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Academic year: 2021

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PARTE II

ITALIA E STATI UNITI:

UNO SGUARDO COMPARATO AI DUE

MODELLI DI GIORNALISMO

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Capitolo Terzo

Stati Uniti ed Italia, due sistemi d’informazione

a confronto

3.1

Introduzione

Nel capitolo precedente abbiamo esposto la classificazione di Mancini ed Hallin, che metteva in relazione i sistemi politici con i sistemi di comunicazione. Mettendo a confronto le realtà politiche di Europa e Stati Uniti è possibile notare che:

«i differenti ruoli che lo Stato può ricoprire come proprietario, finanziatore e regolatore dei mass media, sono radicati in differenze più generali del ruolo dello Stato nella società. Una distinzione fondamentale può essere posta tra democrazie liberali ( gli Stati Uniti sono l’esempio più ovvio) e democrazie di Welfare state, che predominano in buona parte dell’Europa. La differenza, ovviamente, non è assoluta, dal momento che lo stato svolge un ruolo significativo, seppure differenziato, in tutte le democrazie capitalistiche ed inoltre si rilevano varie sfumature all’interno della stessa Europa, nonostante ciò si configura una distinzione tra il ruolo relativamente limitato dello stato oltre atlantico e le tradizioni

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europee dell’intervento statale, e questa distinzione si riflette ovviamente sulla struttura stessa del sistema della comunicazione di massa. » [ Mancini ed Hallin, 2004, pag. 45]

Abbiamo scelto di mettere a confronto questi due paesi proprio perché i loro sistemi d’informazione sono profondamente diversi. Ed è diverso anche il grado d’influenza che la politica, le lobby, l’economia e la stessa evoluzione storica dei due sistemi hanno sui media tradizionali. In particolare Stati Uniti ed Italia sono differenti sulla quantità e sulla qualità degli strumenti a disposizione per la correzione di comportamenti in contrasto con le regole più elementari della deontologia professionale. In questo senso i due paesi divergono anche per il diverso assetto statuale e politico e per il conseguente diverso grado di influenza nell’informazione.

In questo capitolo cercheremo di mettere a confronto i diversi ruoli che lo stato gioca nei confronti dei media giornalistici, utilizzando innanzitutto come parametri il grado di strumentalizzazione e la professionalizzazione del sistema di comunicazione.1

Per strumentalizzazione s’intende il grado di controllo che alcuni attori esterni esercitano su i media, ovvero di come organizzazioni politiche, economiche, sociali, movimenti, riescano ad influenzare ed operare nel mondo dell’informazione, fino ad arrivare alla ricerca della deformazione della realtà. Certamente il grado di strumentalizzazione sarà più alto in paesi dove è più stretto il legame tra potere ed informazione e dove la commistione d’interessi tra potere

1 Professionalizzazione e strumentalizzazione sono due variabili usate da Mancini ed Hallin

(2004, p.38) per classificare i vari sistemi di comunicazione, cercando di trovare parallelismi tra la forma di organizzazione statuale e le caratteristiche intrinseche dei sistemi d’informazione.

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politico ed informazione ha creato un ambiente ideale per facilitare la manipolazione dell’informazione.

E’ dunque chiaro che il grado di strumentalizzazione dipende fortemente dal tipo di rapporti tra le istituzioni e gli organi d’informazione di un paese. Le variabili che potranno quindi intervenire sul grado e sulle modalità di strumentalizzazione sono ad esempio la presenza o meno di un elevato numero di partiti, la presenza di leggi pubbliche sul finanziamento diretto ai media, la pluralità delle fonti d’informazione, l’alternanza delle forze politiche al governo, la netta distinzione dei ruoli di esperti di relazioni pubbliche e portavoce dalla professione di giornalisti etc...

Analizzando il grado di professionalizzazione invece, si va ad investigare i comportamenti dei singoli giornalisti (o dei giornali per cui lavorano) che possono essere definiti in linea con la deontologia professionale.

Il termine di riferimento usato nello studio dei media per spiegare meglio il termine professionalizzazione giornalistica è il giornalismo anglosassone. Esso è storicamente il sistema dove la garanzia della neutralità e la ricerca dell’obiettività ha rappresentato la regola fondamentale per chi lavora nel mondo dell’informazione. Nei paesi anglosassoni infatti (Inghilterra e Nord America) la professione giornalistica si è « sviluppata come un campo distinto e relativamente autonomo da altri campi sociali, incluso quello politico»2. In Italia invece lo sviluppo dei sistemi informativi è da sempre stato legato ad un forte connubio tra stato ed elite intellettuali, di cui i giornalisti sono

2 Hallin e Mancini [2004 p. 39] Questa è in sintesi la teoria della differenziazione, usata nei media

per distinguere la funzione informativa del giornalismo da altre istituzioni ed azioni. Più la professionalizzazione giornalistica è alta ed affermata, più è netta e visibile all’interno di un sistema la sua differenziazione, soprattutto, dal sistema politico. Per un approfondimento si veda BORDEAU, Sulla Televisione, Feltrinelli, Milano 1997.

