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La Fiera di Salerno

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI S A L E R N O BIBLIOTECA

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A N D R E A S I N N O

La Fiera di Salerno

A C U R A D ELL’ ENTE P R O V IN C IA L E PER IL TU R ISM O S A L E R N O

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F i e r a di S a l e r n o

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A N D R E A S I N N O

La Fiera di Salerno

A C U R A D ELL’ ENTE P R O V IN C IA L E PER IL TU R ISM O S A L E R N O

SISTEMA BIBLIOTECARIO DI ATENEO - SALERNO

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V e d u ta d i S a le rn o n e l s e c . X V II I e s t/ a tt o d a S a lm o n , L o sfa to pre sen te d i tu ll i i paesi e p o p o li d e l mon do, (N a p o li , V. M a z z o la V o c o la , 1 7 6 3 ) v o i. X X III , p . 1 5 1 .

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L a Fiera d i Salerno, oggi ridotta a modestissimo mercato, rappresentò per più secoli uno dei più grandi em porii com m erciali del M editerraneo.

Istituita, n ell’anno 12 59 , per benevola concessione di Re M an fred i, a richiesta del Cancelliere G iovan n i da Pro- cida, essa aveva luogo due vo lte all anno per la durata di giorni otto, incom inciando l’una il 21 settem bre, giorno in cui si solennizza il m artirio di S. M atteo, l’altra il 4 m aggio, giorno in cui si festeggia la traslazione del suo corpo nella nostra C ittà.

C o n p rivilegio di C arlo II, in data 21 agosto 1303, fu prorogata a 10 giorni allo scopo di accrescere i profitti della C ittà ed aum entare la venerazione per le reliquie del glorioso A postolo.

Per diversi secoli la nostra fiera fu un avven im ento di sì n otevole im portanza che nei giorni in cui annualm ente aveva luogo si sconvolgeva la tradizionale calm a della vita

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cittadina, il lavoro m etodico delle officine e perfino quello del più modesto com m erciante.

Infatti ogni attività, che norm alm ente si esplicava nelle mura di questa vetusta C ittà e nei suoi villa g g i, cessava com pletam ente per trasportarsi e aum entare a dismisura fuori le m ura orientali, nella vasta pianura percorsa dal Rafastia, dalla Piana d i S. Lorenzo fin giù verso il mare, dove centinaia di battelli avevan o scaricate le loro merci, le quali, insieme con quelle trasportate a ridosso di muti o su carri, d ovevan o mostrarsi ai m ille e m ille visitator., acquirenti e rivend itori, v en u ti dalle più diverse e lon tan i regioni.

La Fiera di Salerno, per tu tte le popolazioni esotiche e indigene, costituiva un sacro rito a cui bisognava p arte­ cipare, sia perchè era un dovere im posto dalla fede pro­ strarsi alm eno una volta all’anno innanzi all’altare d ell’A p o - stolo, sia perchè era il più ricco m ercato di prodotti per il rifornim ento di ogni sorta di m ercanzie.

In tem pi in cui i luogh i di produzione erano di solito m olto lo n tan i dai centri popolosi, in paesi im pervi, che non era facile raggiungere senza disagi e pericoli, riusciva quasi impossibile provvedersi di quanto era indispensabile ai b i­ sogni della vita. Perciò non v i poteva essere m igliore faci­ litazione, per l’acquisto di quanto occorresse ad ogni sorta di necessità, di quella che offriva il grandioso mercato di Salerno. O n d e la Fiera era per tu tti i m ercanti il pensiero costante, indissolubile del loro lavoro diuturno, e per essa

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preparavano il m iglior prodotto e il più accetto ai consu- m atori, m entre questi erano sicuri di trovarvi la più bella m ercanzia. D ’altra parte, la remota origine della Fiera valse a renderla sempre più celebre, sebbene non poco v i abbia contribuito la posizione geografica della città e 1’ instanca' bile operosità dei suoi cittadini, dediti per tradizione alle industrie e ai comm erci, m entre altri suoi figli, adusati alla n avigazion e, raggiungevan o i più lontani lidi del Levante, dove trasportavano i p redotti di queste contrade, per averne in cam bio spezie e m an ufatti indigeni, aum entando così

il buon nom e di Salerno.

