Luca Demontis
Da servi a ufficiali:
affrancamento, promozione sociale e carriera politica
al seguito di Raimondo della Torre, patriarca di Aquileia (1273-1299)
[A stampa in «Anuario de Estudios Medievales», 39/2 (2009), pp. 933-961 © dell’autore - Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”, www.retimedievali.it].
pp. 933-961 ISSN 0066-5061
DA SERVI A UFFICIALI:
AFFRANCAMENTO, PROMOZIONE SOCIALE E CARRIERA POLITICA AL SEGUITO DI
RAIMONDO DELLA TORRE, PATRIARCA DI AQUILEIA (1273-1299)
FROM SERFS TO OFFICIALS: FREEING, SOCIAL PROMOTION AND POLITICAL CAREER FOLLOWING RAIMONDO DELLA TORRE PATRIARCH OF AQUILEIA
(1273-1299)
LUCA DEMONTIS
Università di Milano
Riasunto: Dal 1274 alcuni signori friulani donano alla Chiesa di Aquileia un numero sempre crescente di servi di masnada. Cos’era cambiato rispetto al passato? L’insediamento nella sede patriarcale di Raimondo della Torre dava una svolta alla società friulana incoraggiando le donazio-ni. I servi donati alla Chiesa di Aquileia ricevevano dal patriarca l’affrancamento con una cerimonia pubblica. Potevano migliorare la loro condizione di vita e ricoprire vari incarichi ottenendo feudi come ministeriali. Diventavano così veri e propri ufficiali contribuendo al funziona-mento dell’amministrazione del principato aquileiese. Fedeli fautori della politica del loro principe erano anche i Milanesi e i Lombardi che si insediarono nel patriarca-to fondendosi con le élites locali e rico-prendo numerosi uffici come gastaldi, capitani e podestà. La società friulana veniva così modificata dall’opera del patriarca Raimondo e la pratica dell’affrancamento dalla servitù continuerà dopo la sua morte.
Parole chiave: Raimondo della Torre, patriarcato di Aquileia, servitù di masna-da, affrancamento, ufficiali
Abstract: Since 1274, castle lords of Friuli (Northern Italy) remitted an increasing number of serfs (“servi di masnada”) to the Church of Aquileia. What has been changed with regard to the past? The installation of Raimondo della Torre in the patriarchal see drove to a turning-point the society of Friuli by encouraging the dona-tion of serfs and their freeing. The serfs given to the Church of Aquileia received the freedom by Raimondo during a public ceremony. They could improve their li-ving conditions becoming ministry offi-cials (“ministeriali”) and even obtain feudal investitures. Other officials and loyal supporters of Raimondo’s policies of Milanese and Lombard origin also insta-lled themselves in the patriarchate, melting with local élites: they soon became castal-dos, podestàs and captains, and held va-rious other public charges. Altogether, the society of Friuli had been dramatically changed by the ruling of the patriarch Raimondo, and in particular by the practi-se of freeing the practi-serfs, which will continue after his death.
Keywords: Raimondo della Torre, patriar-chate of Aquileia, serfdom, freeing of serfs, officials
1Sulla famiglia della Torre mi si permetta di suggerire Luca DEMONTIS, Fra Cortenuova e
Desio: il sostegno di alcune famiglie “nobili” milanesi all’ascesa politica dei della Torre (1237-1277), “Libri & Documenti”, XXXI – N. 1/3 (2005), pp. 1-18; Luca DEMONTIS, Dal contado
alla città e dalla città al contado: percorsi di potere dei della Torre tra politica comunale e interessi familiari. Un documento inedito del 1270, “Nuova Rivista Storica”, LXXXIX (2005), II, pp. 453-464; Luca DEMONTIS,Il tentativo di signoria di Francesco della Torre in Trezzano sul Naviglio. I documenti della canonica di S. Ambrogio (gennaio 1276), “Aevum”, LXXXI (2007), 2, pp. 485-522; Luca DEMONTIS, Giudicati e signorie: due percorsi di potere nel medioevo a confronto, “Anuario de Estudios Medievales”, 38/1 (2008), pp. 3-25; Luca DEMONTIS, Le strategie comunicative nell’affermazione del potere di Raimondo della Torre
patriarca d’Aquileia nel XIII secolo, tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Dottorato di ricerca in Storia medievale, XXI ciclo, a.a. 2007-2008, tutor Roberto Perelli Cippo.
SOMMARIO
1. Raimondo della Torre patriarca di Aquileia: ascesa e primi atti di governo. 2. La servitù di masnada e le cerimonie di affrancamento. 3. Ufficiali e ministeriali del patriarca. 4. Conclusioni.
1. RAIMONDO DELLA TORRE PATRIARCA DI AQUILEIA: ASCESA E PRIMI ATTI DI GOVERNO
La nomina alla dignità patriarcale di Raimondo della Torre1 alla fine
del 1273 non giunge inaspettata, ma segna una tappa decisiva a coronamento di una brillante carriera ecclesiastica cominciata come arciprete nella prestigiosa sede di Monza e come vescovo di Como.
La scelta di papa Gregorio X di nominare Raimondo principe-patriarca di Aquileia è dovuta essenzialmente alle sue doti e ai suoi meriti di politico, diplomatico, uomo di chiesa e abile comunicatore. L’intensa attività di diplomatico, iniziata fin da quando era stato nominato vescovo, nel 1265 porta a un grande successo con l’allargamento della Lega Guelfa a numerosi comuni e signori dell’Italia settentrionale. Raimondo diventa un efficace propagandista e costruttore della figura pubblica dei parenti, signori di Milano, di Carlo d’Angiò e del papa, attività finalizzata non solo ad attirare nella Lega quante più nuove forze possibili, ma anche alla costruzione della propria immagine.
Prima ancora di mettere piede nei territori del suo principato, il patriarca Raimondo riesce a dirimere le controversie con i principi confinanti e le vertenze commerciali con la Repubblica di Venezia inviando alcuni suoi ufficiali nella primavera del 1274.
Questi successi diplomatici degli inviati del patriarca servivano non solo a risolvere la difficile situazione seguita alla morte del precedente principe Gregorio da Montelongo, ma anche per dimostrare ai sudditi del patriarcato la potenza e la decisa politica del nuovo patriarca Raimondo della Torre e per far attendere favorevolmente il suo arrivo.
2Marcantonio NICOLETTI,Patriarcato d’Aquilegia sotto Castone della Torre, ms. in Archivio di Stato di Udine, Fondo Della Torre–Valsassina, b. 1, pp. 71-72; Francesco DI MANZANO, Annali del Friuli ossia raccolta delle cose storiche appartenenti a questa regione, III, dall’anno 1231 dell’êra volgare all’anno 1310, Udine, 1860, p. 103.
3 Thesaurus Ecclesie Aquilegensis, ms. in Archivio di Stato di Udine, Fondo Patriarcato di Aquileia, b. 1., p. 205, doc. n. 447 (1274).
Fin da queste prime operazioni di carattere politico il patriarca si servì di parenti e di persone di fiducia che facevano capo all’entourage della consorteria torriana e che arrivavano nei territori del patriarcato nella veste di ufficiali del principe: procuratori, notai e diplomatici lombardi, esecutori e costruttori dell’egemonia dei della Torre in diverse città dell’Italia settentrio-nale.
Una certa “costruzione d’immagine” viene quindi non solo messa in atto da Raimondo nelle apparenze esteriori, ma sostanziata con concrete azioni di “buon governo”.
Solo allora era il momento più propizio per raggiungere di persona il suo principato. Il viaggio, non privo di finalità propagandistiche, ebbe inizio da Milano il 19 luglio 1274. Dopo due settimane il patriarca Raimondo con un maestoso corteo faceva ingresso nei territori del patriarcato di Aquileia salutato con grande gioia e acclamato padre della patria da tutti i suoi sudditi. Nei giorni seguenti, prima ad Aquileia e poi anche a Cividale, secondo un’antica cerimonia, prese legittimo possesso del patriarcato dalle mani dei suoi nobili ministeriali2.
I domini del patriarcato di Aquileia, estesi a tutto il Friuli, all’Istria ed oltre, apparivano molto diversi dal paese d’origine del patriarca Raimondo della Torre: erano terre con scarsa popolazione e con spazi incolti e boschi estesissimi. Le comunità cittadine erano poche e dovevano difendere la propria autonomia dalle mire della nobiltà friulana. Quest’ultima possedeva in allodio o per fedeltà vassallatica al patriarca vaste estensioni di terra e disponeva di una numerosa servitù di masnada.
2. LA SERVITÙ DI MASNADA E LE CERIMONIE DI AFFRANCAMENTO
Fino all’arrivo del patriarca Raimondo l’emancipazione dei servi aveva riguardato pochissimi casi. A partire dal 1274 alcuni signori friulani cominciarono a donare dei servi di masnada alla Chiesa di Aquileia e al patriarca.