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diventati i maggiori rappresentanti3[Bechelloni, 1994, p.106]. Generalmente i paesi che possono contare su sistemi di comunicazione altamente professionalizzati sono anche quelli in cui sono meno diffusi i tentativi di strumentalizzazione. Potendo infatti contare su codici etici più solidi e maggiormente condivisi sono scoraggiati i comportamenti devianti dei giornalista, anche in assenza strumenti pensati ad hoc per controllarne l’operato4.

Gli esempi di Stati Uniti ed Italia aiutano a mettere in evidenza due sistemi profondamente differenti, sia dal punto di vista della professionalizzazione dei giornalisti, che dal grado di strumentalizzazione.

Per riuscire a classificare in modo puntuale il livello di strumentalizzazione e quello di professionalizzazione dei due paesi andremo a confrontare Italia e Stati Uniti utilizzando i seguenti parametri:

l’evoluzione storica del sistema d’informazione, in particolare mettendo in luce il rapporto tra media (giornali, in seguito radio e tv) e politica;

il sistema politico

3 L’identificazione della elite intellettuale con chi svolge la professione giornalistica è una

peculiarità italiana. Nei paesi anglosassoni il giornalista non è visto come un intellettuale che si limita ad interpretare criticamente e soggettivamente i fatti, ma deve rielaborare la notizia per renderla fruibile dal pubblico. In italia negli ultimi venti anni si è diffusa l’immagine del giornalista−politico e del giornalista−opinionista, che antepone la sua opinione soggettiva alla rielaborazione di un fatto.

4

E’interessante notare che gli Stati Uniti non hanno la regolamentazione della professione giornalistica che è attualmente presente in Italia, né esistono carte deontologiche che elencano i doveri dei giornalisti, la deontologia professionale è particolarmente radicata nelle origini storiche della professione, ed ogni valutazione è lasciata ai singoli giornalisti.

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l’assetto dei rispettivi mercati, con particolare attenzione al mercato dell’editoria.

Per poter studiare a fondo e capire i diversi meccanismi di deformazione dell’informazione nei due paesi è infatti necessario richiamare innanzitutto l’evoluzione storica dei due sistemi d’informazione, sottolineando le diverse ragioni storico−politiche che ne hanno plasmato la forma e che ne hanno condizionato lo sviluppo. Inoltre è imprescindibile richiamare e analizzare brevemente i due sistemi politici ed economici dei paesi presi in esame.

Nei precedenti capitoli ci siamo soffermati brevemente sull’ruolo che rivestono il giornalismo economico e politico nel funzionamento di un sistema politico ed economico, e, prima di analizzare i casi specifici di deformazione dell’informazione in Italia e Stati Uniti è necessario parlare delle caratteristiche dei due sistemi, ponendo l’accento sull’organizzazione politica dei due paesi e sulle peculiarità dei rispettivi mercati e sistemi di comunicazione, in modo da evidenziare la propensione a sviluppare le pratiche, e le diverse tipologie, di deformazione dell’informazione. Le tre variabili indicate ci permettono infatti di descrivere e mettere a confronto i due sistemi per indicare quali siano i meccanismi che preservano la qualità dell’informazione e quali viceversa siano invece i punti deboli del sistema, che possono facilitare, od impedire, le pratiche di strumentalizzazione e corruzione.

Alla fine di questo capitolo sarà dimostrato che esiste infatti una propensione sistemica alla manipolazione dell’informazione, che non dipende evidentemente solo dalla solidità delle regole deontologiche e dalle diverse evoluzioni storiche dei diversi sistemi dell’informazione,

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ma anche, e soprattutto, dalla tipologia di sistema politico, dal grado di concorrenza e di pluralità presente nel mercato dell’informazione. La pluralità nell’assetto proprietario delle aziende editoriali, l’indipendenza dell’informazione da politica ed economia sono fondamentali parametri di garanzia per un informazione completa e trasparente, scevra da manipolazioni e strumentalizzazioni [Vannucci e Cubeddu, 2006].

3.2

Italia

In Italia è mancato uno sviluppo dei media autonomo dalle istituzioni politiche, e ciò può essere imputato ad una serie di fattori che discendono innanzitutto dall’evoluzione storica del giornalismo nel nostro paese, dove la distinzione tra giornalismo letterario e giornalismo politico si è trasformata ben presto nel solo giornalismo politico.[Mancini, 2002, p.25]. Nelle gazzette letterarie del seicento−settecento era infatti già presente quella componente politica e quella tendenza al coinvolgimento civile che dominerà successivamente nei giornali legati a gruppi politici.

Questa componente diventerà sempre più fondamentale nel giornalismo italiano, tanto che i gruppi elitari e i loro strumenti di comunicazione e di diffusione che fino ad allora si erano occupati di arte e letteratura, ora si trovano coinvolti fino in fondo nel conflitto politico. In Italia il giornalismo politico nasce infatti agli inizi dell’800, pervaso da caratteri elitari e da un’esasperata attenzione allo stile, affermati già in precedenza nelle cosiddette “gazzette letterarie” [Murialdi 1986]. In particolare, le prime esperienze d’informazione

