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Progettazione, sintesi ed attività biologica di molecole multi-target a struttura benzimidazolica.

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Academic year: 2021

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Riassunto

I benzimidazoli sono una classe di composti eterociclici aromatici con struttura analoga alle purine, basi azotate costituenti i nucleotidi, collegati a molteplici attività biologiche. La sintesi di loro derivati è stata per molti anni ed è ancora oggi punto focale della ricerca nell’industria farmaceutica, nell’ottica di ottimizzare non solo i metodi sintetici, ma anche numero, tipologia e disposizione dei sostituenti sul nucleo benzimidazolico, per ottenere composti con attività biologica mirata. Infatti, ad oggi moltissimi farmaci aventi nucleo benzimidazolico sono utilizzati per curare problemi cardiovascolari, virus, allergie, infiammazioni, tumori, micosi e numerose altre patologie.

Negli ultimi anni è stata poi dimostrata la diretta correlazione nell’organismo umano tra stress ossidativo ed insorgenza di alcune malattie degenerative ed autoimmuni, aggravate da numerosi fattori esterni tra cui una dieta eccessivamente ricca in proteine, stress, abuso di alcol ed esposizione ai raggi solari. I polifenoli sono molecole naturali con elevata capacità antiradicalica ed antiossidante, in grado di contrastare lo stress ossidativo e quindi anche i danni legati all’esposizione solare. Considerato che quest’ultima è stata inoltre correlata all’insorgenza di carcinomi, diventa di centrale importanza la possibilità di protezione dalle radiazioni UV, anche con l’ausilio di formulazioni cosmetiche contenenti filtri solari in grado di rifletterle o assorbirle. Tra questi composti ne compaiono alcuni contenenti un nucleo benzimidazolico, tra cui il più noto è il PBSA (acido 2-fenil-1H-benzimidazolo-5-solfonico).

Durante questo lavoro di tesi, sulla scia di risultati già ottenuti nel laboratorio di ricerca in cui è stato svolto il tirocinio, si è cercato di progettare la sintesi di molecole ad attività dualistica, sia antiossidanti che in grado di filtrare le radiazioni UV e/o di funzionare come potenziatori della attività di noti filtri solari (effetto booster). L’approccio è stato quello di fondere un nucleo benzimidazolico (in analogia con il PBSA) con una porzione che presentasse funzionalità fenoliche (in analogia con i polifenoli). Inoltre, nel panorama delle sostanze filtranti, sono molte le molecole lipofile ma ben poche quelle idrosolubili. Sono stati perciò sintetizzati 4 prodotti, in tre dei quali la funzionalità fenolica risulta legata a una molecola di glucosio tetraacetato o tetrapropionato, al fine di migliorare la idrosolubilità, stabilità e renderli quindi più idonei per un’applicazione in formulazioni topiche contenenti acqua. Per ognuno di questi composti sono stati poi condotti dei test per ottenere una prima valutazione della loro attività antiossidante e del loro potere filtrante in una emulsione base. In considerazione del fatto che i benzimidazoli possono mostrare attività antimicotiche, è stata anche esplorata questa attività su funghi dermatofiti.

Sono inoltre stati condotti dei tentativi preliminari per la sintesi di nuclei imidazopiridinici ed imidazopirimidinici: la presenza di ulteriori eteroatomi all’interno di

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uno scheletro di tipo benzimidazolico potrebbe dare accesso a composti provvisti di diverse proprietà biologiche e filtranti.

L’accessibilità e la disponibilità di molecole che presentino contemporaneamente più di un’attività biologica, rientra infine in un contesto più ampio: le cosiddette molecole

multi-target permetterebbero infatti di trattare patologie complesse, tra le cui cause

compare spesso lo stress ossidativo, in modo più efficace, evitando l’impiego di miscele di farmaci, talvolta tra loro incompatibili.

   

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[È da rilevare che gran parte del lavoro relativo alla preparazione di questa tesi di

laurea è stato effettuato presso Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie dell’Università degli studi di Ferrara.

Desidero ringraziare quanti hanno collaborato e sostenuto il lavoro soggiacente la presente Tesi di Laurea Specialistica in Chimica Organica. Fra questi la Dottoressa Vertuani ed il Professor Manfredini per avermi offerto questa opportunità ed avermi guidato in questi mesi di presso i loro laboratori.

Un particolare ringraziamento lo estendo alla Dottoressa Baldiserotto e alla Dottoressa Bino, che con i loro consigli ed il loro sostegno hanno saputo indicarmi le migliori strategie per affrontare le numerose difficoltà metodologiche intrinsecamente legate al duro lavoro sperimentale.

Per ultimo, ma non certo per importanza, vorrei esprimere la mia gratitudine alla mia piccola famiglia – di cuore e di sangue – che mi ha sostenuto in tutti questi anni.]

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Indice

  Abbreviazioni  ...  6   1.  INTRODUZIONE  ...  7   1.1   I benzimidazoli ... 7   1.2   Strategie di sintesi ... 8   1.3   Attività biologica ... 11   1.3.1  Attività  antiossidante  ...  13   1.3.2  Attività  antimicotica  ...  16   1.3.3  Filtri  UV  ...  18   1.4   Molecole multi-target ... 21  

1.4.1  UV-­‐14,  una  molecola  dualistica  ...  21  

1.5   Scopo del lavoro ... 23  

2.  RISULTATI  E  DISCUSSIONE  ...  25  

2.1 Sintesi ... 25  

2.1.1.  Scelta  dei  composti  ...  25  

2.1.2  Scelta  del  metodo  per  la  costruzione  di  nuclei  benzimidazolici,   imidazopiridinici  ed  imidazopirimidinici  ...  26  

2.1.3  Scelta  del  metodo  per  la  costruzione  del  legame  glicosidico  ...  28  

2.1.4.  Lavoro  effettuato  ...  31  

2.2 Valutazione delle attività biologiche ... 37  

2.2.1  Valutazione  dell’attività  antimicotica  ...  37  

2.2.2  Valutazione  dell’attività  antiossidante:  analisi  PCL  ...  41  

2.2.3  Valutazione  dell’attività  filtrante  ...  44  

3.  CONCLUSIONI  ...  47  

4.  PARTE  SPERIMENTALE  ...  49  

4.1. Materiali e metodi ... 49  

4.2 Sintesi ... 50  

4.2.1  Prove  preliminari  per  la  sintesi  dei  nuclei  benzimidazolici  ...  50  

4.2.2  Sintesi  dell’acido  2-­‐(4-­‐idrossi-­‐3-­‐metossifenil)-­‐1H-­‐benzo[d]imidazolo-­‐5-­‐ carbossilico  (32)  ...  50  

4.2.3  Sintesi  del  2-­‐(2-­‐idrossifenil-­‐o-­‐β-­‐D-­‐glucosio  tetraacetato)-­‐1H-­‐ benzo[d]imidazolo  (33)  ...  53  

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4.2.4  Sintesi  del  2-­‐(2-­‐idrossifenil-­‐o-­‐β-­‐D-­‐glucosio  tetraacetato)-­‐1H-­‐

benzo[d]imidazolo-­‐5-­‐carbossilico  (34)  ...  54  

4.2.5  Sintesi  del  2-­‐(2-­‐idrossifenil-­‐o-­‐β-­‐D-­‐glucosio  tetrapropionato)-­‐1H-­‐ benzo[d]imidazolo  (35)  ...  55  

4.2.6  Prove  preliminari  per  la  sintesi  di  nuclei  imidazopiridinici  ed   imidazopirimidinici  ...  56  

4.3 Valutazione dell’attività antimicotica ... 57  

4.3.1  Preparazione  del  terreno  di  coltura  e  crescita  dei  miceti  ...  57  

4.3.2  Preparazione  del  terreno  trattato  ...  57  

4.3.3  Trasporto  e  trapianto  dei  funghi  ...  58  

4.3.4  Osservazione  e  misurazione  ...  58  

4.4 Valutazione dell’attività antiossidante ... 58  

4.4.1  Metodica  PCL  (protocollo  ACL)  ...  58  

4.5 Valutazione dell’attività filtrante ... 59  

5.  BIBLIOGRAFIA  ...  64                                                    

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Abbreviazioni

o-PDA, orto-fenilendiammina

ROS, Reactive Oxygen Species RNS, Reactive Nitrogen Species UV, Ultravioletto

DNA, Acido desossiribonucleico RNA, Acido ribonucleico

SOD, Superossido dismutasi CO2, Anidride carbonica

PABA, Acido para-amminobenzoico PBSA, Acido

2-fenil-1H-benzimidazolo-5-solfonico

AcOH, Acido acetico PPA, Acido polifosforico H2O2, Perossido di idrogeno PTC, Phase Transfer Catalyst NaHSO3, Bisolfito di Sodio EtOH, Etanolo MeOH, Metanolo K2CO3, Carbonato di Potassio CHCl3, Cloroformio CH2Cl2, Diclorometano DMAP, 4-Dimetilamminopiridina

CuSO4, Solfato di rame(II) NH4OAc, Acetato d’ammonio DMSO, Dimetilsolfossido PCL, Fotochemiluminescenza ACW, Antioxidant Capacity

