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Conflitto di interessi, "mala amministrazione" e tutela della finanza pubblica.

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Università di Pisa

Dipartimento di Giurisprudenza Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Conflitto di interessi, "mala amministrazione"

e tutela della finanza pubblica

Relatore:

Ch.ma Prof. Michela Passalacqua

Candidato: Roberto Galia

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I

INDICE

Introduzione III Capitolo I

Il conflitto di interessi: caratteri generali e prospettive per una modifica della disciplina

1. Il conflitto tra interessi pubblici e privati nei soggetti investiti di pubbliche funzioni 1 2. La disciplina del conflitto di interessi nella legge generale sul procedimento amministrativo 9 3. Prevenzione delle situazioni di conflitto di interessi: inconferibilità e incompatibilità degli incarichi ai dipendenti pubblici 18 4. Una norma in materia di risoluzione dei conflitti di interessi: la Legge 20 luglio 2004, n. 215 34

Capitolo II

Maladministration: responsabilità amministrativa e tutela della

finanza pubblica

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II

corruttivo 45 2. La manifestazione di una mala gestio sistemica 50 3. Corte dei conti e cattiva amministrazione 58 4. Il danno all’erario alla luce della giurisprudenza contabile: analisi delle condotte e dell’elemento soggettivo 76

Capitolo III

La tutela giurisdizionale della Corte dei conti 1. Corte dei conti e conflitto di interessi: l’istituto

dell’inconferibilità 85 2. … e le ipotesi di incompatibilità 95 3. Le diverse tipologie di danno erariale alla luce della giurisprudenza della Corte dei conti 104 Conclusioni 117 Bibliografia 122

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III

INTRODUZIONE

La tutela dell’imparzialità e dell’indipendenza del funzionario pubblico costituisce, ancora oggi, un vasto terreno di dibattito all’interno delle c.d. “democrazie avanzate”.

È chiaro che chiunque sia preposto all’esercizio di una funzione pubblica è, nello stesso tempo, portatore di interessi particolari afferenti a diverse materie. Se, però, fino all’ultimo decennio del secolo scorso per “indipendenza del funzionario pubblico” si intendeva la sua estraneità ad influenze derivanti da altri poteri appartenenti allo Stato-apparato, oggi questa definizione rischia di non essere più esaustiva. Il corretto svolgimento della funzione pubblica è, infatti, minacciato da influenze derivanti da numerosi centri di potere economico e sociale esterni allo Stato-apparato che hanno, a loro volta, sviluppato una folta rete di relazioni con i poteri pubblici. Proprio questa rete di interazioni risulta essere un catalizzatore ideale di fenomeni di cattiva amministrazione. Tutte le forme sotto cui si manifesta la c.d. maladministration ̶ che possono andare dal disservizio alla circolazione di “mazzette” ̶̶ comportano

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IV

dei costi per la pubblica amministrazione che vengono indirettamente sopportati dai consociati.

Il legislatore, preso atto di questa realtà, si è costantemente mosso verso il consolidamento e il potenziamento degli strumenti indirizzati a tutelare l’indipendenza e l’imparzialità del funzionario pubblico, poiché considerati il migliore antidoto all’espansione degli anzidetti fenomeni. La legge Severino e il decreto legislativo 6 aprile 2013, n. 39 rappresentano un chiaro esempio di quanto appena detto. Infatti, nonostante il nucleo di norme contenuto al loro interno sia certamente perfettibile, costituiscono uno slancio considerevole e innovativo verso la prevenzione dei fatti di mala gestio.

La presente analisi si pone, allora, l’obiettivo di esaminare i temi del conflitto di interesse e dei fenomeni di cattiva amministrazione alla luce del lavoro, posto in essere dal legislatore e dal giudice contabile, per arginarne i riflessi negativi sulla finanza pubblica.

Si è ritenuto opportuno partire dal conflitto di interessi poiché è proprio nell’ambito di quelle relazioni, alle quali poco fa si alludeva, che si annidano maggiormente i fenomeni di cattiva

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V

amministrazione. Verranno, quindi, esaminati i tratti fondamentali delle discipline relative al conflitto di interessi presenti, sia nella legge generale sul procedimento amministrativo, sia nella legge n. 215/2004, relativa ai titolari di cariche di governo, passando per una disamina degli istituti delle inconferibilità e incompatibilità riferibili ai funzionari pubblici, di vertice e non, posti a presidio dei doveri Costituzionali di imparzialità ed esclusiva dedizione del funzionario al perseguimento dell’interesse generale.

In secondo luogo, si analizzeranno le ripercussioni sulla pubblica amministrazione, di natura sia economica che sociale, derivanti dalla sistemica reiterazione, da parte dei funzionari pubblici, di condotte contra legem, con specifico riferimento al fenomeno corruttivo. Inizialmente è stata posta una particolare attenzione agli strumenti di controllo e giurisdizionali posti in capo alla Corte dei conti a presidio dell’integrità della finanza pubblica. Ci si è, così soffermati sulla elaborazione pretoria volta a definire le condotte tipiche e l’atteggiarsi dell’elemento soggettivo nelle varie ipotesi di danno erariale, partendo dalla costatazione di una lacuna normativa in materia.

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VI

Infine, l’accento verrà posto sulla giurisprudenza della Corte dei conti che ha ad oggetto le conseguenze erariali derivanti dai fenomeni precedentemente analizzati. Si procederà, intanto, all’osservazione del modus operandi con cui le varie Sezioni regionali della Corte dei conti hanno interpretato gli elementi costitutivi delle fattispecie di inconferibilità e incompatibilità, predisposte dal legislatore, ricorrendo, anche, al prezioso lavoro di interpretazione delle norme in materia svolto dall’ANAC. Per ultimo, verrà illustrato il lavoro di definizione, operato tramite una sinergica collaborazione tra il legislatore e il giudice contabile, degli elementi essenziali riferibili alle principali categorie di danno erariale quali: il danno all’immagine della pubblica amministrazione, danno da disservizio, danno da tangente.

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1

CAPITOLO I

IL CONFLITTO DI INTERESSI: CARATTERI GENERALI E PROSPETTIVE PER UNA MODIFICA DELLA DISCIPLINA 1. Il conflitto tra interessi pubblici e privati nei soggetti investiti di pubbliche funzioni

La questione dei conflitti di interessi è un problema diffuso in tutte le democrazie avanzate.

L’esame della stessa richiede preventivamente l’analisi di ambedue gli elementi che compongono la fattispecie, specialmente avendo riguardo alla nozione di interesse, che rappresenta il nucleo centrale dell’istituto.

Per conflitto di interessi si intende la situazione in cui il titolare di una carica elettiva o di un pubblico ufficio abbia un interesse economico privato tale da poter influenzare (o anche soltanto apparire di influenzare) l’esercizio dei suoi doveri pubblici, potendolo così preferire all’interesse pubblico che dovrebbe

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perseguire in considerazione delle funzioni che è chiamato a svolgere1.

Da questo enunciato si capisce come il termine “conflitto” rappresenti una situazione di tensione o contrasto tra interessi. Tuttavia, non tutte le situazioni di contrasto sono idonee a creare un conflitto di interessi, infatti, tutte le funzioni pubbliche, come ad esempio l’attività politica, implicano naturalmente la mediazione e la scelta tra interessi. Si è di fronte ad una tale situazione, allora, quando uno degli interessi in conflitto è proprio dell’ufficio e l’altro è proprio del titolare o componente dell’ufficio2.

