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Esperienze di pellegrinaggio e «cooperazione tra santi» nell'Occidente basso-medievale (secc. XI-XIII)

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ESPERIENZE DI PELLEGRINAGGIO E «COOPERAZIONE TRA SANTI»

NELL’OCCIDENTE BASSO-MEDIEVALE (SECC. XI-XIII)*

La scrittura agiografica ricopre un ruolo centrale nell’ambito dei pro-cessi di promozione e legittimazione dei culti santorali. Le funzioni svolte dall’agiografo, infatti, non sono semplicemente riducibili alla messa per iscritto di memorie e tradizioni relative alle coordinate bio-agiografiche del santo, alle eventuali translationes e ai relativi miracula. Al contrario, nel processo di scrittura, egli utilizza precise strategie di legittimazione del culto – che sia novello, da promuovere o rilanciare –, finalizzate a dimo-strare la virtus del santo e, implicitamente, la sua superiorità rispetto ad altri santi. In riferimento a quest’ultimo aspetto, talvolta l’agiografo inclu-de tra i miracula alcuni episodi finalizzati a certificare la preminenza inclu-del santo in oggetto, confermando così, agli occhi dei devoti e dei destinata-ri/fruitori del testo agiografico, come sia preferibile rivolgere i propri atti di devozione (preghiere, voti, ecc.) al santo protagonista dell’agiografia piuttosto che a un altro.

In questi episodi trova spazio un tema interessante: la «cooperazione tra santi»1. Si tratta di tutti quei racconti in cui un pellegrino in cerca di

gua-* Questo articolo si inserisce nell’attività di ricerca finanziata dal Progetto ERC “Ne-MoSanctl: New Models of Sanctity in ltaly (1960s-2000s) - A Semiotic Analysis of Norms, Causes of Saints, Hagiography, and Narratives”. This project has received fun-ding from the European Research Council (ERC) under the European Union’s Horizon 2020 research and innovation programme (grant agreement No 757314).

1. L’espressione è tratta dal titolo di un paragrafo – Rapports entre les saints: concurrence «Itineraria» 18 (2019), pp. 49-71.

(ISSN1594-1019 - ISBN978-88-8450-954-3© SISMEL - Edizioni del Galluzzo 2019)

SISMEL - EDIZIONI DEL GALLUZZO

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ou coopération? – presente nel volume di P. Sigal, L’homme et le miracle dans la France médié-vale, Paris 1985, pp. 216-23; tale paragrafo attualmente è il principale riferimento al tema

della cooperazione e della concorrenza tra santi.

2. Le dinamiche della questione affrontata in questo studio non devono essere confuse con la semplice inefficacia delle preghiere, rivolte al santo o ai santi, precedenti all’otte-nimento della guarigione. Su questo cfr. A. Vauchez, La santità nel medioevo, Bologna 1989, p. 458 e la nota 23.

3. Accanto a questo fenomeno, è da segnalare – ma, ritengo, considerare distinto – il caso della cessazione di miracoli operati dalle reliquie. Un utile esempio è rappresentato dai pignora di s. Valpurga che, come narra Odone di Cluny, vennero posti per alcuni gior-ni sopra l’altare, ma cessarono di operare prodigi. Il motivo venne rivelato dalla stessa santa, che apparve a un devoto infermo, spiegando che quella collocazione era riservata alla celebrazione del mistero divino, cioè all’eucarestia; non appena la cassa che conteneva le reliquie venne spostata, esse iniziarono a produrre nuovamente miracoli (Sancti Odonis

Abbatis Cluniacensis II Collationum libri tres, in PL CXXXIII, col. 573); in proposito si veda:

N. Herrmann-Mascard, Les reliques des saints: formation coutumière d’un droit, Paris 1975, p. 173; P. Geary, Furta sacra. La trafugazione delle reliquie nel medioevo, Milano 2000, p. 29.

4. La bibliografia relativa al pellegrinaggio nel medioevo è molto vasta. Si rimanda per-ciò ai titoli più rappresentativi e alla bibl. citata: R. Stopani, Le vie di pellegrinaggio del

Me-dioevo. Gli itinerari per Roma, Gerusalemme, Compostella, Firenze 1991; F. Cardini, La pere-grinación, una dimensión de la vida medieval. Il pellegrinaggio, una dimensione della vita medievale,

Roma 1996; R. Stopani, La Via Francigena. Storia di una strada medievale, Firenze 1998; G. Palumbo, Giubileo, giubilei: pellegrini e pellegrine, riti, santi, immagini per una storia dei sacri

iti-nerari, Roma 1999; P. Caucci von Saucken, Il mondo dei pellegrinaggi. Roma, Santiago, Ge-rusalemme, Milano 1999; Id., Francigena: santi, cavalieri, pellegrini, Milano 1999; N. Ohler, Vita pericolosa dei pellegrini nel medioevo, Casale Monferrato 2002; D. Webb, Pilgrims and pil-grimage in the Medieval West, London and New York 2002; Ead., Medieval European Pilgri-mage, c. 700-c. 1500, New York 2002; R. A. Scott, Miracle Cures. Saints, PilgriPilgri-mage, and the healing power of Belief, Berkeley and Los Angeles 2010; K. Hurlock, Medieval Welsh Pilgrim-age, c.1100–1500, New York 2018; N. Orme, Medieval Pilgrimage. With a Survey of Corn-wall, Devon, Dorset, Somerset and Bristol, London 2018; F. Cardini, L. Russo, Homo viator. Il pellegrinaggio medievale, Viareggio 2019.

rigione viene esortato dal santo, al quale si è rivolto con devozione, attra-verso un atto performativo (un dispositivo onirico, un’apparizione, la per-cezione di una voce), a recarsi in pellegrinaggio da un altro santo, in quan-to solo a quest’ultimo è concesso da Dio di guarirlo2. Quasi inutile sotto-lineare che il santo che compirà alla fine la guarigione è il titolare della narrazione agiografica, che così viene descritto nell’esercizio delle sue fun-zioni celesti e contraddistinto da un’esplicita superiorità taumaturgica3.

La maggior parte degli episodi di «cooperazione tra santi» avviene in contesti di pellegrinaggio4. È infatti il pellegrino, e la contestuale dinami-ca di viaggio che egli mette in atto, a costituire parte integrante del

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5. Su s. Fede, il suo culto e la traslazione delle reliquie si veda: A. Bouillet - L. Ser-vières, Sainte Foy, vierge et martyre, Rodez 1900; R. Latouche, Sainte-Foy de Conques et le

problème de l’or aux temps carolingiens, in «Annales du Midi: revue archéologique, historique

et philologique de la France méridionale», 68 (1956), pp. 209-15; A. Amore - M. C. Cel-letti, Fede, s.v., in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1964, vol. V, pp. 511-6; G. Gaillard, Une

abbaye de pèlerinage: Sainte-Foy de Conques et ses rapports avec Saint-Jacques, in

«Compostel-lanum», 10 (1965), pp. 691-702; D.-B. Grémont, Le culte de sainte Foy et de sainte

Marie-Madeleine à Conques au XIe siècle d’après le manuscrit de la Chanson de sainte Foi, in «Revue

du Rouergue», 23 (1965), pp. 165-75; Geary, Furta sacra cit., in partic. pp. 63-7, 146-9; P. Bonnassie - F. de Gournay, Sur la datation du Livre des miracles de sainte Foy de Conques, in «Annales du Midi: revue archéologique, historique et philologique de la France méri-dionale», 107 (1995), pp. 457-73; M. Papasidero, «O Sancta Haera». Pilgrims and Pilgrimage

in the Sanctuary of Sainte Foy at Conques, in «Almatourism», 8/16 (2017), pp. 119-38.