“Item .MCCLXXIV. Magister Valterus notarius de Civitate Austria, canonicus Civitatensis, habens ad hoc auctoritatem a Rodulpho juniore de Savorgnano, libere refutavit et dedit in manibus domini patriarche Raymundi Sinivissiam de Sedili et Johannem, Martinum et Nicolaum filios, et Adheleytam, Foscham, Helenam et Justam filias dicte Sinivissie, nec non Mayucium et Jacobum filios Adheleyte predicte servos et homines et feminas dicti domini Rodulphi”3;
4Thesaurus Ecclesie Aquilegensis cit., p. 208, doc. n. 456 (1280). 5Thesaurus Ecclesie Aquilegensis cit., p. 218, doc. n. 493 (1296). 6Thesaurus Ecclesie Aquilegensis cit., p. 218 n. 494 (1296).
7Thesaurus Ecclesie Aquilegensis cit., pp. 220-21, doc. n. 504 (1286).
8Claudio FIOCCHI,Dispotismo e libertà nel pensiero politico medievale. Riflessioni all’ombra
di Aristotele (sec. XIII-XIV), Bergamo, 2007, pp. 16-17. Sull’argomento si veda anche March BLOCH,La servitù nella società medievale, Firenze, 19752 e il più recente Francesco PANERO,
Schiavi, servi e villani nell’Italia medievale, Torino, 2000.
“Item .MCCLXXX. Ciuttus Cirioli de Glemona, procurator Griffittussii, filii quondam domini Gliriis de Arthenea, procuratorio nomine ipsius, assignavit et dedit domino patriarche Raymundo Benevenutum de Arthenea et Subettam eius filiam, servos Griffittussii, quos donaverat Ecclesie Aquilegensi”4; “Item .MCCXCVI. Dyepoldus de Tricesimo, nuntius ad hoc constitutus, assignavit domino patriarche Raymundo Elisabeth dictam Betham, filiam olim Margarete de Tricesimo, Tresemanam filiam, Johannem et Sabadinum filios suos manumissos et relictos Ecclesie Aquilegensi per dominum Ottonem de Tricesimo, cuius erant de masnata”5;
“Item eodem millesimo. Dominus Radius, datus ad hoc nuntius, presentavit domino patriarche Raymundo Johannem filium quondam Dominici de Tricesimo manumissum et relictum dicte Ecclesie per predictum dominum Ottonem”6;
“Item .MCCLXXXVI. Laurentius de Plait de Osopio, procurator substitutus ad infrascripta per Rodulphum de Osopio, procuratorem domini Manussii de Subcolle, refutavit et manualiter dedit domino patriarche Raymundo Meloram feminam ipsius domini Manussii, filiam quondam Biliose de Subcolle commorantem in Carpaco et filios eius, videlicet Philippum, Petrum, Martinum, Jacobum et Pertham fratres, et omnes heredes ex ipsis descenden-tes quos ipse dominus Manussius manumiserat”7.
Il passaggio di un servo da un signore alla Chiesa assumeva il significato ben preciso di emancipazione dalla servitù e di passaggio a una condizione di libertà. Poiché si trattava di un cambiamento di status sociale e giuridico, l’affrancamento doveva avvenire con un atto esterno visibile che si concretiz-zava in una cerimonia e con la concomitante redazione di un instrumentum che sancisse la nuova posizione dell’ex servo di masnada nel contesto sociale.
La questione sulla naturalità o meno della servitus era una costante di tutta la storia medievale: i più grandi intellettuali e i padri della Chiesa formularono pensieri diversi e a volte contrastanti, ma non privi di argomenta-zioni a sostegno delle loro tesi. Anche il termine servus assumeva valenze e significati differenti a seconda del periodo. Spesso il termine veniva utilizzato anche in senso figurato dai signori nei confronti del principe e dallo stesso pontefice, in questo caso con esplicito riferimento alle Sacre Scritture. Come è noto, questo termine possiede una gamma assai ampia di riferimenti sociali: raramente indica lo schiavo, ma assai più spesso indica persone che dipendono a vari livelli da altre, che si trovano in una posizione di subalternità rispetto a un signore. Per esprimere questo stesso concetto si utilizzavano sempre più spesso espressioni come “uomo di”, sottintendendo legami di natura servile8.
9Vedi Documenti, doc. n. 1 (1295 agosto 10, Udine).
10La Politica di Aristotele, la cui traduzione era stata completata verso il 1260, legittimando come naturale la servitus, si inseriva nel più ampio dibattito sviluppatosi già nel periodo precedente: ci si era già interrogati sulla liceità del matrimonio, del sacerdozio e della vita consacrata per i servi. Le limitazioni giuridiche sembravano infatti scontrarsi con il diritto naturale e con un sacramento della fede cristiana. La tesi più accreditata dai Padri della Chiesa distingueva tra la natura edenica e le necessità successive alla Caduta La servitus era una punizione e allo stesso tempo un rimedio contro la malvagità umana. La riflessione della Chiesa andava attenuando questa concezione, invitando alla manumissio: un invito che non andrà perso nei commentatori, come nel caso di Nicole Oresme (Robert e Alexander CARLYLE, Il pensiero politico medievale, 4 voll., Bari, 1956-68, I, pp. 215-229; 446-447; C. FIOCCHI,Dispotismo e libertà cit., p. 17).
11Vedi Documenti, doc. n. 1 (1295 agosto 10, Udine). Nel 1295 il parlamento del Friuli, alla presenza del patriarca Raimondo della Torre, prendeva decisioni in merito al matrimonio tra servi e liberi della Chiesa di Aquileia.
8R. LAMBERTINI,Lo studio e la recezione della Politica tra XIII e XIV secolo, in Il pensiero
politico. Idee, teorie, dottrine, a c. di Carlo DOLCINI, I, Età antica e medioevo, Torino, 1999, pp. 144-173, in particolare p. 150.
9C. FIOCCHI,Dispotismo e libertà cit., p. 18.
14C. FIOCCHI,Dispotismo e libertà cit., pp. 18, 42-50.
Nella documentazione patriarcale ricorre in proposito il termine homo de masnata9. La servitus non solo è accettata10, ma è anche disciplinata dal diritto
con vere e proprie decisioni delle istituzioni11.
L’invito del papa alla manumissio era stato recepito ma mi pare interessante dare uno sguardo anche alle teorie dei grandi intellettuali appartenenti agli ordini mendicanti: si può percepire quali importanti posizioni potevano influire sul pensiero del patriarca Raimondo e, soprattutto, a quale di queste egli abbia dato veramente ascolto nella sua politica e nel suo operato. Alberto Magno si era pronunciato appena qualche anno prima della lettura della Politica. Egli sosteneva la naturalità della servitus in quanto conseguenza del peccato originale: questa infatti avrebbe tentato di ricreare un ordine in un mondo turbato dal peccato e sarebbe stata naturale solo in quanto conseguenza necessaria dell’adattamento alla nuova situazione12. Tommaso
d’Aquino, nell’opera sulle Sentenze, riproponeva la tesi albertina di una naturalità della servitus, ma aggiungendo un ventaglio di diritti naturali propri del servo e inattaccabili dal diritto positivo, poiché quest’ultimo deriva dal diritto naturale. Bonaventura da Bagnoregio era di parere differente: la servitus non poteva essere naturale perché assente nello stato edenico in quanto coercitiva13
Nella giurisprudenza la servitus risultava legata alla condizione fisica e perciò ereditabile di madre in figlio; così avveniva perché è la madre a fornire la sostanza del corpo14.
Tuttavia il diritto poteva intervenire a modificare questa consuetudine, spesso a causa di fattori esterni: il parlamento del Friuli stabiliva norme riguardanti i figli nati da matrimoni misti di servi di masnada e liberi con un
15Vedi Documenti doc. n. 1 (1295 agosto 10, Udine).
16“quod si unus homo de masnata acceperit in uxorem unam feminam Aquilegensis Ecclesie et secum habuerit heredes, dicti heredes debent esse totaliter Aquilegensis Ecclesie”, ibid. 17“... medietas sit Ecclesie Aquilegensis et altera medietas illius domini cuius pater est servus”, ibid.
18Vedi Documenti, doc. n. 2 (1282 luglio 22, Cividale).
19“... notum fore volumus universis tam presentibus quam futuris”, ibid.
atto del 10 agosto 1295 sottoscritto dal notaio Osvaldo “Pitta” de Budrio15.
L’impressionante numero dei testimoni citati in apertura e la loro importanza ci fa capire la solennità della seduta: oltre al patriarca Raimondo vi figurano il vescovo di Concordia, quattro abati, tre prepositi, un arcidiacono, un decano, tre canonici, undici aristocratici definiti nobiles e altri sedici definiti domini, dodici cittadini aquileiesi definiti discreti viri, di cui cinque notai, e due saggi (sapientes).
Le deliberazioni che vengono prese “in colloquio generali” sono caratterizzate dalla unanimità (“nemine discrepante”). La norma che viene approvata definisce lo stato giuridico dei figli nati nel matrimonio tra un servo di masnada e una donna appartenente alla Chiesa di Aquileia. Nel documento nessun cambiamento è segnalato a proposito dello stato giuridico dei contraenti, che evidentemente permane immutato. L’attenzione è concentrata sui figli, i quali devono appartenere totalmente alla Chiesa di Aquileia16,
quindi godere della condizione di liberi. Se però questi eredi vengono cresciuti fino all’età adulta attingendo ai beni di colui che è servo, devono essere divisi in modo che per metà appartengano alla Chiesa di Aquileia e per l’altra metà al padrone di quel servo di masnada17.
