvio il mostruoso, e trar dall’eresia un Credo.9

La seconda ragione è che la forma breve, soprattutto nei decenni cen-trali del secolo, appare più adeguata a rappresentare una realtà in rapida evoluzione dal punto di vista storico, perciò difficilmente descrivibile con la piena coscienza dell’insieme che è richiesta al romanzo canonico. Questa, per esempio, è l’opinione che Calvino esprime in una lettera del marzo ’56: «Ma penso anche che oggi […] negli scrittori che tendono ad una presa di coscienza di fatti ancora vergini da rappresentazioni let-terarie, la pretesa di fare il romanzo è la grossa catena al piede che ci por-tiamo dietro».10

3. Il culmine di quest’evoluzione si osserva negli anni Cinquanta, per via di una singolare coincidenza di fattori: debuttano, scrivendo libri di racconti, autori destinati a una successiva e duratura affermazione (come Alberto Arbasino); altri autori, già attivi nei decenni precedenti, danno una sistemazione complessiva alle proprie narrazioni brevi (dai più an-ziani: Palazzeschi, Bacchelli, Bontempelli, Moretti; ai più giovani: Buzzati e lo stesso Calvino). Alcuni di questi autori sono già anche scrittori di romanzi, ma negli anni Cinquanta accantonano quel genere a favore del libro di racconti, o tendono a ibridare le due forme (Bilenchi, ad esem-pio). Infine, poeti come Saba e Montale avviano o proseguono una ri-flessione sulla scrittura in prosa, il secondo sollecitato anche dalla profes-sione giornalistica, e optano per la raccolta di testi narrativi.

Perché questa coincidenza si verifica negli anni Cinquanta? Certo, in alcuni casi si è trattato di una spontanea maturazione dei tempi anagrafici o editoriali, ma per molti autori ha contato la concomitanza di fattori specifici. Uno di questi è la prosecuzione (e il frutto) del successo avuto

9G. MANGANELLI, Che cosa non è un racconto (1986), in ID., Il rumore sottile della prosa,

a cura di P. Italia, Milano, Adelphi, 1994, pp. 31-35.

10I. CALVINO, I libri degli altri. Lettere 1947-1981, a cura di G. Tesio, Torino, Einaudi,

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Niccolò Scaffai

dal racconto negli ultimi anni Quaranta, fattore a sua volta strettamente legato a una circostanza storica: durante la guerra partigiana, e nell’im-mediato dopoguerra, si sviluppa una ricca produzione di racconti su per-sonaggi e imprese del periodo. Sono racconti dapprima tramandati oral-mente, poi stampati in fogli clandestini e infine su riviste e giornali re-golari come il «Mercurio», specie negli anni 1944-194511. La

consuetu-dine della cronaca partigiana è illustrata efficacemente da Beppe Feno-glio, nel racconto War can’t be put into a book, che ha un risvolto «doppia-mente autobiografico»:12

Sapevo che il mio compagno Jerry scriveva della guerra. Troppe volte l’avevo adocchiato intento a scrivere, freneticamente, seduto ai piedi d’un albero o appoggiato a un muricciolo; talvolta scrive-va fino a buio, orientandosi verso l’ultima luce solare.

Scriveva, alternando una quantità di matite ogni cinque minuti, su dei quadernetti scolastici. Calcolai che doveva averne riempiti al-meno una mezza dozzina, naturalmente a far tempo da quando era passato nel mio reparto.

[…]

- Scrivi della guerra, eh, Jerry? - Appunti, - disse in fretta.

- Appunti della guerra, - insinuai io. - Naturale, - disse lui un po’ ostilmente. […]

- Lo fai per la stampa, spero? - ripresi.

- Spero, - rispose con una sorta di non-speranza.

- Gli editori saranno tutti per questo genere di letteratura. E… sa-rà una cosa puramente documentaria, o qualcosa che varsa-rà… de-cisamente sul piano artistico?13

11M. CORTI, Neorealismo, in EAD., Il viaggio testuale. Le ideologie e le strutture semiotiche,

Torino, Einaudi, 1978, pp. 49 ss. Si veda ora anche L. DINICOLA, «Mercurio». Storia di

una rivista. 1944-1948, Milano, Il Saggiatore-Fondazione Arnoldo e Alberto Mondado-ri, 2012, specialmente pp. 166 ss.

12R. BIGAZZI, Fenoglio, Roma, Salerno, 2011, p. 36: «Adesso che sono stati in parte

ritrovati e pubblicati gli Appunti partigiani di Fenoglio, scritti nell’immediato dopoguer-ra, il brano su Jerry assume tutto il suo valore doppiamente autobiografico: Jerry mette in scena il giovane Fenoglio degli Appunti e il narratore ci fa anche capire il giudizio “ironico” (benché indulgente) dello scrittore adulto su quella fase, che non fu solo sua ma della letteratura italiana del periodo».

13B. FENOGLIO, War can’t be put in a book, in ID., Tutti i racconti, a cura di L.