Il conflitto tra esercizio del potere pubblico e interessi economici privati costituisce, quindi, un bellum tra due valori entrambi tutelati nel nostro ordinamento e di cui a breve si parlerà: l’interesse generale e l’iniziativa economica privata. Per questo motivo, le norme in materia devono preoccuparsi di evitare che l’iniziativa economica privata di soggetti titolari di una funzione pubblica venga calpestata, garantendo, al contempo, che la

1 A. Pertici, Il conflitto di interessi, Torino, Giappichelli, 2002, p. 12.

2 B.G. Mattarella, Il conflitto di interessi dei pubblici funzionari, in F. Palazzo (a

cura di), Corruzione pubblica. Repressione penale e prevenzione

amministrativa. Atti del seminario (Firenze 6 maggio 2011), Firenze University

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3

prevalenza dell’interesse generale sia promossa limitando l’iniziativa economica privata, tanto quanto necessario ad assicurare tale prevalenza3.

Chiarita l’accezione alla luce della quale deve intendersi il termine conflitto, un ulteriore e determinante passo da compiere è quello di individuare cosa significa “interesse”, specialmente cosa è l’interesse pubblico, in quanto elemento essenziale di tale argomento. Posto che l’interesse può essere inteso come quella relazione tra un soggetto che ha un bisogno e la condizione idonea a colmarne la carenza4, definire cosa è un interesse pubblico può risultare

complesso alla luce soprattutto del fatto che tale locuzione non rinvia a nulla di immediatamente definibile. Il nostro ordinamento, infatti, tutela una moltitudine di interessi pubblici e la locuzione al singolare ne indica soltanto l’insieme o quello che tra i tanti deve o può essere curato4.

3 E. Gustapane, Etica pubblica e conflitto di interessi, in S. Cassese e B.G.

Mattarella (a cura di), Democrazia e cariche pubbliche. Ineleggibilità,

incompatibilità, conflitto di interessi: un problema di etica pubblica, Bologna,

il Mulino, 1996, pp.32-33 4 E. Betti, voce Interesse (teoria generale), in Noviss.

Dig. It., vol. VIII, Utet, Torino, 1957, p. 838.

4 A. Pizzorusso, Interesse pubblico e interessi pubblici, in Riv. Trim. dir. E proc.

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4

Gli interessi pubblici sono quelli che l’ordinamento giuridico statale considera propri della generalità dei componenti la collettività, intesa come l’insieme dei cittadini attualmente viventi, ma in una prospettiva comprensiva anche delle generazioni future5.

Nel nostro ordinamento, come in tutti gli ordinamenti a costituzione rigida, il compito di individuare interessi riferibili alla collettività, nonché i mezzi per perseguirli, spetta al legislatore che deve a sua volta tener conto degli interessi pubblici individuati a livello costituzionale e, infine, considerare i valori condivisi dalla generalità dei consociati o almeno dalla maggioranza di essi6.

Una volta che i vari interessi pubblici vengono individuati, spetta, poi, alla Pubblica Amministrazione dare loro attuazione. Infatti, coloro che esercitano funzioni pubbliche, in virtù del rapporto di immedesimazione organica che li lega ad esse, devono agire per il conseguimento degli interessi pubblici. È chiaro che qualunque soggetto preposto all’esercizio di una funzione pubblica è, nello stesso tempo, portatore di interessi particolari afferenti a diverse

5 A. Pertici, Il conflitto di interessi, op. cit., p. 21. 6 A. Pertici, Il conflitto di interessi, op. cit., p. 30.

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5

materie. La dottrina7 ha proposto di differenziare interessi other

regarding e interessi self regarding, intendendo per i primi, quelli

appartenenti a determinate materie o categorie di persone di cui, tra l’altro, non si esclude che il titolare di funzione pubblica possa fare parte (si fa riferimento a interessi quali ambiente e sicurezza nel primo caso, a giovani, anziani, razze o religioni nel secondo), i secondi, invece, sono interessi che avvantaggiano solamente colui che agisce nell’esercizio di una funzione pubblica o coloro che, in ragione dei vincoli personali o d’affari che lo legano ad essa, non possono essere considerati other rispetto all’agente.

All’interno della Costituzione sono presenti molteplici norme che riconducono ad un divieto di curare interessi personali in capo ai titolari di funzioni pubbliche. La norma che prima di tutte introduce questa limitazione è l’art. 51, c. 1 in virtù del quale tutti i cittadini possono accedere ad uffici pubblici e cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Questo ultimo rinvio ai requisiti di legge costituisce un generale fondamento costituzionale della possibilità per il legislatore di introdurre

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6

limitazioni all’accesso alle pubbliche funzioni, affinché vengano garantiti il rispetto dei principi dell’uguaglianza sostanziale e dell’esercizio delle funzioni pubbliche nell’esclusivo interesse generale dei consociati8.

Lo stesso fine si prefiggono, inoltre, una lunga serie di norme presenti all’interno del dettato costituzionale. Si fa rifermento all’art. 65 che rinvia alla legge il compito di determinare i casi di ineleggibilità o incompatibilità con l’ufficio di deputato o senatore, con il chiaro scopo di impedire sul nascere la possibilità che il titolare di una carica pubblica così rilevante sul piano istituzionale, possa curare durante il mandato interessi personali sfruttando l’esperienza e le capacità acquisite in ragione del mandato.

Al raggiungimento del medesimo obiettivo sono, poi, dirette le norme di cui agli artt. 67, 97, comma 2, 98, comma 1, 101 e 111, comma 2 della Costituzione. I principi di cui gli stessi sono portatori informano le cariche Parlamentari, la pubblica amministrazione e l’ordine giudiziario. L’art. 67 Cost. stabilisce l’obbligo per il Parlamentare di esercitare la sua funzione senza vincolo di mandato,

8 M: Argentati, La disciplina italiana del conflitto di interessi in una prospettiva

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7

e specifica che ciascun Parlamentare rappresenta la Nazione, alludendo quindi all’obbligo di curare esclusivamente gli interessi dello Stato.

Le norme del titolo III della Costituzione, che riguardano la pubblica amministrazione (artt.97-98), contengono, poi, un rinvio alla legge ordinaria affinché organizzi i pubblici uffici nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione unitamente al principio secondo cui il pubblico impiegato è al servizio esclusivo della Nazione.

Le ultime due norme alle quali stiamo facendo riferimento, contenute negli artt. 101 e 111, c. 2 della Costituzione, indicano, invece, alcuni tra i principi cardine dell’ordinamento giudiziario italiano.

La previsione dei principi in base ai quali la legge è amministrata in nome del popolo, di soggezione del giudice esclusivamente alla legge, unitamente alla sua terzietà e imparzialità contribuiscono a plasmare un ordine giudiziario dal carattere neutro ed indipendente rispetto alle possibili influenze dello Stato- apparato,

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8

promuovendo la figura del giudice quale soggetto la cui funzione unica sia la tutela degli interessi dei consociati.