Dal documento si evince con tutta evidenza la prospettiva economica nella valutazione dei figli, considerati anche sotto l’aspetto della forza-lavoro: una risorsa su cui esercitare i diritti di rivendicazione appena essi fossero cresciuti. Lo stesso criterio scelto per la loro attribuzione a una parte o all’altra, più che basarsi su norme di diritto, sembra consistere su calcoli di natura economica: nutrire dei figli appare come un investimento fatto allo scopo di usufruire in seguito della loro attività lavorativa.
Ogni volta che si verificava una circostanza del genere, cioè quando una donna appartenente alla Chiesa di Aquileia sposava un servo di masnada che apparteneva, perciò stesso, a un proprietario esterno alla Chiesa, probabilmente c’era bisogno di una particolare autorizzazione del patriarca. Prima dell’approvazione della norma da parte del parlamento era necessario raggiungere un accordo tra le parti sulla destinazione dei figli dei futuri sposi. Un accordo simile - riguardante però la fedeltà e non la proprietà dei figli, perché si trattava di nobili ministeriali - avveniva anche quando una donna della domus aquileiese sposava un ministeriale di un altro signore, come è testimoniato dal documento redatto a Cividale il 22 luglio 128218. Dopo
l’intitulatio c’è una dichiarazione di notorietà e perpetuità19. Il patriarca
20“Ita quod proles quam eos simul habere contigerit sive mares sive femine fuerint inter nos seu successores nostros et dictum comitem seu heredes ipsius equaliter dividatur” (ibid.). La decisione faceva parte degli accordi del 1281 tra il patriarca e il conte di Gorizia, presieduti dagli arbitri Mainardo conte del Tirolo e Gerardo da Camino; vedi anche PioPASCHINI, Raimondo della Torre patriarca d’Aquileia, “Memorie Storiche Forogiuliesi”, XVIII (1922) , pp. 45-136, in particolare p. 88 [da adesso in poi P. PASCHINI,Raimondo della Torre cit.].
21Sulla promozione sociale e politica di diversi elementi della pars populi che sostengono i della Torre nella loro ascesa al potere a Milano vedi Paolo GRILLO, Milano in età comunale.
Istituzioni, società, economia (1183-1276), Milano, 2001; L. DEMONTIS,Fra Cortenuova e Desio cit., pp. 1-18.
di Cuccagna, concede “de gratia speciali” ad Almotta, figlia del defunto Cuvarnerio di Cuccagna, la licenza di contrarre matrimonio con Andrea de Peuma, ministeriale del conte di Gorizia Alberto.
I figli che avranno insieme, sia maschi che femmine, saranno divisi equamente tra il patriarca e il conte20. Il documento si chiude con la roboratio
e la data topica e cronica. Una copia era sicuramente destinata al conte di Gorizia, visto che erano in gioco interessi comuni.
Perché il parlamento si riunisce per prendere una simile decisione solo alla fine del Duecento e non prima? In che modo la mentalità di Raimondo vescovo, politico e cittadino di un comune come Milano ha modificato la realtà del suo nuovo principato? Quale processo o inversione di tendenza ha preso corpo con l’ascesa alla sede aquileiese del patriarca di origine milanese? Anche se la giurisprudenza non esprimeva una codificazione dettagliata, tale decisione va soppesata in base alla situazione contingente e all’azione del patriarca fin da quando giunse al potere. Di sicuro la nuova codificazione in proposito non va considerata come semplice amore per il diritto, ma più probabilmente come una risposta favorevole a una sollecitazio-ne immediata di un signore confinante che aveva stretti legami e grandi interessi nel patriarcato.
Alla base della situazione creatasi però c’era l’azione del patriarca Raimondo: nel 1295 erano passati ormai più di venti anni dall’inizio delle liberazioni in massa dei servi di masnada, e le unioni tra servi ed ex servi, come quelle tra ministeriali di due potenti signori, dovevano essere molto più frequenti. Il patriarca sente quindi il bisogno di regolare giuridicamente una situazione che ormai non doveva essere più infrequente nel territorio del patriarcato.
Studiare i documenti relativi a questo fenomeno porta a un duplice filone d’indagine: non solo serve a documentare se e quanto consistente fosse il flusso della mobilità sociale in un periodo in cui esso in un altro contesto e per alcune categorie è già stato riscontrato21, ma si presta anche per vedere
cioè come l’affrancamento dei servi di masnada sia stato impiegato come un mezzo efficace da Raimondo della Torre per attuare le sua comunicazione nell’affermazione del potere di principe.
Dai documenti appare che la cerimonia dell’affrancamento di un servo di masnada, al pari di una cerimonia d’investitura feudale, era usata da lui come un catalizzatore di consenso che finiva col porre al centro di tutto la
22Vedi Documenti, doc. n. 3 (1283 maggio 12, Tolmino).
23Ufficiale e uomo di fiducia di Raimondo, milanese, giunto al seguito del patriarca in Friuli. Prova di questa fiducia è il fatto che Guidotto de Tenebiago ricopriva l’incarico di gastaldo di una città di confine, Tolmino; su di lui e sulla sua famiglia vedi L. DEMONTIS, Le strategie comunicative cit., pp. 194-195. Anche i notai che rogano e sottoscrivono l’atto, Maifredo di Alberto de Baradello e Martino di ser Giuliano Brugni del borgo di Carate, appartenevano a famiglie di “popolo” molto legate ai della Torre. Mentre Alberto de Baradello aveva ricoperto importanti incarichi in Lombardia, spesso come vicario di Napoleone della Torre, i Brugni non occupavano in Lombardia incarichi di rilievo. Questi ultimi, giunti nei territori del patriarcato, si integrano perfettamente nella locale aristocrazia. Lo testimonia la presenza e gli incarichi ricoperti da alcuni membri della famiglia in numerosi atti del patriarca Raimondo. Il notaio Martino Brugni ebbe l’investitura a gastaldo di Cividale il 25 aprile 1291 per 55 marche, e due giorni dopo riceveva anche l’investitura di avvocato della stessa città per 16 marche. Erano cariche molto ambite. L’avvocato esercitava la bassa giustizia, mentre l’alta giustizia spettava al gastaldo. In ogni processo una parte della multa che il reo era tenuto a pagare andava a chi esercitava la giustizia. Allo stesso tempo il patriarca aveva bisogno di denaro e di persone di fiducia che lo rappresentassero degnamente. La somma totale da pagare era di 71 marche d’argento, in entrambi i casi pro honorantiis.Ambedue gli uffici duravano un anno, a cominciare sempre dalla passata festa di S. Giorgio (23 aprile). Un altro membro della famiglia Brugni, Andalò, era procuratore del monastero di S. Chiara a Gemona. Il 13 luglio 1297 vendette per conto del monastero un manso sito in Treppo a Bernardo di Ragogna, decano della Chiesa di Cividale, che agiva nell’interesse di Bernardo e Matteo detto Pezmanno, figli di suo fratello Matteo. Anche Andalò Brugni godeva della piena fiducia del patriarca: era infatti capitano di Gemona. Nel 1288 comprò a nome del patriarca un campo a Buandris presso Gemona per 34 denari. Il 2 marzo 1292 venne investito da Raimondo della Torre di una braida a Gemona con l’onere di pagare la metà di quanto vi fosse nato. Il 25 luglio 1298 Filippino di Andalò Brugni fu investito di una casa con caneva posta sulla piazza di Gemona, con l’onere di pagare a Natale una marca e 40 denari, vediPioPASCHINI, Raimondo della Torre patriarca d’Aquileia, “Memorie
Storiche Forogiuliesi”, XXI (1925), pp. 19-71, in particolare pp. 27, 67 e n. 2 [da adesso in poi P. PASCHINI,Raimondo della Torre patriarca d’Aquileia cit.].
24 “... dimisit Iohannem filium condam Ropreti ... liberum et absolutum ab ipso Artuicho dicto Pulicho et a suis heredibus usque in perpetuum”, vedi Documenti, doc. n. 3 (1283 maggio 12, Tolmino).
figura del patriarca, più che quella del servo affrancato. Accogliere un servo nella comunità degli homines Ecclesie di Aquileia con una cerimonia dimostrava palesemente e senza ambiguità che il patriarca non soltanto si occupava della sua gente con decreti che riguardavano categorie collettive e comunità del patriarcato, ma che si prendeva cura dei singoli e ne accompag-nava la promozione sociale, ben sapendo di promuovere contestualmente anche la sua immagine.
Tra la documentazione rinvenuta, due atti descrivono l’affrancamento di Giovanni de Plez secondo una ben precisa cerimonia che segue alcune fasi distinte.
L’atto del 12 maggio 128322 descrive la prima fase, che ha luogo a
Tolmino. Alla presenza di alcuni testimoni, tra i quali Guidotto de Tenebiago23 gastaldo della città, Artuico detto Publico di Tolmino, davanti alla
moglie Rioza e al fratello Sibrido e col loro consenso, lascia libero Giovanni figlio del fu Ropreto, che era di sua proprietà, con una formula caratterizzata dalla perpetuità24. Seguendo la cerimonia, Artuico prende Giovanni per mano
25 “... predictus Artuichus dictus Pulichus accepit ipsum Iohannem per manum dexteram nomine et vice domini Raymundi de Laturre reverendi patris sancte sedis Aquilegensis patriarche et predicte Ecclesie”, ibid.