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In effetti, dopo la fine della guerra sorge la tendenza a raccogliere in volume i racconti prodotti negli anni precedenti: sia quelli effettivamente composti durante la clandestinità, sia quelli scritti nell’immediato dopo-guerra da autori già di professione, che avevano condiviso l’esperienza partigiana (come Calvino o Marcello Venturi).14Quei volumi sono

spes-so caratterizzati dalla varietà di perspes-sonaggi e azioni culminanti, adatte a essere rappresentate in un testo breve. Alla varietà corrisponde un’idea di comunità o di ‘coro’, riunito proprio intorno all’esigenza di narrare sto-rie, individuali ma parallele, sull’esperienza recente. Un’esigenza che de-riva anche dalla rinnovata libertà di parlare, dalla «smania di raccontare» le esperienze degli anni di guerra rievocata da Calvino nella Prefazione del 1964 al Sentiero dei nidi di ragno. Ma in termini simili, anche se più disincantati, si era espressa anche Natalia Ginzburg, in Lessico famigliare (1963):

Era, il dopoguerra, un tempo in cui tutti pensavano d’essere dei poeti, e tutti pensavano d’essere dei politici; tutti s’immaginavano che si potesse e si dovesse anzi far poesia di tutto, dopo tanti anni in cui era sembrato che il mondo fosse ammutolito e pietrificato e la realtà era stata guardata come di là da un vetro, in una vitrea, cristallina e muta immobilità. Romanzieri e poeti avevano, negli anni del fascismo, digiunato, non essendovi intorno molte parole che fosse consentito usare; e i pochi che ancora avevano usato pa-role le avevano scelte con ogni cura nel magro patrimonio di bri-ciole che ancora restava. Nel tempo del fascismo, i poeti s’erano trovati ad esprimere solo il mondo arido, chiuso e sibillino dei so-gni. Ora c’erano di nuovo molte parole in circolazione, e la realtà di nuovo appariva a portata di mano; perciò quegli antichi digiu-natori si diedero a vendemmiarvi con delizia. E la vendemmia fu generale, perché tutti ebbero l’idea di prendervi parte; e si deter-minò una confusione di linguaggio fra poesia e politica, le quali erano apparse mescolate insieme. Ma poi avvenne che la realtà si rivelò complessa e segreta, indecifrabile e oscura non meno che il mondo dei sogni; e si rivelò ancora situata di là dal vetro, e l’illu-sione di aver spezzato quel vetro si rivelò effimera.15

14 Cfr. G. FALASCHI, La Resistenza armata nella narrativa italiana, Torino, Einaudi,

1976; B. FALCETTO, Neorealismo e scrittura documentaria, in Letteratura e Resistenza, a cura di A. Bianchini e F. Lolli, Bologna, CLUEB, 1997, pp. 43-58; R. BIGAZZI, Letteratura e

Resistenza, in La Resistenza e la costruzione dell’Europa, Pisa, ETS, 2006, pp. 49-67.

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La letteratura della Resistenza fornisce una prospettiva morale, una materia tematica e alcuni tratti stilistici (come la plurifocalità e la mimesi linguistica) al neorealismo, che, già presente o anticipato nella letteratura e nel cinema dei primi anni Quaranta grazie a libri come Paesi tuoi di Pavese (1941) e a film come Ossessione di Visconti (1943) ispirati da mo-delli nordamericani16, si precisa soprattutto dal ’45 in poi (anche come

categoria applicata in senso riduttivo alla narrativa di quegli anni). Un altro fattore concomitante è il temporaneo disorientamento della forma-romanzo, a cui contribuiscono, tra le altre cose, elementi struttu-rali come la narrazione ‘aperta’ di un autore quale Gadda (il Pasticciaccio esce in volume nel ’57); e elementi ideologici, ben esemplificati dalla po-lemica intorno all’uscita, nel ’55, del romanzo Metello di Pratolini, che supera la forma neorealistica della cronaca di fatti presenti, per risalire ai moventi storici. Del resto, già nel ’51, la famosa Inchiesta sul neorealismo segnava il declino di una stagione storico-letteraria legata al dopoguerra. Era ancora presto, però, perché la maggior parte degli scrittori fosse pronta a produrre il romanzo dei nuovi tempi: si pensi alla lettera di Cal-vino del ’56, che precede di due anni l’uscita del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, scambiato per un romanzo ‘ottocentesco’ fuori tempo anche a causa delle diverse, problematiche o frustranti ambizioni dei narratori italiani. Per alcuni di loro, una soluzione anche solo provvisoria fu quella di combinare vecchi e nuovi temi e modalità attraverso la composizione di libri di racconti, che non a caso accoglievano spesso anche frammenti di romanzi mancati. Un terzo fattore, più estrinseco ma non trascurabile, riguarda l’affermazione di collane di prestigio intellettuale (se non sem-pre di successo commerciale) come i «Gettoni» di Vittorini, particolar-mente inclini a pubblicare testi brevi e dunque a stimolare negli autori la produzione e la raccolta di racconti.

4. Alla cospicua quantità di libri di racconti pubblicati corrisponde una notevole varietà tipologica nelle forme e nei principi di aggregazione. La prima distinzione riguarda due categorie: da un lato la raccolta comples-siva, dall’altro il libro di prima formazione. Un discrimine fondamentale,

16Cfr. D. BROGI, Tra letteratura e cinema. Pavese, Visconti e la «funzione Cain», in EAD.,

Giovani. Vita e scrittura tra fascismo e dopoguerra, Palermo, :duepunti edizioni, 2012, pp. 83-110. Sull’influenza della letteratura americana in Italia, si veda anche N. TURI, Declina-zioni del canone americano tra gli anni quaranta e sessanta, Roma, Bulzoni, 2011.

