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"LE RAPPRESENTANZE SINDACALI AZIENDALI SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE"

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INDICE

PARTE PRIMA PROFILI INTRODUTTIVI:L’ELVOLUZIONE DELL’ART. 19

CAPITOLO I ... L’APPLICABILITA’ DELLA NORMATIVA ... 4

CAPITOLO II ... L’ORIGINE DELL’ART. 19 ... 5

CAPITOLO III ... PRIMA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ ... 7

CAPITOLO IV ... ART. 19 UNA NORMA PERMISSIVA; la sua difesa in Corte cost. n. 30/1990, non senza qualche “insofferenza” ... 11

CAPITOLO V ... IL NUOVO ART. 19 ... 16

CAPITOLO VI ... PRIME REAZIONI DOPO L’ESITO REFERENDARIO ... 22

CAPITOLO VII ... IL POTERE DI ACCREDITAMENTO ... 23

PARTE SECONDA LA DICHIARAZIONE DI INCOSTITUZIONALITA'

CAPITOLO I ... IL DIRITTO DEI LAVORATORI ALLA RAPPRESENTANZA SINDACALE: a margine del caso FIAT ... 33

CAPITOLO II ... LA SENTENZA N. 231/ DELLA CORTE COSTITUZIONALE: UNA FALSA SENTENZA ADDITIVA ... 36

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2 CAPITOLO III ...

Ricostruzione della precedente giurisprudenza costituzionale in chiave “giustificatoria”: L’INCOSTITUZIONALITA’ SOPRAVVENUTA DEL TRIBUNALE DI MODENA ... 40

CAPITOLO IV ... NEGOZIAZIONE: TRATTATIVA O PARTECIPAZIONE? ... 50

CAPITOLO V ... CONTESTO: LA PRATICA DEGLI ACCORDI SEPARATI ... 53

CAPITOLO VI ... L’interpretazione dell’articolo 19 Stat. lav. nella recente giurisprudenza di merito ... 60

PARTE TERZA L'EFFICACIA DEI CONTRATTI COLLETTIVI

CAPITOLO I ... EFFICACIA SOGGETTIVA DEL CCNL ... 73

CAPITOLO II ... SUL CONCETTO DI NEGOZIATO RILEVANTE AI SENSI DEL NUOVO ART 19 STAT/LAV ... 75

CAPITOLO III ... IL CONTRATTO COLLETTIVO NORMATIVO COME RIFERIMENTO ESCLUSIVO DELL’ART.19: i contratti obbligatori e gestionali, un problema risolto? ... 86

PARTE QUARTA: LE RELAZIONI SINDACALI

CAPITOLO I ... QUALI PROSPETTIVE PER IL DIRITTO SINDACALE? ... 92

CAPITOLO II ... NEL SEGNO DELLA CONTINUTA’ E DISCONTINUITA’ ... 94

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Parte prima

PROFILI INTRODUTTIVI: L’EVOLUZIONE

DELL’ART. 19

PREMESSA

La presenza del sindacato nell’impresa è giustificata per diverse ragioni, tutte comunque riferibili all’esigenza profonda di garantire al massimo l’effettività della tutela rispetto ad una categoria convenzionalmente determinata. Esigenze come, controllare l’esatta osservanza, da parte dei datori di lavoro, dei patti collettivi nonché della legislazione sociale nel senso più vasto ed esigenze organizzative, poiché la gran massa dei lavoratori è più facilmente inquadrabile nel sindacato se questo ha avuto modo di essere presente nei luoghi in cui questa massa naturalmente si trova.

Per evitare che le decisioni essenziali restino, in definitiva, prerogativa unilaterale della direzione aziendale, è indispensabile che si escogitino procedure ai sensi delle quali sia dato modo al sindacato di poter interloquire; l’esigenza si accerta ai fini della contrattazione collettiva a livello aziendale, la quale esige una chiara conoscenza della situazione e il possesso di dati precisi da parte del sindacato.

Con la legge 20 maggio 1970 n. 300 viene adottato lo statuto dei lavoratori nei luoghi di lavoro.

Lo statuto persegue due finalità essenziali: garantire il rispetto della libertà e della dignità del lavoratore, nello svolgimento del rapporto; assicurare l’attiva presenza di istanze sindacali nei luoghi di lavoro per ottenere l’effettività della formazione protetta.

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4 SOMMARIO: Capitolo I. L’applicabilità della normativa. Capitolo II L’origine dell’art. 19. Capitolo III. Prima questione di legittimità. Capitolo IV. ART. 19:una norma permissiva e la sua difesa in Corte Costituzionale n. 30/1990, non senza qualche “insofferenza”. Capitolo V. Il nuovo art. 19. Capitolo VI. Prime reazioni dopo l’esito referendario. Capitolo VII. Il potere di accreditamento.

CAPITOLO I

L‟APPLICABILITA‟ DELLA NORMATIVA

La normativa dello statuto che attiene allo svolgimento dell’attività sindacale organizzata nei luoghi di lavoro è prevalentemente disciplinata nel titolo terzo della legge n. 300/1970 dedicato, appunto, all’attività sindacale e rispetto al quale l’art. 35., nonché l’art. 37 autonomamente dispongono ai fini dell’individuazione del campo di applicazione, da cui si ricava che la medesima normativa non è di generale applicabilità.

Per l’art. 35, comma 1, dello statuto, rispetto alle imprese industriali e commerciali, le disposizioni del titolo terzo, si applicano a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di 15 dipendenti; in più le disposizioni di cui al primo comma si applicano alle imprese agricole che occupano più di 5 dipendenti. L’art. 37 dispone la piena applicabilità dello statuto nei confronti degli enti pubblici economici.

E’ evidente che la rappresentanza sindacale aziendale, cioè il raggruppamento dei lavoratori sindacalmente affiliati nell’azienda, presuppone un minimo di consistenza della medesima.

Esiste quindi il problema di garantire la tutela sindacale nelle piccole e piccolissime entità; l’unica soluzione può essere quella di accorpare le

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5 minime entità a livello territoriale, prevedendo un potere d’ intervento diretto nel sindacato esterno nei posti di lavoro.

L’art. 35 dello statuto fa letteralmente riferimento non all’impresa in sé, nel complesso considerata, ma alle sue ripartizioni interne, e proprio a riguardo la legge parla di unità produttiva o di lavoro. 1

CAPITOLO II

L‟ORIGINE DELL‟ART. 19

Per uno scherzo della storia, l’art. 19 della legge n. 300/70 nacque morto rispetto ad una realtà del tutto diversa da quella prefigurata dal legislatore.

Secondo la lettera avrebbero dovuto costituirsi nelle aziende tante rappresentanze sindacali quanti erano i sindacati maggiormente rappresentativi; grosso modo si pensava che le tre confederazioni CGIL,CISL,UIL avrebbero costituito ognuno la propria RSA invece la realtà era, normalmente, quella unitaria dei consigli di fabbrica eletti da tutto il personale, senza distinzione tra iscritti e non.

Il patto federativo del 1972 dettò disposizioni per salvaguardare comunque la presenza dei tre apparati. Questa sistemazione di fatto venne scossa dalla rottura tra le confederazioni nel 1984 sul problema della scala mobile; ma presto tutto si ricompose nella logica compromissoria degli apparati.

Restavano in piedi i vecchi consigli unitari non rinnovati periodicamente da elezioni, in uno stato continuo di tensione su diversi piani; tra i sindacati già federati; tra questi sindacati e i gruppi

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6 contestatari; nei rapporti con le basi che spesso si sentivano non adeguatamente rappresentate.

La questione si è trascinata per anni.