26Vedi Documenti, doc. n. 4 (1285 febbraio 15, Cividale). 27Ibid.
28Alcune volte l’atto di pietà del padrone verso il servo non andava oltre il gesto formale: per non perdere preziose risorse umane i signori mantenevano l’affrancato a propria disposizione e lo dotavano di alcuni beni, vedi MauroBACCI,I ministeriali del patriarcato di Aquileia, Padova, 2003, p. 50, n. 95.
29Mauro Bacci evidenzia delle distinzioni tra ministeriali e uomini di ministero: appartengono legalmente alla Chiesa in una posizione oscillante tra la servitù e la completa libertà; cambia solo il ruolo e le condizioni del servizio svolto. Mentre i primi erano cavalieri ben remunerati con beni a vario titolo, gli altri erano artigiani con mansioni meccaniche e precarie. Si trattava quindi di due condizioni separate, anche se complessivamente si può parlare di “un’omogeneizzazione della loro condizione di servitori signorili in graduale emancipazione”, vedi M.BACCI, I ministeriali
cit., p. 51. Sull’argomento vedi anche PaoloCAMMAROSANO,FlaviaDE VITT,DonataDEGRASSI, Storia della società friulana. Il Medioevo, Tavagnacco, 1988, pp. 150-151.
30Vedi Documenti, doc. n. 5 (1291 gennaio 8, Prampergo).
31“…ipse dominus Leonardus confessus fuit se habere in feudo ab ipso Ulvino...”, ibid.
e lo consegna al gastaldo della città, che lo riceve a nome del patriarca Raimondo della Torre e della Chiesa di Aquileia25.
Da quel momento in poi Giovanni si era lasciato alle spalle la servitù ed era sotto la tutela della Chiesa, anche se la cerimonia avrebbe avuto il suo pieno compimento due anni più tardi in Civitate Austria in lobia patriarchali26. L’instrumentum del 15 febbraio del 128527, che riporta i fatti contenuti
nel precedente atto, descrive anche la seconda fase della cerimonia di affrancamento: il gastaldo accompagna Giovanni tenendolo per mano; lo consegna quindi nelle mani del patriarca Raimondo che lo riceve, secondo la formula d’uso, a nome proprio e della Chiesa Aquileiese. La manumissio era conclusa: Giovanni de Plez era stato emancipato dallo stesso patriarca davanti alla comunità di Cividale.
L’affrancamento dei servi di masnada da parte di un signore non sempre si risolveva in un passaggio effettivo alle dipendenze della Chiesa di Aquileia28. Coloro che pervenivano effettivamente in potestà della Chiesa
potevano giurare fedeltà al patriarca diventando ministeriali o ricevendo un feudo d’abitanza o di ministero29.
Un documento redatto a Prampergo nel mese di gennaio del 129130
tratta dell’affrancamento di una donna di masnada data in feudo, fatto in un luogo pubblico (ante portam castri Pampergo), ma non davanti a una chiesa, alla presenza di testimoni che provengono da diversi centri: S. Daniele, Tricesimo, Gemona, Arlanca. Poiché la donna è appartenuta a diversi padroni, occorre che ognuno di loro dichiari di rimetterla in libertà. Leonardo de Legio, detto Francolino, rinuncia a qualsiasi diritto che ha su Viuta de Murmio e riconsegna la donna a Ulvino de Vendoio da cui l’aveva avuta in feudo31; allo stesso modo Ulvino riconsegna la donna nelle mani di Detmaro
32Ibid.
33Trattandosi di “beni” ereditari ci vuole il consenso degli aventi diritto, come si era già verificato per l’affrancamento di Giovanni de Plez, vedi Documenti, doc. n. 3 (1283 maggio 12, Tolmino).
34Così appaiono alcune investiture fatte dal conte di Gorizia direttamente o tramite nunzio o da Artuico: vedi L. DEMONTIS,Le strategie comunicative cit., docc. n. LXI (1282 maggio 26,
Aquileia), LXXXI (1286 maggio 27, Gorizia), CXLIII (1296 aprile 1, Gorizia), CLXIII (1298 marzo 12, San Tommaso).
35Vedi Documenti, doc. n. 5 (1291 gennaio 8, Prampergo).
de Vendoio, da cui l’aveva ricevuta in feudo32. Infine Detmaro a sua volta a
nome degli eredi e della casata33 immette nella condizione di libera Viuta e i
suoi eredi già nati o che nasceranno, come se fosse nata da padre e madre liberi, rinunciando ai diritti sui beni che ella possiede o che spera di avere. La promessa di Dietmaro si accompagna a una penale d’inosservanza di 20 marche d’oro.
Questo documento non riporta cosa sia stato di Viuta dopo l’affrancamento, anche perché non si tratta di una persona destinata ad essere accolta nella Chiesa aquileiese. Mentre per i servi di masnada che venivano consegnati nelle mani del patriarca o di un suo rappresentante era facile prevedere un’attività al servizio della Chiesa di Aquileia una volta acquisita la condizione di liberi, non lo era altrettanto per gli altri. In ogni modo, aver ottenuto l’affrancamento permetteva anche ai figli di Viuta di essere considerati di condizione libera.
Il documento esaminato si presta per un confronto tra le modalità dell’affrancamento dalla condizione servile attuate dalla Chiesa di Aquileia e quelle di altri signori.
Dal confronto dei documenti sembra emergere la stessa differenza che si nota tra alcuni atti di investitura fatti dal patriarca e quelli attuati da un altro signore. Mentre questi ultimi, come è stato già rilevato, si limitano a riportare il formulario burocratico34, i primi si svolgono in una cerimonia di cui si
descrivono gesti e oggetti portatori di significati simbolici e in cui l’attenzione è incentrata sulla figura del patriarca.
Così avviene nell’affrancamento di una persona. Quando esso si verifica al di fuori dell’ambito della Chiesa di Aquileia, il documento che lo descrive si limita alle dichiarazioni di rito (refutavit et dedit omne ius, omnemque actionem et rationem...)35 da fare in un luogo pubblico e alla
presenza di testimoni che sembrano interpellati sul momento: si tratta, insomma, di un atto formale da cui sono assenti altre connotazioni.
Quando invece l’affrancamento riguarda una persona destinata alla Chiesa di Aquileia, diventa una circostanza cui dare ulteriori significati: Raimondo della Torre dà molto risalto alla cerimonia con cui si svolge, perché vuole che essa veicoli gli stessi messaggi che venivano affidati alle cerimonie di investitura. Da queste cerimonie, rese volutamente solenni, doveva emergere in modo positivo la sua figura di principe-patriarca che sapeva utilizzare il potere in favore dei sudditi. Nel caso delle cerimonie di
36Alla presenza del patriarca “in lobia palatii domini patriarche Aquilegensis qui est super
flumen Liquentie” il 25 aprile 1297 avviene l’affrancamento di Manfredina figlia di Ardemanno di Fratta: Alessandro pievano di S. Tommaso di Caneva la dona alla Chiesa di Aquileia con tutto il suo peculio. Testimoni sono Mosca della Torre, i pievani Folchero di Frassian e Nicolò de Leobaco di Gorrach, Andalò Brugni di Milano, vedi P. PASCHINI,Raimondo della Torre patriarca d’Aquileia cit., p. 36.
37Vedi Documenti, doc. n. 6 (1290 gennaio 30, Cividale). 38“ante fores Sancti Donati Maioris Ecclesie Civitatensis”, ibid. 39Vedi Documenti, doc. n. 7 (1293 giugno 22, Udine).
affrancamento egli appariva come un signore che si faceva garante del miglioramento dello status sociale degli abitanti del patriarcato, del benessere delle persone affidate a lui, rispetto alla condizione precedente. Lungi dal limitarsi a un atto burocratico, la cerimonia di emancipazione assumeva agli occhi dei servi di masnada il significato di un approdo in un luogo sicuro, nel quale, grazie al patriarca, si aprivano nuove prospettive per la loro vita. Era proprio questo messaggio che Raimondo voleva diffondere tra i sudditi.
La cerimonia di affrancamento viene quindi abilmente sfruttata da Raimondo ai fini della costruzione della sua immagine: viene celebrata in un luogo scelto, “in lobia patriarchali in Civitate Austrie”, e alla presenza di testimoni ad hoc vocati, scelti tra le persone che godono della sua fiducia36.
Con Raimondo della Torre l’affrancamento di una persona dallo stato servile viene realizzato tornando idealmente ai gesti delle mani che l’accompagnavano nell’antichità, secondo il significato stesso della parola manumissio.
Il documento rogato a Cividale il 30 gennaio 1290 riporta il giuramento di un uomo di masnada: alla presenza di importanti testimoni, il decano Bernardo di Ragogna e suo fratello Odolrico, Sivrido detto Castaldot-to, uomo di masnada degli eredi di Mattia di Ragogna, giura fedeltà e lealtà al figlio di lui Bernardino: iuravit fidem et legalitatem Bernardino filio quondam dicti domini Mathie de conservando personam ipsius Bernardini et bona sua tamquam suis prius homo de masnata37. In questa formula, anche se
espressa in tono minore e poco articolata, sembra di cogliere l’eco della formula dei solenni giuramenti dei vassalli o dei vescovi suffraganei al patriarca: come l’aristocratico giurava tamquam vassallus domino suo, così il servo giurava tamquam homo de masnata, senza togliere nulla alla sacralità dell’atto che, non a caso, è compiuto davanti a una chiesa38. Anche se nell’atto
è scritto che Sivrido giurò contentus, e benché il giuramento prestato lo ponga almeno per un momento al livello delle persone libere, la sua condizione di appartenenza a un altro (homo alterius) gli impedisce di godere di molte prerogative degli uomini di libera condizione.