Eguale opera spiegava la m arina A m alfitan a che, con­ servando la sua febbrile passione per il mare, ereditata da secolari tradizion i, cooperava egregiam ente all’ increm ento com m erciale delle nostre regioni, m entre una ricca colonia ebrea, stabilitasi in Salerno, serviva di tram ite coi mercanti della stessa fede, altrove residenti, i quali traevano dal corri' m ercio locale cospicui guadagni.

Infine, se le esposte ragioni, ideali alcune, pratiche altre, resero celebre la Fiera, non bisognerà dim enticare che il prim o e il più n otevole impulso del nostro mercato deve ricercarsi nel fattore econom ico, molla potente in ogni im ­ presa com m erciale. T u t t i i prodotti im portati nella Fiera di Salerno godevan o l ’esenzione di ogni gravam e di natura fiscale, essendone esenti e im m uni per remote concessioni. Perciò siffatti prodotti, per quanto colpiti da spese di tra­

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sporto e da oneri diversi,, potevano essere ven d u ti a un p rezzo più m odesto di quanto non fosse consentito altrove.

L a somm a delle ragioni su indicate ci m ette, quin d i, in grado di spiegarci lo splendore raggiun to dalla nostra Fiera, la quale per secoli richiam ò l’attenzion e e il concorso di gente di ogn i parte d Italia e di regioni straniere. Infatti, ven ivan o in fiera m ercanti di Europa, di A frica, di A sia, e specialm ente quelli della G recia, G iu dea, G alilea, d e l' l’E gitto e della M auritania.

Il più grande scalo m arittim o di Europa, che serviva di imbarco per le m erci destinate alla Fiera, era M arsiglia, donde partivano grosse galee, cariche perfino di filati e di dam aschi di Fiandra e di O lan da, da noi ricercati e tenuti in gran conto. D ’altra parte, la nostra fiera era onorata spesso dalla presenza del Re e d i alti personaggi del P a­ triziato del R egno, desiderosi di assistere a questo grande

avven im ento, testim one della potenza industriale del

nostro popolo e della sua inclinazione alla sottile arte del com m ercio.

U n a cronaca del 1700 ci fa conoscere i nom i della più spiccata nobiltà, che partecipava alla fiera di Salerno, com e le fam iglie G erace, M onteleone, O ttobon i, M alaspina, le quali, per rendere più lieto il soggiorno, preparavano feste e num eri di speciale attrattiva, che consistevano in corse al palio, nei sacchi, di cavalli, di asini, in cacce al toro, dando prem i e don ativi ai vin citori.

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Ja Fiera, si aprisse il pubblico teatro di S. A gostin o, situato alle spalle dello stesso convento, dove avevan o luogo rap­ presentazioni in prosa e in musica, con enorm e concorso di spettatori e con loro grande diletto, costituendo per m ol­ tissimi di essi un avven im en to di eccezionale im portanza. L a località d ove si svolgeva la fiera com prendeva l’ampia distesa di terreni, posti fuori le m ura orientali della città, che, seguendo il corso del Rafastia, sull’una e sul­ l’altra sponda, dalla piana di S. Lorenzo (oggi compresa tra l’O rto A gra rio e la chiesa del Carm ine) scendeva giù al Pen­ dino, per raggiungere il giardino del C o n ven to di S. Be­ nedetto, e poi attraverso il vecchio arsenale, conosciuto col nom e di T arcin aro, si arrestava a S. Pietro de Camerellis.

Il nom e stesso d i questa C hiesa ricorda, in fatti, le n u­ merose casupole e baracche q u ivi esistenti, che in tem po di fiera erano date in fitto ai n egozian ti, perchè v i ponessero la loro m ercanzia.

Però le baracche adiacenti alle m ura di Porta N o v a furono costruite nel X V I secolo; precedentem ente esiste­ van o solo quelle nella parte alta della città, che era il centro più notevole della fiera (i).

