• Non ci sono risultati.

Asnago e Vender and the Construction of Modern Milan

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Asnago e Vender and the Construction of Modern Milan"

Copied!
8
0
0

Testo completo

(1)

maggio 2016

numero 156

Architettura in mostra: il caso

«Comuni-tà Italia» - Modern/post: un territorio in-

between - «Mostrismo»: un’avanguardia

globale per un paradigma espositivo -

Moda: sistema e processi - Libri, riviste e

mostre - Le pagine dell’ADI Campania.

(2)
(3)

rivista quadrimestrale di selezione della critica d’arte contemporanea Direttore: Renato De Fusco Comitato scientifico Comitato redazionale

Philippe Daverio Roberta Amirante

Kenneth Frampton Pasquale Belfiore

Giuseppe Galasso Alessandro Castagnaro

Vittorio Gregotti Imma Forino

Juan Miguel Hernández León Francesca Rinaldi

Aldo Masullo Livio Sacchi

Vanni Pasca

Franco Purini Segretaria di redazione

Joseph Rykwert Emma Labruna

Redazione: 80123 Napoli, Via Vincenzo Padula, 2 info: +39 081 7690783 - +39 081 2538071 e-mail: rendefus@unina.it - elabruna@unina.it Amministrazione: 80128 Napoli, Via B. Cavallino, 35/G info: +39 081 5595114 - +39 081 5597681 e-mail: info@graficaelettronica.it Abbonamento annuale: Italia e 25,00 - Estero e 28,00 Un fascicolo separato: Italia e 9,00 - Estero e 10,00 Un fascicolo arretrato: Italia e 10,00 - Estero e 11,00 Spedizione in abbonamento postale 70% Direzione commerciale imprese - Napoli C/C/P n. 1012060917

Grafica Elettronica

La rivista si stampa con il contributo di Generali Meccatronica Applicata Zona ASI Giugliano (NA)

(4)

F. Purini,

Architettura in mostra: il caso «Comunità Italia»

5

P. Scala,

Modern/post: un territorio in-between

14

J. Cerasoli,

«Mostrismo»: un’avanguardia globale

per un paradigma espositivo

25

M.A. Sbordone, Moda: sistema e processi 33

Libri, riviste e mostre

45

Le pagine dell’ADI Campania

81

Alla

redazione di questo numero hanno collaborato:

Michela Bassanelli, Alberto Calderoni, Alessandro Castagnaro,

Jacopo Leveratto, Niroscia Pagano, Irene Pasina, Dario Russo.

(5)

62

A. Caruso, Asnago Vender and

the Construction of Modern

Milan, gta Verlag, Zurigo 2015.

Il volume, pubblicato per i tipi della casa editrice del diparti-mento di storia e teoria dell’ar-chitettura del Politecnico di Zuri-go, è il secondo della collana “The Limits of Modernism – a Forgotten Generation of Europe-an Architects”. Ideata da Adam Caruso, architetto londinese di fama internazionale, tale collana ha come scopo il fare luce sull’o-perato di architetti europei “di-menticati” o a lungo trascurati dalla critica. In effetti Mario Asnago (1896-1981) e Claudio Vender (1904-86) non hanno go-duto di un grande successo sto-riografico tanto che le pubblica-zioni a loro dedicate sono estre-mamente limitate. L’unica mo-nografia in italiano, ormai da tempo esaurita, fu curata da Cino Zucchi con Francesca Cadeo e Monica Lattuada nel 1998

(Asna-go e Vender: l’astrazione quoti-diana. Architetture e progetti 1925-1970. Milano, Skira). Il li-bro di Caruso è il primo e unico in inglese dedicato alle opere dello studio milanese.

L’autore è architetto “in prac-tice”, insieme a Peter St. John, ed affianca alla sua attività profes-sionale la docenza presso il pre-stigioso ateneo svizzero. Il suo essere prima di tutto un vero “co-struttore” è evidente anche dalla lettura di questo volume che non è né un libro di storia né tantome-no una motantome-nografia: entro una chiara struttura pensata per met-tere in evidenza particolari carat-teri degli edifici degli architetti milanesi, il volume ci guida dal

generale al particolare, così co-me se osservassimo una costru-zione figurativa, alla compren-sione di alcuni aspetti della poe-tica di Asnago e Vender.