È in special modo una lettura comparata degli articoli 67, 98, 111 Cost. che permette di prendere atto dell’esistenza, all’interno del dettato costituzionale, di un nucleo forte di norme che si riferiscono ognuna ad un potere e che sono portatrici chiaramente e direttamente del principio del divieto di curare interessi differenti da quelli generali in capo ai titolari di funzioni pubbliche. L’esistenza di questo principio è, dunque, da imputare alla volontà del legislatore costituzionale di creare una linea di demarcazione tra gli interessi privati di cui il titolare di un munus pubblico è inevitabilmente portatore e gli interessi che il medesimo soggetto è chiamato a tutelare in ragione del suo ufficio9.

9 M. Argentati, La disciplina italiana del conflitto di interessi in una prospettiva

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2. La disciplina del conflitto di interessi nella legge generale sul procedimento amministrativo

L’art. 1, c. 41 della L. 6 novembre 2012 n. 190 ha aggiunto l’art. 6-bis nella L. n. 241 del 1990. La norma prevede che “il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi nel caso di conflitto di

interessi, segnalando una posizione di conflitto, anche potenziale”. Dalla lettera della norma emerge la distinzione tra conflitto di interessi potenziale e attuale. A riguardo del primo, trovarsi in uno stato potenziale significa che l’eventuale conflitto deve ancora tradursi in atto10. Tuttavia, il legislatore sembra aver disciplinato in

modo uniforme le due fattispecie facendo rientrare nell’alveo della segnalazione anche casi nei quali il conflitto di interessi sia già attuale. Una lettura comparata tra l’art. 6-bis e l’art. 1 della

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L.241/199011 permette di fuggire da questa soluzione grazie alla

previsione del principio di trasparenza nella attività amministrativa. Alla luce di questo, il ricorrere di un conflitto di interessi di tipo attuale rende indispensabile l’astensione del funzionario, considerandosi la segnalazione necessaria solamente nel momento in cui viene a palesarsi un conflitto di interessi soltanto potenziale. L’esempio è quello del figlio di un docente che si iscrive allo stesso corso di laurea in cui insegna il padre, ove esiste un conflitto di interessi potenziale che in concreto ancora non si è realizzato12. In questa fase il docente ha l’obbligo di segnalare il conflitto, realizzando la cd. disclosure.

Diverso è, invece, il caso del docente che intenda procedere all’esame del figlio poiché in tale condizione lo stesso docente ha l’obbligo di astenersi, versandosi in uno stato di conflitto di interessi attuale e non più potenziale, qualora si procedesse all’esame. Quindi, il passaggio dalla natura potenziale a quella attuale del conflitto di

11Art 1, c. 1 L.241/1990 “L’attività amministrativa persegue i fini determinati

dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princìpi dell’ordinamento comunitario”.

12 G. Iudica, Il conflitto di interessi nel diritto amministrativo, Torino,

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interessi si ha nel momento in cui si istaura concretamente il rapporto procedimentale.

Un ulteriore profilo meritevole di attenzione riguarda, poi, la previsione di un obbligo di astensione, in capo al funzionario pubblico, rafforzato rispetto ad altre norme presenti in tema nel nostro ordinamento. L’art 323 c.p., infatti, punisce il funzionario che, non astenendosi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, intenzionalmente procuri un vantaggio a sé o ad altri ovvero cagioni un danno ingiusto13.

Anche l’art. 2373 c.c. pone un obbligo di astensione attenuato rispetto all’art. 6-bis. Il codice civile, infatti, prevede che in caso di conflitto tra interessi del socio e interessi della società, la delibera approvata con voto determinante di questi, può essere impugnata solo se capace di arrecare danno alla società stessa.

Un altro obbligo di astensione attenuato è contenuto nella L. 215/2004 recante “Norme in tema di risoluzione dei conflitti di

13 Art. 323, c.1 c.p. secondo cui “Salvo che il fatto non costituisca un più grave

reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito (…)”.

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interessi”, che si applica esclusivamente ai titolari di cariche di governo e della quale si parlerà in prosieguo. L’art. 3 della stessa, infatti, dispone che uno dei soggetti indicati all’art.114 si trova in

conflitto di interessi o in condizione di incompatibilità con la carica da questi ricoperta, quando l’atto o l’omissione da lui posta in essere ha una incidenza specifica e preferenziale nel suo patrimonio, o in quello del coniuge o di un congiunto, ovvero delle imprese o società da essi controllate, con danno all’interesse pubblico.

Rispetto alle norme appena citate, quindi, l’obbligo di astensione contenuto nell’ art. 6-bis, essendo previsto sia per i casi di conflitti di interessi attuali che potenziali, risulta rafforzato.

Uno dei motivi di questa scelta risiede sicuramente nel tentativo di salvaguardare il più possibile l’integrità della figura del funzionario, tutela che a sua volta è posta a presidio dell’immagine dell’amministrazione15.

14 Art.1, c. 2, L.215/2004 “Agli effetti della presente legge per titolare di cariche

di governo si intende il Presidente del Consiglio dei ministri, i Ministri, i Vice Ministri, i sottosegretari di Stato e i commissari straordinari del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400”.

15 Sull’integrità del funzionario si veda l’art.3, c. 2, d.p.r.16 aprile 2013, n. 62:

“Il dipendente rispetta altresì i principi di integrità, correttezza, buona fede,

proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza e agisce in posizione di indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi”.

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Come risultato, il rafforzamento previsto dall’art.6-bis comporta che, da un lato, l’obbligo di astensione, dovendosi eseguire anche nei casi in cui il conflitto è solo potenziale, prescinde dall’esito del procedimento; dall’altro, l’obbligo in parola, non essendo ancorato ad alcuna fattispecie determinata, ha carattere generale e atipico16.

È necessario, tuttavia, evidenziare la presenza nella norma di alcune lacune. Dal dettato normativo, infatti, non è chiaro né quale possa essere l’autorità destinataria della comunicazione del conflitto di interessi, o quella a cui è comunicata l’astensione, né quali siano gli effetti della violazione dell’art. 6-bis.

Ai primi due interrogativi può rispondersi effettuando una lettura coordinata dell’art. 6-bis con gli artt. 6 e 7 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, i quali disciplinano rispettivamente la comunicazione degli interessi finanziari e dei conflitti di interessi e l’obbligo di astensione. La prima prevede che ciascun dipendente, nel momento in cui viene assegnato ad un ufficio, deve effettuare una comunicazione al dirigente dell’ufficio,

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relativa a tutti i rapporti finanziari avuti negli ultimi tre anni17.

L’articolo successivo, a riguardo dei conflitti di interessi, stabilisce che sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza18. La lettura di questa norma ci permette, inoltre, di

pervenire ad una tipizzazione delle relazioni sintomatiche di un possibile conflitto di interessi che, come si diceva, è del tutto assente nel 6-bis. L’art. 7, infatti, contiene un elenco di casi nei quali il dipendente è chiamato ad astenersi e che si conclude con una clausola di carattere generale, in riferimento a tutte le ipotesi in cui “esistano

gravi ragioni di convenienza”19.

17 Art. 6, c. 3, d.p.r. 16 aprile 2013, n. 62, secondo cui: “Fermi restando gli

obblighi di trasparenza previsti da leggi o regolamenti, il dipendente, all'atto dell'assegnazione all'ufficio, informa per iscritto il dirigente dell'ufficio di tutti i rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione con soggetti privati in qualunque modo retribuiti che lo stesso abbia o abbia avuto negli ultimi tre anni (…)”.