(J) C io è n el territo rio fu o ri di P o rta R o te s e , co m e q u ello che si tro­ v a v a sul tra ffico d e ll’ an tica V i a P o p ilia , an terio rm en te al X V I seco lo , a rteria di p rim o o rd in e . C o stru ita poi la strada sp a g n u o la di C a v a , il tra ffico si spostò fra P o r ta d ella C a te n a è P o r ta N o v a , e la fiera q u ind i si sv o lse in n an zi a q u est’ u ltim a P o r ta , in p ro lu n g am en to d ella parte in feriore d ella C ittà .

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Il territorio di P ortan ova assunse la sua im portanza proprio nel secolo indicato, e ad esso si venne a unire il suolo arenile, che si andò form ando nei pressi di quelle m ura, via v ia che il m are si ritraeva.

L ’ im portanza assunta dal territorio di Portanova si spiega facilm ente, sia perchè il suolo arenile form atosi ren­ deva più agevole lo sbarco delle merci, che le galee traspor­ tavano, sia perchè i m ercanti potevano assumere in fitto m agazzini più comodi e di costruzione più recente, m entre quelli della Piana di S. Lorenzo, cadenti per vecchiaia e per incuria dei proprietari, erano causa di gravi danni alle m ercanzie che v i erano depositate.

L ’ampio territorio della fiera era convenientem ente ripartito in zone e in ognuna si effettu ava la ven dita di speciali prodotti.

U n a ordinata distribuzione delle m ercanzie, portate in fiera, si rendeva assolutam ente indispensabile, perchè riu ­ scisse agevole accedere ai posti di ven d ita, essendo noto ad ogni com pratore dove potesse trovare la merce di cui desi­ derava rifornirsi.

O nde, sia per tradizione, sia per remota consuetudine, i negozian ti occupavano sempre il posto loro assegnato, e v i­ tando cosi quella confusione facile a verificarsi per l’a f­ fluenza di m igliaia di visitatori, che tutti i giorni ven ivan o in fiera.

V icin o al bastione di P ortan ova erano distribu iti i te ­ nitori di giuochi di azzardo e nei loro pressi erano gli

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atten-G io v a n n i da Procida

da un disegno di Stanislao Lista in De Renzi S., Il secolo XIII e

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dam enti dei saltim banchi. Poi si seguivano lu n gh i tavoli, protetti da frasche, occupati da ven d itori di o g getti varii, come spilli, lacci, spaghi e simili. Q u i erano pure cantine im provvisate per rifocillare negozian ti e acquirenti.

N e lle b otteghe di S. Pietro pigliavan o posto droghieri e com m ercianti di spezie diverse, e nella strada di contro a detta chiesa erano baracche destinate per g li orefici, argen- tieri e corallari.

Sulla spiaggia, dove approdavano barche, feluche e g o zzi, aveva luogo la ven d ita di botticelle di alici, aringhe, form aggi e altri prodotti conservati sotto sale.

Sulle sponde del Rafastia pigliavan o posto i rivend i- tori degli o ggetti più svariati: qua era il rivenditore d egli abiti usati, là quello di aratri, di zappe e di coltelli, e più in su ancora il contadino con le sue p rovviste appetitose, come arance, lim oni, m ele e pere, u va e perfino cipolle ed agli.

N e l T arcin aro era la ven dita delle granaglie e dei le­ gum i; più in su pigliavan o posto i n egozian ti di berretti, i linaioli, il m odesto ven ditore di tessuti, e finalm ente nella piana di S. Loren zo si trovava il grossista, il ricco fab b ri­ cante, che nelle sue baracche aveva depositi di dam aschi e di vellu ti, d i bordiglioni e di altri panni lana. A ltr i avevan o la ven d ita di tele e filati vari, indigeni o stranieri; v i erano tele di A sco li e tessuti dello Stato di M ilano, tele di Fiandra e di O landa, quelle di Sarno e di N ocera ed altre ancora di G iffon i, della C ostiera A m alfitan a e della valle deH’ Irno.

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C on queste p igliavan o posto sete di Calabria e mer- letti e frange della stessa regione.