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ma meno netto e vincolante di quanto si possa pensare, sia perché i libri ‘nuovi’ contengono spesso brani che hanno già alle spalle una storia te-stuale complessa e che possono provenire da altre raccolte dell’autore; sia perché in molti casi la summa è il risultato di un’attenta selezione, inte-grazione, dislocazione e revisione dei materiali narrativi preesistenti: un processo che dà alla raccolta un aspetto e un valore ben diverso da quello di una semplice somma di addendi. Tanto più che l’elaborazione può por-tare anche all’inserimento del libro di racconti in cicli di opere ulteriori (come mostrano il Romanzo di Ferrara di Bassani e I segreti di Milano di Te-stori), o generare altri libri da una cellula del volume precedente (Calvi-no); interagendo anche con la forma continua, che coincide con il ro-manzo o che tende a una più distesa narratività (Bilenchi).

Spesso la differenza tra summa narrativa e libro di racconti riuniti per la prima volta dipende dagli intenti dichiarati dai rispettivi autori; in linea generale, questa differenza è spesso sottolineata dalla scelta dei titoli. Con Genette, si distinguono i titoli tematici (che mettono in luce l’argomento), da quelli rematici (che sottolineano il genere):17‘racconti’, ‘storie’, ‘novelle’,

‘favole’ (le favole sono appunto un genere di microstorie praticato in que-gli anni da Sciascia, Loria, Gadda, come travestimento allegorico di fatti e dinamiche sociopolitiche). I titoli rematici vengono più facilmente adot-tati per le raccolte che si vogliono complessive, quelli tematici per i libri di nuova configurazione. Questo da un lato per ragioni che non riguar-dano il testo in sé, ma che dipendono da scelte squisitamente editoriali; dall’altro lato perché le sillogi di testi diversi e cronologicamente distanti – non sempre, ma in molti casi – tendono ad avere una più labile unità tematica. Non così per i libri i cui titoli affiancano alla definizione del ge-nere un’ulteriore specificazione: Racconti romani, o Cinque storie ferraresi. In quel caso, l’aggettivo suggerisce già la presenza di un elemento comune, stilistico e/o spazio-temporale, che funziona come principio di aggrega-zione. Sono molteplici gli elementi che svolgono una simile funzione connettiva nel progetto complessivo di una raccolta:

– la coerenza delle coordinate di luogo e di tempo (è il caso appunto delle Cinque storie ferraresi di Bassani o delle Novelle dal Ducato in fiam-me di Gadda);

– la presenza di un medesimo protagonista (Marcovaldo di Calvino) o di

17G. GENETTE, Soglie. I dintorni del testo (1987), trad. it. C. M. Cederna, Torino,

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figure ricorrenti (I ventitré giorni della città di Alba di Fenoglio; Ombre rosse di Santi);

– l’uniformità della condizione enunciativa (Racconti romani di Mora-via);

– la situazione reiterata (il viaggio, per lo più in treno, nei Racconti di Soldati; il sogno per Le metamorfosi di Lalla Romano)

– la costanza del tema di fondo, che può coincidere anche con una par-ticolare condizione storica (la Resistenza in Fenoglio) o esistenziale (la paura nei Sessanta racconti di Buzzati);

– l’appartenenza a un medesimo (sotto)genere (favole, racconti fantasti-ci);

– motivi estrinseci: editoriali, documentali, celebrativi (come l’esigenza di comporre l’opera omnia).

Anche sul piano della successione di testi e sezioni all’interno dei sin-goli libri, i criteri dispositivi sono diversi. Se ne possono contare almeno tre: la cronologia, la continuità o consecutività, la serialità. L’ordine cro-nologico, all’apparenza spontaneo (quasi un ‘grado zero’ dell’organizza-zione macrotestuale) può tuttavia esprimere un’intendell’organizza-zione, dipendere da un progetto. La disposizione cronologica dei venti Racconti di Mario Sol-dati, ad esempio, viene tematizzata e investita di senso dallo stesso autore, attraverso un’allusione alla forma del diario; nell’avvertenza alla raccolta, Soldati lascia infatti intendere come l’ordine naturale sia combinato con le esigenze della costruzione autobiografica: «Questi racconti furono scritti dal 1927 a 1947. […] A me piace considerarli, tutti insieme, come un’autobiografia, una specie di diario. […] Li pubblico, ora, […] serban-do comunque il rigoroso ordine cronologico che si conviene, appunto, ad un diario».18 È vero, però, che spesso le dichiarazioni d’intenti non

corrispondono del tutto agli esiti effettivi: il libro di Soldati presenta sì i testi in successione cronologica, ma è tutt’altro che un diario, includendo racconti molto brevi e un testo della misura di un romanzo (La verità sul caso Motta); novelle fantastiche e cronache realistiche; testi in prima e in terza persona; racconti d’invenzione e non fiction novel, in cui peraltro – caso piuttosto raro per quell’epoca – l’autore è presente come personag-gio con il suo nome e cognome.

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5. Un criterio più narrativo è quello in base al quale i racconti ven-gono organizzati in sequenze omogenee per contenuto. Spesso i libri che hanno quest’assetto sono divisi in sezioni, che si succedono secondo una progressione più o meno stringente di ordine storico (come nel libro dei racconti di Calvino o in quello progettato da Fenoglio)19 o

storico-au-tobiografico (come in Farfalla di Dinard di Montale). In questo senso, è possibile parlare di continuità tra i racconti all’interno di un libro o di una sezione.