18 L’Art. 7, d.p.r. 16 aprile 2013, n. 62 prevede che: “Il dipendente si astiene dal

partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull'astensione decide il responsabile dell'ufficio di appartenenza”.

19 Piano Nazionale Anticorruzione, legge 6 novembre 2012 n. 190 recante

“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della

illegalità nella pubblica amministrazione.” Allegato 1: Soggetti, azioni e misure

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L’art. 6-bis, inoltre, tace sugli effetti di una sua eventuale violazione, rendendo difficile capire se la stessa vizi l’atto o il procedimento con cui questo è stato adottato20.

È da escludere che il provvedimento adottato in conflitto di interessi possa essere dichiarato nullo ex art. 21-septies della L. 241/90 perché lo stesso prevede la nullità dei provvedimenti amministrativi che manchino degli elementi essenziali dell’atto, che siano viziati da difetto assoluto di attribuzione, che siano stati adottati in violazione o elusione del giudicato o negli altri casi in cui la legge preveda la nullità. L’atto posto in essere da un dipendente che versa in una situazione di conflitto di interesse risulta essere, dunque, una ipotesi estranea sia alla mancanza di elementi essenziali dell’atto sia al vizio di attribuzione: nel primo caso, perché quando si richiamano gli elementi essenziali dell’atto ci si riferisce alla esistenza o meno del soggetto o oggetto del provvedimento ovvero alla liceità del suo contenuto; nel secondo caso, perché oggetto dell’accertamento è se il potere di emanare l’atto appartenesse o meno al dipendente21.

20 G. Iudica, Il conflitto di interessi nel diritto amministrativo, op. cit., p. 48.

21 V. Cerulli Irelli, Lineamenti di diritto amministrativo, Torino, Giappichelli

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Eppure, l’atto viziato da conflitto di interessi può essere ricondotto nell’alveo dei casi di nullità del provvedimento amministrativo per difetto di elementi essenziali qualora si considerasse presente tra questi l’interesse pubblico primario

perseguito22. Tuttavia, parte della dottrina23 non accoglie questa tesi

considerando l’interesse pubblico perseguito un elemento estraneo alla struttura dell’atto.

Come seconda ipotesi, quale effetto della violazione dell’art. 6-bis, si prefigura l’annullamento dell’atto. L’ art. 21-octies della L. 241/1990 stabilisce la possibilità di annullare l’atto amministrativo che sia stato adottato in violazione della legge o viziato da eccesso di potere ovvero da incompetenza. Tuttavia, il secondo comma dispone che anche qualora l’atto sia stato emanato in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti, lo stesso non si può annullare quando è palese che il suo contenuto dispositivo non sarebbe potuto essere differente da quello concretamente adottato.

Da ciò si ricava che, posto che l’atto emanato dal dipendente in conflitto di interessi comporta il sorgere di un vizio di natura

22 G. Iudica, Il conflitto di interessi nel diritto amministrativo, op. cit., p. 49.

23 L. Mazzarolli, G. Pericu, A. Romano, F.A. Roversi Monaco, F.G. Scoca,

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procedimentale, al realizzarsi di questa condizione non si perverrà sempre all’annullamento dell’atto poiché se il contenuto del provvedimento è preconfezionato dalla legge nessuna eventuale disparità di trattamento può rilevare ai fini dell’annullamento. Questo, tuttavia, dovrebbe accadere sia per i provvedimenti di natura vincolata, sia per quelli di natura discrezionale. Infatti, anche in questo ultimo caso, la presenza di un conflitto di interessi non ha come conseguenza la sicura imparzialità dell’atto ma, tuttalpiù, la può far presumere. E questo è uno dei motivi per cui non si può ricondurre l’atto posto in essere in situazione di conflitto di interessi all’ipotesi in cui venga adottato da un organo che, pur sussistendo una causa di incompatibilità, avrebbe dovuto astenersi ma non lo ha fatto. Questo perché nel vizio di incompetenza, quando un organo decide su una materia che non gli compete, il difetto si riflette sugli effetti del provvedimento. Nel caso del conflitto di interessi, invece, ciò non per forza avviene, poiché imparzialità del soggetto e imparzialità del procedimento non sono connessi o perché il provvedimento è predeterminato dalla legge o perché, nei fatti, non si realizza alcuna disparità di trattamento24.

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Quindi, per quanto riguarda l’annullabilità dell’atto posto in essere in conflitto di interessi, parte della dottrina ha auspicato un bilanciamento tra il principio di imparzialità e il principio di efficacia dell’azione amministrativa, poiché questo permetterebbe di annullare solo il provvedimento amministrativo i cui effetti non sono idonei a realizzare l’interesse pubblico specifico del procedimento.

3. Prevenzione delle situazioni di conflitto di interessi: inconferibilità e incompatibilità degli incarichi ai dipendenti pubblici

In buona parte delle democrazie moderne la disciplina sulla prevenzione dei casi di conflitto di interessi può essere ricondotta ad alcuni istituti tipici. Quelli che verranno di seguito analizzati saranno l’inconferibilità e l’incompatibilità. Essi non presentano la medesima fisionomia in tutti gli ordinamenti poiché al variare della latitudine cambia anche il modo in cui vengono disciplinati. Questo suggerisce come si deve tenere sempre a mente che il tema del conflitto di interessi è indissolubilmente legato a quello dell’etica pubblica e

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quindi alla percezione che la collettività possiede riguardo a determinati comportamenti. Proprio per questo motivo, il ragionamento che fa dedurre da un minor numero di strumenti a presidio dell’avverarsi dei conflitti di interessi la scarsa regolamentazione della materia, è un ragionamento fallace.

Ci sono Paesi di consolidata tradizione democratica, dove i cittadini condividono un radicato senso dello Stato e della cosa pubblica, in cui gran parte dell’impianto normativo relativo anche al funzionamento delle istituzioni è affidato a prassi costituzionali più che a norme scritte. Proprio in questi ordinamenti, quali ad esempio Gran Bretagna o i paesi Scandinavi, la soluzione dei conflitti di interessi è demandata più all’etica pubblica che a una disposizione normativa25.

Nel nostro ordinamento le inconferibilità e le incompatibilità sono soggette a differenti discipline a seconda che si riferiscano ora agli incarichi dirigenziali o amministrativi di vertice, ora ad altri dipendenti pubblici. Si procederà, quindi, all’analisi dell’art.1, commi 49 e 50 della L. 6 novembre 2012, n. 190 e successivo d.lgs.

25 M. Argentati, La disciplina italiana del conflitto di interessi in una prospettiva

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39/2013. Questa disciplina non si può applicare agli altri dipendenti pubblici, sottoposti al d.lgs. n. 165/2001 (TU sul pubblico impiego). La L. 190/2012 (cd. Legge Severino) all’art. 1, commi 49 e 50 delega il governo ad adottare uno o più decreti che riscrivano e riordinino il regime di inconferibilità e incompatibilità relativi ad incarichi dirigenziali ed amministrativi di vertice. Tali fattispecie, infatti, verranno disciplinate con l’emanazione del d.lgs. 39/2013, che attua la delega con l’art. 1, c. 2, let. g) e h).