Ad un certo punto, è maturata nella Triplice, un’intesa, per mettere ordine e così, si è avuto attraverso il Protocollo del 23 luglio 1993 una prima definizione del modello delle rappresentanze sindacali unitarie che sono state poi disciplinate dal successivo accordo interconfederale del 20 dicembre 1993. Si tratta di organismi unitari e a carattere elettivo destinati ad operare come le rappresentanze sindacali aziendali nelle imprese con più di 15 dipendenti; alle elezioni partecipano:

 a) le associazioni sindacali, sottoscrittrici dell’accordo interconfederale del 20 dicembre 1993, il quale disciplina le RSU che abbiano stipulato il CCNL applicato nell’unità produttiva;

 b) le associazioni sindacali formalmente costituite con un proprio statuto che siano in grado di presentare una lista elettorale corredata da un numero di firme di lavoratori dipendenti dell’unità produttiva pari al 5 % degli aventi diritto al voto. Tali associazioni devono inoltre aderire espressamente alla disciplina della RSU prevista dall’accordo interconfederale del 1993.

Tuttavia è bene chiarire che nella composizione delle RSU viene comunque riservato alle organizzazioni delle tre centrali un terzo dei posti, a prescindere dai risultati elettorali. In sostanza la costituzione delle RSU avviene per due terzi mediante elezioni cui partecipano tutti i lavoratori (iscritti e non), mentre il restante terzo viene assegnato alle liste presentate “dalle associazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato all’unità produttiva.

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7 Sempre in base all’accordo interconfederale del 1993 i componenti della RSU subentrano ai dirigenti della rappresentanze sindacali aziendali in tutti i diritti di cui al titolo III dello statuto dei lavoratori.

E’ inoltre prevista la c.d. clausola di salvaguardia in base al quale le associazioni sindacali che partecipano alle elezioni delle RSU, rinunciano espressamente a costituire le RSA.

CAPITOLO III

PRIMA QUESTIONE DI LEGITTIMITA‟

La questione di legittimità dell’art. 19 venne sollevata soprattutto da sinistra, eccependosi che lo statuto, dopo aver proclamato la libertà sindacale a livello individuale con la massima apertura (art. 14) in pratica poi riservava il potere solo agli apparati dei sindacati (tutti sono eguali ma qualcuno è più eguale degli altri).

La Corte Costituzionale 6 marzo 1974 n. 54 dichiarò infondata la questione, affermando che a ragione, la legge aveva osservato il potere ad entità aventi seria consistenza rappresentativa, per impedire iniziative, gravose per l’impresa, spontaneistiche e individualistiche.2

Nell’architettura della parte dello statuto dei lavoratori dedicata alla garanzia e alla tutela dei diritti sindacali dei luoghi di lavoro, l’art. 14, che apre il titolo II (della libertà sindacale) costituisce il pilastro che sostiene l’intero Titolo III ( dell‟attività sindacale) e in particolare la disposizione nella quale sono regolate le RSA (art. 19).

L’art. 14 dello statuto dei lavoratori garantisce a tutti i lavoratori di costituire associazioni sindacali, di aderirvi, e di svolgere attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro. Insieme agli artt. 15, 16 e 17

2 Pera-Papaleoni, Manuale di diritto del lavoro, settima edizione,Padova,Cedam, 2003;

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8 questa disposizione costituisce anzitutto “una più articolata e approfondita rilettura, sula piano aziendale del principio stesso di libertà dell’organizzazione sindacale” sancito dall’art. 39, comma 1, della costituzione.

L’art. 14 ha dunque la specifica funzione di garantire , in termini generali, la titolarità individuale dei diritti di libertà e attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro.

Il ruolo affidato dal legislatore all’art. 14 è stato messo in evidenza dalla Corte Costituzionale nella prima sentenza ( 6 marzo 1974 n. 54) nella quale si è pronunciata sulla legittimità costituzionale dell’art. 19. Ad avviso della Corte, l’art. 14 dello statuto dei lavoratori garantisce a tutti i lavoratori, in conformità al precetto di cui all’art. 39 Costituzione, il diritto di organizzarsi liberamente e di svolgere attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro.

Premessa tale generale garanzia di libertà e attività sindacale, dallo statuto si evince poi, “che determinate funzioni, inerenti alla rappresentanza sindacale aziendale, particolarmente incisive nella vita e nell’attività dell’unità produttiva, siano affidate dagli stessi prestatori d’opera a quei sindacati che conseguano i requisiti che la legge reputa necessari per lo svolgimento di tali funzioni”.3

La questione tornò alla Corte in altro ordine di idee, eccependosi che l’art. 19 era illegittimo in quanto riferiva la maggioranza rappresentativa non al sindacato di categoria in armonia alla previsione costituzionale (cioè all’art. 39), ma alla confederazione; per l’art. 19, poiché la CGIL è sicuramente, nel complesso, maggiormente rappresentativa, i lavoratori che si riconoscono in questa confederazione possono costituire la rappresentanza aziendale.

3 Maria Vittoria Ballestrero, Manuale di diritto sindacale, V edizione, Giappichelli editore,Torino, 2014;

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9 La questione viene poi sollevata a proposito del sindacalismo dei quadri, in una situazione di necessità mono categoriale. Anche questa volta la Corte Costituzionale con sentenza 26 gennaio 1990 n.30 è andata oltre, con una decisione che torna d’interesse dopo l’esito referendario.

L’opinione pressoché unanime era nel senso che i sindacati non maggiormente rappresentativi ben potevano strappare al patronato il riconoscimento e concreti diritto sindacali secondo rapporti di forza.

La Corte ha respinto questa impostazione: nel sistema non può aver corso “il potere di accreditamento padronale” della rappresentatività; il riconoscimento di diritti sindacali ad organizzazioni non maggiormente rappresentative importerebbe violazione del divieto dei sindacati di comodo.4

La Corte Costituzionale con la sentenza 26 gennaio 1990 n. 30 finiva per rimettere in discussione quella razionalità e ragionevolezza su cui aveva fondato il giudizio nel lontano 1974.

All’origine dell’intervento della Corte Costituzionale stavano due sentenze della cassazione, che avevano dichiarato nulli per violazione dell’art. 17 dello statuto dei lavoratori gli accordi con i quali alcuni sindacati (privi dei requisiti di cui alle lettere a e b dell’art. 19) avevano ottenuto dalle imprese il riconoscimento delle prerogative proprie delle RSA, ad esempio i permessi retribuiti di cui all’art. 23 dello statuto.

La Corte escludeva che un accordo di tale genere implicasse necessariamente la natura di comodo del sindacato (che dovrebbe essere dimostrata provando l’intento antisindacale dell’imprenditore e la finalità dell’accordo di fornire un illecito sostegno al sindacato

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10 beneficiario); tuttavia riteneva che tale accordo costituisse una deroga ai criteri (inderogabili) di selezione di cui all’art. 19. La deroga in via pattizia ai criteri legali, affermava la Corte, potrebbe consentire all’imprenditore di influire sulla libera dialettica sindacale in azienda, favorendo le organizzazioni sindacali a lui più gradite.

L’inderogabilità dei criteri selettivi può essere ancora giustificata con gli argomenti usati nella sentenza n. 54/1974.

Tuttavia, e qui sta il punto, la Corte si diceva consapevole del fatto che, a causa delle trasformazioni verificatesi e le diversificazioni degli interessi “è andata progressivamente attenuandosi l‟idoneità del modello designatosi nell‟art. 19 a rispecchiare l‟effettività della rappresentatività dei sindacati”.

Non è questione, aggiungeva la Corte, di interpretare in senso evolutivo l’art. 19, ammettendo che i criteri selettivi legali possono essere derogati con l’accordo tra le parti: occorre scrivere nuove regole, che consentono di verificare l’effettiva rappresentatività dei sindacati di cui alle lettere a e b dell’art. 19, non più sulla base del reale consenso dei lavoratori, e di allargare il sostegno legislativo ad altri sindacati che abbiano conquistato un effettivo consenso tra lavoratori.

Regole nuove che introducono la verifica del consenso come metro di democrazia anche nei rapporti tra lavoratori e sindacati, sono necessarie per “garantire una piena attuazione dei principi costituzionali”. La Corte alludeva alla costituzione di RSA su base elettiva, sollecitando il parlamento ad interpretare al più presto una riforma in tal senso dell’art. 19.