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politica nascono nel nord d’Italia, con l’arrivo di Napoleone, sotto la Repubblica Cisalpina, dove fioriscono fogli informativi e di propaganda che diffondevano le idee politiche provenienti da oltralpe. Tuttavia, la reale affermazione del giornalismo come strumento di propaganda e di supporto alla politica prende avvio con il Risorgimento. E’proprio in questa fase infatti che maturano alcune condizioni favorevoli per la diffusione del giornalismo: la prima è rappresentata dall’estensione delle libertà civili, alla luce della concessione dello Statuto Albertino e dell’Editto di Pio IX sulla limitazione dell’attività di censura della chiesa [Murialdi, 2000, p.44−45]. La seconda ragione è che il giornalismo politico raccoglie i fermenti rivoluzionari di molti intellettuali, e diventa così un arma di critica e di denuncia nei confronti del potere, ovvero della monarchia austriaca. In altre parole l’Italia scopre in questo periodo l’impegno politico e civile, che usa il giornalismo come principale veicolo di diffusione delle idee politiche risorgimentali. E’proprio durante questi anni che nascono molti fogli informativi, come ad esempio “Il Politecnico”, di Carlo Cattaneo, “il Risorgimento”, il giornale di Cavour e Balbo, “l’Italia del popolo” il quotidiano di Mazzini [Castronovo Tranfaglia, 1979, Murialdi, 2000]. In poche parole: gli italiani che hanno costruito l’Italia sono stati giornalisti, ed il giornalismo è stato uno strumento per l’organizzazione delle loro battaglie, una strategia per diffondere su larga scala le loro idee, i loro obiettivi.

In questa fase il giornalismo italiano segue quello del resto d’Europa, già incubando però quello che sarà anche nel futuro il suo difetto più evidente, ovvero la mancanza di una separazione tra l’obiettivo politico e l’obiettivo informativo della stampa. Questa

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separazione tarderà a manifestarsi, se ciò sia mai avvenuto, e renderà il sistema informativo sempre permeabile alle infiltrazioni del potere economico e politico

I motivi di questo ritardo sono molteplici, alcuni strutturali e legati alle caratteristiche economiche e all’assetto politico, che verrà analizzato nei paragrafi successivi, altri dipendenti da alcuni avvenimenti storici che andremo brevemente ad analizzare nel seguente paragrafo.

3.2.1 L’evoluzione storica del giornalismo in Italia

Dopo la conclusione degli anni del Risorgimento, l’esperienza della stampa politica si sviluppa attraverso l’esperienza dei giornali di partito. La stampa, che prima era lo strumento di diffusione delle idee risorgimentali, adesso è il teatro della lotta politica messa in campo dai nascenti partiti di massa. Mentre nascono le testate più propriamente d’informazione, ovvero: “Corriere della Sera”, “La Stampa”, “Il Secolo”, “La Nazione”, i partiti si dotano di propri organi: l’Avanti nasce nel 1896 come organo del Partito Socialista, mentre il mondo cattolico è espressione di una miriade di piccoli giornali, soprattutto di origine locale. Con la fine dell’800 aumenta anche il peso specifico dei quotidiani nel dibattito politico: l’esempio più lampante è lo schieramento del Corriere della Sera al fianco degli oppositori al governo Pelloux, che uscirà sconfitto dalle elezioni del 1900, fatto che porterà alle dimissioni dell’allora direttore Oliva, in favore di Albertini [Murialdi 2000, p. 87].

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Ma è con l’arrivo della dittatura fascista che si arresta definitivamente il processo di sviluppo del giornalismo italiano: Mussolini infatti, da ex appassionato giornalista, controllava in modo capillare le pubblicazioni della stampa, pur lasciando inalterato l’assetto proprietario. Come infatti sostiene Murialdi:

a Mussolini interessavano più le direzioni dei quotidiani che le proprietà che, d’altra parte, erano già allineate per convinzione o per convivenza. Da allora in avanti i cambi di proprietà avverranno quando la situazione editoriale di un giornale o le lotte delle fazioni fasciste li renderanno necessari. I veri fiduciari di Mussolini e del regime diventeranno i direttori responsabili. [Murialdi 2000, p.141]

E’ durante questo periodo di inazione che la stampa italiana diventa sempre più stampa politica. Il regime monopolizza l’informazione, mentre il giornalismo d’opposizione è costretto ad organizzarsi attraverso canali clandestini, altamente politicizzati e quindi largamente dipendenti dalla politica.

La situazione fin qui presentata ha creato le condizioni per la definitiva svolta politica del giornalismo italiano. Sarà infatti soprattutto con il primo dopoguerra e con l’estremizzazione del conflitto politico che si verrà a determinare con maggior forza la marcata politicizzazione del giornalismo italiano. Lo stesso Mussolini, nato giornalista e divenuto dittatore, è forse l’esempio più evidente ed estremo della sovrapposizione tra giornalismo e politica [Mancini, 2002, p.25]. Gli anni del regime e la fine, nel 1925, di ogni libertà di pensiero e di stampa imporranno alla stampa italiana una nuova svolta politica: compito dei giornali sarà infatti quello di fornire supporto al regime [Cannistraro, 1975]. Le “veline” di Mussolini inaugurano

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infatti una prassi di indicazioni e suggerimenti ai giornali che, per alcuni aspetti, rimarrà inalterata anche dopo la fine della dittatura.