Un documento del 22 giugno 1293 redatto a Udine39 ci fa conoscere
un fatto singolare: il patriarca Raimondo annulla una investitura già fatta perché il titolare risultava essere un servo di masnada. Sigardo, fabbro abitante in Udine, è costretto (anche se nel testo si dice che lo fa propria voluntate) a rassegnare nelle mani del patriarca un’area di terreno con edifici sita presso il fossato della città di Udine che aveva ricevuto da lui ad fictum
40Ibid.
41“... intromittere non debeat de cetero cum sit homo de masnata dominorum de Cucanea”,
ibid.
42“... nullus homo alterius terram infra fossata Utini habere possit”, ibid.
43“... dicens quod tempore quo investivit eundem de ipsa terra de conditione ipsius Sigardi nihil sciebat imo ipsum hominem domus Aquilegensis esse crederat”, ibid.
44Investire un servo di masnada avrebbe comportato, tra l’altro, richiedere un giuramento di fedeltà a un uomo che era già vincolato con giuramento a ubbidire al signore cui apparteneva: una situazione che avrebbe potuto causare prevedibili motivi di contrasto tra le parti.
45M. BACCI,I ministeriali cit., pp. 111-112.
Aquilegensem40 al prezzo di 48 denari all’anno. Il patriarca subito dopo investe
di quella stessa area il fabbro Lucio alle stesse condizioni.
E’ curioso che il notaio che ha redatto l’atto, sicuramente per ordine del patriarca, dopo l’escatocollo esponga le ragioni che hanno indotto Raimondo ad annullare l’investitura. Probabilmente la circostanza particolare suggeriva un intervento chiarificatore sull’errore commesso.
Lo stesso giorno, nello stesso luogo e alla presenza degli stessi testimoni, si legge nell’atto, il patriarca Raimondo ribadisce l’ordine rivolto a Sigardo di non prendere possesso del predetto terreno, in quanto egli risultava essere un servo dei signori di Cuccagna41. Il motivo di fondo che
impedisce a Sigardo di essere investito è che nessun uomo che appartenga ad altri può avere in possesso un’area all’interno della città42 e che quando il
patriarca lo aveva investito di quella terra non sapeva nulla della sua condizione di servo, anzi, credeva che appartenesse alla Chiesa di Aquileia43.
Questa precisazione ci fa cogliere la differenza esistente tra l’essere un servo di masnada di un signore qualsiasi e l’appartenenza alla Chiesa aquileiese: varcata la soglia che separava le due condizioni il servo emancipato acquisiva i diritti propri della condizione di libero, anche quella di ricevere investiture feudali44. Nel 1277 il nobile ministeriale Walterpertoldo de Spilimbergo offre
il servo Benevenuto alla Chiesa di Aquileia. Nel documento pubblico redatto a seguito della cerimonia di affrancamento viene messo bene in evidenza che il nuovo ministeriale deve considerarsi di condizione pari agli altri, anche allo stesso Walterpertoldo45.
Oltre a documenti che trattano dell’argomento a livello di casi individuali, come si è visto per l’affrancamento, ne esistono altri che riguardano il problema nei suoi aspetti sociali più ampi, soprattutto in relazione alla mobilità dei servi da un padrone all’altro e ai matrimoni tra persone di condizione diversa e alla prole che poteva derivarne.
46Vedi Documenti, doc. n. 8 (1281 ottobre 5, Gorizia).
47I ministeriali del patriarcato di Aquileia di fine Duecento si trovavano in una condizione che può apparire simile, ma in realtà diversa. Erano infatti strettamente legati al feudo concesso in cambio dei loro servigi, ma ciò che poteva essere ceduto, ereditato, venduto erano i loro servigi e la loro fedeltà. Il giuramento di fedeltà loro richiesto era posto sullo stesso piano di quello di un vassallo. Allo stesso modo si può intendere la spartizione della prole derivante da due ministeriali di due signori differenti; così pure il permesso di sposarsi poteva essere dato o meno dal patriarca in base al calcolo politico. Avevano accesso anche alla carriera ecclesiastica e potevano addirittura diventare vescovi, come nel caso di Guarniero di Cuccagna, presule di Trieste a partire dal 1254, vedi M. BACCI,I ministeriali cit., p. 115.
48“... et dedit eis predictus Drusman predictis filiis suis omnes et feminas atque viros quos habebat de massnata”, vedi Documenti, doc. n. 8 (1281 ottobre 5, Gorizia).
49Vedi Luca DEMONTIS,Aspetti della politica interna ed estera del comune di Milano nell’età
dei della Torre (1250-1277), tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, a. a. 2003-2004, relatore R. Perelli Cippo, pp. 65-66; GiorgioGIULINI, Memorie
spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e campagna di Milano nei secoli bassi, V, Milano, 1854-1857(2), p. 612.
50Al pari ad esempio della liberazione di servi messa in atto dai comuni di Vercelli nel 1243 e di Bologna negli anni 1256-57.
Dal documento datato 1281 ottobre 5, Gorizia46, risulta che i servi di
masnada erano trasmissibili per eredità47. In questo instrumentum Drusmanno
de Mosa distribuisce ai figli Enrico e Ugone dieci mansi e gli uomini e le donne di masnada che possiede48.
Nei documenti che descrivono la cerimonia di manomissione dei servi di masnada non è presente alcun preambolo o arenga che faccia riferimento al pensiero del patriarca Raimondo sulla servitù. Negli stessi documenti niente fa supporre che Raimondo non accetti l’esistenza di fatto della servitù di masnada nel contesto sociale, ma è lecito pensare che non considerasse la servitus come qualcosa di naturale, diventando il principale promotore dell’invito all’affrancamento lanciato dal papa.
Del resto Raimondo della Torre non poteva non conoscere i grandi pensatori del suo tempo, coloro che dibattevano sui temi cari alla Politica di Aristotele, data la celebrità di cui godevano. E soprattutto il francescano Bonaventura da Bagnoregio con cui si era incontrato personalmente a Lodi e a Milano in occasione della visita del papa Gregorio X nel mese di ottobre 1273, diretto al concilio di Lione. Erano stati infatti proprio Raimondo e Manfredo della Torre ad accogliere per primi il papa e il celebre teologo appena il fastoso corteo aveva passato il Po49.
Tuttavia i documenti in questione, attenti a descrivere gli aspetti cerimoniali dell’affrancamento, tacciono sulle motivazioni che spingevano il patriarca e la Chiesa di Aquileia a porsi —questo sì, appare chiaramente— come un porto d’arrivo per chi aspirava a passare dalla condizione di servo a quella di libero. E’ una posizione da tutti riconosciuta: i servi destinati alla manumissio provengono dall’ambiente esterno alla Chiesa e ottengono la libertà con l’appartenenza ad essa. Anche se non si può parlare di un conseguente fenomeno generale di mobilità sociale50, è possibile considerarlo
51M. BACCI,I ministeriali cit., p. 51.
52Vedi Thesaurus Ecclesie Aquilegensis cit., p. 215, doc. n. 485 (1285): “Item .MCCLXXXV. Dominus Federicus de Petovia, frater domini Federici de Petovia, libere, pure ac sponte subjecit se dominio domini patriarche Raymundi et Ecclesie Aquilegensi, et juravit fidelitatem ipsi domino patriarche recipienti pro se et successoribus suis et Ecclesia Aquilegensi, sicut iurat vassallus et ministerialis domino suo”.
53Vedi Pio PASCHINI,Usanze feudali alla corte del patriarca d’Aquileia, “Memorie Storiche Forogiuliesi”, XVIII (1922), pp. 265-281, in particolare p. 267.
almeno come tendenza, una svolta rispetto al passato, anche per quanto riguarda la cerimonia di liberazione utilizzata da Raimondo e in seguito dai suoi successori alla sede aquileiese51. Negli aspetti pratici non cambiava quasi
nulla nella vita di un servo affrancato che non fosse destinato alla Chiesa di Aquileia: nella maggior parte dei casi restava legato alla terra e anche se giuridicamente era libero, economicamente dipendeva ancora dal vecchio padrone. Non stupisce infatti che anche alcuni uomini liberi vedano nel servizio di ministeriale e di vassallo del patriarca un’occasione per migliorare il proprio tenore di vita52.