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11 Il suggerimento è caduto nel vuoto; l’art. 19 è stato infatti modificato (nel 1995), ma per volontà del parlamento.5

CAPITOLO IV

ART. 19 UNA NORMA PERMISSIVA; la sua difesa in Corte cost. n. 30/1990, non senza qualche “insofferenza”

La sottovalutazione della rottura avvenuta a metà del decennio ’90 era favorita dalla convergenza di una sostanziale mitizzazione del diritto sindacale statutario intervenuto a riempire il vuoto costituzionale, ritenendo che fosse comunque sopravvissuto a se stesso; e di una apparente irrilevanza pratica dell’intervenuta abrogazione referendaria, constatando che chi aveva titolo a costituire RSA per la defunta lett. a), lo conservava anche per l’amputata lett. b).

D’altronde prima responsabile di tale sottovalutazione era stata la stessa Corte costituzionale, allorché con la sua sentenza del 12 gennaio 1994, n. 1 aveva dato via libera ai due referendum abrogativi relativi all’art. 19 statuto dei lavoratori, cosi chiarendone le finalità perseguite: “Il quesito sub II esprime chiaramente l‟intendimento (massimale) dei promotori di ottenere l‟abrogazione di tutti i criteri di “maggiore rappresentatività” adottati dal citato art. 19, primo comma lett. a) e b), per la selezione delle rappresentanze sindacali aziendali destinatarie dei diritti e delle tutele previsti nel titolo III della legge n. 300 del 1970, mentre dal quesito sub I, legato al secondo da una relazione logica di alternatività subordinata, risulta l‟intendimento (minimale) di ottenere almeno l‟abrogazione dell‟indice presuntivo di rappresentatività previsto dalla lettera a) e l‟abbassamento della

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12 soglia minima di verifica della rappresentatività effettiva prevista dalla lettera b)”.

Ora qui ritornava la forzatura accreditata dalla precedente giurisprudenza costituzionale di ricondurre sotto un’unica nozione di rappresentatività le ipotesi sub a) e sub b), qualificando la prima come legata ad un “indice presuntivo”, e la seconda come “effettiva”. Solo col continuare a dar per scontata un’unica nozione, la Corte poteva considerare l’esistenza fra il quesito“massimale” ed il quesito “minimale” legati da una mera “relazione logica di alternatività subordinata”, come se la questione di quel che sarebbe restato a seguito di un’abrogazione referendaria fosse di mera quantità e non di qualità, tant’e che la stessa eventuale cancellazione di entrambe le lettere non le sembrava preclusiva.

A fronte di una siffatta possibilità, essa si limitava a commentare con una qual sorta di cinica freddezza: “E‟ vero che la norma residua ammetterebbe indiscriminatamente ai benefici del titolo III qualsiasi gruppo di lavoratori che si autoqualificasse rappresentanza sindacale

aziendale, senza alcun controllo del grado di effettiva

rappresentatività; ma il legislatore potrà intervenire dettando una disciplina sostanzialmente diversa da quella abrogata, improntata a modelli di rappresentatività sindacale compatibili con le norme costituzionali e in pari tempo consoni alle trasformazioni sopravvenute nel sistema produttivo e alle nuove spinte aggregative degli interessi

collettivi dei lavoratori ” 6.

Nessuna, neppur lontana, rimembranza della sentenza n. 54/1974, che aveva passato il regime promozionale di per se stesso selettivo previsto dall’art. 19 St., proprio perche tale da limitare l’accesso ad associazioni sindacali almeno a dimensione sovra-aziendale, si da evitare il rischio

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13 di un ingorgo rappresentativo, visto come contro-producente, per non parlare della sentenza n. 334/1988, che aveva elevato a protagoniste elettive le confederazioni pluricategoriali.

Nessuna, neppur tenue, consapevolezza della contraddizione insita in una motivazione la quale dava semaforo verde ad una consultazione referendaria che, se vittoriosa nella sua richiesta massimale, avrebbe spalancato l’accesso a semplici aggregazioni auto-qualificantesi come rappresentative, per poi parare ogni possibile critica, col prevedere in tale evenienza una risposta legislativa diretta a rovesciare o comunque a ridimensionare l’ancor calda volontà popolare.

Comunque, faceva capire la Corte, un avvertimento a varare una nuova disciplina l’aveva già dato con la precedente sentenza del 26 gennaio 1990, n. 30, quindi, a fronte dell’inerzia legislativa, risultava del tutto giustificato il via libera dato alla duplice richiesta referendaria.

Niente da eccepire, se la Corte, garante ultima della razionalità del sistema, avesse potuto cavarsela facendo propria la massima popolare per cui “chi e causa del suo male pianga se stesso”; ma, anche a prescinderne, quale nuova disciplina sostanzialmente diversa sarebbe riuscita compatibile con la Carta fondamentale, dato che proprio quella di cui all’art. 19 St. era stata consacrata dalla precedente giurisprudenza come costituzionale “a 18 carati”?

Una traccia su quale avrebbe dovuto essere questa disciplina sostanzialmente diversa era qui data dal suo dover essere consona “alle trasformazioni sopravvenute nel sistema produttivo e alle nuove spinte

aggregative degli interessi collettivi dei lavoratori”7 .

La qual frase, di per se, non diceva molto, se non al più che era cresciuta la convinzione circa l’obsolescenza del modello statutario,

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14 peraltro teorizzato al meglio solo qualche anno prima, in Corte cost. n. 334/1988.

Per capire qualcosa di più occorre soffermarci in maniera più approfondita sulla sent. n. 30/1990 della Corte Costituzionale, esplicitamente richiamata dalla sentenza n. 1/1994.

E farlo riserva più di una sorpresa, perché, quella sentenza, ispirata da una finalità antielusiva, configurava l’art. 19 St. come permissivo, cosi da escludere il rischio che potesse essere aggirato per mezzo della conclusione di un accordo aziendale ad hoc; mentre proprio l’approvazione della proposta referendaria minimale, con la conseguente apertura dell’amputata lett. b) alla contrattazione aziendale, era destinata a reintrodurre tale possibilità.

Anche con riguardo a questa sentenza n. 30/1990 pare opportuno far parlare la stessa Corte, che riparte dalla lezione, ormai collaudata, di una protezione statutaria articolata su un duplice livello, il primo comune a tutte le associazioni sindacali, il secondo riservato alle associazioni dotate di una “effettiva rappresentatività”: “Il principale criterio selettivo adottato al riguardo è quello della „maggiore rappresentatività‟ a livello pluricategoriale (art. 19, lett. a), finalizzato a favorire un processo di aggregazione e coordinamento degli interessi dei vari gruppi professionali, di sintesi delle varie istanze rivendicative e di raccordo con le esigenze dei lavoratori non occupati. Ma accanto ad esso la tutela rafforzata è stata conferita (lettera b) anche al sindacalismo autonomo, sempreché esso si dimostri capace di esprimere, attraverso la firma di contratti collettivi nazionali e provinciali di lavoro applicati nell‟unità produttiva, un grado di rappresentatività idoneo a tradursi in effettivo potere

contrattuale a livello extra-aziendale8.