Un caso particolare si verifica quando una continuità generica diventa una precisa consecutività tra singoli testi successivi, che possono così tro-varsi solo nell’ordine in cui effettivamente l’autore li ha collocati. Acca-de, per esempio, nei Ventitré giorni della città di Alba di Fenoglio (pubblicati nel 1952, nella collana dei «Gettoni»). Gli elementi che determinano l’effetto di consecutività sono:

– la connessione tra racconti consecutivi:

I partigiani ripresero a salire, era spiovuto, i fascisti entrarono e an-darono personalmente a suonarsi le campane. (conclusione di I

ven-titré giorni…, corsivo mio)

Quando il meccanismo del campanile di Mango cominciò a dirug-ginirsi per battere le cinque di mattina […]. (incipit di L’andata, corsivo mio)

– la progressione cronologica degli eventi narrati

Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell’anno 1944. (I ventitré giorni…)

Partigiani non se n’aspettavano, perché dalla caduta di Alba il pae-se mancava di guarnigione. (L’andata)

Non è ancora il momento buono. Guarda che batosta i partigiani si sono ancora presi dalla repubblica ad Alba. (Gli inizi del

partigia-no Raoul)

19Cfr. L. BUFANO, Beppe Fenoglio e il racconto breve, Ravenna, Longo, 1999; R. BIGAZ

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– la presenza di personaggi, ruoli o situazioni ricorrenti (disposti in serie anaforica, in modo che l’occorrenza successiva preveda quella prece-dente e da quella derivi la sua riconoscibilità)

E René spedì subito una staffetta a prender la sentenza per quel prigioniero dal Capitano […]. (Il trucco)

Dovevi dirmelo che mandavi Riccio dal Capitano, così io prima parlavo a Riccio. (Vecchio Blister)20

Dopo l’uscita dei Ventitré giorni della città di Alba, Fenoglio non smise di scrivere racconti né di pensare all’organizzazione di un libro più am-pio; all’inizio degli anni Sessanta, inviò per lettera ad Attilio Bertolucci un primo possibile indice generale: dopo i Racconti della guerra civile, l’in-dice contemplava i Racconti del dopoguerra, i Racconti del parentado e un racconto lungo (La Malora). Un secondo indice (poi utilizzato nella re-cente edizione di Tutti i racconti, cit.) sarebbe stato comunicato, pressoché in punto di morte, all’amico filosofo Pietro Chiodi. La successione dei primi sei testi, già allineati nel libro del ’52, viene rispettata, con le rela-tive concatenazioni; le sezioni dei testi aggiunti seguono altri principi di aggregazione, tendenzialmente seriali: i Racconti del parentado, per esem-pio, sono attribuiti alla voce di diversi famigliari di Fenoglio: una costru-zione simile a quella dell’Antologia di Spoon River, modello che lo scrit-tore conosceva e dichiarava di «invidiare» (come risulta dalle note del Diario fenogliano).21

6. La divisione in sezioni non è comunque un segnale univoco di continuità, perché la scansione del libro può discendere anche da un op-posto principio di serialità, cioè di iterazione di episodi non necessaria-mente consecutivi, e in cui la cronologia relativa degli eventi può restare implicita. Negli anni Cinquanta, non è ancora frequente l’adozione della serialità modulare – che prevede cioè testi generalmente brevi tutti più o meno con la stessa struttura narrativa e scritti già in partenza per com-porre un insieme organico. Non a caso, Le metamorfosi (1951) di Lalla

20Si cita da B. FENOGLIO, Tutti i racconti, cit.

21B. FENOGLIO, Opere, ed. critica diretta da M. Corti, Torino, Einaudi, 1978, vol.

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Romano, libro costruito proprio in base al principio di modularità, ven-ne accolto dalla critica del tempo, ad eccezioven-ne di Vittorini e Sereni, con molte riserve. Il volume è diviso in cinque parti, ciascuna con un diverso enunciatore, frammentate in ulteriori sezioni numerate di varia estensio-ne, che comprendono in totale cinquantotto brevissime prose liriche, al-trettante trascrizioni di sogni:

Sono il capo dei pirati su una vecchia nave a vela: i pirati sono i miei compagni di scuola. Siamo vestiti come straccioni. […] (I

pi-rati)

Mi trovavo in una città dalle vie larghissime. Le case erano basse e chiuse, disabitate. Per le strade circolavano soltanto vigili urbani e poliziotti. […] (Il palo)

Abitavo in un’altissima casa grigia di quindici piani, con piccoli appartamenti e nel mezzo di una grande scala. […] (Gli ospiti) Mi trovo su di un treno che corre lungo un rettilineo, sopra un ponte gettato sul mare ad altezza vertiginosa. (Il viaggio)

Sono insoddisfatto dello spettacolo e decido di restituire il bigliet-to. Mi presento allo sportello: è un podio piuttosto alto e isolato con davanti un cristallo nel quale si apre un piccolo sportello. (La

matita)

Sono stato invitato alla festa di inaugurazione di un convento di suore. Sono incerto se andarci, non vorrei aver niente a che fare con queste cose. Poi decido di accettare perché la festa avverrà a contatto con la natura. (La festa)22

Nell’edizione del ’67, la scrittrice rivoluziona l’ordine dei brani, attri-buendo anche un nome e una maggior consistenza narrativa agli enun-ciatori, che divengono personaggi di un romanzo parcellizzato. Le meta-morfosi era un’opera, dal punto di vista strutturale, in anticipo sul proprio tempo; l’idea ancora prevalente negli anni Cinquanta era che il libro di

22 Si cita da L. ROMANO, Le metamorfosi, a cura di A. Ria, Torino, Einaudi, 2005.

L’opera si legge anche in L. ROMANO, Opere, a cura di C. Segre, vol. I, Milano, Monda-dori “I Meridiani”, 1991.