Ma è soprattutto con la resistenza e con l’immediato dopoguerra che si gettano le basi per la totale simbiosi tra giornalismo e politica in Italia: la lotta contro il fascismo costringe infatti i giornali a farsi strumenti di divulgazione delle idee di libertà e soprattutto di organizzazione della lotta stessa. Inoltre, soprattutto dopo la caduta del regime ed a seguito con lo sbarco in Sicilia delle forze alleate, venivano a crearsi nuove e diverse esigenze informative. Come sostiene opportunamente Mancini :

da una parte, infatti, le forze alleate che sbarcano in Italia tentano di portare nel nostro paese quelle idee di libertà di stampa, di giornalismo neutrale che si sono così profondamente radicate nei paesi anglosassoni. Dall’altra, questo tentativo si scontra con le esigenze informative della Resistenza, e quindi della liberazione: i neonati partiti e gruppi che ne fanno parte hanno bisogno di strumenti di comunicazione in grado di diffondere le loro idee, di mobilitare i sostenitori [Mancini, 2001, p.27].

Inoltre l’azione del PWB (Psychological Warfare Branch)5 è tesa fornire alle truppe in guerra un appoggio propagandistico e a combattere ogni possibile ritorno delle idee fasciste: l’adozione dei principi di libertà di stampa è uno di questi obiettivi, e viene perseguito attraverso la riapertura dei giornali legati a gruppi antifascisti. Inoltre, con l’adozione nel 1944 del Press Plan for Italy, gli Alleati cercano di introdurre i principi di “correttezza” e

5 Il PWB ( Psychological Warfare Branch) è un organismo, originariamente costituito nel 1942 da

inglesi e americani, per gestire i mezzi di comunicazione dei territori che venivano occupati, cfr. Murialdi, 1995.

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“neutralità” nella stampa italiana, dando però origine ad una contraddizione di fondo: i quotidiani che vengono fatti risorgere dopo il balck−out del ventennio fascista sono quelli legati alla resistenza, che per loro natura, non possono essere né equidistanti, né neutrali. Dietro l’adozione del Press Plan for Italy c’è infatti un modello democratico, quello bipartitico e dell’astratta neutralità dei media, che non è quello che sta nascendo nell’Italia del dopoguerra, dove i gruppi artefici della Resistenza sono molteplici e di diverse ispirazioni politiche, e che il livello dello scontro militare e politico è tale da richiedere l’adozione di tutti gli strumenti di lotta, compresi i quotidiani e la propaganda. [ Pizzarosso, Quintiero, 1989].

Murialdi riporta un dato interessante relativo al collegamento tra giornali e gruppi di resistenza: nel 1945 la «carta per i giornali viene spartita con il seguente criterio: il 50 % ai sette giornali di partito, il 20% al “Corriere d’Informazione”, il restante 30% è diviso tra “Il Lombardo” e i settimanali politici» [Murialdi, 1995, p.39]. E’ con la Resistenza, prima, e la Liberazione poi che comincia a configurarsi l’attuale sistema italiano, dove i mass media sono un arena, dentro cui gli organi d’informazione dialogano esprimendo il punto di vista delle forze alle quali sono collegate.

E’ con la Resistenza, prima, e la liberazione poi che comincia a configurarsi l’attuale sistema italiano, dove i mass media sono un’arena, dentro cui gli organi d’informazione dialogano esprimendo il punto di vista delle forze alle quali sono collegate.

I primissimi anni della storia repubblicana vedono inoltre l’aspro scontro politico tra Democrazia Cristiana e Fronte Popolare, che monopolizzano o quasi l’informazione di quegli anni, assicurandosi così fin da subito l’attenzione dei giornalisti, che

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assegnano un posto d’onore al dibattito politico. Questi sono gli anni dell’inizio della contrapposizione tra due blocchi, quello atlantico e quello sovietico, verso cui il sistema informativo non poteva rimanere insensibile. Aumentano infatti i reportage, soprattutto dagli Stati Uniti, e si apre un aspro conflitto tra i giornali di partito (soprattutto tra l’unità ed il Corriere), anche se il panorama giornalistico non fa segnare grosse novità: in questo periodo, come sostiene ancora Murialdi, il giornalismo italiano non cerca di differenziarsi e di svilupparsi come ad esempio stava accadendo in Francia, ma cerca consensi all’interno degli uffici degli editori−industriali. [Murialdi, 2000].

Con la nascita e la diffusione del sistema radiotelevisivo pubblico la situazione cambia di nuovo, anche se non propriamente in meglio. La RAI infatti diventa oggetto di spartizione tra le forze politiche della Prima Repubblica, dove i partiti sono i veri padroni dell’informazione [Sorrentino, 2002]. La Partitocrazia che dominerà i successivi cinquant’anni di storia democratica del nostro paese ridurrà il mezzo televisivo pubblico ad una mera reneicontazione delle idee politiche dei partiti. E’ in questi anni che si rafforza la complicità tra giornalismo e politica: ormai il sistema d’informazione diventa complementare a quello politico, riverberando al suo interno le stesse contraddizioni che pervadono il sistema politico [Pasquino 2002]. Alla fine degli anni settanta, con la nascita delle tv commerciali, si vedrà una nuova rivoluzione nell’informazione, ovvero la comparsa della notizia commerciale, che fa ascolta ed attira nuovi inserzionisti pubblicitari [Mancini 2002]. In altre parole, il giornalismo italiano non riuscirà mai a scrollarsi di dosso le sue caratteristiche di vicinanza, per

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non dire acquiescenza, al potere politico ed economico, che continueranno a operare un serio, ed in qualche caso preoccupante, controllo sull’informazione in Italia.