Il lavoro dei nostri è quindi per Caruso un artificio per riflet-tere su una possibile metodologia del fare architettura e città. Meto-dologia quest’ultima molto cara all’autore che spesso dalla tradi-zione architettonica italiana del novecento mutua modelli e refe-renze per la sua ricerca composi-tiva e formale. Milano con i suoi edifici è emblema di come l’ar-chitettura sia strumento capace di costruire, per dirla con Rykwert, «la maschera di una società». Da città immersa in una dimensione agricolo-artigianale, Milano con la sua borghesia industriale è stata capace di assimilare la sua storia dentro la modernità e i lavori presentati in questo li-bro ne sono testimoni visibili. Architetture prove tangibili di un’intensa attività professionale che ha attraversato ideali, canoni e linguaggi che si sono succeduti in cinquant’anni di vita del no-stro paese: dagli albori del fasci-smo fino alla più accesa specula-zione edilizia figlia del boom economico.

Il libro è composto da tre par-ti. Nella prima sono raccolti testi di Gio Ponti, Ernesto N. Rogers e Aldo Rossi, tenuti insieme da un saggio critico di Angelo Lunati, atti alla descrizione dell’ambien-te milanese in cui gli archidell’ambien-tetti si trovarono ad operare. Caruso fa una selezione scientifica rispetto all’enorme quantità di testi di-sponibili, compiendo una scelta strategica: solo tre voci, testimo-nianze eccellenti del dibattito che a cavallo del dopoguerra esisteva

(6)

63

tra le pagine di Casabella-Conti-nuità e Domus per provare ap-punto a ricostruire un’atmosfera entro cui immergere l’operato dei nostri. Emergono da questi saggi alcuni tra i temi più signifi-cativi dell’epoca, dal rapporto tra antico e nuovo sino all’auspicata unità architettura-urbanistica. Questa sezione termina con la presentazione di sette edifici dei nostri. Solo sette edifici per pro-vare a descrivere, criticamente e faziosamente, quanto l’opera di Asnago e Vender sia stata incisi-va per l’architettura contempora-nea europea di ieri e di oggi. Tali architetture sono prima rappre-sentate in una grande planimetria alla scala urbana del centro di Milano, strumento attraverso cui subito si evidenzia come questi piccoli tasselli del mosaico urba-no lavoriurba-no sinergicamente in continuità con la complessa mor-fologia urbana della città. Suc-cessivamente i singoli edifici so-no invece presentati nel loro più ristretto contesto urbano, eviden-ziando come tracciati e segni – partendo dal contesto stesso – trovino sintesi nei volumi plasti-camente composti di queste ar-chitetture residenziali.

Nella seconda parte del volu-me, introdotta da un saggio di Cino Zucchi (estratto e tradotto in inglese dalla sua già citata mo-nografia), si presentano appro-fonditamente i sette progetti at-traverso una raffinata raccolta di disegni redatti dal gruppo di ri-cerca di Caruso presso il Politec-nico zurighese e un ricco appara-to foappara-tografico. Materiale icono-grafico attraverso cui è possibile comprendere come rapporti e geometrie dei singoli contesti sia-no state reinterpretate attraverso

il progetto. Solo guardando un prospetto come un’unità visiva specifica si manifestano le pe-culiarità delle invenzioni for-mali di Asnago Vender. L’idea di una finestra allungata o di una pietra basamentale è chia-ramente riferibile ad una vo-lontà di essere adeguati al con-testo. Ma osservando più da vi-cino gli intrecci delle griglie che generano le aperture sono so-briamente manipolate e le pie-tre dei basamenti sono strana-mente sproporzionate. Questi lievi movimenti generano una energia capace di sottrarre al convenzionale anonimato i loro edifici. Gli edifici raccolti, cin-que angoli di isolati urbani (cin-quel- (quel-li in via Daniele Manin 33, in viale Tunisia 50, in via Euripide 1, in piazza Velasca 4 e in via Plutarco 15) e due tasselli inseriti in cortine continue sempre della città storica milanese (quelli di via Lanzone 4 e via Andrea Verga 4), rappresentano momenti che ben esplicitano la forza espressi-va e la capacità di sintesi formale degli architetti milanesi. Inizial-mente nei loro progetti contrap-posero al linguaggio del Gruppo Novecento fatto da un campio-nario linguistico “classico” mo-tivato dal cambiamento della società da un’aristocrazia che abita palazzi ad una borghesia che ha fatto città, un razionali-smo autoctono e ibridato da alcu-ni elementi figurativi per meglio aggrapparsi al contesto, per poi divenire sempre più astratti e pla-stici fino ad essere accusati di formalismo. A ben vedere i loro edifici sono formalmente coe-renti ma anche frammenti co-me rovine: assimilano quanto c’è nel contesto e creano una