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racconti adottasse la plurifocalità allo scopo di rappresentare le azioni di una collettività,23 non l’interiorità psicologica.

Paradigmatico è il confronto tra la serialità modulare della raccolta di Lalla Romano e la serialità per così dire controllata delle Cinque storie fer-raresi di Bassani. In quel libro, ciascun racconto fa serie insieme agli altri, con i quali condivide il contesto; la struttura complessiva non è tuttavia modulare, ma vincolata a una cornice enunciativa, che emerge negli sno-di dei racconti e nella quale prende la parola un narratore che sno-dirige dall’alto la prospettiva sui personaggi, un po’ regista, un po’ narratore manzoniano (non a caso, Bassani in quegli anni lavorava proprio alla sce-neggiatura di un film dai Promessi sposi):

Ma a questo punto, percorrendo di volo il cammino lungo il quale i due giovani, lui conducendo la bicicletta a mano, tra qualche istante si avvieranno, trasferiamoci a poca distanza di lì, e precisa-mente nell’interno di una bassa casa a due piani nella quale la fa-miglia Brondi, una fafa-miglia di contadini di città, vive da diverse generazioni. (La passeggiata prima di cena: snodo tra I e II parte). Così, dunque, con uno sguardo non già minaccioso, bensì ironico e divertito, […] Geo Josz ricomparve a Ferrara, tra noi.

Strano, non è vero? Eppure il tempo veniva disponendo le cose in modo tale da far pensare che tra Geo e Ferrara – tra Geo e noi – esistesse, se ciò si può dire, una specie di segreto rapporto dinami-co. (Una lapide in via Mazzini, inizio parti II e IV).

Il narratore ha un ruolo di portavoce e memoria storica della comu-nità a cui appartiene: in questo senso, Bassani da un lato mantiene al cen-tro della raccolta il motivo neorealistico della collettività, dall’alcen-tro fa as-sumere al narratore un distacco venato di lieve paternalismo e soprattut-to di nostalgia per un mondo scomparso a causa della deportazione.24

23Un nesso tra tema e forma che in quegli anni non riguardava solo la letteratura,

ma anche il cinema neorealista: da Paisà (1946) di Rossellini, in sei episodi che si succe-dono seguendo l’avanzata degli Alleati in Italia; alle pellicole di Blasetti, Altri tempi (1952) e Tempi nostri (1954), il primo ricavato da otto racconti dell’Ottocento, il secondo da al-trettanti racconti del Novecento (di Moravia, Pratolini, D’Arzo, Achille Campanile, ecc.); a L’oro di Napoli (1954) di Vittorio De Sica, tratto dai racconti di Marotta.

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«Cronaca provinciale con paesaggio misantropo-moralista», secondo una definizione di Calvino, affidata a una lettera del luglio 1955.25

È significativo che, negli anni Settanta, quando Bassani ripubblica le Cinque storie come prima parte del Romanzo di Ferrara, ne riscriva intere sequenze, cambiando anche talvolta lo statuto del narratore, da collettivo o impersonale a singolare:26

Una lapide in via Mazzini (1956)

A raccontarla ora, la scena potrà sembrare poco credibile. E baste-rebbe, per dubitarne, immaginarla svolgersi contro lo sfondo per noi così usuale, così familiare di via Mazzini (nemmeno la guerra l’ha toccata […]!);

Una lapide in via Mazzini (1973)

A riferirne per iscritto c’è caso che la scena possa risultare abba-stanza incredibile e romanzesca. E del resto sono io medesimo a du-bitare della sua realtà ogni qualvolta la penso nella cornice da noi così usuale e familiare di via Mazzini […].27

7. La riscrittura a cui Bassani sottopone i suoi racconti è anche un ri-flesso del mutare dei tempi. Osservarlo è importante, sul piano del me-todo critico e di quello didattico, perché le classificazioni tipologiche ri-sultano spesso sterili quando si basano su categorie astratte e universali; sono invece efficaci quando nascono dalla considerazione di un contesto storico-letterario determinato e ancora più dall’esperienza di specifici autori. È opportuno, perciò, proseguire l’analisi della forma ‘libro di rac-conti’ individuando un fulcro cronologico che corrisponda a una

circo-gli altri». «Cinque storie ferraresi» fuori e dentro il neorealismo, «Bloc notes», n. 60 (2010), pp. 77-87.

25I. CALVINO, I libri degli altri. Lettere 1947-1981, a cura di G. Tesio, Torino, Einaudi,

1991, p. 162.

26Sulle varianti di Bassani si vedano I. BALDELLI, Varianti di prosatori contemporanei

(Palazzeschi, Cecchi, Bassani, Cassola, Testori), Firenze, Le Monnier, 1965, pp. 46–75; ID., La riscrittura «totale» di un’opera: da «Le storie ferraresi» a «Dentro le mura» di Bassani, «Let-tere italiane», 2 (1974), pp. 180–97; H. HALLER, Da «Le storie ferraresi» al «Romanzo di

Ferrara»: varianti nell’opera di Bassani, «Canadian Journal of Italian Studies», 1 (1977), pp. 74-96.

27Si cita da G. BASSANI, Opere, a cura di R. Cotroneo, Milano, Mondadori “I

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stanza storico-letteraria significativa per il nostro tema: il 1958, anno del-la quasi contemporanea uscita di due tra le maggiori raccolte del periodo (vincitrici a pari merito del Premio Bagutta), cioè i Racconti di Calvino, da cui abbiamo preso le mosse, e il libro dei Racconti di Romano Bilen-chi.