Watersoluble

ACL, Antioxidant Capacity

Lipidsoluble

SPF, Sun Protection Factor MED, Dose minima erimatosa AB, Avobenzone

OMC, Octilmetossicinnamato HCl, Acido cloridrico

AcOEt, Acetato di Etile Et2O, Etere Etilico

NaOH, Idrossido di Sodio DMF, Dimetilformammide NaHCO3, Bicarbonato di Sodio Na2SO4, Solfato di sodio H2O, Acqua

SDA, Sabouraud Dextrose Agar

   

 

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1. INTRODUZIONE

1.1 I benzimidazoli

I benzimidazoli sono un importante gruppo di composti eterociclici aromatici, ovvero composti ciclici ed aromatici in cui uno o più atomi dell’anello sono sostituiti da un atomo diverso dal carbonio (ossigeno, zolfo, azoto, fosforo, silicio, un metallo, etc.) (Fig. 1.1). I composti eterociclici aromatici, soprattutto quelli azotati, sono largamente diffusi in natura e sono oggetto di studio per l’ampia varietà di attività fisiologiche ad essi associate (parliamo di composti chiave come alcaloidi, antibiotici, clorofilla, amminoacidi e nucleotidi), per questo risultano di particolare interesse nel campo della ricerca farmaceutica.[1-7]

Fig. 1.1 Alcuni tra i più importanti composti eterociclici aromatici.

Il benzimidazolo, noto anche come benzogliossalina, presenta una struttura biciclica, derivante dalla fusione di un anello benzenico sulle posizioni 4 e 5 di un anello imidazolico; l’atomo di idrogeno in posizione N-1 tautomerizza rapidamente, similmente a quanto accade negli imidazoli, causando l’isomerizzazione dei suoi derivati (Fig. 1.2).[1]

Fig. 1.2 Benzimidazolo e suo equilibrio tautomerico.

I benzimidazoli sono composti prevalentemente basici, in grado di formare sali con gli acidi; il benzimidazolo (pKa 5,5) è una base più debole dell’imidazolo (pKa 7,0), come

riflesso della coniugazione tra l’anello imidazolico e quello benzenico; tuttavia in ambienti biologici presenta comportamento anfotero.[8]

N

Piridina Pirrolo Furano Tiofene Imidazolo

N N Pirimidina N H O S N N H N H O S N

Benzofurano Benzotiofene Chinolina

5 5 6 6 7 7 4 4 N H 1 1 2 2 N 3 3 6 6 5 5 4 4 7 7 N 3 3 2 2 H N 1 1

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L’opportuno inserimento di sostituenti sul suo scheletro ha permesso negli anni di ottenere un numero sempre crescente di composti biologicamente attivi, tanto che la presenza del nucleo benzimidazolico può essere riscontrata in numerose categorie di agenti terapeutici, tra cui antivirali,[1,6,7] antitumorali,[1,2,6,7] antiinfiammatori,[1,7] anticoagulanti[1,6] ed antiossidanti.[1,7,9]

1.2 Strategie di sintesi

I primi benzimidazoli (2,5 o 2,6-dimetilbenzimidazolo, composti 3 e 4) furono preparati nel 1872 da Hoebrecker per riduzione della 2-nitro-4-metilacetanilide (1, Schema 1.1); qualche anno più tardi Ladenburg ottenne lo stesso risultato riscaldando a riflusso il 3,4-diamminotoluene, 5, in presenza di acido acetico (Schema 1.2). La perdita di acqua nella sintesi di questi composti valse al benzimidazolo il nome di ‘anidrobase’ nella primissima letteratura.[1]

Schema 1.1 Sintesi di Hoebrecker.

Schema 1.2 Sintesi di Ladenburg.

Comunque i metodi classici utilizzabili per la sintesi di questi composti[10] sono due, che in ogni caso fanno uso di o-fenilendiammine (o-PDA) come precursori: infatti benzimidazoli possono essere ottenuti per trattamento di tali diammine sia con acidi carbossilici (noto come reazione di Phillips-Ladenburg), che con aldeidi o chetoni (noto come reazione di Weidenhagen).[11] La necessità di utilizzare alte temperature (talvolta 250-300°C) e le basse rese di prodotto hanno reso difficoltoso l’impiego di queste due procedure nella loro versione classica.[12,13] In ogni caso molti dei procedimenti attualmente impiegati per la sintesi di benzimidazoli rappresentano modifiche dei due approcci sopra citati.[14-16] Lo Schema 1.3 mostra i più utilizzati

H3C NO2 NHCOCH3 Sn HCl H3C NH2 NHCOCH3 - H2O N H N R1 CH3 1 2 3 : R1=CH3; R2=H; 4 : R1=H; R2=CH3; R2 H3C NH2 NH2 CH3COOH -H2O H3C NH2 NHCOCH3 - H2O N H N R1 CH3 5 2 3 : R1=CH3; R2=H; 4 : R1=H; R2=CH3; R2

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metodi generali di sintesi di benzimidazoli. Nella reazione con o-fenilendiammine 6 è possibile impiegare esteri, lattoni e anidridi[11] al posto degli acidi carbossilici o dei loro corrispondenti cloruri acilici (Schema 1.3-a), ma questo richiederebbe condizioni più drastiche;[17-18] inoltre possono essere utilizzati anche ammidi, nitrili e immidati (Schema 1.3-b) ed in tal caso il benzimidazolo risulterebbe dalla ciclizzazione dell’intermedio ammidinico 8.

Schema 1.3 Metodi di sintesi di benzimidazoli.

Infine può essere impiegata la reazione di Weidenhagen con aldeidi o, per estensione, con chetoni, che porta al composto finale attraverso uno stadio di ossidazione (Schema 1.3-c), ma può comportare numerosi prodotti secondari; infatti l’ossidazione richiede il riscaldamento della miscela di reazione fino alla temperatura di ebollizione del solvente (tipicamente dimetilformammide o nitrobenzene), oppure l’impiego di cationi metallici, iodio molecolare, ossidanti organici o idrogenosolfiti inorganici ad alte temperature. Nondimeno sono stati messi a punto vari metodi di ossidazione dei diidrobenzimidazoli (9) più blandi; questi includono l’impiego di ossidanti o catalizzatori (promotori) come Oxone (Potassio perossimonosolfato, KHSO5)[19], DDQ

(2,3-dicloro-5,6-diciano-p-benzochinone)[20-22], BQ (1,4-benzochinone),[23] ossigeno atmosferico,[24] nitrato ferrico (Fe(NO3)3),[25] cloruro ferrico (FeCl3⋅6H2O),[26] triflati

metallici [In(OTf)3,[27] Yb(OTf)3 ,[28] Sc(OTf)3[29,30]], KHSO4,[31] SO2,[32-34]

Me2S⋅Br2,[35] Na2S2O3,[36] PhI(OAc)2,[37-43] Mn(OAc)3,[44] Ba(MnO4)2,[45] NiO2,[46]

I2,[47] benzofuroxan[48] o il catione radicalico tiantrene.[49]

Un metodo alternativo può essere la riduzione della base di Schiff 12 derivante da 2-nitroaniline (11) ed aldeidi (modificazione della reazione di Weidenhagen, Schema 1.4). A questo scopo sono stati impiegati come agenti riducenti trirutenio R1 NH2 NH2 R1 NH NH2 R1 N NH2 R1 O R2 R2 NH2 N H H N R 2 R3 N H N R1 R2 (a) (b) (c) ciclizzazione ciclizzazione ossidazione, eliminazione R2CO2H, R2C(O)Cl, (R2CO)2O, R2CO2R3 R2C(O)NHR3, R2CN, R2C(=NH)OMe R2CHO,R2R3CO R3=H 6 7 8 9 10

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dodecacarbonile (Ru3(CO)12)[50] in presenza di biossido di carbonio, fenilmagnesio

cloruro[51] e metalli di transizione.[52,53]

Schema 1.4 Sintesi di benzimidazoli a partire da 2-nitroaniline.

E’ stato proposto anche un metodo di sintesi di benzimidazoli N-sostituiti[17-18] basato su di una N-arilazione intramolecolare catalizzata da Pd a partire da N-(o-bromofenil)ammidine, 15, preparate per fusione di o-bromoaniline 14 con ammidi (Schema 1.5).

Schema 1.5 Sintesi di benzimidazoli a partire daN-(o-bromofenil)ammidine.

Schema 1.6 Esempi di sintesi green per nuclei benzimidazolici.

