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Recensione di: Jason Neidleman, Rousseau’s Ethics of Truth: A Sublime Science of Simple Souls, Routledge, New York-London, coll. «Routledge Studies in Eighteenth-Century Philosophy», n. 12, 2017, 250 pp.

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Academic year: 2021

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Jason Neidleman, Rousseau’s Ethics of Truth: A Sublime Science of Simple Souls, Routledge, New York-London, coll. «Routledge Studies in Eighteenth-Century Philosophy», n. 12, 2017, 250 pp.

A partire dal 1758 – anno che segna la rottura definitiva con l’ambiente degli Enciclopedisti – Rousseau adotta come massima personale di condotta il motto di Giovenale vitam impendere vero, «dedicare la vita alla verità» (Satire, IV, 91). Questa eclatante presa di posizione in favore della sincerità e dell’être, contro il pensiero filosofico coevo dominato con forza crescente dall’ipocrisia e dal paraître, era destinato a diventare uno dei tratti caratteristici della riflessione rousseauiana matura, come conferma in particolar modo la quarta «passeggiata» delle Rêveries du promeneur solitaire, interamente consacrata a una penetrante meditazione sul tema della verità e della menzogna.

Jason Neidleman – professore di teoria politica nell’University of La Verne (CA) – si propone di rileggere l’intero corpus degli scritti di Rousseau servendosi come chiave interpretativa proprio della nozione di verità (truth) e, più nello specifico, di quella di «ricerca della verità» (truthseeking). Si tratta di una distinzione importante, perché mette in luce come per il Ginevrino la questione della verità e della sincerità ricopra una funzione pratica e normativa piuttosto che gnoseologica e descrittiva. Come mostrato da altri autori ai quali Neidleman fa apertamente riferimento – Henri Gouhier, Robert Derathé e Pierre Burgelin in primis – la dirompente originalità di Rousseau consiste nel sostituire alla definizione canonica di verità come corrispondenza ai fatti, già rintracciabile in Platone (Crat., 385 b), quella di una verità morale che si sottrae al piano della realtà fattuale e della verifica intersoggettiva, per trovare espressione nella dimensione infrasoggettiva dell’interiorità. Questa idea rappresenta un elemento di rottura epocale nella filosofia moderna: la certezza – ossia il modo in cui Cartesio aveva declinato la verità come rapporto di esatta corrispondenza del soggetto cogitante al mondo oggettivo – cede con Rousseau il passo alla sincerità, al lavoro che il soggetto fa su se stesso per dire la verità su di sé, per essere autentico e, dunque, per corrispondere anzitutto alla propria soggettività.

Se l’argomento della monografia di Neidleman, nelle sue diverse declinazioni (verità, sincerità, autenticità, ecc.) rappresenta una delle questioni più ricorrenti nella storia della critica rousseauiana, la tesi fondamentale dell’Autore rivela un’indiscutibile originalità. Il suo obiettivo è infatti quello di mostrare come una «ethics of truth» rappresenti un elemento – o addirittura l’elemento – di coesione determinante all’interno del corpus rousseauiano, facendo emergere in particolar modo la continuità tra la riflessione politica e quella autobiografica, a lungo considerate nel corso del Novecento autoescludentesi, se non apertamente contraddittorie. Poiché «virtù e verità devono sempre essere considerate nella loro relazione reciproca e la verità non può esistere al di fuori di un contesto etico e politico» (p. 9), la cui nascita coincide con l’uscita dallo stato di natura, non è possibile separare politica e morale (la cui espressione più alta coincide con la religione), società e solitudine.

Lo scritto di Rousseau che testimonierebbe più di ogni altro il tentativo di conciliare le antitetiche strade dell’uomo e del cittadino, essenza della sua intera teoria sociale secondo l’ormai classica lettura di Judith Shklar (Men and Citizens: A Study of Rousseau’s Social Theory, Cambridge University Press, Cambridge, 1969), sarebbe paradossalmente Les rêveries du promeneur solitaire, a cui è dedicato il quarto capitolo del volume (Reverie, pp. 75-106). In queste pagine, che rappresentano la sezione più innovativa e convincente dello studio di Neidleman, una coerente e sistematica filosofia della ricerca della verità emerge da una lettura incrociata dell’ultima fatica letteraria di Rousseau con gli scritti politici. La continuità di fondo tra queste opere sarebbe rappresentata dal comune desiderio di riconciliazione (con la natura, con Dio, con la società o con se stessi) che, come illustrato nel secondo capitolo del libro (Communion, pp. 24-47), rappresenterebbe la cornice comune alle diverse forme che può assumere la morale della ricerca della verità rousseauiana. Il sentimento di comunione con la natura sperimentato durante l’esperienza solitaria della fantasticheria e la comunione fraterna esaltata negli scritti politici sono pertanto il frutto del medesimo impulso morale verso la verità e la sincerità. Questo impulso originerebbe, nell’opera di Rousseau, una serie di differenti soluzioni parziali (l’amore del selvaggio per la propria esistenza, l’amore del cittadino per la patria, l’amore del solitario per la natura, l’amore del filosofo per l’intero genere umano e l’amore del cristiano per i propri fratelli) che, lungi dal contraddirsi vicendevolmente, sarebbero coerentemente riconducibili a una pervasiva esigenza morale di sincerità.

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Il medesimo schema interpretativo viene riproposto nei capitoli successivi dell’opera, dedicati rispettivamente al repubblicanesimo, alla religione e alla ragione. Queste tematiche, apparentemente distanti tra di loro, sono nuovamente accomunate dal desiderio di una riconciliazione fondata sulla ricerca della verità, che si manifesta rispettivamente nella comunità politica, nella religione naturale e nell’ideale dell’autentica filosofia. Il libro si conclude con una riflessione sulle implicazioni che la «ethics of truth» di Rousseau può avere sia nell’ambito accademico degli studi rousseauiani, sia nel più ampio contesto delle teorie contemporanee della verità, spesso più interessate agli aspetti formali del problema che alle sue implicazioni pratiche.

Pur pagando a tratti lo scotto di trattarsi di un’interpretazione «a tema» – che rischia d’irrigidire il peculiare carattere magmatico e asistematico del pensiero di Rousseau, smussandone le (feconde) tensioni e contraddizioni – Rousseau’s Ethics of Truth si rivela uno studio di rilievo all’interno della critica rousseauiana recente. La salda padronanza della letteratura primaria di cui l’Autore dà mostra, coniugata a una profonda conoscenza della letteratura critica sia di lingua inglese sia di lingua francese (aspetto non scontato all’interno del panorama di studi anglofono, spesso colpevolmente autoreferenziale) fanno dello studio di Neidleman un punto di riferimento obbligato per tutti coloro che avranno in futuro l’ardire di confrontarsi con la filosofia della verità di Rousseau. Lo stesso Ginevrino, in un brano del primo Discours che ispira il sottotitolo del volume di Neidleman, ci avvertiva d’altronde della difficoltà del cimento, definendo la ricerca della verità come una «scienza sublime» degna soltanto delle «anime semplici». [M. Me.]

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