D urante il periodo, in cui si celebrava la fiera, la per- sona che concentrava in se i pieni poteri civili e giudiziari era il M astro di fiera.

In Salerno il p rivilegio di M astro di fiera appartenne per vari secoli alla fam iglia R u ggi d ’A ragona, e di questa il primo ad esserne beneficiato dalla sovrana benevolenza fu Petruccio, figlio del C on te di A lb an ella.

Siffatta elargizione, trasmissibile agli eredi prim ogeniti, fu concessa da Carlo III di D urazzo in prem io della devota fedeltà dim ostrata da questa nobilissima fam iglia. I Sovrani successivi, non solo conferm arono i precedenti benefici, ma ne aggiunsero anche altri, aum entando sempre più il pre­ stigio e l’autorità di essa.

V ed ia m o ora quali erano le attribuzioni del M a­ stro di fiera.

Esse si possono così riassum ere:

1 .) D iritto di tener corte nei giorni di fiera e giudicare su questioni civili e penali, che ordinariam ente erano di com petenza della C orte della B agliva;

2.) C ontrollo su tu tti i com m ercianti e negozianti, che si trovavano nel territorio della fiera, nella città e nei v il­ laggi, avend o questi l ’obbligo di portare le loro m ercanzie nella fiera;

3.) D iritto di possedere una guardia armata per l’esa­ zione dei suoi proventi, per la custodia della sua persona

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e il disim pegno delle funzioni di polizia nel territorio della fiera, nella città e nei villaggi.

Il trapasso di siffatti poteri dalle persone che legal­ m ente ne erano investite in tem pi normali, cioè dal Go- vern o cittadino e dallo Straticò, al M astro di fiera avven iva nel giorno della apertura del grande mercato, quand o nel m aggior tem pio della città si svolgevan o fun zion i di rin- graziam ento all’A postolo.

N e l D uom o, grem ito di popolo festante, di tu tte le più spiccate personalità cittadine, di tutti i govern an ti, fa ­ ceva il suo ingresso il M astro di fiera, scortato da dieci uo­ m ini arm ati di spada, di pugnali e di alabarda, e an d ava a occupare il posto che di diritto spettava allo Straticò, il rap­

presentante naturale della giu stizia. A lla funzione sacra seguiva P inaugurazione della fiera.

N e lla città era già cessato il tram busto di carri e l’ as­ sordante frastuono di gente, che si era affaccendata a svu o ­ tare i m agazzin i di tutte le merci, perchè trovassero posto nella baracche fuori la cinta delle m ura.

Il linaiuolo, il m ercante di drappi, quello di damasco e di vellu to, quello di panni di lana e di berretti, il m odesto fru ttiven d olo, il contadino, il negoziante di ferram enta, di aratri e di van gh e, l’arom atario, il ven ditore di m iele, di aghi, di spilli, l’astuto tenitore di giuoco di azzardo, tu tti avevan o trovato il loro posto, stabilito da una tradizionale consuetudine.

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precedenti, altri avevan o im provvisato tavoli per siste­ m arvi convenientem ente e accuratam ente la loro merce, perchè fosse ben messa in vista, altri con' frasche protegge­ vano la loro m ercanzia.

Il cam panone del D uom o suonava a festa, i cannoni delle torri sparavano a salve, le vie rigurgitavano di curiosi, c u a n d ’ecco che dal Palazzo della C ittà partiva un corteo di carrozze, precedute da staffieri. Era il governo della città che, seguendo una rem ota tradizione di austera solen­ nità, andava a inaugurare la grande fiera,

Però cessata questa fu nzion e il G overno cittadino era com e un estraneo, non essendo riconosciuta altra au to ­ rità, se non quella del M astro di Fiera.

Q uesti innalzava sulla sua sede, cioè sul Casino, la bandiera della città e inaugurava la C orte, dove assumeva le fu n zio n i di giudice sovrano, in nom e del Re, la cui effigie era esposta alle spalle dello stallo a lui destinato.