R1 NH2 NO2 R2CHO R1 N NO2 R2 Riduzione, ciclizzazione N H N R1 R2 11 12 13

R2 = Me: R1=H, Me,EtO, Cl; R1=H: R2=Ph, 4-MeC6H4, 4-PriC 6H4, 2-EtOC6H4, 4-ClC6H4, 3-BrC6H4. R1 NH2 Br 14 R1 N Br R2 NHR3 15 N N R1 R2 16 R3 R2C(O)NHR3, POCl3 Cat. Pd ciclizzazione

R1 = H, 3-Me, 5-OMe, 5-NO2; R2 = Me, Et, Pri, Bn, Ph; R3 = Me, Ph

NH2 NH2 + 2 ArCHO K-10 Clay, MWI N N Ar Ar 17 18 19 a) b) Assenza di solvente NH2 NH2 5 + ArCOOH Zeolite, EtOH, MW 20 N H N Ar 21 c)

Ar=3-NO2C6H5, 4-NO2C6H5, 4-ClC6H5, 4-MeC6H5, 3-ClC6H5, 3-MeC6H5, 4-MeOC6H5 NH2 NH2 17 + RCHO 22 N H N R 23 H2O, TBAF 5% mol, 25°C ultrasuoni NH2 NH2 17 d) + CHO N H N 25 24 DBH, Assenza di solvente, MW 160 W DBH=1,3-Dibromo 5,5-dimetilidantoina; R R

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Negli anni sono state proposte infinite alternative sintetiche dei composti benzimidazolici, dato il loro grande interesse farmaceutico ed industriale, tenendo conto delle nuove tecnologie acquisite e con un occhio progressivamente sempre più attento ai principi della green chemistry. Così sono comparse metodiche che impiegano microonde ed ultrasuoni, nonché promotori come argille e zeoliti.[8,54] Alcuni esempi sono mostrati nello Schema 1.6.[55-58]

1.3 Attività biologica

Sebbene già in precedenza, per analogia strutturale con le purine (basi azotate aventi come scheletro la purina, costituenti degli acidi nucleici, Fig. 1.3), fosse stata ipotizzata una qualche attività biologica, la scoperta del potenziale terapeutico del nucleo benzimidazolico risale al 1949, quando fu dimostrato che il 5,6-dimetilbenzimidazolo è uno dei prodotti di degradazione della vitamina B12 (Fig 1.4) e

che alcuni suoi derivati hanno attività analoga a quella della vitamina B12 stessa,[1] che

è fondamentale per la sintesi dei globuli rossi da parte del midollo osseo.

Fig. 1.3 Struttura molecolare della Purina e delle corrispondenti basi azotate, Adenina e Guanina.

Questo fu l’inizio di un’incessante ricerca per esplorare tutte le possibili applicazioni dei derivati benzimidazolici, che ha portato a scoprire, ottimizzando il numero e la tipologia dei sostituenti sul sistema biciclico, composti con attività biologica assai varia, alcuni diventati poi noti farmaci: albendazolo e tiobendazolo (antielmintici); omeprazolo e pantoprazolo (inibitori della pompa protonica); astemizolo (antistaminico); enviradine (antivirale); telmisartan (antiipertensivo)[1] (Fig. 1.5); questo nucleo è contenuto anche in importanti antinfiammatori,[1,7] antitumorali,[1,2,6,7] antiossidanti,[1,7,9] antimicotici,[2,5,6,59] anticoagulanti,[1,6] così come in composti psicoattivi[1,2,5] o utilizzati per trattare HIV,[6] Epatite C,[1] diabete,[1,6,7] tubercolosi,[6,7] obesità[6]. N N NH N Purina N N NH N NH2 Adenina HN N NH N O H2N Guanina

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Nei seguenti paragrafi saranno trattate più in dettaglio quelle attività biologiche oggetto di studio in questo lavoro di tesi.

Fig. 1.4 Struttura della Vitamina B12; l’atomo di azoto in posizione 3 del 5,6-dimetilbenzimidazolo

coordina perpendicolarmente l’atomo di cobalto al centro dell’anello corrinico (R=CN, OH, Me, 5-deossiadenosile).

Fig. 1.5 Alcuni importanti farmaci con nucleo benzimidazolico.

N N N H N N N N H N N H N N N N N H3CO S O N H3C OCH3 CH3 Omeprazolo (antiulcera) HOOC Cl

Analogo del Benoxaprofene (antinfiammatorio) CH3 N Cl Cl COOH Bendamustina (antitumorale NH N OCH3 Astemizolo (antistaminico) F S NH O H3CO Albendazole (antimicrobico) NH2 S O O Enviradine (antivirale) COOH OC2H5 N N HN Candesartan (antiipertensivo)

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1.3.1 Attività antiossidante

I radicali liberi sono specie chimiche estremamente reattive che presentano uno o più elettroni spaiati nell’orbitale più esterno; essendo altamente instabili, tendono a reagire con le molecole che le circondano, strappando loro atomi di idrogeno o gli elettroni necessari per acquisire una configurazione elettronica stabile; così facendo, la molecola attaccata dal radicale diventa essa stessa un radicale libero, dando inizio ad una catena di reazioni. Solitamente le reazioni radicaliche possono essere schematizzate in tre fasi: iniziazione, in cui si forma la specie radicalica;

propagazione, in cui, a partire da quelle già generatesi, si creano altre specie

radicaliche; terminazione, in cui i radicali si combinano a dare specie neutre.

L’organismo umano è sottoposto all’azione di specie ossidanti di vario tipo noti come ROS (Reactive Oxygen Species) o RNS (Reactive Nitrogen Species), di natura radicalica o meno, tra cui possiamo annoverare l’anione radicalico superossido (O2-.),

l’ossigeno di singoletto (1O2), il radicale ossidrilico (.OH), il perossido di idrogeno

(H2O2), i radicali perossilipidici (LOO.), il radicale ossido nitrico (NO.) e il radicale

perossinitrico (NO2.). Tutti questi sono in parte già presenti all’interno della cellula,

come componenti dei normali processi fisiologici, ma in parte derivano da fattori esterni di vario genere: a) patologie come l’artrite reumatoide, disturbi cardiovascolari o neurovegetativi (Parkinson ed Alzheimer), infiammazioni in generale, ischemie ed ictus; b) esposizione a raggi X o UV, a causa della foto-ossidazione; c) impiego di droghe e fumo, così come abuso di alcol, inquinamento ambientale, esercizio fisico intenso (per aumento nel consumo di ossigeno), stress e una dieta troppo ricca in grassi saturi e proteine.[60,61]

Quando si crea uno squilibrio tra la quantità di specie ossidanti all’interno dell’organismo e l’effettiva capacità di azione della barriera antiossidante dell’organismo stesso, si giunge a stati di stress ossidativo, ritenuto associato all’insorgenza di moltissime malattie, anche di tipo autoimmune. L’attacco di specie ossidanti e di radicali liberi mira, infatti, a danneggiare costituenti essenziali delle cellule come lipidi, proteine ed acidi nucleici (quindi DNA). La barriera dell’organismo umano è costituita da antiossidanti di tipo enzimatico, come la superossido dismutasi (SOD), la catalasi e la glutatione perossidasi (Schema 1.7),[62,63] o non enzimatico, per lo più derivanti dalla dieta, come le vitamine C (Acido L-ascorbico, idrosolubile) ed E (α-Tocoferolo, liposolubile) (Fig. 1.6) ed i polifenoli.[64]

(14)

SOD 2O2 + 2H H2O2 + O2

Catalasi 2H2O2 2H2O + O2

Glutatione Perossidasi H2O2 + 2GS-H 2H2O + GS-SG

Schema 1.7 Meccanismi di azione degli antiossidanti enzimatici (GSH= Glutatione, tripeptide che esplica la funzione enzimatica).

Fig. 1.6 Acido L-ascorbico e Vitamina E, due importanti molecole antiossidanti.

I polifenoli naturali costituiscono il gruppo di composti antiossidanti più abbondanti nella dieta umana. Sono in genere suddivisi in gruppi diversi in base al numero di cicli aromatici ed agli elementi strutturali ad essi legati e si dividono in acidi fenolici (di cui fanno parte acidi benzoici come l’acido gallico ed acidi idrossicinnamici come l’acido caffeico, ferulico o cumarico), flavonoidi (che includono antocianidine, flavonoli, flavoni, isoflavoni, flavanoni, antociani e flavanoli) e polifenoli a struttura non-flavonoica come gli stilbeni, il cui rappresentante più conosciuto è sicuramente il

trans-resveratrolo (fig. 1.7).

Fig. 1.7 Alcuni composti polifenolici.

O HO OH O HO H OH O HO Acido L-Ascorbico Vitamina E HO HO OH O OH Acido Gallico H3CO HO O OH Acido ferulico OH HO OH Resveratrolo

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I polifenoli sono caratterizzati da una struttura chimica ideale per l’attività di cattura delle specie radicaliche ed è stato dimostrato come questi tipi di molecole siano antiossidanti più efficaci in vitro rispetto alle vitamine C ed E.[65] La caratteristica strutturale responsabile dell’attività antiossidante di tali derivati è, appunto, la presenza del gruppo ossidrilico di tipo fenolico. Questi composti, infatti, sono in grado di ossidarsi donando l’atomo di idrogeno del fenolo ai radicali liberi, interrompendo la propagazione delle reazioni a catena dei processi ossidativi. La presenza di un secondo ossidrile in posizione orto, tipica delle strutture catecoliche, comporta una riduzione dell’entalpia di dissociazione del legame O-H in modo da facilitare ulteriormente le reazioni di trasferimento di specie idruriche.[66] L’efficacia di questi composti è legata, inoltre, alla loro capacità di delocalizzare l’elettrone spaiato del radicale fenolico che si forma ed alla possibile chelazione dei metalli di transizione.[65]   La loro capacità antiossidante dipende dal numero e alla posizione delle funzionalità idrossiliche presenti sulla molecola, e sembra essere correlata ad altri importanti effetti biologici che includono attività antibatterica, antinfiammatoria, antivirale, antineoplastica ed antistaminica.  