6. Bernardo d’Angers, Liber miraculorum sancte Fidis, a cura di L. Robertini, Spoleto 1994. Del Liber è stata più di recente pubblicata la trad. ital. (con testo lat. a fronte e com-mento): Bernardo d’Angers, Liber miraculorum sancte Fidis. Il racconto dei prodigi di una santa

bambina, testo critico, trad. ital. e comm. a cura di L. Robertini, ediz. postuma a cura di

L. G. G. Ricci, Firenze 2010. Cfr. inoltre L. Robertini, Le «Liber miraculorum sancte Fidis»

dans la tradition manuscrite entre Conques et Sélestat, in «Annuaire de la Société des Amis de

la Bibliothèque Humaniste de Sélestat», 44 (1994), pp. 67-72 (poi in Id., Tra filologia e

cri-tica. Saggi su Pacifico di Verona, Rosvita di Gandersheim e il «Liber miraculorum sancte Fidis», a

cura di L. G. G. Ricci, Firenze 2004).

cesso di cooperazione. In genere, solo colui che è in viaggio verso un san-tuario può riavviare nuovamente il suo cammino per recarsi presso il nuovo luogo di culto indicatogli dal santo. In questo contributo analiz-zerò alcuni esempi di cooperazione, tratti da racconti agiografici redatti tra l’XI e il XIII secolo nell’Occidente latino. L’obiettivo è quello di met-tere in risalto non soltanto le modalità con cui tale tema culturale viene costruito e utilizzato nelle agiografie – con precise finalità di legittimazio-ne e promoziolegittimazio-ne di culti –, ma anche i riferimenti alla condiziolegittimazio-ne del pellegrino e alle pratiche devozionali che egli mette in atto.

La «cooperazione tra santi» quale strumento di accrescimento della fama del san-tuario: s. Fede, s. Audoeno e s. Appiano

Prendo dapprima in considerazione alcuni episodi relativi al culto di s. Fede5. Nel Liber miraculorum sancte Fidis6, raccolta di miracoli in quattro libri redatta parzialmente dal cattedrato di Chartres Bernardo d’Angers nell’XI secolo, e parzialmente da uno o più monaci continuatori della sua

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7. Arnaldo fu successore di Deusdedit II e mantenne l’episcopato dal 1010/1012 al 1031. Su di lui si veda: Robertini, Liber miraculorum cit., p. 324, nota 4; A. Bonal, Histoire

des évêques de Rodez, Rodez 1935-1938, vol. I, pp. 257-65; J. Dufour, Les évêques d’Albi, de Cahors et de Rodez des origines à la fin du XIIIesiècle, Paris 1989, pp. 81-2; L. Biget, L’épis-copat du Rouergue et de l’Albigeois (Xe-XIesiècle), in Catalunya i França meridional a l’entorn de

l’any mil. La catalogne et la France méridionale autour de l’an Mil. Colloque international

Hugues Capet 9871987. La France de l’an Mil (Barcelona, 25 julio 1987), cur. X. Barral -I. Altet - D. Iogna-Prat - A. M. Mundo - J. M. Salrach - M. Zimmermann, Barcelona 1991, pp. 181-99.

8. Il sinodo in questione venne forse tenuto per promuovere la pax Dei; in concili ana-loghi, come testimoniato da Rodolfo il Glabro (Hist. IV, 14-6), venivano trasportate le statue dei santi. Cfr. Robertini, Liber miraculorum sancte Fidis, pp. 324-5, nota 4. Sulla con-correnza dei santi durante sinodi e concili si veda Sigal, L’homme et le miracle cit., p. 216. L’autore cita un episodio in cui un bambino malato trova la guarigione dopo essersi messo a pregare presso le reliquie di s. Donaziano, come sostenuto anche dai canonici del santo a Bruges, da cui provenivano le reliquie; al contrario, la folla attribuì il merito della gua-rigione a s. Ilario, le cui reliquie erano poste proprio lì accanto, adducendo la motivazione che il bambino avesse pregato un po’ più vicino a queste anziché alle altre (Miracula sancti

Donatiani episcopi, in AA.SS Octobris, VI, p. 508, nn. 23-4; tutte le citazioni della collana

sono dalla III ed., Bruxelles-Paris 1863-1925).

9. Le reliquie del santo, vissuto, secondo la sua vita, nel I secolo, sarebbero state traslate nel monastero di Mauriac nell’XI (Vita sancti Marii, in AA.SS. Iunii, II, pp. 113-24).

10. Cfr. infra l’episodio citato relativo a s. Bibiano. 11. Liber miraculorum cit., I 29.

12. Ibid., I 29, 3.

opera, sono segnalati due episodi riconducibili alle strategie appena de-scritte. Nel Liber si racconta che Arnaldo, vescovo di Rodez7, aveva in-detto un sinodo nella propria diocesi8, probabilmente intorno al 1010, in occasione del quale vennero trasportate le varie statue-reliquiario (imagi-nibus aureis) e i reliquiari (capsis) dei santi, dai monaci e dai canonici. Esse vennero collocate all’interno di tende e padiglioni (in tentoriis et papilioni-bus) sul prato detto di s. Felice, non lontano da Conques, sede della ce-lebre abbazia dedicata al s. Salvatore ma più comunemente conosciuta sotto il titolo di s. Fede. Nel luogo erano presenti varie statue-reliquiario: quella di s. Mario confessore9, s. Amanzio vescovo e confessore10, s. Sa-turnino martire, s. Maria e s. Fede. Secondo il racconto11, un uomo cieco e storpio sta passando la notte davanti alla statua di s. Mario per ottenere la guarigione, motivato dalla grande notorietà dei miracoli da lui compiu-ti (Cuius [sc. sanccompiu-ti Marii] virtutes, mirifice lateque disperse, a mulcompiu-tis populis ha-bentur famosissime)12. Sul far del giorno, l’uomo viene colto da un sonno improvviso, potendo così sentire, trovandosi in uno stato di torpore, le

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13. Ibid., I 29, 5. 14. Ivi, III 6.

15. La pratica di viaggiare per i santuari in cerca della guarigione è antica e attestata in molte fonti. Ad esempio, Gregorio Magno racconta di un chierico della chiesa di Aquino, tormentato da un diavolo, che, su indicazione del suo vescovo Costanzo, era andato in molti santuari martiriali per ottenere la guarigione (per multa fuerat martyrum loca

transmissus, ut sanari potuisset). I santi non lo guarirono (Sed sancti Dei martyres noluerunt ei sanitatis donum tribuere) per far sì che ciò potesse avvenire grazie all’intercessione di s.

Be-nedetto, come poi avvenne (Gregorio Magno, Storie di santi e di diavoli, a cura di S. Pri-coco - M. Simonetti, Milano 2005, vol. I, II 16, 1).

16. Liber miraculorum cit., III 6, 7.

parole del santo, che gli indicano cosa fare per guarire: Vade ad sanctam Fidem. Non enim datum est ut a tua infirmitate nisi per merita illius salvari pos-sis13. L’uomo viene dunque esortato a recarsi da s. Fede, la cui statua-re-liquiario era collocata non distante, in un altro padiglione. Appena egli, trascinandosi, vi giunge, ecco che le sue membra riacquistano vigore e i suoi occhi tornano miracolosamente a vedere.

L’episodio conferma il ricorso, in primis da parte dell’agiografo, al tema della «cooperazione tra santi» per legittimare il culto di s. Fede. A s. Mario non è consentito (non enim datum est) intervenire in favore del malato; la sola che può in questo compito è appunto la santa martire di Agen, che così viene investita implicitamente di una superiore virtus taumaturgica, e al contempo di una speciale elezione divina che la rende capace di inter-cedere in modo più efficace presso Dio. L’esortazione a recarsi dalla santa – in questo caso non compiendo un viaggio, ma rivolgendo la propria at-tenzione al suo simulacro, posto non lontano da quello di s. Mario – viene trasmessa attraverso una comunicazione verbale, che è possibile grazie allo stato di torpore nel quale l’uomo si trova.