3.2.2

.

Il sistema politico italiano, uno sguardo

d’insieme.

Il sistema politico italiano è stato, ed è oggetto di una vastissima serie di studi. Molti autori si sono cimentati nella codificazione di un sistema, che, agli occhi di molti, ha rappresentato e rappresenta un’anomalia rispetto ai sistemi politici degli altri paesi [Pasquino, 2002]. Alcuni autori che hanno svolto un lavoro di classificazione delle democrazie contemporanee (in particolare Lijphart, 1999) hanno collocato l’Italia tra le democrazie consensuali, caratterizzate da:

« − Condivisione del potere, separazione tra potere legislativo ed esecutivo, sistema multipartitico, sistema elettorale proporzionale, negoziazione e cooperazione tra maggioranza e opposizione.» [Lijphart,1999]

Questa classificazione però non riesce a cogliere la complessità del caso italiano, nel quale non è possibile ritrovare le caratteristiche di negoziazione e cooperazione proprie dei sistemi consensuali. Utilizzando la definizione di Pasquino, è più corretto classificare l’Italia come un sistema politico proporzionale conflittuale [Pasquino, 2002].6

6 Secondo Pasquino non si può classificare l’Italia tra le democrazie consociative perché non c’è

stato mai nella storia della repubblica un reale accordo di governo che comprendesse anche gli esponenti del partito comunista, accordo invece che è tipico e largamente usato nelle altre

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“L’anomalia” del sistema italiano è stata evidente per tutta la durata della Prima Repubblica, ovvero dal 1948 al 1992. Durante questo periodo la democrazia italiana è stata definita in vari modi: partitocrazia, sistema politico bloccato, democrazia difficile. [Pasquino, 2002, p.15]. Tutte queste definizioni spiegano in sintesi il sistema politico precedente al 1992, anno d’inizio dell’inchiesta giudiziaria della magistratura milanese denominata “Mani Pulite”, che pose fine alla sistema partitico della Prima Repubblica, contribuendo all’inizio di una fase di crisi di regime che dura tuttora.

Per definire correttamente il sistema italiano è corretto di parlare di sistema politico partitocentrico, più specificamente di regime partitocratrico [Pasquino 2002, p.16], sistema profondamente incentrato sulla pressoché totale occupazione del potere politico da parte dei partiti.

Il caso italiano rappresenta certamente un eccezione rispetto ad altri paesi europei, che pur possano contare su un sistema multipartitico e su sistemi elettorali proporzionali. E’ il caso di Francia e Germania, che tecnicamente possono essere definiti sistemi di party government. Pasquino definisce in modo chiaro le differenze tra party government e regime partitocratrico:

«Un governo di partito controlla temporaneamente un numero limitato di cariche molto inferiore a quelle occupate per un periodo indeterminato in un regime partitocratrico[…]. In secondo luogo, un governo di partito è sempre esposto alla valutazione degli elettori, mentre un regime partitocratico può, grazie alla natura delle sue alleanze ramificate e probabili collusioni, tenere pochissimo di

democrazie consensuali come Svizzera, Olanda, Austria. Per approfondimento si veda Pasquino, 2002 e 2004.

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conto delle valutazioni. Infine un governo di partito può essere sostituito facilmente da un altro partito oppure da un’altra coalizione, un regime partitocratico è tale perché è effettivamente insostituibile a meno di una crisi, appunto di “regime”» [Pasquino, 2002, p.17].

La descrizione di Pasquino evidenzia come la propensione del sistema politico precedente al 1992 fosse appunto quella di ramificare il controllo sulle cariche pubbliche, e l’occupazione delle cariche era anche volta al controllo dell’informazione. Per usare la definizione di Easton [1965] l’autorità del sistema italiano era rappresentata effettivamente dai partiti e dai loro dirigenti, che hanno plasmato il regime, ovvero l’insieme di regole e di procedure necessarie al funzionamento del sistema, tenendo così sotto controllo la comunità politica, anche attraverso il controllo dell’informazione.7

Con il crollo della Prima Repubblica e con il cambio del sistema elettorale attraverso un referendum popolare (1993) da proporzionale puro ad un sistema misto, il regime partitocratico ha avviato, almeno apparentemente, la sua fase di transizione che perdura ancora oggi [Pasquino 2002].

Le ragioni che hanno portato alla crisi di regime sono molteplici: dal crollo del muro di Berlino ed al conseguente “sdoganamento” di parte della sinistra italiana, all’accelerazione del processo d’integrazione europea segnato con la sottoscrizione del trattato di Maastricht (1992), al cambio di legge elettorale [Pasquino 2002, p.75]. Le inchieste giudiziarie hanno però portato alla luce le

7 Easton ha analizzato i sistemi politici secondo una lettura sistemica. Il sistema politico è in effetti

formato da tre componenti, ovvero autorità, regime e comunità politica. L’autorità politica è rappresentata da parlamenterei, governanti, dirigenti di partito, dal regime, ovvero l’insieme delle regole del gioco politico, e la comunità politica, formata dai cittadini, dalle associazioni e dai movimenti. Cfr Pasquino 2002, 1999, Sartori, 1982.