L’accostamento di Calvino a Bilenchi non è tra i più collaudati nei percorsi critici del Novecento. Ciononostante, gli elementi che giustifi-cano il parallelo sono rilevanti. Innanzitutto, i due autori erano in con-tatto, sia per le amicizie letterarie condivise (Elio Vittorini in primis), sia per le comuni collaborazioni editoriali e giornalistiche. Nel ’58, Calvino e Bilenchi si scrivono commentando i rispettivi volumi:

Caro Bilenchi,

il tuo libro, di cui molto ti ringrazio, da quando m’è arrivato è al centro delle mie letture e riflessioni. Riflessioni su come un lavoro come il tuo sia stato importante e resti solido e sia servito anche a chi – come me – venuto dopo ha battuto fondamentalmente al-tre strade. Vedi nel volume dei racconti miei che riceverai in questi giorni, come nella sezione Le memorie difficili ho ordinato certi rac-conti del ’46–’48 che si scostano dagli altri miei di quell’epoca e dove si può trovare una saldatura – che tutti a prima vista neghe-rebbero – tra il tuo lavoro e il mio: racconti che oggi vedo come i più solidi tra i miei di quegli anni e su una linea di sviluppo che forse è quella che mi ha dato più frutto fino a oggi (ma il mio cammino è così dispersivo e poco rigoroso, rispetto al tuo).28 Carissimo Calvino,

grazie della tua lettera, moltissime grazie per il libro e per la dedi-ca. Ne ho letto più della metà. Non ci vedo dispersione. Hai fatto bene a ripubblicare i racconti tutti insieme anche per ribattere questa impressione, falsa, che qualcuno potrebbe avere avuto. Si tratta di un temperamento diverso dal mio e da quello di un Cas-sola, ad esempio, che ha bisogno di percorrere diverse strade per dire quello che vuol dire, ma, in fondo, un nucleo centrale c’è e il lettore attento non fatica neppure a scoprirlo. Magari per realiz-zare completamente la tua arte avrai bisogno di scrivere più di al-tri.29

28Lettera del 1 dicembre 1958, in I. CALVINO, Lettere 1940–1985, cit., p. 572. 29Lettera non datata, pubblicata in R. BILENCHI, Lettere, a cura di E. Nencini, «Erba

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Sia per Calvino sia per Bilenchi inoltre, l’officina del romanzo e quella del racconto sono state così vicine da permettere continui scambi di materiali e strumenti da un genere all’altro; entrambi, intorno al ful-cro ful-cronologico che abbiamo individuato, sperimentarono soluzioni di compromesso tra serialità e continuità narrative, come risposta alla dif-ficoltà di costruire un vero romanzo realistico.30Infine, sul piano più

te-stuale, va osservato come i loro due libri di Racconti abbiano un’archi-tettura simile, scandita in quattro parti, di cui l’ultima contiene i testi più lunghi.

8. La quarta parte del volume dei Racconti di Bilenchi contiene i due testi di maggior respiro: La siccità, che dà il titolo alla sezione, e La mi-seria. I due racconti, pubblicati su rivista per la prima volta rispettiva-mente nel luglio del ’40 e nel febbraio del ’41, diventeranno le prime due parti di un trittico, completato solo nel 1984 con l’uscita da Rizzoli del volume Gli anni impossibili; il terzo elemento del trittico è rappre-sentato dal racconto Il gelo, pubblicato nel 1982, che riprende per molti tratti i due racconti più antichi. Intorno a quei racconti si è manifestata più di una volta la riflessione dell’autore sulla relazione tra serialità e continuità. «Io non sono proprio sicuro che La siccità e La miseria siano dei racconti», affermava per esempio Bilenchi nel corso di un’intervista del ’62, lasciando intendere che poteva trattarsi di un romanzo in due tranches.31Sennonché, Bilenchi rifiuta quest’idea proprio quando

avreb-be avuto più senso sostenerla, cioè quando riunisce la trilogia negli Anni impossibili; lo si evince da una lettera indirizzatagli dal curatore, Sergio Pautasso: «Tu tendi a negare i collegamenti, io invece a vedere una coe-renza interna. Il che non significa affatto che tu abbia voluto arrivare

30In questo, ad esempio, Bilenchi e Calvino sono diversi da Moravia, che pure

scri-ve moltissimi racconti, convogliati in numerose raccolte e in particolare in quelle degli anni Cinquanta: i Racconti e i Racconti romani. Il caso è diverso, perché Moravia non mette in discussione la coabitazione pacifica delle due forme – romanzo e racconto. Inoltre, quando Moravia negli anni Cinquanta si pone il problema del romanzo, lo fa principalmente per sviluppare motivi e personaggi presenti o impliciti nella sua narra-tiva precedente: in un certo senso, risolve la crisi del romanzo attraverso il romanzo, non attraverso il conflitto con la forma breve, come fanno invece, nello stesso periodo, Cal-vino e Bilenchi.