Nella seconda parte del Liber è presente un episodio analogo14: un uomo di mezza età della Normandia si addormenta dopo aver badato ai cavalli, ma durante il sonno perde inspiegabilmente la vista. Tornato a casa a tentoni, vi rimane più giorni, finché non decide, per riuscire a ri-ottenerla, di recarsi in pellegrinaggio nei vari santuari15:

Cui de cecitate merenti, mente succurrit, ut diversa sanctorum oracula peragra-re debeperagra-ret atque fortassis, eorum meritis obtinentibus, amissum lumen peragra-recipeperagra-ret16.

Giunto a Roma, dopo aver recitato le sue preghiere, si addormenta, ricevendo l’indicazione che attende: (…) ad oraculum redire sancte Fidis

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17. Ibid., III 6, 10. 18. Ibid., III 6, 11. 19. Ibid., III 6, 12. 20. Ibid., III 6, 16.

21. Il tema del sangue connesso alle guarigioni miracolose è presente in molti racconti agiografici. Si rimanda, a titolo di esempio, agli episodi narrati nella Translatio et miracula

sanctorum Marcellini et Petri di Eginardo (Traslazione e miracoli dei santi Marcellino e Pietro, a

cura di F. Stella, Ospedaletto [Pisa] 2009, III, 4-6). In questo stesso contributo si veda infra il miracolo della donna cieca guarita da s. Nicola a Venezia.

22. Liber miraculorum cit., III 6, 7.

ibique optata lucis reparatione potiri17. Sfortunatamente, l’uomo non presta attenzione alla visione (visionem), anche perché non sa dove si trovi quel santuario (insuper et locum nesciens)18, e decide di tornare a casa in Nor-mandia. Dopo due anni, si reca finalmente alla basilica della martire a Conques, accompagnato da un figlioletto (parvulo filio suo)19. Qui si pro-stra davanti alla santa pronunciando le sue preghiere e, al termine, si ap-parta per riposare. Riceve subito una visione nella quale vede due uccelli che sembrano porre nei suoi occhi due candele ardenti. Ridestatosi dal sonno e chiamato il figlioletto, si fa riaccompagnare all’altare e, nuova-mente prostratosi, ricomincia a pregare. Rialzatosi in piedi, viene colto da un fortissimo dolore alle tempie e alla testa (gravi tymporum ac cerebri percussus)20, tanto da rischiare di cadere: dagli occhi inizia quindi a fuo-riuscire copiosamente del sangue21(tantus cruor), che gli imbratta i vestiti e la barba. Così riacquista la vista.

Anche in questo episodio è presente l’elemento del sonno – o del so-pore parziale in cui si trova il malato – e la comunicazione verbale da parte del santo, qui non identificato con precisione. Il cieco è un uomo che si fa pellegrino per andare a visitare i santuari (sanctorum oracula) nella speranza di riottenere la vista. Lo stato di homo viator viene qui conferito e attivato dalla necessità di attingere ai meriti dei santi (eorum meritis obtinentibus)22, per recuperare quanto perduto. La condizione di pellegri-no permane finché sussiste la speranza della guarigione; nel momento in cui la comunicazione ricevuta non viene percepita come reale o appare difficilmente decifrabile, tale status viene sospeso, tanto che l’uomo fa ri-torno a casa. Il recupero dello stato di pellegrino, nel pellegrinaggio al santuario di s. Fede a Conques, muta nuovamente questa condizione: è il

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23. Miracula sancti Dadonis vel Audoeni episcopi, in AA.SS. Augusti, IV, pp. 825-37. Sul santo si veda: H. Platelle, Audoeno, vescovo di Rouen, s.v., in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1962, vol. II, col. 586.

24. Ibid., p. 829, n. 20. 25. Ibid., n. 21. 26. Ibid., n. 23. 27. Ivi¸ p. 830, n. 25.

farsi pellegrini dei santi – e, nello specifico, della Martire di Agen – che premia e ripristina la salute degli uomini.

Altri due esempi di «cooperazione tra santi» sono presenti nei Miracula sancti Audoeni23, raccolta redatta dal monaco Fulberto, del monastero di Rouen, nell’XI secolo. In un miracolo si narra di un malato che attende, presso il vestibolo del santuario di s. Michele Arcangelo sul Gargano, la propria guarigione, ma invano. Insieme a lui c’è il fratello, che si orga-nizza per rientrare a casa. Quella notte, però, il malato sente una voce ce-lestiale che lo esorta ad andare a cercare la guarigione presso il sepolcro di s. Audoeno, nelle Gallie:

(...) praefatus aeger emissa caelitus voce monetur occiduas Galliarum partes adire, et beati Audoeni confessoris patrocinia requirere: ad cuius sepulcrum conligati corporis resolutionem credulus exspectaret24.

Dopo aver rivelato il proprio sogno, prese tutte le cose e messo in groppa a un asinello (sumptis sarcinulis, aeger ille gestatorio asello super-imponitur)25, dal santuario garganico, si recano dapprima a Roma, dove ri-cevono informazioni sul luogo in cui si trova il santuario indicato in vi-sione, e alla fine riescono ad apprendere dove venga venerato s. Audoe-no: si tratta della città di Rouen. Durante il viaggio, diretti a Parigi, sfor-tunatamente il suo asino viene rubato da alcuni briganti ([...] in quodam saltu pervasus a latronibus de asello miserabiliter excutitur)26, ma vengono aiu-tati da alcuni viaggiatori che si trovano a passare di là. Una volta giunto a destinazione, il malato viene interrogato da un monaco di Rouen, al quale racconta nuovamente la visione avuta sul Gargano. Arrivato final-mente nella chiesa in cui sono custodite le reliquie del santo, l’uomo lo implora di farlo guarire (Sancte Audoene, sancte Audoene, adiuva me)27 e, toccando l’altare, riottiene la salute:

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28. Ibid. 29. Ibid., n. 27.

30. Un episodio simile, citato anche da Sigal, è narrato nella Chronica di Anselmo di Gembloux, redatta intorno al 1135, e legato a un uomo al quale s. Martino rifiuta di con-cedere la guarigione perché questa deve essere concessa dalla Madonna; l’uomo però non vuole lasciare l’edificio e alla fine viene sanato (cfr. Sigal, L’homme et le miracle cit., p. 218). 31. S. Appiano, secondo la tradizione agiografica, fu monaco a Pavia nel monastero di S. Pietro in Ciel d’oro. Inviato dal suo abate a Comacchio per rifornire le riserve di sale per il monastero, vi sarebbe rimasto per il resto della sua vita, dedicandosi anche alla cura d’anime. Morì forse nel IX sec. La Vita s. Apiani monachi è pubblicata in AA.SS. Martii, I, pp. 318-21. Sul santo si veda: A. M. Zimmermann, Appiano di Comacchio, monaco, s.v., in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1962, vol. II, coll. 317-8; G. Spinelli, Sant’Appiano di

Co-macchio: un patrono cittadino mancato?, in «Ravennatensia», 11 (1986), pp. 47-70; G. M.

Cantarella, Sant’Appiano, un tema interminabile?, in Storia di Comacchio nell’età moderna, Ca-Ut autem basim altaris attigit, resolutis brachiis, quae contracta attulerat, ad altaris crepidinem extendit. Hinc mox, resolutis cruribus, se in pedes erexit. Dehinc adnisu titubante interioris atrii spatia novitius perambulare attentabat28.

Il racconto del miracolo si chiude con il ritrovamento dell’asinello in-debitamente sottrattogli, che egli aveva chiesto espressamente al santo di riavere indietro.

L’episodio utilizza il celebre santuario dell’Arcangelo sul Gargano per legittimare e incrementare l’autorità di s. Audoeno. Il pellegrino compie un lunghissimo viaggio, dall’Apulia a Rouen, dove alla fine riesce a otte-nere la guarigione sperata.