Per inconferibilità si intende la “preclusione, permanente o

temporanea, a conferire incarichi (…)”26. Nella inconferibilità

opera, quindi, la stessa logica della incandidabilità poiché entrambe sono preordinate a precludere lo svolgimento di un incarico pubblico a chi abbia svolto determinati uffici prima che sia decorso un periodo di raffreddamento, apprezzabile dal momento della cessazione dell’incarico.

26Art. 1 c. 2 let. g) d.lgs. 39/2013, per «inconferibilità», la preclusione,

permanente o temporanea, a conferire gli incarichi previsti dal presente decreto a coloro che abbiano riportato condanne penali per i reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, a coloro che abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni o svolto attività professionali a favore di questi ultimi, a coloro che siano stati componenti di organi di indirizzo politico.

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L’incompatibilità è, invece, “l’obbligo, per il soggetto cui viene conferito l’incarico, di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine di 15 giorni, tra la permanenza nell’incarico e lo

svolgimento di incarichi e cariche in un ente diverso”27. Le cause di

incompatibilità si preoccupano di evitare conflitti di interessi tra cariche pubbliche, ovvero tra una carica pubblica e un interesse privato28.

Il comma 49 dell’art. 1 della legge Severino procede, poi, all’individuazione degli enti ai quali dovrà riferirsi il successivo decreto, comprendendovi le amministrazioni pubbliche ma anche gli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico che esercitano funzioni amministrative ovvero attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici. Il successivo comma 50, invece, procede, in modo esplicito, ad individuare i criteri ai quali si dovranno ispirare i

27 Per «incompatibilità'», l'obbligo per il soggetto cui viene conferito l'incarico

di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di quindici giorni, tra la permanenza nell'incarico e l'assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce l'incarico, lo svolgimento di attività professionali ovvero l'assunzione della carica di componente di organi di indirizzo politico.

28 S. Cassese, B.G. Mattarella, Democrazia e cariche pubbliche, Bologna, il

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successivi decreti nella disciplina delle inconferibilità e incompatibilità. Essi dovranno prevedere l’inconferibilità per coloro i quali siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per delitti contro la Pubblica Amministrazione; per coloro che abbiano svolto incarichi in enti di diritto privato, sottoposti al controllo o finanziati dall’amministrazione che conferisce l’incarico, per un periodo di almeno un anno dalla cessazione dello stesso incarico; per i soggetti, estranei all’amministrazione che, per un congruo periodo di tempo, non inferiore ad un anno antecedente al conferimento abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive. La delega, come si accennava, trova attuazione nel d.lgs. n. 39/2013 recante “Disposizioni in materia di incarichi presso le pubbliche amministrazioni ed enti privati in controllo pubblico, a norma dell’art.1 commi 49 e 50, della L. 6 novembre 2012, n. 190”. La

prima tra le fattispecie di inconferibilità previste nel decreto riguarda coloro i quali siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per reati contro la Pubblica Amministrazione di cui al Capo II libro II del codice penale. A costoro non possono essere attribuiti incarichi amministrativi di vertice negli enti territoriali,

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negli enti pubblici di vario livello, incarichi dirigenziali, interni ed esterni, nelle pubbliche amministrazioni e di direttore generale, amministrativo o sanitario nelle ASL del Servizio Sanitario Nazionale. L’inconferibilità ha, solitamente, carattere temporaneo a meno che non intervenga la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il secondo gruppo di ipotesi inconferibilità, disciplinate dagli articoli 4 e 5 del decreto in parola, si rivolge a coloro i quali abbiano ricoperto cariche o incarichi in enti, anche di diritto privato, finanziati dall’amministrazione o ente pubblico che conferisce l’incarico ovvero svolgano attività professionale retribuita o finanziata dall’amministrazione o ente che conferisce l’incarico. Nella seconda delle disposizioni è disciplinata, invece, l’inconferibilità di incarichi di direzione nelle ASL per coloro i quali abbiano svolto incarichi in enti privati regolati o finanziati dal servizio sanitario nazionale. La durata di entrambe le ipotesi di inconferibilità è di due anni dalla cessazione dell’incarico. Un terzo e ultimo gruppo di norme riguarda i componenti di organo politico dal livello nazionale a quello locale e il conferimento di incarichi di direzione nelle ASL. Per la disciplina delle inconferibilità relative ai componenti di organo politico di livello nazionale si parlerà nel

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paragrafo successivo. A livello regionale, a coloro i quali nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio di una provincia o di un comune con popolazione superiore ai 15000 abitanti della medesima regione o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione oppure siano stati o presidente o amministratore delegato di un ente di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione, provincia, comune non possono conferirsi incarichi dirigenziali nell’amministrazione regionale, incarico di amministratore di ente pubblico di livello regionale, incarico di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico di livello regionale. Le medesime cause di inconferibilità si applicano a livello locale, ma non ai dipendenti della stessa amministrazione, ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico che, all’atto dell’assunzione della carica politica, erano titolari degli anzidetti incarichi. Quindi, una volta cessata la carica, il dirigente non deve aspettare periodo di tempo alcuno per riprendere l’incarico dirigenziale svolto in precedenza.

Per quanto riguarda il settore sanitario, la primarietà degli interessi che vi gravitano intorno ha portato il legislatore a creare una disciplina delle inconferibilità degli incarichi più rigida di quelle

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elencate fino ad adesso. L’art. 8 del d.lgs. 39/2013 stabilisce che non possono ricoprire incarichi dirigenziali in una ASL coloro i quali, nei 5 anni precedenti, siano stati candidati in elezioni europee, nazionali, regionali o locali in collegi che comprendono il territorio delle ASL. Gli stessi incarichi non sono conferibili, inoltre, a chi nei due anni precedenti abbia ricoperto le cariche di Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro, Vice Ministro, Sottosegretario al Ministero della Salute o amministratore di ente pubblico o privato in controllo pubblico che svolga funzioni di controllo, vigilanza, finanziamento del Sistema Sanitario Nazionale. Gli incarichi in parola non sono, inoltre, conferibili a chi nell’anno precedente abbia svolto la funzione di Parlamentare; a chi, nei tre anni precedenti, abbia fatto parte della giunta o del consiglio della regione interessata ovvero abbia ricoperto la carica di amministratore di ente pubblico o privato in controllo pubblico che svolga attività di controllo o finanziamento del Servizio Sanitario Regionale. Infine, non sono conferibili incarichi dirigenziali nelle ASL, a chi nei due anni precedenti, sia stato membro della giunta o consigliere provinciale o di un comune con più di 1500 abitanti o di una forma associativa tra comuni aventi la

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medesima popolazione, il cui territorio è compreso nel territorio dell’ASL.