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15 E, si chiede “se il criterio selettivo espresso in tale disposizione sia da considerare, nel sistema dello Statuto, come criterio inderogabile, ed in caso positivo se tale inderogabilità sia o meno conforme a Costituzione”, per, poi, rispondere positivamente ad entrambe le domande : “Al di fuori della rappresentatività generale presupposta nella lett. a), la lett. b) dell‟art. 19 appresta un congegno di verifica empirica della rappresentatività nel singolo contesto produttivo, misurandola sull‟efficienza contrattuale dimostrata almeno a livello locale, attraverso la partecipazione alla negoziazione ed alla stipula di contratti collettivi provinciali. Nel fissare a tale livello, extra-aziendale, la soglia minima della rappresentatività, il legislatore ha tra l‟altro inteso evitare, o quanto meno contenere, i pregiudizi che alla libertà ed autonomia della dialettica sindacale, all‟eguaglianza tra le varie organizzazioni ed all‟autenticità del pluralismo sindacale possono derivare dal potere di accreditamento della controparte sindacale. Rispetto a tali pericoli, l‟accesso pattizio alle misure di sostegno non offre alcuna garanzia oggettivamente verificabile, in quanto è strutturalmente legato al solo potere di accreditamento dell‟imprenditore. Il patto, infatti, non presuppone di per sé alcuna soglia minima di rappresentatività dell‟organizzazione che ne sia beneficiaria, pur al livello meramente aziendale, sicché può avvantaggiare sindacati di scarsa consistenza e correlativamente alterare la parità di trattamento rispetto ad organizzazioni dotate di rappresentatività anche maggiore presenti in azienda. Pur al di fuori dell‟ipotesi di sostegno al sindacato „di comodo‟ (art. 17), sarebbe in tal modo consentito all‟imprenditore di influire sulla libera dialettica sindacale in azienda, favorendo quelle organizzazioni che perseguono

una politica rivendicativa a lui meno sgradita”9

.

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16 Fin qui, sembrerebbe, niente di nuovo, anzi, assunta la sentenza n. 54/1974 come quella madre, le due successive, cioè la n.. 334/1988 e la n. 30/1990, davano l’impressione di muoversi in piena sintonia, con l’enfatizzazione di una politica promozionale che valorizzava, con riguardo alla lett. a), la natura interconfederale della confederazione maggiormente rappresentativa e, rispetto alla lett. b), la dimensione comunque extra-aziendale. Tant’e che proprio la sentenza n. 30/1990 dava l’impressione di concludersi con la frase significativa per cui “Le ragioni che spinsero il legislatore del 1970 a scoraggiare la proliferazione di organizzazioni sindacali ed a favorire, secondo un‟ottica solidaristica, la rappresentazione di interessi non confinati nell‟ambito delle singole imprese o di gruppi ristretti sono tutt‟ora in larga misura valide”.

CAPITOLO V

IL NUOVO ART. 19

Nelle molte discussioni che avevano fatto seguito alla sentenza n. 30/1990, si era largamente diffusa un’opinione favorevole ad un intervento legislativo che precedesse criteri idonei a misurare l’effettiva rappresentatività dei sindacati a livello dell’unità produttiva. Alcuni erano favorevoli all’idea che la legge prevedesse una struttura unitaria a rappresentanza sindacale, costituita su base elettiva; altri continuavano a caldeggiare l’adozione di indici di rappresentatività misti tra consistenza associativa (numero iscritti) ed effettiva partecipazione alla contrattazione.

Progetti di legge sono stati presentati in Parlamento a partire dagli anni 90 del secolo scorso; una disciplina legislativa è stata emanata per il settore pubblico, ma alla disciplina generale e unitaria della rappresentanza e rappresentatività sindacale non si è ancora arrivati.

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17 Solo di recente le parti sociali hanno fissato alcune regole in materia, ma continua a perdurare invece il silenzio del legislatore.

Mentre nel parlamento si discuteva, ma senza esito, nel 1994 erano stati promossi alcuni referendum abrogativi; sull’art. 19 dello statuto dei lavoratori, ne furono ammessi due:

 il primo, mirava a cancellare, insieme al privilegio accordato dalla legge alle confederazioni maggiormente rappresentative, anche ogni altro criterio di selezione (abrogazione delle lettere a e b);

 il secondo, mirava anch’esso a cancellare il privilegio accordato alle confederazioni (abrogazione della lettera a), ma proponeva attraverso la parziale abrogazione della lettera b di affidare la selezione dei sindacati, nel cui ambito è legittima la costituzione delle RSA a criteri diversi da quello della rappresentatività “presunta” delle confederazioni maggioritarie e dei sindacati firmatari di contratti collettivi nazionali o provinciali.

Solo il secondo di questi referendum ha avuto esito positivo.

Nel settembre del 1995 è entrato in vigore il nuovo art. 19 dello statuto dei lavoratori nel testo modificato dal referendum.

Ma vediamo in cosa consiste la modifica.

L’art. 19 pre-referendum prevedeva che le rappresentanze sindacali aziendali potevano essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito:

 a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale;

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18  b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, ma firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva.

Oggi, l’art. 19 dello statuto dei lavoratori, ci dice che: “rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell‟ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell‟unità produttiva”.

Quindi, si deduce alla lettera, che occorre che si tratti di un sindacato che abbia stipulato un contratto collettivo aziendale.

Attraverso il referendum il privilegio delle confederazioni è stato eliminato; la selezione no.

La stipulazione del contratto collettivo continua a svolgere la funzione di criterio di selezione, ma il livello contrattuale non è più qualificato; dunque la sottoscrizione di un contratto collettivo, anche solo aziendale abilita il sindacato ad essere ambito di riferimento per la costituzione di una RSA.10

Ma cosa cambia dopo il Referendum dell’11 giugno 1995?

In tale occasione, bocciato per una manciata di voti il quesito “massimalista”11

, la larga maggioranza del corpo elettorale, quasi i due

10 Maria Ballestrero, Manuale di diritto sindacale, cit.; 11

Il quesito massimalista tendeva all’eliminazione totale di qualsiasi filtro per l’accesso ai diritti di cui al titolo III dello statuto, laddove il quesito opposto voleva l’abrogazione della sola lettera a dell’art 19, con conseguente caduta del criterio selettivo dell’appartenenza del sindacato alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, e la modifica del contenuto della lettera b, volto ad assicurare l’accesso alla tutela privilegiata alle sole associazioni sindacali firmatarie di un contratto collettivo aziendale, applicato nell’unità produttiva;

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19 terzi dei voti espressi 12 ha optato non già per la soppressione di ogni criterio selettivo ai fini dell’accesso alla legislazione di sostegno, bensì per l’approvazione di quel quesito finalizzato a garantire l’attività sindacale nei luoghi di lavoro alle sole OO.SS. che risultino firmatarie del contratto collettivo applicato nell’unità produttiva, indipendentemente dall’essere stato negoziato solamente a livello locale.

Pertanto, con il nuovo regime referendario, la qualità della maggiore rappresentatività promana esclusivamente dalla competenza contrattuale; viene valorizzata unicamente la capacità del sindacato di proporsi alla controparte contrattuale come stabile interlocutore negoziale, nell’ambito di un modello di rapporti intersindacali in cui le parti devono necessariamente intendersi libere di riconoscersi a vicenda, o meno; pena la perdita di genuinità della dialettica sindacale.

Benché il riferimento all’appartenenza alle “confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale” sia stato abrogato e l’unico requisito richiesto dalla disposizione di fonte referendaria sia quello della firma di un contratto collettivo di lavoro, esteso all’intera gamma della contrattazione collettiva, ciò non implica che il criterio della rappresentatività debba ritenersi scomparso.

È la stessa Consulta ad aver chiarito che, anche a seguito dell’abrogazione della disposizione di cui alla lettera a dell’articolo 19 Stat. lav., l’effettività della rappresentatività del sindacato continua a conservare un rilievo fondamentale, in virtù dell’esigenza di assicurare che, ogniqualvolta si renda necessaria una selezione fra più associazioni sindacali, la maggiore rappresentatività risponda “ad un criterio di meritevolezza e alla ragionevole esigenza, da una parte, di

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per correttezza, va evidenziato che, secondo i sondaggi dell’epoca più del 40 % dei partecipanti al voto aveva risposto si ad entrambi i quesiti referendari, così mostrando di non aver compreso il significato di almeno uno dei due;

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20 far convergere condizioni più favorevoli o mezzi di sostegno operativo verso quelle organizzazioni che sono maggiormente in grado di tutelare gli interessi dei lavoratori, e, dall’altra, di evitare che l’eccessiva estensione di beneficiari possa vanificare gli scopi promozionali che si intendono perseguire”13.