All’episodio ne segue un altro, del medesimo tenore. Viene narrato di un nobile alverniate che si rivolge a s. Martino nel suo santuario a Tours per ottenere la guarigione dalla paralisi e dalla sordità. Dopo numerosi giorni senza alcun risultato, una notte sogna un uomo molto luminoso che lo esorta a recarsi da s. Audoino ([...] cum ei vir splendidissimus nocte apparens, iussit ocyus Rothomagum urbem Normanniae ad sepulcrum beati Audoeni proficisci)29, dove otterrà la guarigione. L’agiografo si appresta a chiarire che tale esortazione non è dovuta al fatto che il santo non fosse in grado di guarirlo, ma che tutto dipendesse da Dio e che fosse quest’ul-timo a dover decidere per merito di quale intercessore egli avrebbe po-tuto trovare la guarigione30.

Un altro esempio interessante di «cooperazione tra santi» è narrato nella Vita s. Apiani31, testo forse dell’XI-XII secolo, parte di un più ampio

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salecchio di Reno 1993, vol. I, pp. 147-72; Id., Nota su Sant’Appiano di Comacchio, in «Anecdota. Quaderni della Biblioteca Lodovico Antonio Muratori. Palazzo Bellini - Co-macchio», 5 (1995), pp. 7-17.

32. Vita s. Apiani cit., p. 321, n. 13. 33. Ibid.

34. Ibid. 35. Ibid.

36. Cfr. Cantarella, Nota su Sant’Appiano cit., pp. 13-4. Lo studioso cita in nota anche una sorta di concorrenza sui miracoli tra s. Zeno e s. Guidone, a Verona, che qui però non prendo in considerazione perché non rientra nella tipologia della «cooperazione tra santi» (ivi, p. 14 nota 32; l’episodio in oggetto è in Vita s. Guidonis abbatis, in AA.SS. Mar-tii, II, p. 910, n. 16.).

dossier relativo al santo. Nel capitolo 13 della vita si legge un singolare epi-sodio, prezioso per comprendere anche le pratiche penitenziali medievali. Una donna francese ha al braccio un cerchio di ferro (circulum ferreum) che le è stato fatto indossare dal vescovo in segno di penitenza. Purtroppo la carne è cominciata a crescervi sopra, causandole un intollerabile dolore e una forte pena. Giunta a Padova, entra nella chiesa di S. Giustina e, vo-tandosi alla santa vergine, le chiede di essere guarita. Dopo aver pregato a lungo, si addormenta (somnus eam arripuit)32, vedendo la santa che le ri-volge le seguenti parole:

Filia, per me non eris saluti restituta; tamen, si vis fieri sana, perge Comiac-clum, et supplex obsecra s. Apianum: ab eo certissime invenies sanitatem33.

La donna, esortata a recarsi da s. Appiano a Comacchio, dove era ve-nerato, si desta di soprassalto dal sonno e si reca subito dal santo, chieden-do la guarigione. A quel punto, il cerchio di ferro si spezza (ferreus confractus est circulus)34e il bracciò ritorna sano (brachium ita sanatum, quod numquam melius fuit)35come se mai fosse stato stretto in quell’arnese.

Nell’esempio riportato, è una santa assai nota – s. Giustina – a collabo-rare alla fama di s. Appiano, promuovendo il suo culto alla devota peniten-te e pellegrina36. Come è evidente, la cooperazione non è comunque un atto deliberato di un santo a vantaggio di un altro, ma una precisa dinamica di rapporti di forza ed efficacia taumaturgica: s. Giustina, nell’esempio, non ha la possibilità di operare la guarigione richiestale (per me non eris saluti re-stituta), ed è per questo che invia la donna a Comacchio, configurando una sorta di geografia o economia della dispensazione delle grazie celesti.

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37. De translatione s. prothomartyris Stephani de Costantinopoli in Venetias, in F. Corner,

Ecclesiae Venetae antiquis monumentis, Venezia 1749, vol. VIII, pp. 96-110; segue il testo De mirabilibus s. Stephani prothomartyris, pp. 110-9, autore del medesimo agiografo. Il testo,

che per alcuni risalirebbe al XIII secolo (G.-G. Meersseman, Ordo fraternitas. Confraternite

e pietà dei laici nel Medioevo, Roma 1977, pp. 90-4), come ipotizzato da Giorgio Cracco, è

forse una riscrittura quattrocentesca di un racconto anteriore (G. Cracco, Santità straniera

in terra veneta (secc. XI-XII), in Les fonctions des saints dans le monde occidental (IIIe-XIIIesiècle). Actes du colloque de Rome (27-29 octobre 1988), Rome 1991, pp. 447-65: 452-3). Tale ipotesi è legata al fatto che il codice contenente il testo, che risale al XV secolo, reca alcuni riferimenti proprio al Quattrocento. Certamente, il racconto originario non è precedente alla seconda metà del XII secolo.

38. De mirabilibus s. Stephani cit., pp. 116-7.

39. Si tratta probabilmente di s. Leonardo di Noblac, santo eremita vissuto tra la fine del V e il VI secolo in Gallia, il cui culto nel medioevo si diffuse ampiamente in tutta Eu-ropa. Probabilmente, data l’origine teutonica della donna, si tratta di un luogo di culto te-desco. Tra le chiese più antiche dedicate al santo si ricordano quelle di Erlach (1150), Kreuth (1184) e Leonberg (1202). Ad ogni modo, è possibile che l’edificio citato sia la chiesa dedicata a s. Leonardo a Inchenhoffen, in Baviera, meta di pellegrinaggio già nel medioevo, dove era invocato in particolare per la liberazione dei prigionieri. Sulla fonda-zione della chiesa non ci sono notizie certe, ma sicuramente è precedentemente al 1407, quando divenne una chiesa filiale di Schellenberg. Rimane l’ipotesi che il luogo di culto a cui fa riferimento il testo sia la stessa città di Noblac. Sul santo si veda: B. Cignitti,

Leo-nardo di Nobiliacum, s.v., in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1966, vol. VII, coll. 1198-204;

Legittimazione di nuovi culti e rivalità tra santuari: i casi di s. Stefano, s. Menna e s. Nicola

Il tema della «cooperazione tra santi» è ampiamente utilizzato per le-gittimare culti dopo una traslazione di reliquie, con l’esplicita finalità di comprovarne l’autenticità e l’efficacia.

Un esempio interessante è incluso nel De mirabilibus s. Stephani protho-martyris, testo collegato al De translatione s. prothomartyris Stephani de Costantinopoli in Venetias37, che racconta la traslazione furtiva delle reli-quie del protomartire Stefano nel monastero di S. Giorgio Maggiore, a Venezia, probabilmente intorno al 1100. Il De mirabilibus ha l’obiettivo di dimostrare l’autenticità delle reliquie del santo e la presenza della sua virtus taumaturgica anche adesso che si trovano in Occidente.

L’episodio in questione38 racconta di una giovane donna tedesca (natione teutonica), sorda, muta e cieca dalla nascita, che si dispera giorno e notte per la sua condizione, tanto da invocare la morte. Viene condotta, con l’aiuto di una guida, nel santuario di s. Leonardo39, nella speranza di

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sulla diffusione del culto di veda A. Poncenlet, Boemond et S. Léonard, in «Analecta Bol-landiana», 31 (1912), pp. 24-44.