(7)

64

superficie che riflette quello che ci potrà essere. Un lavoro il loro libero da dogmi ed ideali precon-fezionati, quasi al limite dell’e-clettismo: attraverso la manipo-lazione degli elementi del conte-sto definiscono una relazione con la storia non concettuale o letterale bensì equivoca e sog-gettiva. Nonostante ciò le loro architetture indiscutibilmente vi-vono del contesto in cui sono in-nestate, e, simultaneamente, han-no una loro totale autohan-nomia for-male: generano, in sintesi, conti-nuità senza completezza.

A supporto dei rilievi plani-metrici e degli alzati arricchisco-no il libro quaranta scatti di Hélène Binet, fotografa d’archi-tettura tra le più celebri dello sce-nario internazionale. Attraverso le sue immagini la Binet immor-tala la quotidianità di questi edi-fici e con loro squarci della Mila-no contemporanea. Gli edifici fanno da sfondo a persone di cor-sa, macchine parcheggiate con motorini disordinati, cartelloni pubblicitari e oggetti dell’ordina-rio: queste immagini di città ren-dono esplicito quanto questi edi-fici siano in grado di costruire la “normalità” di una città moder-na. Dal generale al particolare, analogamente all’impostazione del libro, le fotografie descrivono queste sette architetture ricercan-do il loro essere parte indissolu-bile di un pezzo di città, viste quindi come elementi di un tutto. Raccontano poi della plasticità delle facciate, vere e proprie co-struzioni figurative così come le definisce Caruso, scendendo pian piano nell’intimo della costru-zione dei singoli edifici, nei loro incastri e giunzioni, nei punti in cui la pietra incontra il metallo

degli infissi, il mattone un blocco di vetrocemento: dettagli che vengono analizzati per mettere in luce la grande sapienza dei nostri nel conciliare in perfetta armonia strutture tettoniche con superfici plastiche.

Nella terza ed ultima sezione del volume, aperta da un saggio dello stesso Caruso, si continua ad esplorare, attraverso un salto di scala, i sette progetti presentati attraverso fotografie e disegni di dettaglio come rapidi “close up” fino a scale esecutive per cono-scere particolari necessari alla comprensione della complessa unità di queste architetture. Parti di edifici vengono come vivise-zionate alla ricerca della ricetta perfetta per la costruzione dell’o-pera d’arte in cui si evince con forza come la costruzione per Asnago Vender sia una questio-ne formale e non tecnica, spie-gata come un imperativo arti-stico. Verrebbe da dire che all’in-terno della più bella tra le scultu-re non v’è che marmo così come nei dettagli di un edificio non si scopre che il già noto. Il più grande pregio di questo volumi-noso libro è forse proprio nell’a-ver messo in luce quanto la co-struzione di architettura di quali-tà risiede sempre nella più asso-luta ricerca della semplicità co-struttiva: Asnago e Vender sono architetti realisti, concreti nel-l’utilizzo di materiali semplici, economici e non elaborati, non c’è nel loro lavoro polemica tec-nologica.

Adam Caruso compie un’ope-razione certamente meritoria nell’aver disvelato, anche se in maniera volutamente parziale, frutto di una attenta selezione critica, il lavoro di questi due

(8)

65

mae stri della Scuola Milanese, che seppur considerati come me-ri formalisti per lungo tempo e fuori dal dibattito intellettuale dell’epoca hanno in realtà, attra-verso le loro architetture, costrui-to basi per l’oggi fondendo posi-zioni rossiane con istante esteti-che tipiesteti-che delle discipline arti-stiche: Asnago e Vender non era-no ossessionati dall’urbanistica, dai piani terra e dalle strutture, il loro lavoro è manifestazione concreta e idiosincratica di una vera maestria del costruire.

