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Olivier Bleys, Discorso di un albero sulla fragilità degli uomini, edizioni Clichy, p. 272
Testimone di questa storia è un vecchio albero della lacca nato e cresciuto in un quartiere popolare di Shenyang, città industriale del nord-est della Cina: un sommacco, con così tante ferite inferte nel tempo al suo tronco per farne uscire la linfa untuosa da sembrare qualcosa d’altro. Una specie di martire.
All’origine della vicenda che il libro racconta, c’è un altro libro – a sua volta sugli alberi – scritto dal personaggio Hou-Chi nel 1966, anno in cui Mao Zedong lanciò la rivoluzione culturale. Concepito appositamente da Hou-Chi per ingraziarsi il Comitato Centrale del Partito Comunista, il libro dentro al libro conteneva la speranza di «arruolare gli alberi, nostri compagni di linfa e di bosco, nella lotta solidale per la costruzione del socialismo e l’avvento del nuovo mondo». Illustrava anche una teoria interessante, quella secondo cui sono gli alberi a tenere insieme il globo, grazie alle radici che espandendosi sotto terra in tutte le direzioni formano una fitta rete di solido sostegno.
Poi era venuta la morte dei consuoceri di Hou-Chi, morsicati entrambi da un serpente velenoso ai piedi di un tiglio, in un prato. Il loro unico figlio Wei, genero di Hou-Chi, aveva dovuto lottare contro le regole introdotte da Mao Zedong sulla cremazione obbligatoria dei defunti, per poter seppellire i suoi genitori all’ombra dell’albero della lacca che da tempo immemorabile, nel giardino della casa in cui abitavano, assisteva a tutti gli eventi che riguardavano la famiglia. Era successo dodici anni prima. Da allora, ogni lunedì di ogni settimana dell’anno, Wei portava al sommacco gli incensi rituali e s’inginocchiava per pregare le anime dei genitori chiedendo protezione per sé e i familiari. E a furia di chiedere, pratica sostitutiva a qualunque lavoro, aveva finito per ottenere che la somma via via accumulata per poter acquistare la casa dove stavano crescesse fino a diventare sufficiente. Ma esattamente il giorno in cui aveva dato tutti i suoi soldi per diventare proprietario della casa e mantenere la promessa fatta ai defunti genitori, Wei era venuto a sapere che un piano di valorizzazione del quartiere era stato lanciato dal vice-sindaco. In base a quel piano, la casa che Wei aveva appena comprato dopo una vita di sacrifici, doveva venir demolita. Al più tardi il 9 ottobre 2015.
Non si dirà, va da sé, l’epilogo. Basti sapere che prima della fine accadranno capovolgimenti esplosivi, troveranno spazio momenti di delicato erotismo, si verificheranno congiunture estreme. Si dirà, invece, dell’autore di questa storia.
Olivier Bleys, nato a Lione nel 1970, è un grafomane. Pubblica decine e decine di libri. In Francia da Gallimard e Albin Michel, gli editori più importanti. I suoi sono, a seconda dei casi, romanzi, saggi, racconti di viaggio, graphic novel, radiodrammi. Con questo Discorso di un albero sulla fragilità degli uomini è stato selezionato per il Goncourt nel 2015 ed è stato finalista per il Goncourt des Lycéens.
La sua peculiarità è un fregolismo narrativo mai visto. Ogni suo libro assume camaleonticamente aspetto e forma del paese, dell’ambiente, del contesto in cui si svolge. Bleys in effetti, prima che scrittore, è camminatore. Viaggia a piedi per il mondo e s’insinua nel genius loci di ogni posto in cui va. Qui, l’albero del titolo si trova pizzicato nell’impari lotta tra tradizione e capitalismo cinese. Il vero protagonista in effetti è lui, con le sue ferite e le sue radici. E l’exploit di scrittura (per il lettore italiano efficacemente reso nella traduzione di Tania Spagnoli per le Edizioni Clichy, attentissime alle proposte francesi più interessanti) sta nella capacità di Bleys di farsi albero della lacca per raccontare. Essendo un flâneur globale, il punto di vista nasce dalla sua esperienza. Gli alberi ci guardano e, tranne che (a volte) nelle fiabe, fanno le spese della fragilità umana, se così vogliamo chiamarla.
Gabriella Bosco