40. De mirabilibus s. Stephani cit., p. 116. 41. Ibid.

42. Ibid.

43. Cfr. Sigal, L’homme et le miracle cit., p. 218. 44. Ibid.

45. Ivi, p. 117. 46. Ibid.

riacquistare la salute. Giunta nell’edificio, fa segno come può (indiciis quibus poterat suo previo ductori)40affinché venga portata davanti alla tomba del santo, dove si getta a terra iniziando a rotolarsi sul pavimento (pavi-mento se diu volutando adhesit)41, e a chiedere la guarigione non attraverso le parole, essendo muta, ma attraverso lamenti (suis mugitibus Confessorem expetiit)42. Il santo le dona una guarigione parziale43: recupera in parte l’u-dito e può balbettare alcune parole (parum loquebatur sed ita balbutiendo)44. Nei giorni seguenti, la donna continua a chiedere insistentemente la to-tale guarigione, ma ecco che sente una voce, che nessun altro può perce-pire, che la esorta a recarsi da s. Stefano protomartire a Venezia:

Mulier, audi, quod Leonardus servus Christi intimo tibi. Frustra hic ullas protendis amplius moras, frustra spe vana laboras, frustra quod deest, a me tibi conferri exoras. Surge autem, et vade propere, et in Venetiam concito gradu proficiscere. Modo noviter enim a Costantinopoli est in Venetiam corpus Beati Stephani Prothomartyris et primi levite Christi translatum, et in monasterium quoddam Sancti Georgi delatum, a quo et visus tibi dabitur, et quod deest sanitati tue a me tibi divinitus exhibite, ab eo tibi supplebitur45.

Stupita dalla rivelazione, si alza dal pavimento e inizia il suo nuovo pel-legrinaggio alla volta della città di Venezia. Giunta nella chiesa del mona-stero di S. Giorgio, trascorre sette giorni in preghiera (per ebdomadam fere ante corpus prostrata iaceret)46, finché non riacquista completamente la pa-rola, l’udito e la vista.

Il racconto ha, ancora più evidentemente di quelli citati in precedenza, una precisa funzione retorico-narrativa: s. Leonardo, esortando la donna a recarsi a Venezia da s. Stefano, non solo legittima il suo culto – come già visto nel caso di s. Fede, s. Appiano e s. Audoino –, ma autentica le reliquie del Protomartire, giunte nella città lagunare in seguito a una

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47. Ibid.

48. H. Hoffmann, Die Translationes et Miracula s. Mennatis des Leo Marsicanus, in «Deut-sches Archiv für Erforschung des Mittelalters», 60 (2004), pp. 441-81: 476-7 n. 2.

49. Sul santo si veda: G. Mongelli, Menna, eremita nel Sannio, s.v., in Bibliotheca

Sanc-torum, Roma 1967, vol. IX, coll. 343-4.

50. Su questa traslazione e sull’episodio in oggetto si veda C. Jones, San Nicola.

Bio-grafia di una leggenda, Roma-Bari 2007, p. 213.

51. Hoffmann, Die Translationes et Miracula cit., p. 476, n. 2. 52. Ivi, p. 477, n. 2.

lazione furtiva. La «cooperazione tra santi», in questo caso, acquista dun-que una specifica funzione metanarrativa, il cui fine è dimostrare la virtus dei sacra pignora di s. Stefano e, proprio perché in grado di operare mira-coli, l’autenticità. La dinamica di comunicazione tra il santo e la giovane donna si esprime attraverso l’uso dell’oralità, latrice di precise indicazioni di pellegrinaggio; al contempo, è assente il dispositivo onirico, attestato negli altri casi, qui sostituito da una voce non avvertita da nessun altro (a nonnullis auditur et intelligitur)47. Dal punto di vista del pellegrinaggio, la donna, nonostante la sua malattia, accompagnata da una guida, svolge il viaggio di salvezza senza grandi difficoltà, assistita sia nel momento della devozione personale, quando fa segno di voler avvicinarsi alla tomba, sia nel nuovo itinerario annunciatole (intimo) dal santo. La devozione si espli-ca prevalentemente attraverso una preghiera disperata, resa mediante i la-menti e i suoni inafferrabili che escono dalla sua bocca, ma anche da quel prostrarsi a terra, rotolandosi. Lo status di pellegrina comprende anche la permanenza prolungata presso il sepolcro dei santi – s. Leonardo prima, s. Stefano dopo –, dove trascorre, nel primo caso, più giorni, nel secondo, un’intera settimana.

I Miracula sancti Mennatis48sono un’opera redatta nei primi anni del XII secolo, che venne aggiunta alla Translatio sancti Mennatis scritta da Leone Marsicano di Montecassino in occasione della traslazione delle reliquie di s. Menna del Sannio49(† ca. 583) dal monte Taburno, luogo della mira-colosa inventio, a Caiazzo, avvenuta nel 1094 per opera di Roberto conte d’Alife e di Caiazzo50. Il primo miracolo della serie racconta che una donna proveniente dalla Lombardia, che ha un figlio non sano di mente (dementem filium)51, decide di ricorrere all’intercessione del potente tau-maturgo Nicola, a Bari. Giunta presso il suo santuario, si prostra davanti all’altare (ante altare eiusdem sancti prostrata)52 iniziando a pregare

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53. Ibid. 54. Ibid. 55. Ibid.

56. G. Cangiano, L’Adventus Sancti Nicolai in Beneventum, in «Atti della società storica del Sannio», 2 (1924), pp. 131-62.

57. Sul culto del santo e le sue traslazioni si veda: G. Praga, La traslazione di S. Niccolò

e i primordi delle guerre normanne in Adriatico, in «Archivio storico per la Dalmazia», 11

mente. Stancata dall’orazione, si addormenta e le appare un uomo con un candido abito (vir in habitu candido)53che gli rivolge le seguenti parole:

Cur tanto te afficis tedio, mulier? Procul dubio scias, quia non hic debetur sa-nitas filio tuo. Sed surgens recede et vade, ubi corpus requiescit beati confessoris Christi Mennatis, et crede, quia illic donante deo salutem recipiet54.

La donna viene quindi esortata dal santo, che le appare durante il sonno, ad andare a cercare la guarigione altrove e precisamente da s. Menna, in quanto non è lì, cioè a Bari, che suo figlio potrà ritrovare la salute. Ella decide di seguire l’indicazione ricevuta e si reca sul monte Ta-burno, dove pensa di trovare il corpo del santo. In realtà il custode della chiesa le comunica che esso è stato traslato a Caiazzo. La donna giunge finalmente dove si trova il corpo e, ancora prima di entrare nella basilica, il figlio acquista la salute (filius eius salvatus est et menti sanissime redditus)55. Il miracolo sembra svilupparsi secondo il modello già visto per gli altri prodigi e ha la finalità ultima di confermare, nella dinamica del racconto, le qualità taumaturgiche del corpo santo, anche adesso che sono state tras-late a Caiazzo. L’agiografo, infatti, narrando tale collaborazione tra s. Ni-cola e s. Menna, non solo rimarca la virtus di quest’ultimo, ma conferma che essa è ancora attiva nonostante il trasferimento delle reliquie.

S. Nicola è protagonista anche di altre narrazioni agiografiche che co-stituiscono una variante narrativa della più generale «cooperazione tra santi». Infatti, mentre negli esempi riportati è un santo a sollecitare il pel-legrino a recarsi da un altro, nei casi che seguono è invece il medesimo santo a presentarsi al devoto, esortandolo a recarsi nel santuario dove egli è realmente o maggiormente venerato.