Gli artt. 9-14 del d.lgs.39/2013 disciplinano le ipotesi di incompatibilità con l’assunzione di incarichi dirigenziali o di vertice all’interno delle pubbliche amministrazioni. Vengono disciplinate, in primo luogo, le incompatibilità tra incarichi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalle pubbliche amministrazioni nonché lo svolgimento di attività professionale. Si stabilisce che gli incarichi dirigenziali o amministrativi di vertice siano incompatibili con l’assunzione o il mantenimento di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati dall’amministrazione o ente pubblico che conferisce l’incarico e con lo svolgimento di qualsiasi attività professionale finanziata dall’ente o amministrazione che attribuisce l’incarico. Avendo riguardo all’incarico di dirigente nelle ASL, lo stesso è incompatibile con qualunque altro incarico in ente di diritto privato finanziato dal Servizio Sanitario Regionale e con lo svolgimento di attività professionale, qualora questa venisse finanziata dal Servizio Sanitario Regionale, anche se la stessa attività venisse posta in essere dal coniuge o da congiunti. Un secondo

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gruppo di norme ha, poi, ad oggetto le incompatibilità tra incarichi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico e cariche di componenti di organi di indirizzo politico. Gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni e negli enti pubblici di livello nazionale, regionale, locale, gli incarichi dirigenziali, interni o esterni, nella pubblica amministrazione, negli enti pubblici o privati in controllo pubblico di qualsiasi livello territoriale sono, pertanto, incompatibili con la titolarità di cariche di governo.

A livello regionale, invece, i ruoli di componente della giunta o membro del consiglio della stessa, di una provincia o di un comune con più di 15000 abitanti nonché la carica di presidente o amministratore delegato di un ente di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione sono incompatibili con incarichi amministrativi di vertice e dirigenziali presso le amministrazioni, enti pubblici e di diritto privato in controllo pubblico di livello regionale. Oltre a questi ultimi casi, gli incarichi di presidente e amministratore delegato di ente privato in controllo pubblico da parte della regione, unitamente agli incarichi dirigenziali presso le ASL sono incompatibili con la carica di presidente o amministratore

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delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province o comuni con più di 15000 abitanti.

A livello locale, la ratio che viene espressa dalle norme in esame è la medesima che ha ispirato le regole per le incompatibilità a livello regionale29.

29 D.lgs. 39/2013, art. 11, c. 3, secondo cui: “Gli incarichi amministrativi di

vertice nelle amministrazioni di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione nonché gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale o comunale sono incompatibili: a) con la carica di componente della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che ha conferito l'incarico; b) con la carica di componente della giunta o del consiglio della provincia, del comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, ricompresi nella stessa regione dell'amministrazione locale che ha conferito l'incarico; c) con la carica di componente di organi di indirizzo negli enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione, nonché' di province, comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di forme associative tra comuni aventi la medesima popolazione abitanti della stessa regione”; D.lgs. 39/2013, art. 12, c.

4: “Gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni,

negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello provinciale o comunale sono incompatibili: a) con la carica di componente della giunta o del consiglio della regione; b) con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, ricompresi nella stessa regione dell'amministrazione locale che ha conferito l'incarico; c) con la carica di componente di organi di indirizzo negli enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione, nonché di province, comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di forme associative tra comuni aventi la medesima popolazione della stessa regione”;

D.lgs. 39/2013, art. 13, c.3: “Gli incarichi di presidente e amministratore

delegato di ente di diritto privato in controllo pubblico di livello locale sono incompatibili con l'assunzione, nel corso dell'incarico, della carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia o di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione”.

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La disciplina contenuta all’interno del d.lgs. 39/2013 si applica solamente per gli incarichi amministrativi e dirigenziali mentre, per tutto il resto dei dipendenti pubblici, la disciplina di riferimento continua a rimanere il d.lgs. 165/2001 (TU sul pubblico impiego), che è stato modificato con l’art. 1, commi 42 e 43 della L. 6 novembre 2012, n. 190.

L’art. 53 del TU sul pubblico impiego effettua, al primo comma, un rinvio espresso all’applicazione delle norme contenute negli articoli 60-65 del d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3 (TU sugli impiegati civili dello Stato) all’interno dei quali sono disciplinate i casi di incompatibilità e il cumulo di impieghi riferibili ai dipendenti pubblici. L’art. 60 contiene il divieto di svolgere attività economica privata, che comprende anche l’accettazione di cariche in società costituite a fine di lucro, a meno che non si tratti di cariche in società o enti la cui nomina è riservata allo Stato ed è intervenuta l’autorizzazione del ministro competente. Un limite a tale divieto è contenuto nella norma successiva, poiché l’art. 61 prevede che l’impiegato possa ricoprire la veste di socio in società cooperativa tra impiegati dello Stato e possa, dietro autorizzazione del ministro competente, svolgere le mansioni di arbitro o perito. Con delibera del

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Consiglio dei Ministri, l’impiegato può invece ricoprire l’incarico di amministratore o essere membro di collegi sindacali nelle società o negli enti nei quali lo Stato partecipi o contribuisca ovvero in quelli che sono concessionari dell'amministrazione di cui l'impiegato fa parte o che siano sottoposti alla vigilanza di questa. L’art. 65 contiene, invece, un divieto generale di cumulo di impieghi pubblici. A meno che la legge non disponga diversamente, lo stesso art. 53 del d.lgs.165/2001 fa salva la deroga all’art. 60 del d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3 che è contenuta nell’art.23-bis e che concede la possibilità ai dirigenti della pubblica amministrazione di essere collocati in aspettativa gratuita per svolgere attività presso soggetti o organismi, pubblici o privati, operanti anche in sede internazionale. Sempre la stessa norma, al comma 6, prevede, invece, una serie di incarichi per i quali nessuna autorizzazione per il loro esercizio deve essere richiesta all’amministrazione di appartenenza e concernenti la collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; la utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali; la partecipazione a convegni e seminari; gli incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate; gli incarichi per lo svolgimento dei quali il

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dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo; nonché, gli incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita, ovvero le attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione, di docenza e di ricerca scientifica.

Sempre la stessa norma, al comma 2, disponendo che le “pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative,

o che non siano espressamente autorizzati”, individua un terzo genere di incarichi, che si pone come categoria di mezzo tra gli incarichi consentiti e quelli per i quali è prevista incompatibilità e che rappresenta la regola generale circa il conferimento di incarichi agli impiegati pubblici da parte di amministrazioni pubbliche diverse da quella di appartenenza. Si tratta dell’“incarico che non è incompatibile, ma neppure è consentito, deve essere autorizzato dall’amministrazione di appartenenza”: l’autorizzazione, precisa la norma, è finalizzata alla verifica dell’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitti di interessi.

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L’art 53, c. 1-bis e 16-ter, invece, disciplinano due fattispecie di incompatibilità post-employement. La prima norma prevede che siano inconferibili gli incarichi di direzione nelle strutture deputate alla gestione del personale a coloro i quali ricoprano o abbiano ricoperto nei due anni precedenti cariche in partiti politici o organizzazioni sindacali, ovvero abbiano tenuto con gli stessi rapporti di collaborazione. La seconda fattispecie, invece, riguarda quei dipendenti che abbiano esercitato poteri autorizzativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, c. 2 della stessa norma30. Questi non possono svolgere, per un periodo di tre anni, che decorre dalla cessazione dell’ufficio che abbia comportato l’utilizzo degli anzidetti poteri, alcun impiego presso i soggetti che erano destinatari di quell’attività.

30 TU sul pubblico impiego, art. 1, c. 2: “Per amministrazioni pubbliche si

intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI”.