L a C orte, nei prim i tem pi, aveva sede nella piana di S. Lorenzo; m a, alla fine del X V I secolo, fu portata a P o r­ tauova, non senza v iv e proteste della M ensa A rcivescovile, la quale m al tollerava qualunque m utam ento di rem ote con ­ suetudini, che ledessero 1 propri interessi.

L a piana di S. Lorenzo fu il centro del grande m er­ cato fin dalle sue origin i: là pigliavan o posto 1 com m er­ cian ti più doviziosi di seta e di filati, assumendo in fitto botteghe in legno o in m uratura, in gran parte di pro­ prietà della M ensa A rcivescovile. M a, col tem po, le barac­

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che divennero insufficienti e disadatte per m ancanza di ogni cura, prem endo ai proprietari di intascare soltanto un lauto fitto; basti dire che per una misera bottega si arri­ va va a pagare un fitto annuo ingentissim o per goderne soltanto nei pochi giorni di fiera.

L a fiera di anno in anno si spostò sempre più giù nel- l’esteso territorio del T arcin ale e di Portanova, dove sor- sero baracche più com ode e più abbondanti.

D ’altra parte era destinato che la piana di San Lorenzo dovesse un giorno perdere la sua im portanza, principal- m ente perchè lontana dal luogo di sbarco delle merci; e però a nulla valsero i cavilli e le pretese messe innanzi dalla M ensa A rcivesco vile e dagli altri enti ecclesiastici, perchè nel X V I I secolo negozian ti e M astro di fiera si trovarono installati a Portanova.

D alla sua grandiosa sede il M astro di fiera estendeva il dom inio anche nella città, poiché solo alla sua guar­ dia armata era consentito controllare le aziende dei com ­ m ercianti e vigilare se avessero chiuso i negozi, essendo a questi fatto obbligo di portare le loro m ercanzie nel terri­ torio della fiera. A quelli che si-esim evano da tale obbligo era applicata una m ulta, che andava a beneficio del M a­ stro di fiera. L ’entità della m ulta era varia, in ragione deH’esercizio che si gestiva o del commercio che si eserci­ tava. Q uelli che avevan o botteghe di m ercanzie erano tenuti al pagam ento di un carlino e, in proporzione varia, g li altri esercenti un pubblico negozio.

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N o n m eno gravosi erano gli oneri im posti a quelli che in terven ivan o in fiera. L e osterie erano colpite da un tasso di cinque carlini, se grandi, di tre quelle più piccole, m entre i droghieri, i m altesi, i linaiuoli d ovevan o corrispondere un regalo.

U n ’antica convenzione tra i R u g gi e il governo della città esim eva i casalini d all’ obbligo di intervenire in fiera, m a al M astro di fiera era corrisposto un annuo tributo di ducati 31 e grana 8o, che v en iv a tolto dalle entrate della città.

T a le accordo ha la sua ragione. A l governo della città prem eva che non si fosse portato un aggravio su una popo- lazione laboriosa, la quale, pur contribuendo alla floridezza del centro, m ancava perfino di strade agevoli per accedervi, m entre al M astro di fiera faceva com odo di non aum entare la sua guardia arm ata, e di disperderla in luogh i lontani dal territorio della fiera, nei giorni in cui v e ne era urgente bisogno.

Siffatta necessità era tanto più v iv a e sentita, in quanto neppure ai govern an ti era permesso nei giorni di fiera uscire per la città accom pagnati dai proprii dipendenti ar­ m ati, essendo espressamente inibito l’uso delle armi ad altro corpo, se non a quello che fosse alla dipendenza diretta dal M astro di fiera.

N e lla persona del M astro di fiera era anche accentrato l ’ufficio di R . Pesatore per la stadera, che gli dava il diritto di esigere uno speciale tributo, detto jus ponderis, su tutte

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le merci soggette a peso, quando si contrattavano nel terri­ torio della fiera.

In virtù d i siffatto p rivilegio al governo della città non era permesso di portare in fiera le proprie stadere e di farle girare per com odità, sia dei ven ditori che dei com ­ pratori.

E gual d iv ie to era fatto agli affittatori della R. Zecca e ai pesatori della R . D ogan a, essendo unica privilegiata la fam iglia R u ggì.