Tuttavia, se la nozione di maggiore rappresentatività deve desumersi autonomamente rispetto a quanto previsto dall’articolo 19 Stat. lav., alla stregua dei requisiti messi in evidenza dalla giurisprudenza, ossia quelli dell’effettività dell’azione sindacale, dell’articolazione delle associazioni sindacali a livello nazionale, della loro intercategorialità e pluricategorialità, d’altra parte, tali indici non potrebbero assumere alcun rilievo qualora sia necessario individuare i sindacati le cui rappresentanze nelle unità produttive siano destinatarie dei diritti e delle tutele previste nel titolo III dello Statuto. In questa ipotesi, evidentemente, l’esito del referendum esercita una diretta influenza.

Nonostante tale esito abbia comportato l’abbassamento a livello aziendale della soglia di verifica della rappresentatività, conformemente all’intento referendario, che mirava all’estensione dell’ambito di applicabilità della norma censurata, tuttavia, se si guarda agli effetti concreti, la chiusura della “porta” riservata ai sindacati confederali, progressivamente allargata dalla giurisprudenza per consentire l’accesso alle prerogative statutarie praticamente a qualunque organizzazione sindacale che aderisse ad una struttura confederale, ha prodotto il risultato opposto, ossia di restituire alla norma la funzione di selettività voluta dal legislatore del 1970, con la sola eccezione dell’apertura nei confronti delle associazioni sindacali capaci di imporsi al datore di lavoro al livello aziendale: eccezione che

13

(21)

21 ha per la prima volta valorizzato le dinamiche spontanee interne al sistema delle relazioni sindacali14

Alla luce del principio di effettività (sopra indicato) e della ratio selettiva della legge in parola, è seguita l’esigenza di un’interpretazione rigida del criterio ivi previsto, tale da farlo coincidere con la capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro15.

Così interpretando l’articolo 19, la Consulta ha negato il contrasto della norma con i parametri costituzionali invocati dai giudici remittenti, da una parte, sulla base dell’assunto che il riconoscimento della rappresentatività non possa essere rimesso all’accreditamento discrezionale del datore di lavoro, in quanto “un sindacato disposto a sottoscrivere un cattivo contratto per i suoi rappresentati pur di ritagliarsi una porzione di potere in azienda”, non potrebbe che essere “un sindacato sfuggito al controllo degli associati o, al limite, un sindacato di comodo vietato dall’art. 17 dello Statuto”, contro il quale il nostro ordinamento, quindi, già dispone di idonei strumenti di tutela; dall’altra, assumendo la razionalità della scelta legislativa del criterio di differenziazione tra associazioni sindacali alle quali riservare norme di sostegno, nonché precisando che la scelta di un criterio selettivo anziché di un altro è riservata alla discrezionalità del legislatore, ed è quindi incensurabile sul piano costituzionale fino a che non se ne dimostri l’irrazionalità16.

È proprio partendo da tale assunto che la Consulta ha sostenuto che, per poter considerare un’associazione sindacale come firmataria di un contratto collettivo di lavoro, non potrebbe ritenersi sufficiente la sola

14

P. Ichino Le rappresentanze sindacali in azienda dopo il referendum: problemi di applicazione della nuova norma e dibattito sulla riforma, in RIDL, 1996, II;

15 Corte Cost. 12 luglio 1996, n. 244 in RIDL, con nota di G. Pera; 16

(22)

22 firma apposta in calce ad un qualsiasi contratto collettivo, essendo altresì necessaria un’effettiva e concreta attività, da parte della stessa, anche in sede di trattativa, nonché la natura normativa dell’accordo sottoscritto.17

Tali argomentazioni, che, anche con l’assenso della giurisprudenza di legittimità e di merito, hanno finito, di fatto, per influenzare l’assetto delle relazioni industriali degli ultimi vent’anni, sono state ripensate dalla recentissima sentenza n. 231/201318( che vedremo dettagliatamente nella parte seconda).

CAPITOLO VI

PRIME REAZIONI DOPO L‟ESITO REFERENDARIO

Lo scossone è stato enorme.

Da molte parti si è prospettata a questo punto l’inderogabile necessità di una legge in grado di dare una soluzione razionale in una zona così delicata.

Da parte industriale ci si è dichiarati contenti dell’esito: l’art. 19 riscritto col referendum va bene così: se contano solo i sindacati che hanno potuto stipulare con la parte datoriale significa quindi che questa è padrona della situazione. Ma, questa tesi non può condividersi perché il potere di accreditamento datoriale della rappresentatività, come ha detto la Corte Costituzionale, nel 1990, non può ammettersi. Certamente gli imprenditori e le loro associazioni sono del tutto liberi di stipulare o no il contratto collettivo, ma non possono stipularlo con chiunque loro aggrada; possono farlo solo con i

18 Elena Giorgi, contributo La rappresentatività sindacale dopo la sentenza della Corte Costituzionale 231/2013, adapt labour studies e-book series n. 13,

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23 sindacati che siano maggiormente rappresentativi dei lavoratori sia a livello nazionale che a livello aziendale.

Di fatto, il problema si ridimensiona in quanto gli imprenditori hanno tutto l’interesse a trattare e stipulare con chi sia effettivamente rappresentato soprattutto in termini di ricorso allo sciopero.

Tuttavia è auspicabile ed urgente una legge che adotti formalmente una soluzione coerente col principio costituzionale, ricordando che la Costituzione non è “aziendalista”19

, tuttavia la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità dell’art. 19 come risulta modificato dal referendum, con una conclusione del tutto favorevole alla parte datoriale.

CAPITOLO VII

IL POTERE DI ACCREDITAMENTO

Le perplessità più forti sollevate dalla nuova formulazione dell’art. 19 (post-referendum) riguardano il potere di accreditamento attribuito alle parti datoriali nei confronti delle organizzazioni sindacali.

Dato che l’unico criterio certo per la formazione di RSA è l’aver firmato e negoziato un contratto collettivo applicato in azienda, la parte padronale, potendo scegliere con chi stare al tavolo delle trattative, implicitamente sarà decisiva nell’attribuire patenti di maggiore rappresentatività a un’organizzazione piuttosto che ad un'altra.

L’accesso alla legislazione di sostegno non è più fondato su valutazioni degli indici di rappresentatività da parte del giudice neutrale, ma al contrario, la stessa possibilità di reale esistenza all’interno dell’unità produttiva è diventata oggetto della

19

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24 contrattazione. Sarà molto più probabile una disparità soprattutto nelle aziende più piccole, che possa portare ad una disciplina tutta basata sui rapporti di forza esistenti nello specifico contesto aziendale.

La dottrina dominante non sembra condividere le preoccupazioni di chi vede un pericoloso sbilanciamento tra le parti, tutto a favore dell’imprenditore, nei casi in cui un sindacato può ottenere la sua legittimazione solo attraverso la sottoscrizione di un contratto aziendale. Anzi viene esaltato il libero gioco delle parti.20

Vedremo di soffermarci sul punto analizzando le pronunce in riguardo della Corte Costituzionale.

 SENTENZA N. 492/1995

La Corte Costituzionale ha detto con chiarezza che la legge deve assicurare una parità di trattamento tra le varie organizzazioni e che una loro giustificazione può essere giustificata, quando funzionale ad una più efficace tutela dei lavoratori, unicamente sulla base del criterio della maggiore rappresentatività.

Nella sentenza si fissa il principio che “qualora una legge preveda il concorso delle associazioni sindacali, essa deve operare cercando di assicurare possibilmente a tutte le organizzazioni il pari trattamento; e, se una selezione si renda necessaria, il criterio è quello della maggiore rappresentatività, da accertarsi non una volta per tutte, ma in modo da consentire una periodica verifica, tenuto conto del suo mutevole grado di effettività”21

.

Tra gli indici, di rappresentatività il dato quantitativo, costituito dalla misura di adesione formale al sindacato, ha una grande rilevanza, ma

20

Arturo Salerni, contributo Intorno alla rappresentanza sindacale, diversi profili per un approfondimento, Proteo n. 1998-2;

21

(25)

25 non possono essere trascurati altri indici come quello della maggiore attitudine ad esprimere gli interessi dei lavoratori, specie in relazione dell’attività svolta per la composizione dei conflitti.