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Le norme disciplinano, quindi, due fattispecie simili ma lontane negli obiettivi che intendono raggiungere: la prima, intende tutelare l’imparzialità dell’amministrazione, impedendo che personaggi strettamente legati alla politica possano accedere sin da subito ad incarichi pubblici; la seconda, invece, persegue la finalità di tutelare l’immagine della pubblica amministrazione impedendo che un ex dipendente pubblico sfrutti le informazioni e l’esperienza acquisite durante il rapporto di impiego pubblico a favore di altre imprese interessate.

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4. Una norma in materia di risoluzione dei conflitti di interessi: la Legge 20 luglio 2004, n.215

Prima di procedere all’analisi della L. 215/2004 (c.d. Legge Frattini) si rende necessario evidenziare che, per una norma che disciplini il conflitto di interessi relativo ai titolari di carica di governo, non esiste, nel nostro ordinamento, nessun esplicito appiglio costituzionale. Tuttavia, il richiamo ai principi

dell’uguaglianza sostanziale, del buon andamento

dell’amministrazione e dell’esercizio delle pubbliche funzioni nell’esclusivo interesse generale riesce a dare una, sebbene indiretta, copertura costituzionale a riguardo.

Il tema del conflitto di interessi è stato accantonato nell’ambito pubblico per lungo tempo fino a quando l’argomento è tornato alla ribalta con la decisione di Silvio Berlusconi di prendere parte, direttamente, alla vita politica Italiana. Ciò non sta a significare che prima di questo momento non si registravano conflitti di interessi in seno ai titolari di cariche di governo, ma fu proprio questo il momento in cui l’ordinamento italiano prese coscienza di essere

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impreparato a ciò che stava accadendo31. L’instabilità politica che

contraddistinse quegli anni prolungò talmente a lungo il dibattito sul tema che dovettero trascorrere dieci anni prima che venisse approvata la L.215/2004.

La norma, con l’art. 1, circoscrive i soggetti ai quali la stessa si riferisce. I destinatari della disciplina sono il Presidente del Consiglio dei Ministri, i Ministri, i Viceministri, i sottosegretari di Stato e i commissari straordinari del Governo.

Una parte della dottrina non ha mancato di sottolineare come il novero dei soggetti destinatari della norma sia risultato estremamente limitato, in rapporto a tutti coloro che potrebbero condizionare l’interesse pubblico generale32.

L’art. 1, dopo avere precisato l’ambito soggettivo di applicazione della norma, introduce l’obbligo, rivolto ai titolari di cariche di governo mentre esercitano le loro funzioni, di astenersi dal porre in essere atti e dal partecipare a deliberazioni collegiali, in situazioni di conflitto d’interesse. Tuttavia, non c’è alcuna

31 A. Pertici, Il conflitto di interessi, op. cit., p. 318.

32 In tal senso: B. Valensise, Il conflitto di interessi nella L.215/2004 tra luci

(poche) e ombre (molte), in Studium Juris, n°3, 2005, p.1034; B.G. Mattarella, Conflitto di interessi, quello che le norme non dicono, in Giorn. Dir. Amm.,

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disposizione che imponga ai membri di entrambe le Camere di astenersi nel caso in cui versassero nella stessa condizione, perché per questi esiste soltanto un onere facoltativo di astensione, non idoneo ad evitare il sorgere di conflitti di interessi.

Una posizione che cerca di spiegare la mancanza di alcuna previsione a riguardo ai membri delle Camere si basa sulla costatazione che, essendo ogni singola Camera un organo collegiale composto da una moltitudine di membri, il voto del singolo a favore di un provvedimento sul quale vantare un interesse personale ha una bassissima rilevanza; una tale impostazione non sembra tenere in considerazione l’ipotesi in cui un solo voto risulti determinante. In più, non considera che l’obbligo di astensione è previsto al fine di garantire l’esercizio delle funzioni pubbliche nell’esclusivo interesse del popolo33.

La norma, inoltre, omette di considerare altri soggetti che, per effetto di successive riforme, sono stati dotati di poteri in grado di influenzare, definendolo o soddisfacendolo, l’interesse generale. Senza presunzione di completezza, si possono citare gli alti gradi della dirigenza o i componenti delle autorità indipendenti.

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Passando alla rassegna dei mezzi per prevenire gli effetti distorsivi causati dai conflitti di interessi, la norma prevede strumenti preventivi e meccanismi di risoluzione.

L’obbligo generale di astenersi, previsto dall’art. 1, applica il criterio del minimo mezzo e consta di un temporaneo impedimento allo svolgimento della funzione34.

L’obbligo di astensione, come inidoneità di un soggetto a decidere su una questione a causa di una sua specifica situazione personale, sembrerebbe comportarsi alla stregua di una incompatibilità.35 Tuttavia, questa lettura può essere accettata solamente pensando alla situazione che giustifica l’obbligo di astensione come una incompatibilità accidentale. Il fine dell’incompatibilità è quello di far sì che un soggetto latore di interessi diametralmente in contrasto con quelli generali che la funzione pubblica impone di soddisfare, si dedichi a questi ultimi36;

mentre, chi è chiamato ad astenersi, non esercita la propria funzione

34 L. 215/2004, art. 1, c. 1: “I titolari di cariche di governo, nell'esercizio delle

loro funzioni, si dedicano esclusivamente alla cura degli interessi pubblici e si astengono dal porre in essere atti e dal partecipare a deliberazioni collegiali in situazione di conflitto d'interessi”.

35 A. Pertici, Il conflitto di interessi, op.cit., p. 159.

36 B. Valensise, Il conflitto di interessi nella L.215/2004 tra luci (poche) e ombre

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soltanto in relazione a quella specifica decisione, rimanendo quindi legittimato ad esercitare, in tutti gli altri casi, i poteri e le funzioni che derivano dal suo ufficio.

Il legislatore all’art. 2, detta, invece, un sistema di incompatibilità espresso attraverso la previsione di divieti a ricoprire contemporaneamente cariche di governo e altri uffici37. Le incompatibilità riguardano lo svolgimento di funzioni in enti di

37 L. 215/2004, art. 2, comma 1: “Il titolare di cariche di governo, nello

svolgimento del proprio incarico, non può: a) ricoprire cariche o uffici pubblici diversi dal mandato parlamentare, di amministratore di enti locali, come definito dall’articolo 77, comma 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e da quelli previsti dall’articolo 1 e non inerenti alle medesime funzioni, ad esclusione delle cariche di cui all’articolo 1, secondo comma della legge 13 febbraio 1953, n. 60; b) ricoprire cariche o uffici o svolgere altre funzioni comunque denominate in enti di diritto pubblico, anche economici; c) ricoprire cariche o uffici o svolgere altre funzioni comunque denominate ovvero esercitare compiti di gestione in società aventi fini di lucro o in attività di rilievo imprenditoriale; d) esercitare attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la carica di governo, di qualunque natura, anche se gratuite, a favore di soggetti pubblici o privati; in ragione di tali attività il titolare di cariche di governo può percepire unicamente i proventi per le prestazioni svolte prima dell'assunzione della carica; inoltre, non può ricoprire cariche o uffici, o svolgere altre funzioni comunque denominate, ne' compiere atti di gestione in associazioni o società tra professionisti; e) esercitare qualsiasi tipo di impiego o lavoro pubblico; f) esercitare qualsiasi tipo di impiego o lavoro privato”; L.215/2004, art. 2,

comma 4: “L'incompatibilità prevista dalla disposizione di cui alla lettera d) del

comma 1 costituisce causa di impedimento temporaneo all'esercizio della professione e come tale è soggetta alla disciplina dettata dall'ordinamento professionale di appartenenza. L'incompatibilità prevista dalle disposizioni di cui alle lettere b), c) e d) del comma 1 perdura per dodici mesi dal termine della carica di governo nei confronti di enti di diritto pubblico, anche economici, nonché di società aventi fini di lucro che operino prevalentemente in settori connessi con la carica ricoperta”.