D a quanto abbiam o riferito, in merito alle attribuzioni del M astro di fiera, ci siamo reso conto della sua vera figura che poteva dirsi essere quella d i un feudatario fornito dei più ampi poteri, sia nel territorio della fiera, sia fuori di essa.

E ’ evidente, q u in d i, che questo stato di cose non po­ tesse essere tollerato dalla cittadinanza, oppressa da una soggezione, la quale a ve v a tu tti i caratteri, per form a e per sostanza, di un dom inio baronale, in contrasto stridente con i poteri spettanti al go vern o cittadino.

O n d e sorsero v iv i dissidi, che per secoli m antennero agitata la cittad inanza, decisa a non subire soprusi e, più an­ cora, a non vedere m enom ato il prestigio, che giustam ente d o v eva godere il proprio governo.

Il diritto, in fatti, del M astro di fiera di tenere al suo servizio una guardia arm ata, ragione prim a e più notevole del dissenso, era inam m issibile in una città libera e che, per giu nta, ben altre lotte più gravi aveva sostenuto per d i­

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struggere altre suprem azie. Si spiega, quin d i, l’acredine della lotta in gaggiata contro il M astro di fiera, nel prin- cipio del X V I secolo, quando nobili e civili, per altre cause tra di loro in eterno dissenso, erano u n iti da un com une interesse, di salvare, cioè, la dignità del proprio paese, che, giustam ente, doveva riassumersi soltanto nelle m ani dei propri governanti.

L a lotta contro questo dom inio fendale ebbe m aggior vigore nel secolo successivo, quando nel 1658 pigliò pos- sesso dell’ufficio di M astro di fiera D . Francesco R u ggi, in seguito al decreto di investitura em anato dalla R. Cam era della Sum m aria.

A llo ra la città trovò, alleata anche il Preside della R. U d ien za, sopportando questi a m alincuore che nei d i' ritti del M astro di fiera si comprendesse il m antenim ento di un corpo di alabardieri. M a il risultato di siffatta lotta valse solo a provocare la decisione della R. C am era, perchè la fam iglia R u g gi non fosse ulteriom ente disturbata nelle sue prerogative, godute ininterrottam ente per secoli da tu tti i suoi antenati.

Contem poraneam ente si agitò la questione non meno grave, se dovesse o m eno essere occupato dal M astro di fiera il posto dello Straticò nei giu d izi civili e penali. Il ri­ sultato non poteva essere che favorevole al R u g gi, non es­ sendo am m issibile che una decisione della R . Cam era a n ­ nullasse di colpo questo privilegio.

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non avrebbero portato a un risultato favorevole per la città, se altre circostanze non fossero intervenute.

Forse le m utate condizioni di tem po, le gravose spese sostenute dai R u ggi per difendere i proprii diritti, nonché le loro poco floride condizioni finanziarie e il trasferim ento della loro dim ora in N ap o li, furono le cause essenziali che determ inarono un equo accom odamento; il quale, mentre salvò la reputazione della città, tolse ai R u ggì un dom inio secolare, mercè un compenso corrispondente alle entrate che ad essi ven ivan o, in virtù dei loro antichi p rivilegi, nel- l’am bito della Fiera. M a siffatto accordo avven n e quando la Fiera di Salerno aveva già perduto in gran parte la sua im portanza. Infatti, nel principio del 700, la Fiera po­ teva solo vantare il suo passato, poiché essa era nella sua più com pleta decadenza.

T u tto ra però esiste il ricordo del suo M astro di fiera, che segnò un lungo periodo di asservim ento e di dom inio, ma nello stesso tem po un periodo di splendore, poiché S a ­ lerno, oltre ad essere uno degli empori più notevoli del M editerraneo, era anche la meta degli studiosi, che v i ac­ correvano per abbeverarsi alla fonte del sapere e diffondere nel m ondo il suo nom e glorioso.

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A u to riz z a z io n e del M in iste ro della C u ltu ra Popol P rovvedim ento n. 3 5 8 d e ll'a n n o XIX

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