La sentenza aggiunge che “i predetti elementi, e in particolare quello quantitativo, appaiono, chiaramente giustificati in ordine alla scelta di rappresentanti dei lavoratori in organi collegiali o in diverse attività di natura sindacale” e che la maggiore rappresentatività risponde ad un criterio di meritevolezza o alla ragionevole esigenza, da una parte, di far convergere condizioni più favorevoli o mezzi di sostegno operativo verso quelle organizzazioni che sono maggiormente in grado di tutelare gli interessi dei lavoratori,e dall’altra, di evitare che l’eccessiva estensione dei beneficiari possa vanificare gli scopi promozionale che si intendono perseguire.22

Tuttavia tale criterio non rappresentava “più un criterio selettivo a carattere assiologico, bensì tautologico” e la partecipazione a una vertenza contrattuale aziendale poteva attribuire una qualifica di effettività, insufficiente però a determinare la natura rappresentativa del sindacato, “a meno di intendere quest’ultima come una condizione diffusa, tanto diffusa da non caratterizzare più nulla”23.

In altri termini, la norma di “risulta”24, se valorizzava l’attività

contrattuale come indice di effettività, presentava l’indubbio difetto di “lasciare nell’ombra l’eventuale dissenso tra sindacati ugualmente rappresentativi”25

.

22 Franco Liso, contributo Opinioni sul nuovo art. 19 dello statuto dei lavoratori, in Giornale di diritto del lavoro e relazioni industriali;

23

G.Giugni, La rappresentanza sindacale dopo il referendum, in DLRI 1995, p.357 e 366-367;

24

E.Ghera, contributo L’art. 19 dello statuto,una norma da cambiare? In AA.VV. il contributo;

25 Mario Rusciano all’evoluzione teorica del diritto del lavoro, in studi in onore,Giappichelli editore, Torino 2013 n.157;

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26  SENTENZA N. 244/1996

La Corte Costituzionale con sentenza n. 244 del 12 luglio 1996 aveva ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 nuovo testo, sollevata da alcuni giudici di merito in relazione agli artt. 3 e 39 Costituzione. Secondo questi giudici, il nuovo art. 19, consente la costituzione di RSA nell’ambito di qualunque associazione sindacale, purché firmataria di un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva della RSA, “accreditando” (mediante la stipulazione del contratto collettivo) i sindacati a lui più graditi: ciò in sostanza avrebbe integrato la violazione del divieto di sindacati di comodo di cui all’art. 17 statuto dei lavoratori.

La Corte aveva ribadito, richiamando quanto aveva affermato nella sentenza n. 30/1990 che l‟accreditamento si verifica nel caso in cui il datore di lavoro conceda, mediante accordo, agevolazioni ad una associazione sindacale priva dei requisiti per averne diritto; ha escluso invece che di accreditamento possa parlarsi quando si tratti della stipulazione del contratto collettivo. In tal caso, aveva affermato la Corte, la “rappresentatività del sindacato non deriva da un riconoscimento del datore di lavoro, espresso in forma pattizia, ma è una qualità giuridica attribuita dalla legge alle associazioni sindacali che abbiano stipulato contratti collettivi (nazionali, locali o aziendali) applicati nell’unità produttiva”.

A suo avviso, infatti, il riconoscimento da parte del datore di lavoro si sarebbe avuto “ove il datore di lavoro, nullo iure cogente, (avesse concesso) pattiziamente una o più agevolazioni previste dal Titolo III alla rappresentanza aziendale di un’associazione sindacale priva dei requisiti per averne diritto; mentre, dopo il referendum del 1995, questa era una qualità giuridica, attribuita dalla legge” ai sindacati stipulanti contratti collettivi (nazionali, locali o aziendali) applicati nell’unità produttiva.

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27 La descritta motivazione era molto discutibile nel merito, in quanto l'indice previsto avrebbe potuto ottenere effetti molto opinabili, favorendo sindacati non rappresentativi sul piano delle relazioni industriali, o, soprattutto, graditi al datore di lavoro e viceversa. Anche perché, se il problema della Corte era costituito dall'horror vacui e dall'assenza di regole per la fruizione dei diritti sindacali, sul piano delle tecniche normative allora sarebbe stata praticabile un'altra possibile strada: la sentenza di rigetto con dichiarazione di incostituzionalità; come è noto, con tali sentenze, la Corte Costituzionale non dichiara l’incostituzionalità in considerazione delle conseguenze, che parrebbero dar luogo a una situazione peggiore rispetto a quella a cui si intenderebbe porre rimedio, ma queste pronunce rappresentano l’altra “faccia” delle sentenze additive, perché la Corte rimette la questione al Parlamento sotto la “minaccia”di doppiare la decisone di infondatezza con una di accoglimentoed evitare un’invasione dell’ambito della discrezionalità legislativa. 26

.

E’ dunque il legislatore, secondo la Corte, che accredita le organizzazioni sindacali capaci di imporsi per forza propria, alla controparte contrattuale.

Ciò detto, la Corte aveva ritenuto di dover precisare: in primo luogo, che per essere firmatarie, le associazioni sindacali devono aver preso attivamente parte alla trattativa contrattuale (e non semplicemente aver aderito al contratto negoziato da altre associazioni); in secondo luogo che il contratto collettivo di cui si tratta non può essere un contratto qualsiasi, ma deve essere un vero e contratto collettivo: vale a dire un contratto che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, “almeno per un settore o istituto importante della loro disciplina, anche in via

26

R. Romboli, Il giudizio di incostituzionalità delle leggi in via incidentale, in R. Romboli Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1990-1992), Giappichelli, Torino, 1992, 111 ss;

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28 integrativa, di un contratto nazionale o provinciale già applicato nella stessa unità produttiva”.

Quindi, la Corte costituzionale conclude che la volontà popolare ha cancellato il criterio di rappresentatività presunta (le confederazioni maggiormente rappresentative).

Infatti, alcune organizzazioni sindacali, che si caratterizzavano per un’attività di tutela di interessi particolari ed perciò ben lontane dal modello di tutela di interessi generali proprio del sindacalismo confederale, si erano date da fare per dare corpo a formali aggregazioni di tipo confederale per acquisire i requisiti di accesso ai diritti sindacali previsti dal vecchio testo dell’art. 19 dello statuto. Ciò era reso possibile dalla tendenza, affermatasi nella giurisprudenza, a dare una lettura ben poco rigorosa del requisito della “maggiore rappresentatività”27

.

Inoltre, la Corte Costituzionale ha salvato il criterio di rappresentatività effettiva desumibile dalla stipulazione del contratto collettivo, estendendolo anche al contratto aziendale. Il risultato non viola né il principio di eguaglianza, né il principio di libertà sindacale, perché la legge continua legittimamente a selezionare i beneficiari delle norme di cui al Titolo III dello statuto dei lavoratori, sulla base di ragionevoli criteri, che non sono più quello della “maggiore rappresentatività” propria delle confederazioni (che all’epoca era invece il criterio utilizzato in altre disposizioni di legge), ma quello della rappresentatività accertata mediante la stipulazione del contratto collettivo (e cioè la capacità del sindacato di imporsi come controparte contrattuale)28.

27

Arturo Maresca, Le rappresentanze sindacali aziendali dopo il referendum, 1996, p.25;

28

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29 A questo proposito la Corte, in una successiva decisione (ordinanza n.345/1996), nella quale ha ribadito la legittimità costituzionale del nuovo art. 19 dello statuto dei lavoratori ha affermato che un sindacato “disposto a sottoscrivere un contratto per i suoi rappresentati, pur di ritagliarsi una porzione di potere in azienda, non lede alcun diritto inviolabile dei suoi iscritti, ma semplicemente non tutela come dovrebbero i loro interessi, configurandosi o come sindacato sfuggito al controllo degli associati, cioè non più rispettoso del precetto costituzionale di democraticità interna, o a limite, come un sindacato di comodo vietato dall’art. 17 dello statuto dei lavoratori.