Fig. 1.8Composti benzimidazolici di sintesi ad attività antiossidante.

La sintesi di alcuni derivati indolici e benzimidazolici ha mostrato la possibilità di impiego di quest’ultimi nel trattamento di patologie derivanti da stress ossidativo; particolarmente efficienti sono risultati derivati che incorporano tiadiazoli, triazoli o tiosemicarbazidi in posizione 1 (Fig. 1.8), responsabili di un forte aumento nella capacità antiossidante. I benzimidazoli dicloridrato sono sali con attività antiossidante in grado di intervenire in patologie cardiovascolari, in cui la presenza di un gruppo trimetilico permette di inibire la degradazione ossidativa dei lipidi.[67]

N N N N N N NH HN HN Ar O S NH N N S Ar N N N Ar SH 26 27 28

(16)

1.3.2 Attività antimicotica

I funghi sono microorganismi eucarioti eterotrofi,[68] incapaci di sintetizzare autonomamente le molecole organiche di cui necessitano a partire da quelle inorganiche (ad es. CO2), perciò per sopravvivere devono fare affidamento su

molecole organiche sintetizzate da altri organismi, vivendo come parassiti o saprofiti. Le famiglie patogene per gli uomini o per gli animali possono provocare sindromi note come micetismo (per ingestione), micotossicosi (per azione di micotossine) o micosi (per penetrazione nelle barriere del corpo). Le micosi a loro volta si dividono in dermatomicosi (o micosi superficiali) e micosi viscerali (sistemiche). Le dermatofitosi sono invece micosi determinate da funghi dermatofiti, che si nutrono della cheratina presente nello strato corneo di pelle, capelli e unghie, invadendo anche gli annessi cutanei, ma senza capacità infettive a livello sistemico. Nel corso della vita ogni persona entra in contatto con specie fungine di varia tipologia, presenti su animali, persone o nel terreno, ma solo sporadicamente si sviluppa la malattia, il cui insorgere può essere determinato da particolari condizioni di umidità, calore, composizione del sebo, età, predisposizione genetica o abbassamento delle difese immunitarie. Una volta insorte, le infezioni possono essere sia croniche, generalmente più miti, che acute, tendenti a risolversi più velocemente.

L’attività antifungina a largo spettro dei derivati benzimidazolici è dovuta alla somiglianza strutturale con le purine (Fig. 1.3), basi azotate presenti negli acidi nucleici (DNA ed RNA) e perciò componenti essenziali dei sistemi biologici.[67]

I microtubuli sono strutture intracellulari presenti in tutte le cellule eucariote e sono coinvolti in funzioni di natura trofica e meccanica: costituiscono l’impalcatura di ciglia e flagelli, permettono il transito di organuli e vescicole all’interno della cellula, ne mantengono la morfologia, costituiscono il fuso mitotico nella duplicazione cellulare. Alla base della struttura multimerica dei microtubuli si trovano filamenti di tubulina, proteina eterodimerica costituita da monomeri di α- e β-tubulina (Fig. 1.9). I microtubuli non sono mai statici, ma si assemblano e disassemblano continuamente per espletare le loro funzioni. I derivati benzimidazolici sono in grado di legarsi alla β-tubulina[59] bloccando la polimerizzazione delle due subunità e quindi la possibilità per le cellule degli organismi eucarioti, fra i quali appunto funghi, protozoi e altri parassiti, non solo di espletare alcune funzioni vitali, ma soprattutto di duplicarsi e proliferare.

(17)

Fig. 1.9 Struttura e sezione di un microtubulo.

La maggior parte delle ricerche circa lo sviluppo di antimicrobici a partire dal nucleo benzimidazolico ha avuto inizio dall’anno 2000[1] e tra tutti i composti sintetizzati

molti hanno manifestato specifica attività antimicotica; alcuni esempi sono riportati in Figura 1.10.

Fig. 1.10 Esempi di alcuni potenti antimicotici con nucleo benzimidazolico (29, 30) oppure bis-benzimidazolico (31).

Anche i già citati polifenoli sono stati studiati per la loro attività antimicrobica. Tra tutti i polifenoli con attività antifungina sono stati studiati con maggior interesse i flavan-3-oli, i flavonoli e i tannini, perché hanno dimostrato un’azione ad ampio spettro ed a maggiore attività antimicrobica; i meccanismi d’azione sono molteplici, come l’inibizione della formazione del biofilm di microrganismi, la riduzione dei ligandi in grado di interagire con i recettori e la neutralizzazione di tossine batteriche.

Le proprietà antimicrobiche dei polifenoli sono state studiate per la messa a punto di nuovi sistemi di conservazione alimentare[69] e per lo sviluppo da parte delle industrie farmaceutiche di terapie innovative nel trattamento da infezioni microbiche.[70, 71]

N N N CN N N N N O Br Br O N N NH N N 29 30 31

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1.3.3 Filtri UV

Lo spettro elettromagnetico del Sole è composto da radiazioni di diversa lunghezza d’onda (Fig. 1.11). Quelle a maggiore energia sono trattenute e filtrate dallo strato di ozono[72] presente nella stratosfera, mentre la superficie della Terra risulta costantemente irradiata da luce proveniente dal Sole, composta al 56% di onde infrarosse (5000-780 nm), al 39% di luce visibile (780-400 nm), al 4,9% di raggi UVA (400-315 nm) e allo 0,1% di raggi UVB (315-280 nm).[73] Sebbene i raggi UVA ed UVB siano solo una piccola porzione della radiazione che raggiunge la superficie terrestre, essi sono i più pericolosi per la salute dell’uomo, in particolare per organi quali pelle, occhi e capelli, non solo perché direttamente irradiati, ma anche per la presenza nei tessuti di molecole contenenti cromofori, capaci di assorbire la radiazione, come ad esempio melanina, DNA, RNA, proteine, lipidi ed amminoacidi (triptofano e tirosina).[74]

Fig. 1.11 Lo spettro delle radiazioni elettromagnetiche.

La pericolosità deriva dalla loro elevata energia (la lunghezza d'onda λ di una radiazione elettromagnetica e l’energia E ad essa associata sono inversamente proporzionali, secondo la Legge di Planck : E= h⋅ν = h⋅c/λ, dove h è la costante di

Planck, ν è la frequenza della radiazione elettromagnetica e c è la velocità della luce),

sebbene la loro intensità possa essere modificata da fattori quali latitudine (all’equatore lo strato filtrante di ozono risulta naturalmente più sottile e la radiazione deve percorrere una distanza più breve prima di raggiungere la Terra, perciò risulta più intensa), altitudine (allontanandosi dal livello del mare l’atmosfera risulta progressivamente più rarefatta, perciò l’intensità della radiazione risulta incrementata,

(19)

del 4% circa ogni 300 m) o agenti presenti nell’atmosfera (nebbia, nuvole e inquinanti).[75]

Al contrario di quanto creduto fino a qualche tempo fa, sia i raggi UVA che UVB sono nocivi: i raggi UVB hanno energia superiore e risultano maggiormente citotossici e mutagenici, mentre i raggi UVA sono in grado di penetrare negli strati più profondi della pelle e sono responsabili di danni indiretti attraverso la formazione di specie di ossigeno reattive.

L’esposizione dell’uomo alle radiazioni UVA e UVB porta a manifestazioni acute e croniche di diverso tipo nella pelle, come abbronzatura, eritemi, ispessimento, fotoinvecchiamento, ma anche immunosoppressione e mutazioni, responsabili della fotocarcinogenesi.[76]

L’abbronzatura è un meccanismo naturale di fotoprotezione della pelle, poiché la melanina prodotta serve ad assorbire buona parte dell’energia della radiazione e riemetterla sotto forma di altra energia. Eppure questa forma di autodifesa diventa insufficiente in caso di prolungata esposizione.