L’Adventus sancti Nicolai in Beneventum56è un racconto di miracoli re-datto da un anonimo agiografo tra la fine dell’XI e il XII secolo. Il testo promuove il culto di s. Nicola da Myra57attivo nella chiesa sita presso la

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(1931), pp. 62-75; F. Nitti di Vito, La traslazione delle reliquie di san Nicola, in «Iapigia», 8 (1937), pp. 295-411; P. Corsi, La traslazione di san Nicola: le fonti, Bari 1987; San Nicola di

Bari e la sua Basilica. Culto, arte e tradizione, a cura di G. Otranto, Milano 1987; O. Limone, Italia meridionale, 950-1220, in Hagiographies. Histoire internationale de la littérature hagiogra-phique latine et vernaculaire en Occident des origines à 1550, a cura di G. Philippart, Turnhout

1996, vol. II, pp. 11-60: 34-7; Alle origini dell’Europa. Il culto di San Nicola tra Oriente e

Oc-cidente. Italia-Francia. Atti del Convegno (Bari, 2-4 dicembre 2010), a cura di G. Cioffari

e A. Laghezza, in «Nicolaus. Studi storici. Rivista del Centro studi nicolaiani della Co-munità dei Padri Domenicani della Pontificia Basilica di S. Nicola», 42-43 (2011).

58. Cangiano, L’Adventus Sancti Nicolai cit., p. 146 n. 27. 59. Ivi, p. 148, n. 27.

60. Ibid.

torre Pagana a Benevento, a discapito del più celebre santuario barese, che viene tratteggiato con toni molto negativi. Relativamente al tema da noi preso in esame, è interessante un racconto in particolare. Nel 1089 – quindi, secondo il testo, ad appena due anni dalla traslazione delle reliquie del santo di Myra a Bari –, un uomo zoppo proveniente dall’Aquitania (claudus quidam equitanicus genere)58arriva a Benevento, in cerca della chie-sa dedicata a s. Nicola. Dopo aver chiesto a chi incontra dove si trovi l’e-dificio, vi giunge, speranzoso di ottenere la guarigione. Il pellegrino, at-traverso un meccanismo narrativo della storia nella storia, racconta di come abbia atteso a lungo a Bari la guarigione, senza però ottenerla. Un giorno, continua il suo racconto, vinto dal sonno, egli riceve dal santo l’indicazione che lo porterà successivamente a Benevento:

Tu autem cum vis agilis exauditor, cum vis serus et validus adiutor, immisisti michi soporem et in speciem senis in visu apparuisti dicens: «Non autem sic auferam animam sed curam circa te recuperandi gressus adhibeam, verum non hic. Surge igitur proficiscere Beneventum ad turrim paganam ubi mea est ecclesia ibi me expecta ibi ero inpentecosten ibi quos amisisti recipere mereberis incessus59.

Tornando quindi al presente, l’uomo continua a implorare la guarigio-ne, iniziandosi persino a porre dei dubbi in merito all’esattezza del luogo in cui è giunto, della città in cui è entrato, e persino in merito all’identità del santo venerato in quel luogo: (...) forte alius est Nicolaus cuius hec sit ecclesia quam ipse qui michi apparuisti (...)60. Finalmente, non senza provare dolore in tutto il corpo, il pellegrino riacquista la piena salute.

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61. Cfr. ivi, p. 149, n. 28.

62. Historia de translatione monachi anonimi Littorensis, in Recueil des historiens des

Croi-sades. Historiens occidentaux, Paris 1895, vol. V, pp. 253-92.

63. Jones, San Nicola cit., p. 213.

64. P. Chiesa, Santità d’importazione a Venezia tra reliquie e racconti, in Oriente cristiano e

santità: figure e storie di santi tra Bisanzio e l’Occidente, a cura di S. Gentile, Milano 1998, pp.

107-15: 108.

65. Ivi, VIII, p. 288.

L’episodio desta interesse per vari motivi. Il primo è certamente l’assen-za di una vera «cooperazione tra santi», come presente nel modello prece-dentemente analizzato, ma il semplice rinvio del pellegrino da un luogo di culto a un altro, presieduti entrambi dal medesimo santo. In questo caso, infatti, l’agiografo non mette in atto una promozione o legittimazione di un culto in forza di un altro, ma intende confermare la presenza del santo, s. Nicola, non solo a Bari, universalmente riconosciuta sede del Tauma-turgo, ma anche a Benevento, in cui sorge una chiesa che non gode della stessa notorietà. In ogni caso, nonostante l’apparente varianza del tema culturale e narrativo della «cooperazione», il fine retorico rimane inaltera-to: legittimare un luogo di culto, la chiesa di S. Nicola a Benevento, fa-cendo leva su un altro che è ben più noto, la basilica a Bari. Oltre a tale aspetto, il testo rimarca la preferenza che i pellegrini avrebbero dovuto avere per quella città, come confermato nella narrazione successiva, che sottolinea come fossero meglio accolti a Benevento piuttosto che a Bari, sia in termini economici sia di trattamento generale61. In questo caso, dunque, più che di cooperazione si deve parlare di concorrenza, non tra santi, ma tra luoghi di culto del medesimo intercessore.

Un episodio analogo, ancora relativo al culto nicolaiano, è contenuto nell’anonima Historia de translatione monachi anonimi Littorensis62, che rac-conta non solo la storia del furtum delle reliquie del santo di Myra a Ve-nezia, ma anche i miracoli verificatisi successivamente. L’agiografo, pro-babilmente un monaco del monastero di S. Niccolò al Lido, dove giun-sero i sacra pignora, compose il testo poco dopo il 111663, o comunque in-torno al 110064. Tra gli episodi narrati, mi soffermo su uno in particolare. Un’anziana cieca di Tours (natione Francigena, civitate Turonica)65, deside-rosa di guarire, dopo aver dilapidato molto denaro rivolgendosi ai medici, parte in pellegrinaggio alla volta dei santuari, insieme ai due figli.

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66. Ibid. 67. Ibid. 68. Ibid. 69. Ibid. 70. Ibid.

si però quindici anni dalla partenza, e non avendo ottenuto quanto spe-rato, i figli decidono di tornare a casa, lasciandola in Tuscia da sola. La donna si dispera notte e giorno per la sua condizione e per l’impossibilità di guarire, invocando s. Nicola, finché non sente una voce che le dice: Mulier! Vade ad Sanctum Nicolaum66. L’anziana vedova non comprende di chi si tratti e continua, nei giorni seguenti, a disperare. Ma ecco che il santo si fa avanti una seconda e una terza volta, così ella lo interroga espli-citamente, chiedendogli chi sia e dove debba ancora andare a cercare s. Nicola, essendo già stata a Bari (Apulia) e a Myra (Graecia):

Domine! Quis es tu qui mihi loqueris et quid est quod dicis quo debeo ire, vel ubi potero Sanctum Nicolaum invenire? Totum mundum paene circui; in Apulia et Graecia eum quaesivi, et ubicumque nomen et memoriam eius audivi; nunc vero quo debeo ire amplius, sine rectore, senio confecta, labore deficiens et dolore?67

Il santo, a questo punto, risponde alla donna, chiarendo definitivamen-te qual è il luogo in cui deve recarsi per otdefinitivamen-tenere la guarigione:

Noli, inquit, dubitare; noli dubitare, noli desperare, vade Venetiam; in Venetia enim Sanctum Nicolaum reperies, in Venetia enim visum recipies68.

La donna si convince e parte alla volta di Venezia, tastando la via con il suo bastone (baculo viam palpans)69. Durante il cammino domanda dove si trovi la città della laguna, finché non si imbatte in un gruppo di pelle-grini diretti da s. Marco (turba peregrinorum, causa sancti Marci, Venetiam declinabat)70, che le domandano dove si stia recando e decidono, alla fine, di portarla con loro. Giunta finalmente nella chiesa di S. Niccolò al Lido, attende sette giorni in digiuni e preghiere, ma, per via della grande af-fluenza di monaci, sacerdoti, nobili e pellegrini vari, non ha la possibilità di avvicinarsi alle reliquie del santo. L’ottavo giorno, però, striscia sui piedi degli altri pellegrini e riesce ad arrivare all’arca di s. Nicola, sotto la

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71. Ibid.