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conseguenze più evidenti e più gravi di un sistema così legato al potere dei partiti, ovvero l’altissimo tasso di corruzione e l’ampia diffusione di pratiche clienterali. Governanti e rappresentanti che si sentivano inamovibili, sicuri di non poter essere sostituiti da oppositori, hanno istituzionalizzato la tangente, ovvero è stato creato un vero e proprio sistema, in cui chi non pagava, e quindi non accettava le regole di funzionamento, rimaneva fuori, ai margini del sistema.

E’chiaro che queste regole impedivano il pieno sviluppo di un mercato concorrenziale; ponendo le basi di un sistema che anziché premiare l’efficienza delle aziende e la professionalità, favoriva pratiche illecite. Le risorse erano indirizzate dai politici verso imprenditori conniventi, che acquisivano rendite attraverso la disponibilità a pagare tangenti [Della Porta e Vannucci, 1999].

Oltre che provocare bassi rendimenti del mercato economico a causa della scarsa concorrenza, il sistema ha sviluppato quello che Hallin e Mancini definiscono forte parallelismo politico, ovvero la tendenza ad esprimere una forte analogia tra il sistema politico e quello d’informazione. Come osservano Hallin e Mancini :

« − In questi paesi l’accesso dei giornalisti alle informazioni politiche dipende dai legami politici e, in generale, la comunicazione politica tende ad essere utilizzata per il processo di negoziazione fra èlite anziché fornire informazioni per un pubblico di massa».

[Hallin Mancini, 2004, p.56]

La presenza in Italia di un regime partitocratrico non giustifica tuttavia da sola la scarsa autonomia dei media giornalistici dalle

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istituzioni. Una seconda motivazione della acquiescenza dei media verso il potere può essere ritrovata soprattutto nel basso livello di condivisione di regole formali da parte degli operatori dell’informazione e dei gestori della cosa pubblica, con la conseguente proliferazione di casi di corruzione o l’adozione di pratiche clientelari.

In questo quadro è comunque logico supporre che l’organizzazione del regime politico abbia notevolmente influenzato, e continui ad influenzare i media. L’anomalia sistemica è evidente nella continua spartizione dei tre canali Rai (la c.d. lottizzazione) tra i principali partiti e la scarsa indipendenza delle principali testate stampa dal mondo dell’alta finanza, di cui parleremo nel prossimo paragrafo, con la quale si andava a creare un sistema d’informazione bloccato ed acritico nei confronti del potere, mentre nel resto del mondo stavano proliferando nuovi modelli di giornalismo, raccolti sotto l’egida del giornalismo d’inchiesta, il watch dog nei confronti del potere [Hallin e Mancini 2002].

Il periodo di transizione da un sistema bloccato ad uno bipolare e di alternanza democratica non si è ancora concluso; ed è dunque difficile trarre delle considerazioni definitive sull’influenza che il sistema politico in transizione abbia avuto, e stia avendo sul mondo dell’informazione. E’ tuttavia possibile fare delle considerazioni sullo stato del mercato dell’informazione, analizzando brevemente le caratteristiche attuali e l’assetto del mercato della stampa e dei media, richiamando le principali evoluzioni storiche, evidenziando i cambiamenti e le tendenze a partire dal crollo del regime della prima repubblica, sottolineando l’importanza cruciale che ha rivestito l’entrata in politica di uno degli editori più potenti nella storia economica italiana, ovvero l’On. Silvio Berlusconi.

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3.2.3. La struttura economica del mercato della stampa in

Italia: l’editoria impura

Alla base di molte considerazioni sullo grado di impermeabilità della stampa italiana relativamente al potere, politico ed economico, sta l’analisi della struttura del mercato della stampa. L’odierno assetto affonda le radici nell’organizzazione del sistema economico italiano, a partire dalla fine dell’800. Sia Mancini [2002] che Sorrentino [2003] sostengono che la stampa italiana è da sempre stata caratterizzata dalla prevalente diffusione dell’editoria “impura”, ovvero proprietà di singoli o di gruppi i cui maggiori profitti provengono da settori e prodotti diversi dall’editoria. E’ questa una connotazione storica dei media italiani, sviluppatasi tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Molte delle ragioni che storicamente hanno determinato lo sviluppo dell’editoria impura persistono ancora oggi, ed è quindi possibile affermare che il sistema di proprietà si è mantenuto strutturalmente stabile nel tempo [Mancini 1998]. Ortoleva (1997, p.241) riconosce tre cause strutturali che hanno bloccato lo sviluppo ed il mutamento della struttura di mercato:

1) una lingua poco parlata; 2) un paese poco istruito;

3) una distribuzione della stampa poco capillare.

Questi tre elementi secondo Ortoleva avvalorano l’idea della non esistenza di un mercato delle comunicazioni di massa, o perlomeno di una forte condizione di ristrettezza. La bassa capacità di attecchire se non nelle èlite, nei gruppi socialmente più istruiti, ha limitato fortemente la costruzione di un sistema di mercato che

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permettesse all’editoria di non mischiarsi e non prestarsi all’intervento di attori che operavano in altri mercati. La grande industria infatti aveva trovato larghi spazi di convergenza tra i suoi interessi e quelli della stampa, grazie da una parte alla necessità di fonti di finanziamento più sicure, ma anche scelte economiche e politiche di fronte ai nuovi sviluppi del paese; dall’altra ricerca di strumenti idonei ad influenzare la pubblica opinione in favore o a copertura di interessi di determinate categorie economiche [Castronovo 1976, p.164].