Uno dei metodi per incrementare la difesa naturale della pelle è quello di applicare sulla cute preparazioni contenenti filtri solari, ovvero molecole di natura organica, dette filtri chimici, o inorganica, dette filtri fisici. Questi ultimi, generalmente Biossido di Titanio (TiO2) od Ossido di Zinco (ZnO), sono fotostabili, non interagiscono con i

filtri di natura organica e tendono a riflettere e diffondere la luce visibile ed ultravioletta, creando una barriera opaca sulla cute. Talvolta proprio per la loro opacità risultano poco graditi nelle formulazioni cosmetiche e sono indicati per lo più per l’utilizzo sulla pelle dei bambini, considerata la loro scarsa penetrazione cutanea. I filtri organici agiscono invece, come la melanina, assorbendo la radiazione ultravioletta: gli elettroni passano ad uno stato eccitato e, ritornando a quello fondamentale, riemettono energia ma sotto forma di radiazioni meno energetiche come gli IR. In base alla λmax e all’ampiezza della banda nello spettro di assorbimento, i filtri

si dividono in UVB, UVA o a largo spettro (UVA e UVB). I filtri UVB sono tra i più efficienti, bloccando fino al 90% delle radiazioni. Tra di loro si annoverano l’acido para-amminobenzoico (PABA) e suoi derivati, i cinnamati (molto utilizzati, di cui il più noto è l’Octinoxate), i derivati della canfora, i salicilati e l’acido 2-fenil-1H-benzimidazolo-5-solfonico (PBSA) con i suoi derivati. Tra i filtri commercialmente disponibili sono invece meno diffusi i filtri UVA, tra cui si trovano i benzofenoni, gli o-amminobenzoati e i dibenzoilmetani, di cui il più noto è certamente l’avobenzone. I filtri a largo spettro, infine, riescono ad assorbire sia nel range degli UVA che in quello degli UVB e tra essi possiamo citare il Tinosorb M ed il Mexoryl XL (Fig. 1.12). [73,77]

(20)

In generale le molecole impiegate come filtro dovrebbero essere fotostabili, stabili chimicamente e al calore nonché inerti dal punto di vista fotochimico e verso altri ingredienti cosmetici; inoltre non dovrebbero presentare citotossicità né fototossicità, né penetrare lo strato corneo, rimanendo sugli strati superficiali della cute.[78]

Fig. 1.12 Alcuni dei più noti filtri solari in commercio.

Una singola molecola raramente riesce a soddisfare contemporaneamente tutti questi requisiti e per ovviare al problema i prodotti per la protezione solare non contengono un unico filtro UV, ma una combinazione di ingredienti attivi.[73]

Il nucleo benzimidazolico compare in molti filtri solari. Uno tra i più noti filtri chimici a contenerlo è, infatti, il già citato acido 2-fenil-1H-benzimidazolo-5-solfonico (PBSA, Fig. 1.12), ampiamente utilizzato in formulazioni cosmetiche per la protezione solare, che presenta un forte assorbimento nella regione degli UVB, tra i 290 ed i 320 nm. Essendo solubile in acqua rende agevole il suo impiego in formulazioni cosmetiche, soprattutto in combinazione con filtri lipofili, permettendo così, per effetto sinergico, una maggiore protezione. E’ considerato efficiente nel prevenire eritemi e sicuro, poiché sono stati registrati pochissimi eventi di irritazione e sensibilizzazione, fototossicità ed allergia.[78] Un altro valido esempio è il sale bisodico del fenil-dibenzimidazolo-tetrasolfonato (Fig. 1.13), noto commercialmente come Neo Heliopan®AP. Si tratta di un filtro che agisce nell’intervallo degli UVA (presenta un massimo di assorbimento attorno ai 335 nm), è inodore ed incolore, ha una buona stabilità e sicurezza (visto che resta negli strati superficiali della pelle), ed inoltre è utilizzabile in formulazioni a base acquosa, poiché è idrofilo.

H2N O OH PABA Acido p-amminobenzoico O O O OCTINOXATE 2-etilesil-p-metossicinnamato N H N HO3S PBSA Acido 2-fenilbenzimidazolo-5-solfonico O O O AVOBENZONE 1-(4-tertbutilfenil)-3-(4-metossifenil)-propan-1,3-dione

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Fig. 1.13 Neo Heliopan®AP.

1.4 Molecole multi-target

I farmaci generalmente impiegati per il trattamento di patologie di norma sono stati sviluppati affinché esplichino una sola funzione, vadano cioè a colpire un solo target biologico. Per il trattamento di malattie complesse, in cui molteplici sono i fattori determinanti e quindi è implicato più di un target, vengono utilizzate miscele di farmaci. Questo però non sempre è agevole e funzionale, non solo da un punto di vista economico, ma soprattutto perché alcuni principi attivi possono interagire negativamente tra loro e per il paziente diventa più pesante e complesso metabolizzare quanto gli viene somministrato. Per questo motivo negli ultimi anni è nato un grande interesse per lo sviluppo di molecole ibride, in grado di combinare le funzionalità di più principi attivi, dette multi-target. Sembrano essere la risposta al trattamento di patologie assai complesse, come l’Alzheimer, la sindrome metabolica, le malattie cardiovascolari e le neoplasie.[79,80]

1.4.1 UV-14, una molecola dualistica

Come già accennato, è stato verificato che gli effetti dannosi delle radiazioni UV non si limitano a causare danni diretti e a rapida insorgenza, come ustioni ed eritemi, ma anche indiretti e a lunga distanza rispetto all’esposizione, come l’insorgenza di tumori; questo fatto, unito alla scoperta che in gran parte questi effetti dipendono dalla sovrapproduzione di specie radicaliche, ha sottolineato l’importanza di ampliare il concetto di fotoprotezione, non limitandolo alla filtrazione della radiazione UV, ma includendo la neutralizzazione delle specie radicaliche formatisi per foto-ossidazione. Il crescente interesse verso prodotti con protezione solare ha portato la ricerca a progettare molecole che potessero funzionare sia come filtri solari che come antiossidanti.

In quest’ottica, il gruppo di ricerca presso cui è stato svolto il tirocinio per il presente lavoro di tesi ha progettato e sintetizzato UV-14 (Fig. 1.14). La molecola nasce dalla

N H N N H N HO3S SO3- Na+ SO3H SO3- Na+

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volontà di unire l’attività filtrante del già noto filtro PBSA (Fig. 1.12) con le forti proprietà antiossidanti degli acidi fenolici. Il prodotto finale non solo assorbe nel range dei raggi UVA (attorno ai 317 nm), ma è anche un forte antiossidante ed è provvisto di effetto booster. Questo implica che la sua azione fisiologica non si limiti a contrastare i danni derivanti dall’esposizione ai raggi solari, ma che possa anche rientrare in un’ottica di prevenzione di molte malattie degenerative causate da stress ossidativo.

Fig. 1.14 Acido 2-(3,4-diidrossifenil)-1H-benzimidazolo-5-solfonico (UV-14).

                          N H N OH OH HOOC

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1.5 Scopo del lavoro

I composti eterociclici aromatici, soprattutto quelli azotati, sono molto diffusi in natura, essendo alla base di strutture biologiche fondamentali, come clorofilla, nucleotidi, amminoacidi ed alcaloidi. Per questo motivo la ricerca farmaceutica da anni ne ha fatto oggetto di studio, ponendo particolare attenzione alle molteplici attività biologiche ad essi associate.

I benzimidazoli sono una classe di composti eterociclici aromatici con struttura analoga alle purine, basi azotate costituenti i nucleotidi, e collegati a molteplici attività biologiche. La sintesi di loro derivati è stata per molti anni ed è ancora oggi punto focale della ricerca scientifica, nell’ottica di ottimizzare non solo i metodi sintetici, ma anche numero, tipologia e disposizione dei sostituenti sul nucleo benzimidazolico, così da ottenere nuove molecole con attività biologica mirata. Molte di queste sono diventate farmaci e ad oggi i composti benzimidazolici vengono utilizzati per curare ipertensione, problemi cardiovascolari, virus, allergie, ulcere, infiammazioni, tumori, micosi e numerose altre patologie.

Negli ultimi anni è stata poi dimostrata la diretta correlazione nell’organismo umano tra stress ossidativo ed insorgenza di alcune malattie degenerative ed autoimmuni. Lo stress ossidativo occorre quando la naturale barriera difensiva dell’organismo non riesce a contrastare l’eccesso di specie ossidanti (di tipo radicalico o meno, derivanti sia dai naturali processi fisiologici che da fattori esterni) in esso presenti. Uno dei fattori esterni che incide nella produzione di specie radicaliche è l’esposizione ai raggi UV, collegata all’insorgenza di carcinomi. I polifenoli, molecole naturali con elevata capacità antiradicalica ed antiossidante, sono in grado di contrastare lo stress ossidativo e quindi anche i danni legati all’esposizione solare. Diventa poi rilevante il concetto di fotoprotezione, legato all’impiego di indumenti o di formulazioni cosmetiche contenenti filtri solari in grado di riflettere o assorbire la radiazione UV. Tra queste molecole ne compaiono alcune con nucleo benzimidazolico, tra cui la più nota è il PBSA, a conferma della grande versatilità dei derivati benzimidazolici.

Scopo di questo lavoro è stato, sulla scia dei risultati già ottenuti dal laboratorio di ricerca presso cui è stato svolto il tirocinio di tesi, quello di progettare e sintetizzare molecole dualistiche ad attività antiossidante e in grado di filtrare le radiazioni UV. L’approccio è stato quello di fondere un nucleo benzimidazolico (in analogia con il PBSA) con una porzione che presentasse funzionalità fenoliche (in analogia con i polifenoli). Sui composti così ottenuti, sono state poi valutate alcune possibili attività biologiche, sottoponendoli a test per valutarne attività antimicotica, antiossidante e filtrante.