31R. BILENCHI, Dialogo sul romanzo, «Quaderni Milanesi», poi in ID., Le parole della

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per frammenti a un romanzo, solo che la forza delle cose, secondo me, ha finito per imporsi».32

L’ambivalenza di Bilenchi rispetto al genere narrativo cui assegnare Siccità e Miseria induce a porsi delle domande sul grado di continuità tra quei racconti e sul labile confine che separa la forma breve dal romanzo. I tratti in comune tra Siccità, Miseria (e poi Gelo) sono importanti e ri-guardano in primo luogo lo svolgimento, per quanto rapsodico, della fa-bula intorno a un protagonista-narratore; in secondo luogo, l’identità del-lo scenario: una cittadina della provincia toscana, dove il personaggio, ri-tratto in età infantile e adolescenziale, vive i rovesci morali e materiali della famiglia d’origine, sulla quale s’impone la figura del nonno. I rac-conti corrispondono a fasi indubitabilmente successive nella fabula, come sottolineano i rispettivi passi iniziali:

La siccità

L’anno della siccità segnò il culmine dell’amicizia tra me e mio nonno.

Da otto mesi il nonno e la nonna avevano smesso di lavorare e ab-bandonato l’albergo tenuto in affitto fino dalla loro giovinezza, nel quale, dopo un’incessante faticosa lotta, erano riusciti a mettere insieme un discreto capitale. Si erano ritirati nella casa acquistata in via dei Tre Mori dove anch’io ero andato ad abitare con la mamma e col babbo.

La miseria

Alla morte del nonno non sapevo che eravamo caduti in miseria. Avevamo sempre la casa in cui abitavamo e un’altra piccola e gri-gia, e credevo che poco fosse cambiato nella nostra vita. Dopo la

siccità che aveva devastato i campi attorno a noi e impoverito i

proprietari fino a ridurli alla disperazione, il nonno, oppresso dai rimproveri della nonna, del babbo e della mamma, e incapace or-mai di resistere alla loro volontà, quasi avesse d’un tratto conosciu-to le proprie colpe e intendesse allontanare per sempre la possibi-lità di commetterne altre, aveva venduto il podere.

32 Per un approfondimento di questi aspetti dell’opera bilenchiana rimando a N.

SCAFFAI, «Gli anni impossibili» di Romano Bilenchi: problemi di statuto e analisi narrativa, in Romano Bilenchi nel Centenario della nascita. Atti dei convegni di Milano e Colle Val d’El-sa (ottobre-novembre 2009), a cura di B. Centovalli, L. Lenzini, P. Maccari, Fiesole (Fi-renze), Cadmo, 2013, pp. 193-220.

(35)

Il gelo

Il gelo del sospetto e dell’incomprensione si levò fra me e gli uo-mini quando avevo sedici anni, al tempo della licenza ginnasiale.

Avevo assistito alla siccità, con gli abitanti della campagna e della

cit-tà sconvolti, compressi contro il suolo sul quale le colture regredi-vano fino a scomparire, e veduto le strade immiserirsi al contatto dei campi ormai senza più prode e siepi di biancospino […].

Fra la siccità e la miseria era caduta la morte del nonno e avevo superato

anche quel dolore, una lacerazione colma d’angoscia e di stupore per come egli mi aveva lasciato.33

Gli incipit contengono tutti la parola-titolo e, anche per questo, esco-no dalla diegesi in senso stretto, assumendo piuttosto la funzione di ru-briche di raccordo tra episodi successivi ma non strettamente consecuti-vi. La non-consecutività è del resto confermata almeno da un’evidente sfasatura nella trama, che nel percorso delle varianti non viene mai sana-ta, a riprova che non si tratta certamente di una svissana-ta, ma di un’incon-gruenza intenzionale:

La siccità

Ma egli [= il nonno] un giorno partì. Aveva una sorella da lui amata

più di ogni altra persona […]. Il nonno parlava spesso della sorella e soprattutto dei giovani avventurosi nipoti da lui appena cono-sciuti […]. Avvenne che la nostra parente, rimasta vedova da qual-che anno, cadde ammalata, e i suoi tre figli accorsero da Praga, dal Cairo e da Barcellona dove ora abitavano. Scampata alla morte, es-sa e i giovanotti scrissero al nonno di andare a trovarli perché de-sideravano rivederlo dopo tanto tempo e dopo i tristi giorni at-traversati. Ed egli intraprese l’unico lungo viaggio della sua vita. In apparenza felice che quel richiamo imprevisto lo togliesse dalla pena comune e lo liberasse dall’odiosa presenza della nonna, del babbo e della mamma e degli abitanti della città che troppo lo avevano fatto soffrire, partì predicendo loro carestia e terremoto.

La miseria

Dopo la siccità che aveva devastato i campi attorno a noi e impo-verito i proprietari fino a ridurli alla disperazione, il nonno,

op-33Si cita, qui e in seguito, da R. BILENCHI, Opere, a cura di B. Centovalli, M.

De-paoli, C. Nesi, Milano, Rizzoli, nuova ed. accresciuta 2009. I corsivi nelle citazioni sono miei.

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Niccolò Scaffai

presso dai rimproveri della nonna, del babbo e della mamma, e in-capace ormai di resistere alla loro volontà, quasi avesse d’un tratto conosciuto le proprie colpe e intendesse allontanare per sempre la possibilità di commetterne altre, aveva venduto il podere. […] Dopo che il nonno aveva venduto il podere, l’inverno dava sostan-za e sapore a tutto l’anno. […]

Quando morì il nonno oltre due anni erano passati dalla vendita del po-dere, e la primavera stava per cominciare.

Il gelo

Fra la siccità e la miseria era caduta la morte del nonno […].

Quando entrai in casa trovai che il nonno era morto. La mamma e la

nonna mi raccontarono che a mezzogiorno il nonno era stato as-salito da un improvviso delirio […].