72. Ivi, VIII, pp. 288-9. 73. Ivi, VIII, p. 288.

74. In proposito si veda Geary, Furta sacra cit., pp. 94-100 e la bibl. cit.

75. In verità, quello della gran folla di pellegrini sembra un dato retorico, finalizzato a dichiarare la rilevanza del luogo di culto, dal momento che una grande devozione deve significare anche una grande efficacia taumaturgica delle reliquie. Ad ogni modo,

l’agio-quale si nasconde (ibique subtus eam [sc. arcam] latitans)71. A lungo rimane in preghiera, sfregando i suoi occhi sull’arca e ottenendo alla fine la gua-rigione sperata:

(...) quamdiu preces et lachrymas effudit, et oculos suos ad arcam confricavit, donec, tamquam squamis inde cum sanguine cadentibus, visum recepit, quod cernentes et admirantes qui aderant, mirabilem Deum in sanctis suis laudabant et glorificabant72.

L’episodio propone, come già accennato, non una «cooperazione tra santi», ma un rimando del medesimo santo, s. Nicola, dai santuari più noti, quello di Myra e quello di Bari, a quello di Venezia, che, stando alla logica narrativa del racconto, non era ancora noto come luogo custode delle reliquie del santo (nondum enim erat divulgatum de adventu s. Nicolai)73. Come nel caso di Benevento, l’agiografo si premura di tratteggiare il nuovo santuario nicolaiano, posto nel monastero di S. Nicolò al Lido, come il più potente luogo caricato della virtus del santo. Relativamente alle modalità con cui egli comunica con la donna, è presente ancora una volta la comunicazione verbale. Interessante anche la dinamica di pelle-grinaggio: l’anziana vota tutta la parte finale della propria vita alla speranza della guarigione, tanto da intraprendere un lungo viaggio presso le tombe dei santi, durato quindici anni. Dalla Tuscia, il viaggio riprende dopo l’e-sortazione di s. Nicola. La figura del pellegrino è centrale, tanto che è proprio grazie a un gruppo di pellegrini diretti alla tomba dell’Evangelista a Venezia – anch’esso giunto in Laguna in seguito a un furtum avvenuto nell’82874– che la donna riesce a raggiungere la sua meta.

La guarigione avviene in modo molto forte: l’anonimo agiografo de-scrive infatti la caparbietà della donna, che riesce a raggiungere la tomba solo strisciando tra i numerosissimi pellegrini presenti75. Il contatto con il

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grafo sembra smentirsi da solo, dato che poche righe prima aveva dichiarato che non era stata ancora divulgata la notizia dell’adventus dei pignora di s. Nicola a Venezia.

76. Translatio s. Viviani episcopi in coenobium figiacense, in «Analecta Bollandiana», 8 (1889), pp. 256-77; in proposito si veda: Geary, Furta sacra cit., p. 67.

77. Sul santo si veda: H. Claude, Bibiano, vescovo di Saintes, s.v., in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1963, vol. III, col. 181.

78. Translatio s. Viviani cit., p. 265, n. 17. 79. Ibid.

80. Ibid.

sepolcro è centrale nel processo di guarigione, in quanto l’anziana sfrega (confricavit) i propri occhi su di esso, quasi come a voler togliere quelle squame (squamis) che le cadono dalle palpebre insieme al sangue.

Un indizio sulla percezione comune della «cooperazione tra santi»

I testi agiografici sono fonti preziose per comprendere la storia della cultura e della mentalità; chiaramente, ciò è possibile se si legge tra le righe e se si riescono a decodificare i topoi e i modelli narrativi propri del genere. Nel caso della «cooperazione tra santi» è chiaro che siamo di fronte, prima di tutto, a un meccanismo retorico-narrativo di grande ef-ficacia, il cui fine più evidente è legittimare culti e tradizioni santorali. Al contempo, però, potrebbe essere utile interrogarsi intorno alla reale per-cezione che un pellegrino potesse avere in merito a tale dinamica, alla ri-cezione di messaggi e indicazioni di guarigione efficaci.

Un indizio è fornito dalla Translatio s. Viviani episcopi76, testo redatto da un monaco di Figeac nel X o all’inizio dell’XI secolo, che racconta della traslazione furtiva, compiuta dai monaci, delle reliquie di s. Bibiano (o Viviano)77, custodite a Saintes, durante la distruzione della città per mano normanna. Nella seconda parte della Translatio sono elencati i mi-racula. In uno di questi si racconta di un uomo di Saint-Chamant (In comitatu Sancti Amantii)78, sordo e cieco, che attende da tanto tempo, ormai invano, la guarigione per i meriti di s. Amanzio79. I sacerdoti della chiesa, con fare scherzoso (ridiculosam sumentes parabolam)80decidono dun-que di portare l’uomo da s. Bibiano, come se lo avesse inviato s. Aman-zio: Mittamus, inquiunt, hunc hominem mutum sancto Bibiano ex parte sancti

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81. Ibid. 82. Ibid.

83. Ibid., pp. 265-6, n. 17.

84. Sigal, L’homme et le miracle cit., p. 218.

Amantii, ut ei perfectae conferat munera salutis81. L’uomo viene quindi fatto condurre dal santo, a Figeac, ma, appena giunto davanti alle sue reliquie, per ispirazione divina (caelesti beneficio inspiratus)82, inizia a parlare, scon-giurando il santo di guarirlo:

Me, inquam, sanctissime Christi confessor Bibiane, ad te sanctus mittit Amantius, quatinus mihi verba et auditum tuis reddas sanctis interecessionibus83.

Chiaramente, le parole proferite da quell’uomo che fino a poco prima non poteva parlare suscitano grande sorpresa e ammirazione nei confronti di Dio e della virtus del santo intercessore.

L’episodio ha una valenza particolare proprio perché non narra esplici-tamente un processo di «cooperazione tra santi» – infatti s. Amanzio non esorta il malato a recarsi da s. Bibiano –, bensì una sorta di cooperazione simulata, costruita dalla goliardia dei chierici di Saint-Chamant che hanno visto l’uomo passare tanto tempo a implorare invano la guarigione. Il rac-conto consente di ipotizzare che nel medioevo – anche sulla base della cir-colazione di questi temi letterari, più facilmente noti a coloro che avevano una formazione in ambito religioso – ci fosse una credenza o un riferimen-to alla possibilità che i santi cooperassero tra di loro. L’azione scherzosa dei chierici che fanno condurre il malato da s. Bibiano potrebbe confermare la presenza di questo tema culturale, in una sorta di reciproca influenza del-l’agiografia sulla mentalità collettiva e di quest’ultima sui testi narrativi.

Più in generale, al di là di questo caso, mi sembra dunque importante ricondurre gli esempi che ho preso in esame più probabilmente a una fin-zione letteraria, oppure a una loro rielaborafin-zione per chiari fini propagan-distici. Ovviamente la veridicità di un racconto è sempre un’incognita e, come afferma Pierre Sigal, anche se, a mio avviso, in modo non troppo convincente, il fenomeno potrebbe anche essere spiegato razionalmente:

Il est probable que les pèlerins qui tardaient à guérir et qui avaient prêté une oreille complaisante aux récits d’autres fidèle voyaient ainsi leurs souhaits trans-formés en ordres divins par l’imagination onirique84.

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85. Talvolta l’intercessore al quale il pellegrino viene esortato a rivolgersi si trova dav-vero a poca distanza. Oltre al caso, già visto, dell’uomo che viene inviato da s. Mario alla tenda in cui si trova il simulacro di s. Fede, è possibile citare un esempio incluso nella Vita

s. Popponis, in cui un uomo affetto da idropisia, non avendo ottenuto la guarigione da s.