Questo lavoro rientra inoltre in un contesto più ampio, che sta suscitando molto interesse negli ultimi anni: la possibilità di usufruire di molecole che presentino

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su più fronti all’interno dell’organismo (molecole multi-target) permetterebbe infatti di trattare patologie complesse, tra le cui cause compare spesso lo stress ossidativo, in modo più efficace, evitando l’impiego di miscele di farmaci, talvolta tra loro incompatibili.

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2. RISULTATI E DISCUSSIONE

2.1 Sintesi

2.1.1. Scelta dei composti

Con l’intento di ottenere dei composti ad attività dualistica, ovvero che possiedano attività antiossidante e contemporaneamente riescano a filtrare le radiazioni ultraviolette, abbiamo utilizzato come modello l’acido 2-(3,4-diidrossifenil)-1H-benzimidazolo-5-solfonico (UV-14). Quest’ultima è una molecola a struttura benzimidazolica sostituita in posizione 2 all’imidazolo con una funzionalità catecolica (3,4-idrossi fenile) (Fig. 1.14). Allo scopo di studiare l’influenza della sostituzione del nucleo fenilico e idrosolubilità sulla la capacità filtrante ed attività antiossidante è stata progettata la sintesi di 4 composti (32-37, Fig. 2.1), tutti con nucleo benzimidazolico, uno avente le funzionalità fenoliche libere (32) e tre aventi il gruppo fenolico protetto da un legame glicosidico (33-35). Sono inoltre state condotte alcune prove preliminari per riuscire ad accedere facilmente a composti analoghi ad UV-14 aventi però nucleo imidazopiridinico ed imidazopirimidinico (36 e 37, Fig. 2.1).

Fig. 2.1 Composti target di questo lavoro di tesi.

N H N HOOC OCH3 OH 32 O H AcO H AcO H H OAc H O OAc N H N O H C2H5OCO H C2H5OCO H H OCOC2H5 H O OCOC2H5 N H N R=H 33; R=COOH 34 R 35 N N H N OH OH 36 N N NH N OH OH 37

(26)

2.1.2 Scelta del metodo per la costruzione di nuclei benzimidazolici,

imidazopiridinici ed imidazopirimidinici

Come è stato già mostrato, esistono molti metodi di approccio alla sintesi di benzimidazoli sostituiti, così come UV-14, in posizione 2 (Par. 1.2). Le strategie

sintetiche più recenti prevedono per lo più l’impiego di microonde ed ultrasuoni, che non solo riducono notevolmente i tempi di reazione, ma talvolta permettono anche di fare a meno di solventi.[8, 54-58] Tuttavia non tutti i laboratori dispongono di queste tecniche, il cui impiego in sintesi su larga scala, peraltro, ancora oggi può presentare dei problemi; in questi casi, così come nel nostro, si ricorre ai metodi più classici, ma anche universalmente più applicabili, descritti brevemente nello Schema 1.3. Trattandosi inoltre di molecole destinate, nel caso in cui i test di attività biologica avessero dato buone conferme, ad un impiego cosmetico, è stato deciso di evitare il più possibile reazioni che richiedano la presenza di metalli pesanti, specie se utilizzati in quantità rilevanti, come nella pur interessante arilazione diretta sul C-2, catalizzata da palladio in presenza di un largo eccesso di ioduro rameoso (Schema 2.1).[81]

Schema 2.1 Arilazione diretta in C-2 catalizzata da palladio.

Schema 2.2 Meccanismo di formazione di nuclei benzimidazolici a partire da fenilendiammine e sintoni carbossilici. R1 NH2 NH2 6 R2 OH O R1 H2 N NH2 OH R2 O R1 H N NH2 OH2 R2 O R1 NH NH2 O R2 + H2O 7 R1 N H2 H N O R2 R1 N H H N OH R2 N H N R1 R2 10 - H2O N H N H + Y I N H N Y Pd(OAc)2 (5mol%); CuI (2 equiv)

DMF, 140°C

Y= OMe, NO2

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A livello industriale, i sintoni carbossilici sono più accessibili di quelli aldeidici, perciò il primo approccio è stato quello di far reagire l’o-PDA con un acido benzoico opportunamente sostituto (Schema 1.3-a). Il meccanismo previsto è quello presentato nello Schema 2.2 e si divide in due fasi: nella prima fase uno dei gruppi amminici presenti sull’o-PDA da un attacco nucleofilo sul gruppo carbossilico, per dar luogo ad un’ammide (7); nella seconda parte avviene invece la ciclizzazione, per attacco nucleofilo del gruppo –NH2 rimasto libero al gruppo ammidico.

In letteratura è stata rintracciata una semplice procedura che prevede di trattare la coppia dei due reagenti in acido acetico (AcOH) a riflusso per 4 ore,[82] ma nel corso di una serie di prove preliminari la sua applicazione ha avuto esiti negativi: l’ o-PDA e l’acido 3,4-dimetossibenzoico impiegati sono stati recuperati tal quali (Schema 2.3). Quindi, sebbene necessiti di temperature di esercizio elevate, è stato scelto di provare a utilizzare la reazione con acido polifosforico (PPA), che è uno dei reagenti più utilizzati per promuovere reazioni di questo tipo [83-85]: sono state condotte delle prove preliminari trattando l’o-PDA e l’acido gentisico (43, acido 2,5-diidrossibenzoico), attendendoci il prodotto 44 (Schema 2.4).[86] Purtroppo anche in questo caso l’esito della reazione è stato negativo: il composto atteso si è sì formato, ma in piccola quantità e assieme a numerosi prodotti secondari; perciò la procedura non è stata considerata soddisfacente.

Schema 2.3 Sintesi di nuclei benzimidazolici a partire da o-PDA e sintoni carbossilici in presenza di acido acetico (AcOH).

Schema 2.4 Sintesi di nuclei benzimidazolici a partire da o-PDA e sintoni carbossilici in presenza di acido polifosforico (PPA).

E’ stato quindi deciso di rinunciare agli acidi carbossilici e di impiegare i più reattivi precursori aldeidici (Schema 1.3-c): le aldeidi aromatiche subiscono addizione nucleofila da parte di uno dei gruppi amminici primari presenti nell’ o-PDA a dare una

NH2 NH2 + OCH3 OCH3 HOOC AcOH, riflusso, 4 h N H N OCH3 OCH3 17 41 42 NH2 NH2 HOOC HO OH + PPA, 150°C N H N OH HO 17 43 44

(28)

diidrobenzimidazolo 9 (Schema 2.5). Per catalizzare la reazione, sono state valutate varie possibilità, non solo cercando una certa semplicità operativa, ma tenendo conto anche di aspetti come reperibilità, accessibilità economica ed impatto ambientale.

Schema 2.5 Meccanismo di formazione di nuclei benzimidazolici a partire da o-fenilendiammine e sintoni aldeidici.

La scelta è caduta inizialmente sulla coppia perossido di idrogeno/acido cloridrico (H2O2/HCl)[87], con scarse rese, perciò infine si è scelto di impiegare il bisolfito di sodio

(NaHSO3),[88-90] che non solo è di facile reperibilità ed economico, ma era già stato

impiegato con successo nella sintesi di UV-14.[91]

Per i composti 36 e 37, rispettivamente a nucleo imidazopiridinico ed imidazopirimidinico, è stato tentato un approccio simile, assieme ad altre procedure altrettanto semplici (vedere a tal proposito il paragrafo 2.1.4.4).

2.1.3 Scelta del metodo per la costruzione del legame glicosidico

Nell’ottica di perseguire il nostro obiettivo così come già descritto, è stata valutata l’ipotesi di sintetizzare dei composti che non presentassero le funzionalità fenoliche libere.

Perché fosse mantenuto un buon grado di idrofilia dei prodotti di sintesi, si è scelto di proteggere l’ossidrile fenolico attraverso un legame glicosidico, utilizzando come “gruppo protettore” una molecola di glucosio opportunamente protetta.

La presenza di una porzione glicosilata su di un principio attivo lo rende meno aggressivo nei confronti del sistema biologico su cui viene fatto intervenire e ne permette il più facile inserimento nell’elenco delle sostanze approvate per l’impiego in formulazioni cosmetiche; un esempio a tal proposito è costituito da idrochinone ed arbutina: il primo è un composto naturale molto efficace nel correggere l’iperpigmentazione cutanea, che però può provocare irritazioni, dermatiti da contatto e presentare citotossicità, perciò il suo impiego come schiarente è limitato ai trattamenti dermatologici e vietato per legge nei prodotti cosmetici; l’arbutina

(idrochinone-β-D-R1 NH2 NH2 6 R2 H O R1 H2 N NH2 O R2 H R1 H N NH2 OH R2 H -H2O R1 N NH2 R2 R1 N H2 N H R2 R1 N H H N H R2 9 Ossidazione/ Eliminazione N H N R1 R2 10 45

(29)

glucopiranoside) è il corrispondente glucoside dell’idrochinone, anch’esso presenta attività schiarente, ma il suo impiego a livello cosmetico è approvato (Fig.2.2) in quanto privo di effetti collaterali.