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diritto pubblico, anche economici, lo svolgimento di attività di gestione in società aventi fini di lucro o in attività di rilievo imprenditoriale; l’esercizio di attività professionale o di lavoro autonomo, in materie connesse con la carica di governo, a favore di soggetti pubblici o privati, l’esercizio di qualsiasi impiego o lavoro, pubblico o privato. La stessa norma, al comma 4, disciplina, inoltre, alcune ipotesi di incompatibilità post- employement stabilendo che per dodici mesi dal termine della carica di governo, l’ex titolare non possa svolgere funzioni, comunque denominate, in enti di diritto pubblico anche economici o svolgere attività di gestione in società aventi fine di lucro o rilievo imprenditoriale; così come esercitare attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la carica di governo, di qualunque natura, anche se gratuite, a favore di soggetti pubblici o privati.

Il decreto legge n. 138/2011 amplia, poi, il novero delle incompatibilità, ricomprendendo qualsiasi altra carica elettiva di natura monocratica, relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali, aventi alla data di inizio delle elezioni, una popolazione superiore ai 500 abitanti. Dalla norma emerge che nessuna incompatibilità è stabilita per chi è titolare di una impresa, infatti, le

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disposizioni citate individuano solo due incompatibilità nelle ipotesi in cui il titolare della carica di governo assuma una qualsiasi carica formale o svolga compiti di gestione in una impresa.

L’art. 3 della L. 215/2004, per quanto riguarda la presente analisi, contiene le disposizioni centrali che compongono la misura, perché sono contenute le condizioni costitutive del conflitto di interessi. Qui si afferma che sussiste tale fattispecie quando un titolare partecipa all’adozione di un atto versando in situazione di incompatibilità ai sensi dell’art. 2, comma 1; oppure quando l’atto abbia una incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio dello stesso, o di un parente, o di un’impresa da loro controllata, con danno all’interesse pubblico.

Si può notare come la norma contenga due fattispecie diverse tra loro di conflitto di interesse. La prima può essere chiamata conflitto di interesse per incompatibilità e si realizza quando un soggetto, trovandosi in una delle situazioni di cui all’art. 2, c.1, compie un atto di governo anche se alla luce dell’art. 2, comma.3, il verificarsi di tale condizione parrebbe impossibile poiché gli incarichi previsti dal comma 1 cessano alla data dell’effettiva assunzione della carica. Tuttavia, l’art. 5, nei commi 1 e 5, dimostra

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come questa fattispecie possa verificarsi. Infatti, il titolare della carica di governo dichiara all’autorità garante della concorrenza e del mercato le situazioni di incompatibilità sussistenti alla data di assunzione della carica, entro 30 giorni dall’assunzione stessa. Nei 30 giorni successivi l’autorità provvede ad effettuare gli accertamenti necessari: a prescindere dalla risposta della stessa in seno all’esistenza o meno di una incompatibilità, la procedura può chiudersi in una fase precontenziosa con l’adesione del soggetto interessato.

In caso di rifiuto dello stesso è previsto un obbligo di rimozione dalla carica, che non deve essere, tuttavia, adempiuto dall’autorità. A norma dell’art. 6, comma 1, infatti, l’autorità, dopo aver accertato l’esistenza di situazioni di incompatibilità, promuove la rimozione dall’incarico ad opera dell’amministrazione competente, la sospensione del rapporto di impiego o di lavoro pubblico o privato ovvero la sospensione dagli albi o registri professionali.

I tempi dettati dalla norma, per svolgere gli accertamenti sopradescritti, rappresentano un pericolo perché la titolarità della carica di governo può convivere con la procedura in capo al soggetto stesso.

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La seconda ipotesi prevista dalla norma in commento, è, invece, il conflitto di interessi per incidenza patrimoniale, sulla quale si concentra anche un acceso dibattito che ha ad oggetto gli elementi costitutivi della fattispecie.

Tale ipotesi si realizza all’avverarsi di un triplice evento: cioè quando l’atto posto in essere dal titolare della carica si è tradotto in un vantaggio patrimoniale proprio o di parenti, o di imprese da essi controllate, specifico e preferenziale, con danno all’interesse pubblico. La norma, richiedendo che l’incidenza debba essere anche preferenziale, conduce a concludere che, qualora l’atto o l’omissione incriminati abbiano prodotto effetti favorevoli maggiori o uguali nel patrimonio di terzi, non sussiste il conflitto di interessi38.

L’Autorità ha inoltre precisato che l’incidenza nel patrimonio dei soggetti ai quali si applica la norma, rileva anche se potenziale39.

Infatti, l’oggetto dell’accertamento operato dall’Autorità è qualsiasi vantaggio che in modo particolare si può determinare nel patrimonio.

38 B. Valensise, Il conflitto di interessi nella L.215/2004 tra luci (poche) e ombre

(molte), cit., p. 1038.

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Quindi, il conflitto può essere rilevato anche quando l’atto non ha ancora prodotto alcun effetto, ma sulla base di una valutazione preventiva degli effetti, induce alla ragionevole convinzione che possa generare degli indebiti benefici al titolare40.

Ultimo elemento della fattispecie è il danno all’interesse pubblico, da intendersi come alterazione del corretto funzionamento del mercato, ovvero quando l’incidenza specifica e preferenziale dell’atto o dell’omissione sia il frutto di una scelta manifestamente ingiustificata in relazione ai fini istituzionali cui è preordinata l’azione di governo41. È chiaro, stando a queste indicazioni, che

l’individuazione di tale elemento risulta impresa ardua. Questo, a maggior ragione, se si considera che le funzioni dei titolari di cariche sono caratterizzate dalla generalità, non essendo un atto posto in essere dagli stessi, espressione di discrezionalità amministrativa. Infatti, una distorsione della funzione pubblica può manifestarsi solo nel momento di esercizio della discrezionalità amministrativa. Per questo motivo, è difficile capire come nella fase di individuazione

40 C. Marchetta, La legislazione italiana sul conflitto di interessi, la L.20 luglio

2004, n°215 - Orientamenti applicativi, criticità e prospettive di riforma,

Giuffrè, Milano, 2013, p. 238.

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Impiego dell’industria farmaceutica nel corso degli ultimi cinque anni: tutte le attività svolte (direttamente o indirettamente) per ditte farmaceutiche (o per loro

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Impiego dell’industria farmaceutica nel corso degli ultimi cinque anni: tutte le attività svolte (direttamente o indirettamente) per ditte farmaceutiche (o per loro

Impiego dell’industria farmaceutica nel corso degli ultimi cinque anni: tutte le attività svolte (direttamente o indirettamente) per ditte farmaceutiche (o per loro