Remaclo (o Rimagilo), nel santuario di Stavelot-Malmedy, nell’attuale Belgio, viene esortato, attraverso una visione, a recarsi presso la tomba di s. Poppone di Stablo, da poco interrata nella cripta del medesimo edificio: Et ecce videt sibi sanctissimum ac Deo dilectum

Remaclum adstare, nimio splendore radiantem, et haec sibi dicentem: «Surge et ad sepulchrum Abbatis Popponis, quod est in hac crypta, propera: per eum enim tibi salus proveniet» (Vita s. Pop-ponis, in AA.SS. Ianuarii, III, pp. 252-66: 263, n. 68; cfr. Sigal, L’homme et le miracle cit.,

p. 221). Per qualche altro esempio di rinvio di pellegrini tra santuari posti a breve distanza l’uno dall’altro si veda ivi, p. 218.

Conclusioni

Il tema agiografico della «cooperazione tra santi» svolge un ruolo nella definizione di una sorta di geografia del pellegrinaggio. Le mete inizial-mente scelte dai pellegrini – pensiamo ai casi più eloquenti, relativi al culto di s. Nicola – vengono poi modificate in funzione delle nuove in-dicazioni del santo. Il loro stesso cammino è definito dal dispositivo oni-rico del sogno, che stabilisce le nuove coordinate geografiche del viaggio. Il pellegrinaggio, dunque, non si esaurisce nel locus già definito in prece-denza, ma si estende a nuovi loca sanctorum. Allo stesso tempo, la geografia descritta non è solo fisica, ma anche spirituale. Le rivelazioni dei santi suggeriscono una nuova disseminazione di luoghi virtuosi, che vengono portati alla conoscenza del pellegrino bisognoso di guarigione, che in ge-nere, infatti, non conosce il luogo nel quale viene esortato a recarsi. Ne è un esempio il caso del pellegrino cieco della Normandia che, giunto a Roma, viene spinto ad andare da s. Fede, nonostante non sappia dove si trovi il suo santuario.

La geografia tratteggiata nei casi presi in esame contempla distanze va-riabili: c’è chi compie molti giorni di viaggio, dovendosi recare dal Gar-gano a Rouen, dalla Lombardia in Apulia e poi a Caiazzo, dalla Germania a Venezia; c’è chi compie dei cammini relativamente brevi, come da Tours a Rouen, dalla Tuscia a Venezia; e chi, infine, percorsi molto brevi, come da Padova a Comacchio, da Bari a Benevento, da Saint-Cha-mant a Rouen85. L’immagine del cammino è ben tratteggiata nei raccon-ti, anche se diventa più incisiva nel caso di pellegrini ciechi o storpi, per

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86. Sull’incubatio nei santuari cristiani si vedano i seguenti contributi e la bibl. citata: M. Monaca, Mantica, magia e guarigioni miracolose: santi e monaci taumaturghi nel mondo tardoantico, in Problemi di storia religiosa del mondo tardo-antico: tra mantica e magia, a cura di M. Monaca, Cosenza 2009, pp. 153-205; L. Canetti, Visione e terapia dal Tardoantico al primo Medioevo:

l’incubazione cristiana e l’ermeneutica del miracolo, in Testo, immagine e rito nella società altome-dievale (VIII-XI sec.), a cura di P. Carmassi e C. Winter, Firenze 2014, pp. 17-44.

i quali coprire lunghe distanze a piedi diventa complesso, ma non impos-sibile. I non vedenti si affidano dunque ai propri bastoni o a coloro che li possono accompagnare nel viaggio, come avviene per la donna diretta a Venezia, che può contare sull’aiuto dei pellegrini di s. Marco; chi ha difficoltà di deambulazione invece fa affidamento su altri mezzi, come il pellegrino che viaggia sulla strada per Rouen a dorso di un asinello.

Gli episodi considerati forniscono molti dati interessanti sulle pratiche svolte dai pellegrini presso i santuari e lungo le vie del loro pellegrinaggio: dalle azioni penitenziali, come quella della donna di Tours a cui viene fatto indossare il cerchio di ferro dal suo vescovo, alle azioni per impetra-re la guarigione messe in atto pimpetra-resso i pignora sanctorum, come la donna cieca che guarisce a Venezia sfregando i suoi occhi malati sull’arca del santo o quella che, da s. Stefano, sempre nella città della Laguna, rimane in preghiera per sette giorni.

L’innesco del meccanismo della «cooperazione tra santi» sta nella co-municazione che il primo santo dà al pellegrino affinché si rechi nel luogo in cui guarirà. Come visto, questo indispensabile medium comunicativo viene in genere affidato alla sfera onirica o della locuzione interiore, con voci percepite solamente dal destinatario della rivelazione. Per questo motivo, il malato è spesso descritto nel momento in cui viene vinto dal sonno, in genere mentre sosta nel santuario anche di notte, secondo la pratica incubatoria86.

Interessante anche la variante narrativa in cui il medesimo santo sembra «aggiornare» la geografia del proprio culto, delineando nuovi luoghi della devozione e indebolendone degli altri. Chiaramente, tutti questi mecca-nismi non possono essere pienamente compresi se separati dalle dinami-che retorico-narrative proprie della scrittura agiografica, finalizzate a le-gittimare culti, promuovere nuovi santuari, stabilire l’autenticità delle re-liquie che vi sono custodite. La logica di tale «disseminazione» del potere

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87. A tal proposito è rilevante quanto riportato nei Miracoli di s. Audoeno: (...) quia

licet Sanctis non desint semper merita virtutum, non semper tamen inest gratia operationum; sed per occultam dispensationem Largitoris alternantur in Sanctis vices et tempora curationis (Miracula sancti Dadonis cit., p. 830, n. 27).

virtuoso dei santi, che di volta in volta hanno la possibilità di accogliere le richieste dei fedeli, è legata, nell’ottica degli agiografi, non tanto all’in-capacità di un vir Dei di intercedere presso Dio e compiere un miracolo, ma alla diretta volontà divina, che alterna i santi dei quali si serve87.

Concludendo, si può affermare che la «cooperazione tra santi» sia non solo un meccanismo narrativo, ma anche un tema culturale presente nella società medievale, come sembra suggerire l’episodio di s. Bibiano, in cui sono i chierici a mettere in scena la cooperazione. La diffusione di questo modello è abbastanza ampia, tale da farlo apparire un tema ben preciso e riconoscibile nell’ambito delle raccolte di miracoli, specie in contesti di pellegrinaggio. Infatti, il pellegrino viene guidato dai santi che prega, e solo grazie alla loro intercessione e ai loro consigli può, al termine del suo viaggio, ritrovare la salute del corpo e dell’anima.

ABSTRACT

Pilgrimage Experiences and «Cooperation Between Saints» in the Late Medieval West (11th-13th Centuries)

Hagiographic writing plays a central role in the processes of promotion and legitimization of sanctoral cults. The hagiographer, when he writes the life of a saint or collects his miracula, uses precise strategies to legitimize the cult aimed at demonstrating the virtue of the saint and, implicitly, his superiority over other saints. In the context of the pilgrimage, an interesting example of these dynamics is offered by what we could call «cooperation between saints». Specifically, these are all those episodes in which a pilgrim in search of healing is exhorted by the saint to whom he has turned with devotion, to go on pilgrimage to another saint, since only the latter is empowered by God to heal. The aim of this article is to develop the theme of «cooperation between saints» in Latin-medieval hagio-graphic literature and, in particular, to evaluate the consistency of this dynamic – rhetorical-narrative first of all, but also symbolic and cultural – in the context of pilgrimages and devotional practices carried out by pilgrims at the pignora

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torum. The sources used are mainly hagiographic stories (in particular translationes

and libri miraculorum) written in the medieval West between the 11thand 13th centuries. Among the cults examined, that of St Faith, St Appiano, St Leonard, St Nicola and St Stefano in Venice, St Menna of Sannio.

KEYWORDS: Cooperation Between Saints; Pilgrimage; Hagiography; Relics

of Saints; Miracles.

Marco Papasidero Università degli Studi di Messina mpapasidero@unime.it

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