Fig. 2.2 Idrochinone ed il suo corrispondente glicosilato, Arbutina.

La sintesi chimica di un legame glicosidico è una questione da sempre di grande interesse e che negli ultimi anni è diventata di estrema rilevanza: l’aumento della consapevolezza che oligosaccaridi e composti glucoconiugati rivestono ruoli importanti nei processi biologici ha portato ad una crescita della richiesta di questi composti per studi biologici, medici e farmacologici. È possibile quindi trovare varie review, anche recenti,[92-93] che riassumono i progressi sintetici in questo senso. Essenzialmente si tratta di trasformare lo zucchero in un efficiente ‘donatore’ glicosilico (solitamente come elettrofilo); a questo scopo i suoi gruppi funzionali vengono completamente protetti, eccetto l’ossidrile emiacetalico che viene invece trasformato in un buon gruppo uscente. C’è poi bisogno di un ‘accettore’ di glicosili (solitamente un nucleofilo), che contenga solo un gruppo ossidrilico libero.[92] Uno degli aspetti però più critici sta nella stereospecificità della reazione. Lo schema 2.7 mostra, brevemente, i metodi principali utilizzati per generare un legame glicosidico.

OH HO Idrochinone OH O O OH HO HO OH Arbutina

(30)

Schema 2.7 Vie sintetiche per la formazione di legami o-glicosilici.[92]

Nel nostro caso il gruppo da glicosilare è un ossidrile fenolico, meno nucleofilo rispetto a quelli degli alcoli alifatici e quindi meno reattivo in questo tipo di reazione. Indagando la letteratura riguardante la glicosilazione di gruppi fenolici, si nota come i lavori più recenti siano legati a brevetti che prevedono l’impiego della catalisi enzimatica[94,95]. Gli altri lavori si dividono poi principalmente in due gruppi: nel primo come elettrofili vengono utilizzati tricloroacettimmidati (in analogia con il percorso D nello schema 2.10), facendo uso di acidi di Lewis (solitamente boro trifluoruro eterato, BF3⋅OEt2, o

trimetilsilil trifluorosolfonato, TMSOTf [96-98]); nel secondo invece gli agenti glicosilanti sono specie 1-alo-D-glucosio, di norma impiegate in sistemi bifasici solido-liquido in presenza di catalizzatori per trasferimento di fase (PTC) (in analogia al percorso B).[98] In commercio si trovano già disponibili entrambi i tipi di reagenti di partenza, con le funzionalità ossidriliche opportunamente protette, ma i tricloroacetimmidati sono decisamente più costosi e la nostra attenzione si è quindi concentrata sulle procedure a partire da 1-alo derivati, che tra l’altro presentano completa inversione di configurazione all’atomo di carbonio anomerico. In queste procedure il PTC (eteri corona,[99,100] polietilenglicol[101] o sali d’ammonio quaternari[102]) riesce ad catturare la specie ionica (47) formatasi per deprotonazione del gruppo fenolico ad opera di una base sufficientemente forte (generalmente carbonato di potassio), mantenendola disciolta in modo omogeneo nella fase organica. Questa poi è in grado di attaccare l’atomo di C anomerico tramite un meccanismo SN2 (Schema 2.8).

(31)

Schema 2.8 Meccanismo di formazione del legame o-glicosidico per composti fenolici.

2.1.4. Lavoro effettuato

2.1.4.1 Sintesi dell’acido 2-(4-idrossi-3-metossifenil)-1H-benzo[d]imidazolo-5-carbossilico (32)

La sintesi di questo derivato prevede l’utilizzo dell’acido 3,4-diamminobenzoico (50) con la 4-idrossi-3-metossibenzaldeide (51, chiamata anche vanillina) (Schema 2.9). Varie procedure descritte in letteratura sono state valutate, al fine di trovare una via economica per ottenere il prodotto desiderato con buone rese. La scelta è caduta su una metodica già utilizzata con successo dal gruppo di ricerca presso cui è stato svolto questo lavoro, che prevede l’impiego di bisolfito di sodio (NaHSO3) in etanolo (EtOH)

a riflusso per 24 h.[103] L’acido 2-(4-idrossi-3-metossifenil)-1H-benzo[d]imidazolo-5-carbossilico (32) è stato ottenuto secondo questa procedura in 17 h, utilizzando però metanolo (MeOH) al posto del solvente originario. In questo modo non solo il prodotto è stato ottenuto in minor tempo (probabilmente anche per il carattere più acido del MeOH rispetto all’EtOH), ma anche con un solvente economicamente più accessibile.

Schema 2.9 Sintesi del composto 32; i) NaHSO3, 80°C, MeOH (17 h).

La purificazione del prodotto ha comportato non poche difficoltà. Sono stati fatti diversi tentativi, con minore o maggiore resa in composto puro, ma tutti si sono rivelati non soddisfacenti soprattutto per quanto riguarda la riproducibilità.

Pertanto, anche se le procedure di purificazione impiegate, nel corso di varie ripetizioni, hanno permesso talvolta di ottenere 32 puro (cfr. Par. 4.2.2), resta ancora aperta la

NH2 NH2 O HO O H OCH3 OH HN N OCH3 OH O HO i) 50 51 32 + O R O H AcO H AcO H Br OAc H H OAc SN2 O H AcO H AcO H H OAc H O OAc R 48 1-bromo-alfa-D-glucosio tetraacetato OH R B -BH+ 46 47 49

(32)

necessità di trovare, per l’isolamento di questo composto dal corrispondente grezzo di reazione, un metodo riproducibile e meno aleatorio di quelli finora da noi utilizzati, soprattutto se questo composto risulterà di reale interesse applicativo. In questo caso, per cercare di ovviare al problema potrà essere opportuno ripetere ancora più volte i metodi di purificazione risultati più efficienti, usando porzioni sia di uno stesso grezzo di reazione che di grezzi di reazione provenienti da preparazioni diverse; auspicabilmente, questo paziente lavoro potrebbe permettere di capire, e quindi superare i motivi delle difficoltà riscontrate. Parallelamente, ulteriori analisi della letteratura su composti simili potrebbero permettere di individuare ulteriori metodi di purificazione alternativi.

2.1.4.2 Sintesi del 2-(2-idrossifenil-o-β-D-glucosio

tetraacetato)-1H-benzo[d]imidazolo(33) e dell’acido 2-(2-idrossifenil-o-β-D-glucosio tetraacetato)-1H-benzo[d]imidazolo-5-carbossilico (34).

Al fine di ottenere composti analoghi al prodotto 32 in cui la funzionalità fenolica fosse protetta attraverso un legame di tipo glicosidico, l’aldeide salicilica (o 2-idrossibenzaldeide, 52) è stata fatta reagire con l’1-bromo-α-D-glucosio tetraacetato (48) secondo le condizioni mostrate nello Schema 2.10 (i). La metodica presa come riferimento per la reazione di glicosilazione[104] prevede un sistema bifasico solido-liquido costituito da carbonato di potassio (solido, K2CO3) e cloroformio (solvente,

CHCl3) in presenza di un sale d’ammonio (cloruro di benziltributilammonio,

C6H5CH2(C4H9)3NCl) come catalizzatore di trasferimento di fase, mantenuto sotto

agitazione per 24 h a temperatura ambiente. Al posto del cloruro di benziltributilammonio è stato impiegato cloruro di benziltrietilammonio (C6H5CH2(C2H5)NCl).[102]

(33)

Schema 2.10 Sintesi dei composti 33 e 34;

i) C6H5CH2(C2H5)NCl, K2CO3, CH2Cl2 anidro, atm. inerte, Tamb, al buio (24 h);

ii) NaHSO3, 80°C, MeOH (R=H: 3h;R=COOH: 2h).

Sono stati condotti vari tentativi di riprodurre questa metodica con successo, ma ogni volta l’intermedio 53 si formava con difficoltà e nel procedimento di purificazione tendeva ad ossidarsi e decomporsi, senza permetterne l’isolamento. Le difficoltà sono state superate lavorando in atmosfera inerte (Argon) - in modo da evitare problemi di facili ossidazioni del derivato aldeidico 52 -, in assenza di luce - anch'essa in grado di favorire le ossidazioni sopra citate - ed utilizzando diclorometano (CH2Cl2) anidro

anziché CHCl3 - al fine di ridurre problemi derivanti dalla eventuale acidità contenuta

nel cloroformio; infatti è noto che piccolissime, ma potenzialmente dannose, quantità di HCl possono essere contenute più facilmente nel cloroformio che nel diclorometano. Nella successiva fase di ciclizzazione (ii) l’intermedio 53 è stato fatto reagire sia con o-fenilendiammina (17) che con acido 3,4-diamminobenzoico (50) a formare il nucleo benzimidazolico, ottenendo rispettivamente i prodotti 33 e 34. La presenza del sostituente carbossilico su 34 potrebbe fornire un effetto batocromico tale da spostarne l’assorbimento verso il range degli UVA.