A. Cal.

Stanze: Altre filosofie

dell’abita-re, XXI Triennale di Milano, 2 aprile - 12 settembre 2016, a cura di B. Finessi, allestimen-to di G. Filindeu, progetallestimen-to gra-fico di L. Sonnoli.

L’architettura degli interni ha ancora un grosso problema di ri-cezione critica, è inutile nascon-derlo. Non è sempre colpa della critica, però. Il problema, se di problema si può parlare, è di uno statuto disciplinare complesso e liminare per sua natura che, a volte, lascia spazio a qualche fraintendimento. L’architettura degli interni – come scrive Bep-pe Finessi nel colophon della mostra che apre la XXI Triennale di Milano – continua a essere

luogo privilegiato di indagine,

studio e riflessione sugli aspetti più direttamente legati alla vita quotidiana delle persone, con un compito realmente speciale: pensare e definire gli spazi e gli ambienti, con forme, colori e dettagli che ospiteranno noi, la nostra famiglia, i nostri amici,

progettando un «mondo» in-torno a queste vite. Il suo com-pito, cioè, consiste nel dare for-ma a una dimensione in cui il progetto spaziale che l’architet-tura è chiamata a definire viene a patti con il progetto esistenziale di chi la abita, accogliendo i suoi gesti, le sue pratiche e i suoi ri-tuali. A questo obiettivo fonda-mentalmente antropologico, pe-rò, il progetto di interni si avvici-na con uavvici-na metodologia di ricer-ca ancora chiaramente ascrivibile al campo delle pratiche artistiche e con una specifica attenzione a un mercato enorme e pulviscola-re, orientato da mutevoli questio-ni di gusto e di stile. Per questo motivo, nelle rare occasioni di confronto critico, capita che il profondo significato umano del-l’abitare che l’interno architetto-nico materializza passi in secon-do piano rispetto alla raffinatezza autoreferenziale del gesto pro-gettuale o al segno distintivo di una moda momentanea.

Purtroppo, a trent’anni dall’ul-tima fortunata occasione (Il

Pro-getto Domestico, curata per la Triennale del 1986 da Mario Bel-lini e Georges Teyssot), Stanze non riesce ancora a sciogliere to-talmente il nodo in questione. Certo, la mostra è bella, non c’è altro termine per definirla. È ele-gante, accuratamente studiata, molto ben scandita dall’allesti-mento di Gianni Filindeu che «addomestica» la curva attorno al Teatro dell’Arte. E non è nem-meno la qualità architettonica o figurativa a mancare nell’opera degli undici autori chiamati a in-terpretare il tema attraverso undi-ci declinazioni diverse. Quello che non riesce realmente a emer-gere è un pensiero forte, radicato

Riferimenti

Documenti correlati

Il primo appalto aggiudicato dalla Pizzarotti in Cile, con Obras Subterraneas SA, ri- guarda l'espansione del siste- ma di ventilazione sotterra- neo di «Chuqui»: vale circa 90

Fino a questo momento però la Robur fuori casa ha dimostrato di avere le idee chiare su come interpretare le partite, aggredendo nella fase iniziale per poi aspettare e colpire

Initiatives such as these point to a partnership in recollection, or perhaps more accurately, a co-construction of natural identity; the Italian experience in Wales can be seen as

Just as plants do not need high efficiency in acquiring energy from the sun, networked systems do not need mechanical perfect solutions, because their development does not depend on

A) The image component is the desire of the management of large corporations, the authorities to give a grandiose look to the period of their rule in the historical perspective, to

As part of the study, the authors developed a unified model called the "Arrow of Energy- Efficient Technologies", which combines energy-saving technologies implemented in all

 risk associated with the content of internal stocks, and others. When looking at the production logistics from the point of view of its interaction with operational management,

SPLENDIDO LIBRO MILAN CALCIO IL DIAVOLO IN CORPO - storia del grande milan - DI SERGIO BARBERO GRAPHOT EDITRICE IL LIBRO E' ANCORA BLISTERATO E PERTANTO IN CONDIZIONI DA.. 11