 SENTENZA 231 /2013

A breve, vedremo la dichiarazione di incostituzionalità dell’art 19 dello statuto dei lavoratori; prima di entrare nel dettaglio della sentenza soffermiamoci ancora sul potere di accreditamento.

Nel gioco di equilibrismo della Corte costituzionale nella pronuncia n.231 uno dei profili di discontinuità risulta essere quello relativo al c.d. potere di accreditamento su cui tanto si era dibattuto a seguito degli esiti referendari.

Prima di entrare nel dettaglio di questa sentenza soffermiamoci ancora sul potere di accreditamento.

In realtà questa era una vecchia questione già affrontata dalla Corte in merito alla lettera b dell’articolo 19.

Com’è noto il criterio della sottoscrizione dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva faceva sospettare che la costituzione delle RSA e l’attribuzione dei diritti sindacali fosse soggetta al consenso del datore di lavoro che avrebbe potuto decidere quali

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30 sindacati ammettere alla trattativa e alla sottoscrizione e quali invece no.

Interrogata nuovamente su tale profilo a seguito del referendum la Corte si pronuncia di nuovo con la sentenza n. 244/1996 affermando che “la rappresentatività del sindacato non deriva da un riconoscimento del datore di lavoro espresso in forma pattizia ma è una qualità giuridica dalla legge alle associazioni sindacali che abbiano stipulato contratti collettivi (nazionali, locali o aziendali) applicati nell’unità produttiva”; perché il nuovo criterio dell’essere firmatario coincide, afferma la Corte costituzionale, “con la capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro, direttamente o attraverso la sua associazione come controparte contrattuale”.

Sulla base di quanto affermato la Corte costituzionale confina il potere di accreditamento soltanto al caso in cui il datore di lavoro simuli una negoziazione per attribuire i diritti sindacali ad un sindacato di comodo. A tale fattispecie sarebbe applicabile l’articolo 17 Stat. lav.

Il potere di accreditamento prima ritenuto esistente (sentenza n. 30/1990), viene poi negato (sentenza n. 244/1996), per poi essere nuovamente ritenuto esistente (sentenza n. 231/2013).

In un passaggio della sentenza n. 231 la Corte afferma che il nuovo criterio si rende necessario perché “per un sorta di eterogenesi dei fini la nuova norma si trasforma in un meccanismo di esclusione di soggetti maggiormente rappresentativi a livello aziendale”.

Tali soggetti “sarebbero privilegiati o discriminati non già sulla base del rapporto con i lavoratori che rimanda al dato effettivo o valoriale della loro rappresentatività, bensì del rapporto con l’azienda, per il rilievo condizionante attribuito al dato contingente di avere prestato il proprio consenso alla conclusione di un contratto collettivo con la

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31 stessa”. E continua il modello disegnato dall’art. 19, che prevede la stipulazione del contratto collettivo quale unica premessa per il conseguimento dei diritti sindacali condiziona il beneficio esclusivamente ad un atteggiamento consonante con l’impresa, o quanto meno presupponente il suo assenso alla fruizione della partecipazione sindacale. Aggiunge che è evidente anche il vulnus all’articolo 39, primo e quarto comma, Cost., per il contrasto sul piano negoziale ai valori del pluralismo e della libertà dell’azione dell’organizzazione sindacale.

Sebbene la Corte costituzionale non nomini questo profilo di incostituzionalità per quello che è, in realtà, a ben vedere, esso non è altro che il potere di accreditamento, perché a detta della Corte il consenso alla conclusione del contratto collettivo «condiziona il beneficio del godimento dei diritti sindacali ad un atteggiamento consonante con l’impresa».

Questo è il passaggio della sentenza n. 231 nel quale più di tutti può essere rilevata la valenza politica della sentenza.

Il giudizio di legittimità costituzionalità era stato già espresso sulla norma negando l’esistenza di un potere di accreditamento del datore di lavoro.

Invece, ora, la Corte costituzionale ritiene che tale potere di accreditamento sussista pur essendovi una norma invariata dal 1995, come invariati sono i principi della Costituzione su cui si fonda il sistema delle relazioni industriali.

Senza arrivare ad affermare cha la Corte sia entrata in contraddizione con se stessa e, in particolare, con la sentenza n. 244/1996, si può, però, dire che questa parte della sentenza segna il più grosso segno di discontinuità rispetto alla precedente giurisprudenza della Corte,

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32 perché è quello che conduce, senza dubbio, alla dichiarazione di incostituzionalità (che vedremo a breve).

In realtà, però, a ben vedere, la dichiarazione di incostituzionalità deriva non dalla forma delle norme e, cioè dall’interazione tra norma costituzionale e norma ordinaria quanto dalla circostanza che i rapporti sindacali si sono talmente modificati da determinare un’eterogenesi dei

fini dell’articolo 19, eterogenesi che determina la non corrispondenza tra principi dettati dalla norma e realtà sindacale.

Conseguentemente occorre dare un’altra lettura che sia conforme alla nuova realtà delle relazioni sindacali.

L’iter logico seguito dalla Corte mostra un capovolgimento di quello che dovrebbe essere il modus operandi ai fini della dichiarazione di incostituzionalità delle norme. La contrarietà a Costituzione deriva dal contrasto con i principi costituzionali e in particolare con gli articoli 2, 3 e 39, primo e quarto comma, come letti attraverso il fenomeno sociale che poi si concreta nell’esclusione di un soggetto sindacale maggiormente rappresentativo a livello aziendale29.

In altri termini il giudizio di incostituzionalità più che procedere dall’alto verso il basso, procede dal basso verso l’alto: la realtà (assetto attuale dei rapporti sindacali) plasma la forma (i principi normativi) e non viceversa. 30

29

Arturo Maresca, Prime osservazioni sul nuovo art. 19: connessioni e sconnessioni sistemiche, adapt labour studies e-book, series n. 13;

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33

Parte seconda

LA DICHIARAZIONE DI INCOSTITUZIONALITA’

SOMMARIO: Capitolo I. Il diritto dei lavoratori alla rappresentanza sindacale: a margine del caso FIAT. Capitolo II. Sentenza n. 231/2013: una falsa sentenza addittiva. Capitolo III. Ricostruzione della recente giurisprudenza costituzionale in chiave giustificatoria: “l’incostituzionalità sopravvenuta del tribunale di Modena”. Capitolo IV. Negoziazione: trattativa o partecipazione? Capitolo V. Contesto e pratica degli accordi separati. Capitolo VI. L’interpretazione.

CAPITOLO I

IL DIRITTO DEI LAVORATORI ALLA RAPPRESENTANZA SINDACALE: a margine del caso FIAT

Stante la formulazione letterale del nuovo testo dell’art. 19 dello statuto dei lavoratori, la mancata sottoscrizione del contratto collettivo applicato nell’unità produttiva può infatti impedire l’accesso ai diritti sindacali a sindacati che, pur godendo di largo consenso dei lavoratori e di una cospicua rappresentanza associativa (numero di iscritti), e pur avendo partecipato alle trattative, non siano d’accordo su una determinata soluzione contrattuale.

Se è vero che il problema esiste da quando è entrata in vigore la nuova formulazione dell’art. 19 è altrettanto vero che si è posto prepotentemente all’attenzione generale a seguito della vicenda della contrattazione “separata” del gruppo FIAT.

Nel contratto (specifico di “primo livello”), stipulato (come precisato nel frontespizio del contratto) al di fuori del sistema confindustriale e della contrattualistica definita da tale organizzazione imprenditoriale (protocollo del 1993; contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici) è sancita la costituzione delle RSA ai sensi dell’art.

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34 19 dello statuto dei lavoratori, e riafferma la stretta correlazione tra la titolarità delle RSA e delle relative prerogative e la sottoscrizione del contratto.