OH O H O O O O Br O O O O O O O O O O O O O O O O H + 52 48 53 NH2 NH2 R i) ii) R= H, 17; COOH,50 . O O O O O O O O O O N NH R R=H, 33; COOH, 34.

(34)

L’inconveniente di questa procedura è che prevede l’impiego di alcuni grammi di 1-bromo-α-D-glucosio tetraacetato (48), rendendola economicamente poco conveniente.

2.1.4.3 Sintesi del 2-(2-idrossifenil-o-β-D-glucosio tetrapropionato)-1H-benzo[d]imidazolo(35)

In commercio è possibile trovare l’aldeide salicilica già in forma glucosidica (aldeide salicilica β-D-glucoside, nota come Elicina, 54). Perciò è stato deciso di provare ad utilizzarla per arrivare ad analoghi dei composti 33 e 34 attraverso una procedura che risultasse complessivamente più accessibile. A tale scopo i gruppi ossidrilici dell’Elicina sono preventivamente stati protetti con gruppi propionilici (Schema 2.11). L’esterificazione è stata effettuata utilizzando propionilcloruro (CH3CH2COCl) in

presenza di 4-dimetilamminopiridina (DMAP) in atmosfera inerte, ad ottenere il derivato tetrapropionato (55).[105] L’intermedio purificato è stato poi fatto reagire con o-fenilendiammina secondo la procedura già descritta per la sintesi del nucleo benzimidazolico ad ottenere il prodotto 35.

Schema 2.11 Sintesi del composto 35; i) Propionilcloruro, DMAP, CH2Cl2, atm. inerte, Tamb, (24h);

ii) NaHSO3, 80°C, MeOH (2h);

O HO HO OH O OH O H O O O O O O O O O O H i) O 54 55 NH2 NH2 ii) 17 O O O O O O O O O O 35 N NH

(35)

Questa procedura ha comunque presentato rese più basse rispetto a quella che prevede la glicosilazione dell’aldeide salicilica e quindi non può essere considerata più conveniente. Per questo motivo è stato considerato poco interessante condurre il secondo step di sintesi utilizzando o-fenilendiammine diversamente sostituite.

2.1.4.4 Prove preliminari per la sintesi di derivati imidazopiridinici ed imidazopirimidinici.

Poiché in commercio sono presenti pochi composti impiegati come filtri solari attivi nel range degli UVA, è stato pensato di sintetizzare molecole analoghe ad UV-14 inserendo però uno o più eteroatomi nella porzione benzenica della molecola; infatti era ragionevole pensare che l'introduzione di questi eteroatomi potesse portare ad un aumento della delocalizzazione di elettroni, e quindi ad uno shift batocromico nell’assorbimento dei nuovi composti. A tale scopo sono state scelte quali reagenti di partenza la 3,4-diamminopiridina (56) e la 4,5-diamminopirimidina (57). Rispetto all’o-PDA, la presenza dell’atomo di azoto non interferisce sull’aromaticità degli anelli, sebbene conferisca alle molecole un momento di dipolo; la presenza sugli atomi di azoto di un doppietto di elettroni non condiviso, che giace sul piano della molecola, conferisce però a queste molecole una certa basicità. Abbiamo perciò pensato per prima cosa di applicare la stessa strategia di sintesi impiegata per i nuclei benzimidazolici (Schema 2.12), anche aumentando il numero di equivalenti di NaHSO3 (nell’ipotesi in

cui i primi ioni H+ liberati venissero coinvolti in un equilibrio acido-base, anziché catalizzare la reazione), ma senza esiti positivi.

Schema 2.12 Sintesi dei composti 36 e 37; i) NaHSO3 n equiv (n=2;4), EtOH, 80°C;

Abbiamo così cercato di applicare altri metodi noti in letteratura e adatti alla sintesi di nuclei benzimidazolici, dapprima impiegando la già citata coppia di reagenti H2O2/HCl[87], in seguito utilizzando solfato di rame (CuSO4)[106] (Schemi 2.13 e 2.14).

N N N NH2 NH2 NH2 NH2 OHC OHC OH OH OH OH + + N N H N N N NH N OH OH OH OH 56 58 36 57 58 37 i) i)

(36)

Schema 2.13 Sintesi del composto 36 catalizzata da perossido di idrogeno ed acido cloridrico.

Schema 2.14 Sintesi del composto 36 catalizzata da solfato di rame(II).

In letteratura è stata poi trovata una procedura che descrive la formazione di cristalli del composto 59 per semplice mescolamento a temperatura ambiente di 3,4-diamminopiridina e vanillina (51) in etanolo (Schema 2.15).[107] Ma anche questa procedura non ha dato esito positivo.

Schema 2.15 Sintesi del composto 59 in presenza di solo etanolo.

I  tentativi  per ottenere i composti 36 e 37, sono da considerarsi preliminari e la ricerca di un metodo sintetico semplice per accedere ai nuclei imidazopiridinici ed imidazopirimidinici deve essere ulteriormente approfondita. A tal proposito citiamo un semplice metodo alternativo riportato in letteratura, che fa uso di acetato d’ammonio (NH4OAc) e che potrebbe essere adatto a questo scopo (Schema 2.16)[108].

Schema 2.16 Sintesi catalizzata da acetato d’ammonio.

N NH2 NH2 OHC OH OH + N N H N OH OH 56 58 36 H2O2/HCl, MeCN N NH2 NH2 OHC OH OH + N N H N OH OH 56 58 36 CuSO4, EtOH, 60°C N NH2 NH2 OHC OCH3 OH + N N H N OCH3 OH 56 51 59 EtOH N NH2 NH2 OHC + N N H N 56 60 61 R' R'

(37)

2.2 Valutazione delle attività biologiche

2.2.1 Valutazione dell’attività antimicotica

Al fine di valutare la possibile attività antimicotica dei quattro composti sintetizzati ([acido 2-(4-idrossi-3-metossifenil)-1H-benzo[d]imidazolo-5-carbossilico], 32, cfr. Par. 2.1.4.1; [2-(2-idrossifenil-o-β-D-glucosio tetraacetato)-1H-benzo[d]imidazolo], 33, cfr. Par. 2.1.4.2; [acido 2-(2-idrossifenil-o-β-D-glucosio tetraacetato)-1H-benzo[d]imidazolo-5-carbossilico], 34, cfr. Par. 2.1.4.2; [2-(2-idrossifenil-o-β-D-glucosio tetrapropionato)-1H-benzo[d]imidazolo], 35, cfr. Par. 2.1.4.3) sono stati utilizzati otto funghi dermatofiti, in modo da poter esaminare per ciascuno un campo d’azione il più ampio possibile.

I dermatofiti[109] sono funghi patogeni che hanno una particolare affinità per la cheratina, e che di conseguenza attaccano pelle, capelli ed unghie, provocando infezioni dette dermatofitosi (tigne o ringwarm) derivanti dalla digestione della cheratina (attività cheratolitica).

Le principali forme di tigne[110] sono: tinea pedis (desquamazione e macerazione fra le dita dei piedi), tinea unguium (alterazione di colore e consistenza della lamina ungueale), tinea cruris (infezione a livello inguinale e genitale che si manifesta con prurito, rossore e desquamazione), tinea capitis (infezione del cuoio capelluto), e tinea

corporis (infezione della cute del tronco e delle estremità, accompagnata da reazioni di

tipo infiammatorio).

I funghi dermatofiti impiegati per quest’analisi sono stati:

- Trichophyton rubrum: fungo cosmopolita, ma prevalentemente diffuso in

ambienti cittadini; è responsabile di tinea unguium, tinea pedis e tinea cruris, e può anche determinare infezioni croniche;

- Trichophyton mentagrophytes: diffuso in tutto il mondo, è una specie sia

antropofila che zoofila e determina infiammazioni a livello dei follicoli piliferi;

- Arthroderma cajetani: cosmopolita, provoca infezioni principalmente ad uomini

e cani;

- Microsporum canis: generalmente causa di infezioni in cuccioli di animali

(soprattutto cani e gatti), che a loro volta diffondono particelle infettive nell’ambiente domestico, causando infezioni all’intero nucleo familiare, in particolare ai bambini, su cui si manifestano tigne al cuoio capelluto;

- Microsporum gypseum: causa tigne su corpo, unghie, e cuoio capelluto, diffuso

in tutto il mondo; la principale sorgente di infezione per l’uomo e gli animali è il terreno, ed infatti sono riportati casi di infezioni contratte da giardinieri ed agricoltori;

(38)

- Epidermophyton floccosum: diffuso in tutto il mondo, è uno dei principali

responsabili di tinea pedis e tinea cruris, che colpiscono i piedi e le aree inguinali, soprattutto negli uomini, ma anche nelle donne; è certo che questo fungo non invade i capelli;

- Trichophyton violaceum: colpisce prevalentemente i bambini e causa tigne al

cuoio capelluto, che però possono anche svilupparsi e diventare epidermiche.

I prodotti 32, 33, 34 e 35 sono stati testati con il metodo di diffusione in Sabouraud Dextrose Agar (SDA, cfr. Par. 4.3), utilizzando DMSO come solvente (tabelle 2.1, 2.2, 2.3 e 2.4).

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