Il medico lo aveva visitato un’altra volta, senza trovare nulla di nuovo. […] Aveva aggiunto di sorvegliarlo, senza lasciarlo un atti-mo solo. Il nonno aveva voluto soltanto un brodo ristretto dicen-do che gli dicen-doleva lo stomaco. E si era addicen-dormentato. […]

Allorché sonai alla porta di casa, il nonno era spirato da poco.

L’incongruenza riguarda il personaggio-chiave del nonno. Nel finale della Siccità, questi parte per raggiungere lontani parenti; l’evento è rac-contato con stile e immagini da novella avventurosa, che accentuano la debolezza consequenziale della vicenda. Debolezza che diventa evidente all’inizio della Miseria, quando si parla improvvisamente della morte del nonno come di un evento già noto; l’evento viene peraltro collocato nell’ambiente domestico, senza che venga fatto alcun accenno alla pre-cedente partenza né tantomeno a un ritorno. Nel Gelo, infine, vengono raccontati gli ultimi giorni di vita del personaggio, quasi duplicandone la morte affermando la prevalenza dell’iterazione sulla consequenzialità. Anche le varianti introdotte nei due racconti non provocano un incre-mento della continuità narrativa, bensì un più marcato parallelismo: si rinforza il paradigma, insomma, non il sintagma. La coerenza, più che ro-manzesca, è direi musicale, basata sul principio del Leitmotiv; così, ad esempio, sia nella Siccità che nella Miseria il personaggio del nonno segue un’analoga vicenda euforico-depressiva, in entrambi i casi, legata all’ac-quisto e al restauro di due case: quella di via dei Tre Mori nel primo rac-conto; la casa «piccola e grigia» alla periferia della città comprata dopo la vendita del podere, nel secondo racconto:

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34Si trascrivono in corsivo le parti aggiunte rispetto alla princeps, in neretto i brani

tematicamente paralleli nei diversi racconti. 1940

«Sono libero finalmente. Andiamo dai tuoi compagni» e uscivamo fer-mandoci a parlare con tutti i bam-bini che incontravamo.

195834

«Sono libero finalmente. Andiamo dai tuoi compagni» e uscivamo fer-mandoci a parlare con tutti i bambi-ni che incontravamo. Nella nostra

passeggiata entrava sempre via dei Tre Mori. Il nonno si fermava dinanzi allo stabile che aveva in animo di comprare e rimaneva a contemplarlo estasiato, chie-dendo a me e a qualche ragazzo che ci eravamo trascinato dietro la conferma dei suoi giudizi e nuovo fuoco alla sua pas-sione. Discuteva dei muri maestri e

degli affissi, delle dimensioni della porta e del colore delle persiane, con

tutti i muratori e falegnami che avevano un recapito o una bottega nelle

vici-nanze, e rivolto a me diceva: «Forse

compro quella casa». E nei suoi occhi passavano bagliori di giovanile audacia. La porta era alta e stretta, di un marrone vecchio, tenuta male, e bisognava ripulir-la e poi lustrarripulir-la col petrolio e con l’olio di lino. La targa smaltata di bianco col cognome scritto in nero era di quelle con-vesse, all’antica […]. Le finestre sarebbe-ro state allargate. Io ascoltavo i suoi psarebbe-ro- pro-getti, i consigli dei muratori e dei fale-gnami, e dal prossimo mutamento di vita del nonno, dalla sua maggior libertà […], mi ero ripromesso iniziative straordina-rie, divertimenti durevoli.

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Niccolò Scaffai

LA MISERIA

Perché, quando nel ’58 Bilenchi accentua il parallelismo tra Siccità e Mi-seria, non dà loro la definitiva continuità romanzesca che in potenza i due testi avrebbero avuto? Bilenchi avrebbe anche potuto estrapolare i due rac-conti dal libro e farne una narrazione unitaria in un volume autonomo. Sennonché, proprio in quel periodo, lo scrittore stava già lavorando a un vero romanzo, anzi a due: cioè una nuova redazione del Conservatorio di Santa Teresa, iniziata ma poi abbandonata; e la riscrittura di un altro roman-zo che era andato perduto durante la Seconda guerra mondiale.35

Nessuna delle riscritture avviate negli anni Cinquanta viene portata a termine. Anzi, in quel periodo, Bilenchi si rende conto di quanto proble-matico sia, per un autore che come lui non appartiene al neorealismo «di-vulgativo»,36 trovare un equilibrio tra il vecchio e il nuovo, tra uno stile

narrativo formatosi nel primo dopoguerra e l’urgenza di temi e modalità

35Lo sappiamo dallo stesso scrittore, che annuncia i suoi progetti in un’intervista da

Roberto De Monticelli sul «Giorno» nel luglio ’59, l’anno dopo cioè l’uscita dei Rac-conti.

36«C’è però un grave pericolo, secondo il mio giudizio, a cui i neorealisti debbono

1941

La strada che conduceva alla nuova casa era di tufo giallo, scura e morbi-da d’inverno, chiara e vetrina d’esta-te.

1958

La strada che conduceva alla nuova casa era di tufo giallo, scura e mor-bida d’inverno, chiara e vetrina d’estate. Per qualche settimana il nonno

si era dedicato alla casa grigia, aveva

fatto accomodare la porta e le persia-ne, gli impiantiti di due stanze, il tetto, e poi aveva cercato nelle vici-nanze un orto o un giardino da

compra-re […]. Allora il nonno aveva affittato la casupola grigia a un uomo che possedeva numerosi orti e giardini […]; e di nuovo

aveva mostrato di interessarsi alla casa che abitavamo, riprendendo i suoi

vecchi piani di renderla più bella e più comoda.

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