3. UFFICIALI E MINISTERIALI DEL PATRIARCA
I ministeriali ricevevano feudi e altri privilegi in cambio della prestazioni di importanti servizi per il patriarca e il suo principato. Questi servizi erano di diversa natura: vi erano quelli legati alla guerra, e quindi alle prestazioni in armi con uno o più cavalieri per proteggere il seguito del patriarca, e quelli legati alla mensa del patriarca e alla cura dei suoi palazzi nelle diverse località del patriarcato. Non era impossibile che da un servizio ministeriale come quello di cuoco si raggiungessero cime ben più alte come l’ufficio di gastaldo patriarcale, l’investitura cavalleresca e la nobilitazione della stirpe nel giro di poche generazioni. A questo riguardo è esemplare il caso presentato nel 1259 alla curia patriarcale da Bernardo e Janiso de Braida gastaldi rispettivamente di Antro e di Cividale. Essi affermavano che il loro nonno Rainardo era stato pro coco magistro (cioè capo cuoco) alla corte del patriarca Goffredo (1182-1194); era stato ritenuto da tutti ministeriale della Chiesa di Aquileia e aveva ricevuto dei beni in feudo direttamente dalle mani del patriarca (manum feudi): ottennero il parere favorevole dei pares curiae Ermanno de Portis, Bertoldo de Tricano ed Enrico de Ipplis, i quali sentenzia-rono che i due nipoti di Rainardo habebant manum feudi e, se lo desiderava-no, potevano essere armati cavalieri53.
Un ministerium al servizio della corte per il palazzo patriarcale di Sacile era sicuramente quello legato al mantenimento e alla cura delle cavalcature: nel 1275 Marco del fu Biscoso deteneva un manso in feudum ministerii in località Malvegnudo presso Sacile con il dovere di consegnare alla Camera del patriarca un carro di fieno quando il patriarca veniva a
54Thesaurus Ecclesie Aquilegensis cit., p. 96, doc. n. 163.
55Lodovico Antonio MURATORI,Antiquitates Italicae Medii Aevi, I, (Mediolani, 1738) Bologna, 1965, col. 650 E.
56Un manso a Brazzano, dieci campi in Bottenico con due pezzi di terra, un prato a Calderges, nove campi nel territorio di Bottenico e Novacuzzo per cui pagava anche mezza urna d’olio al patriarca, vedi Thesaurus Ecclesie Aquilegensis cit., p. 80, doc. n. 125; vedi anche P. PASCHINI, Usanze feudali cit., p. 267.
57F.DI MANZANO, Annali del Friuli cit., p. 155.
58Thesaurus Ecclesie Aquilegensis cit., pp. 46-47, doc. n. 52 (1300). 59Thesaurus Ecclesie Aquilegensis cit., p. 45, doc. n. 49 (1275).
Sacile54. Forse non si trattava solo di dar da mangiare ai cavalli e alle bestie
da soma, ma c’era ben altro, se si pone l’attenzione su un servizio di qualche decennio più tardi: Sofia e Mariuzza, figlie di Nicolò Capodoglio, ottengono un fondo presso il guado del Natisone a Cividale come feudo ministeriale da Bernardo tesoriere del patriarca, con l’onere di mettere la paglia nuova nella lettiga del patriarca e di togliere quella vecchia55.
Legato agli spostamenti del patriarca e della corte era anche il ministerium capellaniae, che consisteva nell’avere cura dell’altare portatile per le celebrazioni liturgiche del patriarca e dei relativi paramenti che venivano caricati su un cavallo appositamente scelto. Il ministeriale incaricato doveva badare al cavallo e seguire il patriarca in tutti i suoi viaggi, e noi sappiamo come questi non fossero né rari né brevi nel caso di Raimondo della Torre. Al momento del suo ingresso e della presa di possesso della sede patriarcale nel 1274 Corrado Boiani di Cividale prestò il suo giuramento al patriarca riconoscendo di avere in feudo per questo ministero numerosi beni56.
Un altro servizio riguardava la corrispondenza tra il governo centrale e gli ufficiali (capitani, gastaldi e podestà) che controllavano e amministravano le periferie in nome del principe. In ogni villaggio vi erano delle terre costituenti appositi feudi ministeriali destinati a questo scopo: nel 1280 il patriarca Raimondo della Torre investiva Duringo di Premariaco “a feudo ministeriale di tutta la terra di questo ministero sita in Dorenzaco” in cambio del servigio di portare lettere57; Ugerius, notaio di Canipa, dichiarò di avere
già da tempo in feudo dalla Chiesa di Aquileia un manso e mezzo nella villa di Canipa, con le terre, i campi e i prati pertinenti, “quod quidem est fedum ministerii portandi litteras D. Patriarche, et custodiendi latrones”58. Pascolo
di Aquileia fu investito nel 1275 di un casale ad Aquileia “ante turres dominorum de Villalta” e di un campo sito “in Ronchis Aquilegie juxta Arsen” con il dovere di custodire dei boschi “et portare litteras D. Patriarche ad gastaldias Agelli et Flumiselli”59.
Il servizio di questi messi a cavallo garantiva una comunicazione stretta e costante tra il governo centrale del patriarcato e i suoi ufficiali nelle periferie: leggi e disposizioni del patriarca venivano divulgate in tutto il principato in tempi molto brevi. Il compito era facilitato dal mantenimento in efficienza della rete stradale, garantito dal maresciallo generale, che aveva la
60F.DI MANZANO, Annali del Friuli cit., pp. 79, 129-130. Alcune volte erano gli stessi aristocratici a occuparsi di tenere in efficienza alcune strade, perché era loro conveniente: nel 1298 i signori di Strassoldo, coll’aiuto del fisco, ripararono e resero più percorribile la strada di Strassoldo.
61Usanza diffusa nella società bizantina. 62F.DI MANZANO, Annali del Friuli cit., p. 281.
più alta giurisdizione sulle vie di comunicazione di terra, con l’incarico della loro riparazione e della loro sicurezza, in particolare contro i briganti e le masnade degli aristocratici, intesa a garantire il libero transito delle merci che andavano e venivano da oltre le Alpi60.
Ora vediamo più in dettaglio chi erano gli altri ufficiali del patriarca, la loro origine ed estrazione sociale, quali doveri avevano nei confronti del principe. Essi risiedevano nei centri abitati del patriarcato e li amministravano in nome del patriarca: ad Aquileia, a Sacile e a Marano stava un podestà; Gemona, Monfalcone, Cadore e S. Steno erano governate da capitani, mentre Udine e gli altri centri, in tutto 25, erano retti da gastaldi. Anche se chiamati con nomi diversi, questi uffici comportavano mansioni molto simili: l’esazione delle rendite patriarcali, l’esazione sulle quote delle sentenze di condanna, la riscossione di particolari censi, affitti, decime e imposte.
Gli ufficiali dovevano anche intervenire ai consigli o alle adunanze nei rispettivi luoghi per sorvegliare che non si oltrepassassero i diritti, né che si cospirasse contro il principe-patriarca; dovevano assistere costantemente alle sedute dei tribunali civili e penali per garantire il rispetto della giustizia secondo le leggi del patriarcato, garantendo però allo stesso tempo i particolari diritti delle comunità; fra questi in alcuni casi era compreso anche il potere di giudicare e di pronunciare la sentenza, per cui gli ufficiali del patriarca si preoccupavano soprattutto di renderla pubblica.
Queste cariche e i relativi uffici si davano in appalto61 ai maggiori
offerenti, che pagavano al principe annualmente una certa somma o in marche d’argento o in ducati d’oro. Alcune volte venivano concessi come ricompensa, quindi senza dover pagare la contribuzione, a coloro che avevano ben meritato presso il patriarca, come una sorta di honesta missio.
Venivano anche utilizzati in restituzione di un prestito fatto al patriarca, oppure in cambio del servizio militare prestato in guerra, soprattutto quando lo stipendio non fosse stato pagato nei tempi dovuti. Oltre ai ruoli e doveri istituzionali a cui gli ufficiali erano tenuti, ce n’era un altro altrettanto importante: controllare le famiglie eminenti del patriarcato e smascherare in tempo eventuali complotti o tradimenti. Il patriarca Raimondo riusciva in questo intento sia tramite i suoi ufficiali sia attraverso i suoi parenti e fedeli giunti dalla Lombardia. Non di rado i due ruoli coincidevano: membri della consorteria torriana ricoprivano incarichi pubblici come podesterie, capitanati, gastaldie. Nel 1298 Febo della Torre, nipote del patriarca, venne addirittura nominato vicedomino del patriarcato62. E oltre che sui parenti stretti che ormai
63Per citare solo qualche caso: Guglielmo della Torre, gastaldo di Canipa nel 1274, podestà di Sacile nel 1292, castellano del castello di Attimis per conto del patriarca nel 1295; Pagano della Torre, arbitro del patriarca nel 1290, tesoriere della Chiesa di Aquileia nel 1290 e nel 1293, decano del capitolo di Aquileia dal 1296 al 1299; Agolfo della Torre, capitano di Gemona nel 1278; Filippo della Torre, capitano di Sacile nel 1290, gastaldo di Cividale nel 1295, castellano di Praturlone nel 1299; Engalberto della Torre, gastaldo di Udine nel 1291; Alamannino della Torre, capitano di Gemona nel 1292; Febo della Torre, castellano di Tolmino nel 1292 e gastaldo di quella stessa località nel 1297; Goffredo della Torre marchese d’Istria nel 1287; Mosca della Torre, podestà di Trieste e marchese d’Istria nel 1293; Erecco della Torre podestà di Trieste nel 1296 e nel 1299; Paganino della Torre, podestà di Sacile nel 1278, marchese d’Istria nel 1295, tesoriere patriarcale nel 1292-93, podestà di Aquileia e gastaldo di Aiello nel 1297; Gastone della Torre, figlio di Mosca, canonico di Aquileia e Cividale nel 1296; Claudio della Torre canonico di Cividale e pievano di S. Michele di Inna nel 1296; Napino della Torre, figlio di Mosca, canonico di Cividale nel 1296; Tiberio della Torre ambasciatore del patriarca a Padova nel 1294, pievano di Weisskirchen (Bela Cerkev); Equillino (o Ezzelino) della Torre, pievano di Lant nel 1297; Manfredo della Torre, prevosto di S. Volrico vicino a Tolmezzo nel 1297; Raimondino della Torre, podestà di Madrisio nel 1293 e signore di quasi tutta quella località nel 1298; Imberale della Torre, gastaldo di S. Vito nel 1298; Guido Inglozio, nobile milanese, procuratore del patriarca nel 1276; Castellino Malacrea, procuratore del patriarca e signore del castello di S. Vito al Tagliamento nel 1295. Ottiene inoltre dal patriarca nello stesso anno le regalie e il possesso della giurisdizione temporale del vescovado di Concordia; Guidotto de Tenebiago, gastaldo di Tolmino nel 1283 e podestà di Sacile nel 1297; Castellino di Guglielmino de Lamberti, nobile milanese, vicario della Chiesa di Cividale nel 1298; Inderardo Ctico figlio di Ebbi More di Milano, pievano di S. Ermacora presso Ghilla nel 1297.