E’ bene precisare che l’uscita del gruppo FIAT da Confindustria non doveva comportare come conseguenza obbligata l’abbandono del sistema di rappresentanza dei lavoratori in azienda, fondato sulle RSU, che era il sistema applicato nelle aziende del gruppo in precedenza; si è trattato di una scelta sulla forma della rappresentanza sindacale concordata tra le parti, e consentita nella formulazione post- referendum dell’art. 19 dello statuto.

La sostituzione alle rappresentanze sindacali aziendali delle rappresentanze sindacali unitarie potrebbe essere favorita si da invogliare a perseguirla per via negoziale, ma non imposta come unica ed esclusiva, per almeno una duplice ragione: non solo resta condizionata dalla permanenza di una unita sindacale rimessa alla libera convergenza delle grandi Confederazioni, cosa di per se non patologica, ma fisiologica; ma rappresenta anche una costrizione per chiunque sia condannato a rimanervi in cronica minoranza.31

Sul piano degli effetti concreti, è accaduto che la FIOM-CIGL, non firmataria del contratto, è stata privata dei benefici di cui al Titolo III dello statuto dei lavoratori (costituzione delle RSA e prerogative attribuite ad essa: assemblee, contributi sindacali, referendum, locali, affissioni e permessi sindacali).

L’esito è parso a molti paradossale, tenuto conto che la FIOM è largamente rappresentativa nella categoria, e che può vantare nelle aziende del gruppo FIAT, nelle quali è stata da sempre presente;una rappresentatività confermata tra l’altro, dall’alto numero di “no” nei

31 Franco Carinci, Il buio oltre la siepe: commento sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 231 2013;

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35 referendum indetti per sottoporre all’approvazione dei lavoratori interessati i nuovi contratti (Pomigliano e Mirafiori).

Tale esito paradossale ha riaperto la questione della conformità dell’art. 19 all’art. 39, comma 1, della Costituzione: questione che si pone, se la disposizione statuaria è interpretato nel senso che i lavoratori che aderiscono ad un sindacato non firmatario del contratto collettivo applicato nell’azienda sono privati del diritto alla propria rappresentanza sindacale.

Chiamati a decidere una serie di ricorsi (per condotta antisindacale) presentati dalla FIOM, i giudici hanno espresso orientamenti diversi.

 Da un lato vi sono giudici che hanno ritenuto sufficientemente chiara e non superabile in via interpretativa la lettera dell’art. 19 e, pertanto hanno ritenuto legittimo il comportamento dell’azienda che aveva negato ai lavoratori aderenti alla FIOM la possibilità di costituire RSA;

 Dall’altro, vi sono invece giudici che hanno ritenuto possibile dare un’interpretazione “adeguatrice” dell’art. 19, rendendolo compatibile con il principio della libertà sindacale sancito dall’art. 39, comma 1, della Costituzione, nell’attuazione che tale principio ha avuto proprio nello statuto dei lavoratori;  Altri giudici, infine, hanno ritenuto che, essendo la lettura

dell’art. 19 inequivocabile, non ne fosse possibile un’interpretazione “adeguatrice” che ne forzasse la formulazione letterale, e hanno perciò rimesso la questione della conformità dell’art. 19 agli art. 3 e 39 Costituzione alla Corte Costituzionale; i giudici hanno chiesto alla Corte non una decisione demolitoria (vale a dire l’intero comma 1 dell’art. 19), “che avrebbe creato un vuoto normativo colmabile solo dal legislatore”, ma una pronuncia addittiva di

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36 accoglimento, che estendesse l’applicabilità dell’art. 19 alle organizzazioni sindacali non firmatarie del contratto collettivo applicato nell’unità produttiva , che, stando alla (inequivoca) lettera dell’art. 19 sarebbero state escluse dal godimento dei diritti e delle prerogative di cui al Titolo III dello statuto dei lavoratori.

La Corte Costituzionale è stata così investita della questione, sulla quale ha deciso con sentenza 23 luglio 2013, n.231: salutata come l’auspicato ripristino della legalità costituzionale, la sentenza ha chiuso (almeno provvisoriamente) la vicenda dei diritti sindacali della FIOM nelle aziende del gruppo FIAT32.

Ma i problemi aperti, come vedremo, restano molti.

CAPITOLO II

LA SENTENZA N. 231/ DELLA CORTE COSTITUZIONALE: UNA FALSA SENTENZA ADDITIVA

Con la sentenza n. 231/2013 la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità dell’art. 19 dello Statuto del lavoratori “nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur essendo firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori in azienda”.

32

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37 La Corte ha pronunciato sentenza addittiva di accoglimento, che pur lasciando formalmente immutata la lettera della disposizione, nella sostanza la riscrive, modificandone il significato e la portata pratica. L’aspetto singolare della sentenza n. 231/2013 è che la norma aggiunta non si limita ad estendere l’ambito di applicazione di una disciplina ad una situazione non prevista, perché il criterio di rappresentatività aggiuntivo (la partecipazione alle trattative) finisce in realtà per assorbire e rendere pleonastico quello originario (la stipulazione del contratto collettivo)33.

Se l’ordinanza del Tribunale, tenuta poi presente come esemplare, era una scommessa vissuta pericolosamente, certo era stata giocata bene, come prova Corte cost. (sent.) 23 luglio 2013, n. 231.

A quanto visto, il Tribunale aveva aperto “prefigurando” una sentenza di accoglimento totale, che avrebbe creato un vuoto uguale a quello risultante dall’accoglimento del quesito referendario massimale, regolabile solo dal legislatore; ma aveva chiuso “richiedendo” una sentenza di accoglimento manipolativa dell’art. 19, lett. b), sopra definita ambigua, perche tale da dar l’impressione di puntare sia alla “misurazione dell‟effettiva rappresentatività”, sia alla considerazione come condizione sufficiente dell’ “accesso e partecipazione al negoziato”.

A fronte della obiezione della difesa Fiat, la Corte puntualizza che “ciò che i giudici a quibus chiedono ora alla Corte non è una decisione demolitoria, che effettivamente darebbe luogo ad un vuoto normativo colmabile solo dal legislatore, bensì, inequivocabilmente, una

pronuncia additiva che consenta (ciò che appunto altri giudici hanno

ritenuto di poter direttamente desumere in via di interpretazione

33

Domenico Mezzacapo, La dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 19 dello statuto dei lavoratori alla luce dei nuovi dati di sistema e di contesto, adapt labour studies e-book, n. 13;

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38 sistematica, evolutiva o, comunque, costituzionalmente adeguata della norma stessa) di estendere la legittimazione alla costituzione di rappresentanze aziendali anche ai sindacati che abbiano attivamente partecipato alle trattative per la stipula di contratti collettivi applicati nell‟unità produttiva, ancorché non li abbiano poi sottoscritti per ritenuta loro non idoneità a soddisfare gli interessi dei lavoratori”.

Non desta sorpresa che la Corte si limiti a tener presente l’unica richiesta che poteva accogliere, cioè quella di considerare sufficiente per la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali la partecipazione attiva, gia da lei stessa aperta e percorsa fino in fondo da tutta una giurisprudenza; desta sorpresa, invece, che si preoccupi di enfatizzare, con l’accompagnarla con l’avverbio “inequivocabilmente” e col marcarla in neretto, la natura di “pronuncia additiva” dell’eventuale sentenza di accoglimento . Ed, in effetti, alla fine della sua argomentazione in diritto, la decisione sarà redatta proprio secondo la collaudata terminologia di una tale pronuncia, cioè di una dichiarazione di “illegittimità costituzionale dell‟articolo 19, primo comma, lett. b), della legge 20 maggio 1970, n. 300, nella parte cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere

costituita anche nell‟ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell‟unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell‟azienda”.

La Corte avrebbe ben potuto ripartire dalla sua interpretazione costituzionalmente corretta della lett. b), già caldeggiata prima della amputazione referendaria, che, cioè, fosse richiesta sia la partecipazione alla trattativa che la sottoscrizione; per poi pronunciare una sentenza manipolativa di accoglimento parziale, cioe tale da considerare in motivazione la lettera in parola come fosse scritta in

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