All’inizio del secolo scorso mutava profondamente la natura dei giornali, da piccole testate di natura locale, diventano grandi testate a tiratura nazionale, da piccole a grandi industrie. Per supportare questa trasformazione i giornali si sono dovuti appoggiare a banche e grandi industrie per poter percorrere la via dell’innovazione, dato che i costi non potevano essere coperti dalle vendite e dalle inserzioni dei pubblicitari. L’intervento delle grandi industrie manterrà la prassi dell’editoria impura inalterata fino ai nostri giorni.

Durante il ventennio fascista l’editoria aveva avuto un ulteriore impulso, dato che il regime intratteneva rapporti favorevoli con grandi industriali: l’esempio più importante è costituito dalle spinte operate dal regime sulla famiglia Crespi per l’acquisto del “Corriere”, che negli anni venti era nelle mani di Alberini, fermo oppositore del regime. In altre parole, è proprio in questi anni che il sistema italiano inizia a definire la sua connotazione di “oligopolio”.

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Testata Città d’edizione

Principali azionisti

Il Secolo Milano Banche

L’Italia Milano Banche

La Perseveranza Milano Agrari

Il Popolo d’Italia Milano Armatori

Secolo XIX Genova Armatori

Corriere Mercantile Genova Perrone

Il Paese Torino Perrone

Il Resto del Carlino Bologna Assicurazioni

Il Giornale del

Mattino

Firenze Zuccherieri

La Nazione Firenze Ilva

Il Nuovo giornale Trieste Ilva

Il Piccolo Roma Armatori e banche

Il Tempo Roma Ilva

Il Messaggero Roma Perrone

Il Popolo Romano Roma Perrone

Il Giornale d’Italia Roma Banche assicurazioni

immobiliari

La Tribuna Roma Siderurgici

Il Mattino Napoli Ilva

L’idea Nazionale Roma Siderurgici

La struttura oligopolistica del mercato della stampa non è una particolarità tutta italiana: anche nel resto d’Europa si creano cordate Principali azionisti dei giornali italiani (1920), fonte: Capecchi e Rivolsi, 1971

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d’imprenditori per il controllo dei giornali. L’assetto oligopolistico del maercato sarà una caratteristica fondamentale, che rimarrà inalterata negli anni. Durante gli anni ’70, ovvero gli anni n cui il mercato della stampa ha subito molte variazioni di assetti proprietari, non è però migliorato in grado di concorrenza, facendo addirittura parlare di mosse atte a manipolare il consenso della pubblica opinione [Pansa 1974], e lo stesso Mosconi denuncia l’eccessiva concentrazione del mercato della comunicazione, sottolineando che la produttività dell’interno settore stampa è assicurata da due o tre gruppi editoriali [Mosconi 1998].

E lo stesso vale per un'altra peculiarità del mercato italiano, ovvero la multimedialità. Mosconi denuncia l’eccessiva concentrazione del mercato della comunicazione, sottolineando che la produttività dell’interno settore stampa è assicurata da due o tre gruppi editoriali [Mosconi 1998].

Per capire quale sia l’assetto odierno della stampa ci è utile citare l’annuale relazione presentata al Parlamento presentata dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nel 2000, dove vengono indicati quattro gruppi proprietari della stampa quotidiana:

1) gruppo Rcs (Rizzoli Corriere della Sera), proprietario di “Corriere della Sera, “Corriere del Mezzogiorno”, “Gazzetta dello Sport, con tiratura percentuale nazionale del 17,09%; 2) gruppo editoriale l’Espresso, proprietario de “ Alto Adige”,

“Gazzetta di Mantova”, “Gazzetta di Reggio”, “Il Centro”, “Il Mattino”, “Il Piccolo”, “Il Tirreno”, “La Città”, “La nuova Ferrara”, “La nuova Sardegna”, “La Tribuna di Treviso”, “

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Messaggero Veneto”, “ La nuova Venezia”, “ La Provincia”, “la Repubblica”, con una tiratura nazionale percentuale del 16,15%;

3) gruppo Monti, proprietario de “Il Giorno”, “Il Resto del Carlino”, “La Nazione”, con una tiratura percentuale nazionale del 6,39%;

4) gruppo Caltagirone, proprietario de “ Il Mattino”, “Il Messaggero”, “Quotidiano di Lecce, Brindisi e Taranto”, con una tiratura percentuale nazionale del 6,36%.

Lo stesso studio evidenzia la composizione dei gruppi, così suddivisa nelle sue quote più significative:

1) RCS: Mediobanca 12,52%, Sicind 12,36%, Assicurazioni Generali 3,22%, Gemina 3%.

2) Gruppo editoriale l’Espresso: Cir spa 49,67%. persone fisiche varie 34,86%, Carlo Caracciolo 8,99%.

3) Gruppo Monti: Monti Riffeser finanziaria 50,10%, persone fisiche varie 28%, Industriale finanziaria Spa 11,50%, Fidelity International Limeted 4,99%.

4) Gruppo Caltagirone (Edi.Me): Calatagirone 90%, Ical sud Srl 10%.