64Giuseppe MARCHETTI LONGHI,Gregorio de Monte Longo primo patriarca italiano di
Aquileia (1251-1269), Roma, 1965, p. 348.
65G. MARCHETTI LONGHI,Gregorio de Monte Longo cit., p. 350.
contare anche sui Lombardi che aveva portato in Friuli. La frequenza con cui Raimondo distribuiva incarichi politici e prebende canonicali a membri della sua famiglia e ai suoi fedeli lombardi fa trasparire in modo abbastanza chiaro il suo nepotismo: queste persone, con un vivissimo sentimento di appartenenza alla consorteria torriana, non lo avrebbero mai tradito e avrebbero svolto al meglio i difficili compiti che erano stati loro affidati63.
Come si è visto il patriarca poteva disporre di numerosi ufficiali per il controllo del territorio e dei centri abitati del patriarcato. Al contrario gli uffici più importanti del principato aquileiese erano solo quattro e avevano sede presso la corte del patriarca: il maresciallo, il camerlengo (o camerario), il coppiere (o pincerna) e il dapifero (o senescalco). La loro origine risaliva attraverso le corti germaniche all’imitazione della corte imperiale romana del tardo impero e di quella bizantina, e, per questo, accolte nella corte pontificia e nelle alte corti prelatizie64. Non tutte le corti episcopali, abbaziali o comitali
avevano i quattro alti dignitari, ma solo l’uno o l’altro. La corte dei patriarchi di Aquileia li aveva tutti ed erano generalmente di condizione illustre e aristocratica. I titolari erano di solito grandi e potenti signori come i duchi d’Austria, di Stiria e di Carinzia. Questi a loro volta subinfeudavano tale onore a famiglie aristocratiche e di nobili ministeriali friulani65.
Il maresciallo si occupava di numerose mansioni, connesse in primo luogo con la sicurezza. Egli era responsabile dell’organizzazione dell’ospitali-tà del patriarca, quindi si occupava anche del mantenimento dei cavalli, della
66Pier Silverio LEICHT, Il Parlamento della Patria del Friuli, Udine, 1902, p. 136. G. MARCHETTI LONGHI,Gregorio de Monte Longo cit., p. 348.
68Sui membri di questa famiglia al seguito dei patriarchi tedeschi vedi Günther BERNHARD,La
nobiltà al servizio dei patriarchi, in Aquileia e il suo patriarcato. Atti del convegno Internazionale di Studio (Udine 21-23 ottobre 1999), a c. di S. TAVANO, G. BERGAMINI, S. CAVAZZA, Udine, 2000, pp. 323-337, in particolare p. 335.
69Vedi L. DEMONTIS,Le strategie comunicative cit., doc. n. XCVII (1290 maggio 25, Udine). 70Pio PASCHINI,Raimondo della Torre patriarca d’Aquileia, “Memorie Storiche Forogiulie-si”, XIX (1923), pp. 37-104, in particolare p. 80 [da adesso in avanti P. PASCHINI,Raimondo
della Torre patriarca cit.].
71Vedi L. DEMONTIS,Le strategie comunicative cit., doc. n. CLXIX (1299 marzo 31). 72Sul ruolo di fiducia ricoperto dai membri di questa famiglia sotto il patriarca Bertoldo non solo in Friuli, ma anche a Treviso e nei territori a parte imperii vedi G. BERNHARD,La nobiltà al servizio dei patriarchi cit., pp. 333-335.
73Vedi L. DEMONTIS,Le strategie comunicative cit., doc. n. XLV (1279 agosto 25, Lodi). 74P. PASCHINI,Raimondo della Torre patriarca d’Aquileia cit., p. 22.
75P. PASCHINI,Raimondo della Torre cit., p. 117.
requisizione della paglia e delle stalle; doveva mantenere efficiente e sicura la rete stradale; era a capo della polizia e spettava a lui la cattura dei malfattori e l’esecuzione delle pene corporali; poteva lui stesso giudicare i rei, fuorché nel giudizio di sangue, che era prerogativa essenziale del patriarca per volere imperiale66; si occupava di certe mansioni legate all’esercito come
l’ispezione del campo di battaglia e il comando di piccole o grandi spedizioni militari67. Questa importante carica era generalmente subinfeudata ai signori
d’Arcano o de Tricano68. Nel 1290 questo prestigioso ufficio era ricoperto dal
maestro Girardo69. Alla morte di Raimondo della Torre il maresciallo, Enrico
de Tricano70, consegnava oltre che la sua carica, come stabilito da una
sentenza, anche i vessilli, le selle e i cavalli del defunto patriarca a Bartolo-meo de Floiana ed Enrico de Warinstain71.
Il camerlengo o camerario era il responsabile della Camera: si occupava del guardaroba del principe, teneva e amministrava il tesoro e le rendite dei beni del patriarcato. Si trovava spesso a dover fare i conti con mercanti e banchieri toscani che prestavano denaro al patriarca e ai quali veniva concessa la muta. I cubiculari, cioè i camerieri e i servitori, facevano capo a lui. L’ufficio della Camera patriarcale era ricoperto per tradizione da membri della famiglia de Cuccagna72. Nel 1279 tale importante incarico era
affidato al prete Pietro73, che lo ricoprirà ancora nel 129174. Invece nel 1286
troviamo il milanese Pietro Pellizzario come camerlengo patriarcale che presenzia alla nomina da parte di Raimondo della Torre di Valtero da Cividale come procuratore per gli accordi con Venezia75.
Il dapifero o senescalco era il sorvegliante della tavola del principe con tutte le relative pertinenze dirette e indirette. Era soprattutto un titolo d’onore tenuto da illustri personaggi come i duchi di Carinzia e subinfeudato ai Ragogna Spilimbergo, ai Prampero e ai Savorgnano. Il 6 ottobre 1284
76JULIANI CANONICI Civitatensis Chronica, in Rerum Italicarum Scriptores, a c. di Lodovico Antonio MURATORI, XXIV/14, Città di Castello, 19062, pp. 1-58, in particolare p. 17, § XXXVIII; vedi anche P. PASCHINI,Raimondo della Torre patriarca cit., pp. 39, 41.
77G. MARCHETTI LONGHI,Gregorio de Monte Longo cit., pp. 350, 384.
78Vedi L. DEMONTIS,Le strategie comunicative cit., doc. n. 117 (1274 agosto 7-8, Udine). 79P. PASCHINI,Raimondo della Torre patriarca cit., p. 83.
80P. PASCHINI,Raimondo della Torre patriarca cit., p. 90. 81P. PASCHINI,Raimondo della Torre patriarca cit., p. 51. 82Vedi L. DEMONTIS,Le strategie comunicative cit., pp. 131-132.
83Vedi L. DEMONTIS,Le strategie comunicative cit., doc. n. CXXII ([1293] febbraio 9, Aquileia).
alcuni cittadini di Cividale assassinarono Rubeo (o Rosio) de Savorgnano senescalco e vicario del patriarca. Raimondo della Torre allora fece radere al suolo le case degli assassini e sottopose a interdetto la città dove era stato compiuto il misfatto dal 19 al 31 ottobre76.
Il gran coppiere o pincerna era responsabile delle bevande della mensa del patriarca, quindi gli spettava anche l’amministrazione delle vigne e la cura delle cantine o «canipe». Oltre a queste funzioni il gran coppiere deteneva anche un privilegio molto importante che fa comprendere come un ufficio così alto dovesse essere ricoperto da un signore potente anche dal punto di vista militare: quello di dover liberare il patriarca in caso di prigionia. Al tempo del patriarca Gregorio ne era stato investito nel 1264 il re di Boemia in quanto titolare del ducato di Stiria77. Nel 1274, al momento delle trattative tra il re
di Boemia e il patriarca Raimondo, re Ottokar II sostenne che, in quanto dux Austrie, habere debet officium pincernatus a domino patriarcha cum suis pertinenciis78. Nelle feste più importanti prestava personalmente il servizio
alla tavola e comandava i “coppieri” minori, come il butticularius o il caniparius. Tale onore era stato subinfeudato ai membri della casa de Zuccola o de Spilimbergo (o Spininberch).
Oltre ai quattro uffici maggiori del patriarcato vi era anche la figura del tesoriere della Chiesa di Aquileia. Sotto Raimondo della Torre erano stati tesorieri prima Giovanni Rubeo, attestato nel 128079, poi Pagano della Torre,
attestato almeno dal 129080, fino a quando non divenne decano di Aquileia nel
129481; dopo quella data l’ufficio della tesoreria passò al congiunto Rinaldo
(o Rainaldo) della Torre. Il tesoriere era affiancato nel suo lavoro dallo spisario e dal ratiocinator. Il primo si spostava sempre con il patriarca: il Thesaurus attesta dei cavalieri di scorta per lo spisario in occasione dei viaggi del principe aquileiese82. Il secondo era una sorta di ragioniere e teneva i conti
della tesoreria e di quanto i prelati della provincia aquileiese dovessero versare; nel 1293 ricopriva questa carica il frate Umiliato lombardo Pietro de Carugate83.
A queste importanti cariche istituzionali si affiancava anche l’ufficio del vicedomino patriarcale, una carica più politica che istituzionale, ma non
84Antonio BATTISTELLA, I Lombardi in Friuli, “Archivio Storico Lombardo”, XXXVII (1910), pp. 297-372, in particolare p. 319 reg. n. 19 (1276).
85P. PASCHINI,Raimondo della Torre patriarca cit., p. 92.
86A. BATTISTELLA, I Lombardi in Friuli cit., p. 332 reg. n. 58 (1292). Era anche pievano di S. Pietro oltre Isonzo: nel 1297 alla sua morte verrà sostituito dal cremonese Mannino de Gunzis cappellano del patriarca, vedi P. PASCHINI,Raimondo della Torre patriarca cit., p. 102. 87P. PASCHINI,Raimondo della Torre patriarca cit., p. 65.
meno importante, le cui prerogative sconfinavano spesso nelle mansioni spettanti ai quattro più importanti uffici.
Quando il patriarca si allontanava per un lungo periodo dai territori del patriarcato nominava di solito un vicario per attendere alle necessità, non solo spirituali, della Chiesa di Aquileia – o anche per aiutarlo nei periodi in cui era presente – e un vicario patriarcale o un capitano generale per attendere all’amministrazione e alla difesa del principato in sua assenza. A differenza di quella del vicedomino, la carica di capitano generale era di solito temporanea: nel 1276 era stato nominato Bonaccorso della Torre84. Nel 1284
abbiamo notizia della nomina a vicario patriarcale di Simone vescovo di Cittanova85 e nel 1292 di Cattaneo de Concorezzo86; mentre l’anno successivo
un certo Cabalino era vicario nella Chiesa di Aquileia87.
4. CONCLUSIONI
Nell’attività di governo e nel comunicare i suoi progetti il patriarca Raimondo si circondava di collaboratori capaci e motivati, di diversa origine sociale e provenienza, facendo affidamento sul loro valore e sulla fedeltà che dimostravano più alla sua persona che al titolo prelatizio e principesco che aveva. Notai, politici, diplomatici, giurisperiti e mercanti di origine lombarda e toscana apportavano freschezza di idee e di metodi, affinati con la pratica diplomatica e commerciale in Europa e nel Mediterraneo, che ne facevano dei consiglieri e degli ufficiali preziosi e capaci, indispensabili a un principe della sua levatura. Alcuni di essi, esuli da Milano e dalla Lombardia caduta in mano ai Visconti, trovarono in Friuli se non una nuova patria, almeno un riparo sicuro e un aiuto concreto sotto la protezione del patriarca Raimondo. Questa emigrazione di Lombardi esperti nelle attività proprie del comune cittadino contribuì notevolmente a migliorare le città friulane favorendo lo sviluppo dell’autocoscienza cittadina e modificando così il tessuto sociale del Friuli, che era prevalentemente incentrato sulle famiglie aristocratiche e sul contado. Al seguito di Raimondo, oltre ai notai, mercanti e tecnici dell’ambien-te comunale, giunsero in Friuli anche diversi esponenti di famiglie “nobili” milanesi e lombarde: questi si insediarono definitivamente nella regione fondendosi con la locale aristocrazia. Questo fattore influì molto sulla società: mentre prima essa gravitava per aspirazioni e interessi verso i territori
tedeschi dell’impero, da Raimondo in poi guarderà maggiormente verso l’Italia.
L’azione politica di Raimondo si rivelava come un esempio di buon governo e una speranza di “riscatto sociale” per i ceti più umili. La Chiesa di Aquileia non solo si proponeva come promotrice del raggiungimento della libertà per i servi di masnada, ma offriva loro anche una possibilità per migliorare le condizioni di vita e il livello sociale con la fedeltà e il servizio al patriarca in cambio dell’investitura di feudi ministeriali.
Ufficiali e ministeriali si rivelavano quei connettivi necessari fra il centro e le periferie senza i quali il complesso organismo del patriarcato di Aquileia non poteva reggersi e resistere alle pressioni dei principati confinanti. In tutta sicurezza i messi a cavallo del patriarca percorrevano le strade portando i messaggi del loro principe a tutti i destinatari: la comunicazione politica aveva bisogno anche di un efficiente mezzo fisico per diffondersi capillarmente.
Forse è grazie all’esperienza di questo avo e dei tre successivi patriarchi di Aquileia della famiglia della Torre che verso la fine del XV secolo un ramo della famiglia della Torre stabilitosi entro i confini dell’impe-ro, i Thurn und Taxis, si specializzerà nel controllo e nella gestione dei servizi di comunicazione, posta e trasporto, ottenendo prima l’appalto ufficiale in tutto l’impero dall’imperatore Massimiliano d’Asburgo e poi, nel 1520, con Giovanni Battista Thurn un Taxis, una giurisdizione ancora più ampia, dove “non tramonta mai il sole”: Carlo V lo nominava capo e maestro generale delle poste per tutti i suoi regni.
88Così nella copia, anche in seguito.
DOCUMENTI
1
1295, agosto, 10. Udine.
Il parlamento stabilisce con decisione unanime norme riguardanti i figli dei servi di masnada. Se un servo sposa una donna della Chiesa aquileiese, gli eredi saranno della Chiesa di Aquileia; se però essi sono stati nutriti coi beni del padre, alla maggiore età saranno divisi: metà andranno alla Chiesa d’Aquileia, metà al padrone cui appartiene il padre.
Copia semplice in Biblioteca Civica “V. Joppi” di Udine, Fondo Principa-le, ms. 899, XI, 715 [B].
Note: “Sentenza del parlamento riguardo ai figli dei servi di masnada; Osvaldo Pitta Not.; C.C.F.C.” (ottocentesco).
Anno Domini .MCCXCV., indictione .VIII., die decimo intrantis augusti, in castro Utini, in novo palatio patriarchatus Aquilegensis, in colloquio generali coram reverendo patre domino Raymundo Dei gratia patriarcha Aquilegensi. Presentibus reverendo patre domino Iacobo episcopo Concordiensi et religiosis viris fratre Iohanne de Villanova abbate Rosacensi, fratre Suvarzutto abbate Biliniensi, fratre Hermano abbate Sextensi, fratre Bertholdo abbate Mosacensi et venerabilibus viris domino Philippo preposito Sancti Stephani Aquilegensis, Manfredo de la Turre preposito Sancti Odorlici prope Tulmentum, Martino de Rinda preposito Sancti Felicis de Aquilegia, domino Gilono de Villalta archidiacono Aquilegensi, Widono de Villalta canonico Aquilegensi, Leonardo de Faugnacco canonico Aquilegensi, domino Bernardo de Ragonia decano Civitatensi, Lodoyco de Civitate canonico Civitatensi, Iacobo custode de ....88, nobilibus viris dominis Dethalmo de Villalta, Artico de
Castello, Iohanne de Zuccola, Henrico de Pramperco, Thomasio, Simone et Odorlico de Cucanea .... et Pertholdo de Tricano, Odorlico et Gabriele de Strasou, Francisco de Rivarota, dominis Asquino et Federico fratribus de Varmo, dominis Palgio et Weriglio de Prata, dominis Lodayco et Manfredo de Porcileis, dominis Adriano et Thomasio de Pulcinico, dominis Camoreto et Wargendo de Osopio, dominis Nasinpace et Maynardo de Castillerio, domino Leonarducio de Brazzaco, domino Nicolao de Budrio, Fanta et Conrado de Manzano, et discretis viris civibus Aquilegensibus Picoso, Petro de Thoro, Henrico domine Pizole, Martino Cattan[e]o, Inchino et Saraceno notariis; sapientibus viris dominis Petro et Constantino de Utino, et discretis viris dominis Hermano de Portis de Civitate, Odorlico Longo, Brandilisio et Baldochino; et discretis viris dominis Matheo et Federico de Glemona, magistro Conrado, Francisco Nassutti et Odorlico notariis de Utino testibus et aliis. Ibidem, coram dicto domino patriarcha in colloquio generali et ad eius interrogationem, per dictos testes, sapientes et alios sapientes quam plures astantes, nemine discrepante, sententiatum, deffinitum et deliberatum fuit quod si unus homo de masnata acceperit