Gli interessi dei proprietari dei maggiori gruppi editoriali spaziono dalla finanza, all’industria, senza considerare il caso de “La Stampa”, interamente di proprietà della FIAT [Mancini, p.56, 2002 e Sorrentino, 2003]. Sono questi grandi gruppi industriali che riescono a guadagnare con l’industria dei quotidiani, mentre per i giornali più piccoli e limitatamente diffusi soffrono di una situazione economica molto precaria.

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Per concludere questa brevissima analisi della struttura del mercato della stampa in Italia è opportuno dare uno sguardo al fatturato delle aziende editoriali, comprensive del mercato televisivo.

Tab 4 Fonte: Mancini, 2002

Società Fatturato

Rai 2.379.332

Mediaset 5.077.465

De Agostini 981.380

Seat Pagine Gialle 934.833 Gruppo l’Espresso 774.975

RCS Editori 1.409.918

Il gruppo Mediaset è di gran lunga il maggiore editore italiano, il suo fatturato è doppio rispetto a quello della Rai. In un mercato dove la stampa è limitatamente diffusa8, è molto importante analizzare il mercato dell’editoria nel suo insieme. E’ evidente che lo strapotere che Mediaset ha sul mercato in termini di fatturato può suscitare molti interrogativi sull’opportunità che il suo proprietario, ovvero Silvio Berlusconi, sia anche uno dei principali esponenti della politica italiana, e che durante il suo governo (2001−2006) abbia avuto la possibilità di influenzare anche l’informazione del secondo maggior editore (RAI).

8 In uno studio della World association of newspaper (1997) l’Italia occupa l’ultimo posto in

Europa con poco più di 100 copie vendute per 1.000 abitanti, contro le 600 di Norvegia e Svezia che guidano la classifica

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3.3

Stati Uniti

Il sistema d’informazione giornalistica degli Stati Uniti si presenta come profondamente diverso rispetto a quello italiano. Sin dalle sue origini, la stampa americana si è presentata come principale strumento di controllo e di bilanciamento nei confronti del potere politico. A differenza del caso italiano, dove il parallelismo con la politica ha rappresentato il carattere peculiare dell’evoluzione del sistema, negli Stati Uniti si è fin da subito delineata una netta separazione tra giornalismo, economia e politica. La penny press e la nascita della stampa popolare che fungeva da critica al potere politico, e che vedeva nei liberi editori i principali protagonisti della scoperta del media della stampa, sono stati alcuni eventi che hanno contraddistinto lo sviluppo della professione giornalistica [Schudson, 1987]. L’indipendenza che da sempre ha dimostrato il giornalismo, watch dog per definizione nei confronti della pubblica amministrazione, si è spesso scontrata negli anni con i tentativi da parte della politica e dell’economia di manipolare o quantomeno influenzare l’informazione.

Non esistendo un sistema formale e codificato di regole deontologiche, la professionalità giornalistica americana ha da sempre seguito regole informali di autoregolamentazione, seguendo i codici etici che fin dalla loro nascita hanno contribuito all’alto livello di professionalizzazione della professione.

Il sistema politico ha altresì da sempre cercato spazio e favore negli organi d’informazione, soprattutto a seguito delle presidenze di Theodore Roosvelt e successivamente di Woodrov Wilson, (la cd era “progressista”) durante le quali è stato modificato il rapporto tra

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Presidente e pubblica opinione, che negli anni successivi diverrà sempre più fondamentale negli Stati Uniti [Shudson 1987, Bergamini 2001, Rizzuto 2002].

3.3.1. Lo sviluppo del giornalismo negli Stati Uniti: dalla

penny press alla news management

Anche negli Stati Uniti si è assistito alla proliferazione della stampa quotidiana dalla metà dell’800. A differenza di ciò che accadeva in Italia, l’industria della stampa rappresentava un vero business, e lo stessa organizzazione dei giornali era incentrata sulla figura del direttore−editore, one man journal, date e piccolissime dimensioni dei primi quotidiani[Schudson, 1984, pag. 26]. E’ questa particolare caratteristica che portò i giornali a sviluppare un forte senso di autonomia, sentito soprattutto dal direttore editore, il quale, per poter ampliare il mercato dei lettori, doveva differenziare l’offerta informativa dagli altri giornali: il valore della deontologia e della professionalità si andava dunque a sposare con l’economicità del business della stampa. Fin da subito furono i lettori a sostenere con i loro acquisti l’industria editoriale, che si è quindi sviluppata in modo autonomo dalle grandi lobby economiche. Ciò non impedì tuttavia la nascita e la diffusione di giornali di partito, finanziati e scritti da esponenti dei gruppi politici [Schudson, 1984]. Tutto ciò avveniva però nella più ampia trasparenza, anzi, i giornali di partito erano un’ulteriore componente dell’offerta informativa verso il pubblico.9

9

I giornali di partito andavano a coprire le notizie di politica interna ed il dibattito politico mentre la stampa commerciale poneva l’attenzione sulla cronaca dei fatti. In un primo tempo, ovvero agli inizi del XIX secolo la stampa quotidiana era fruibile solo dalle elites, dato che i costi di produzione erano assai elevati. Alla fine del secolo, con l’abbassamento dei costi di produzione e

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Ma la vera rivoluzione della stampa, che ha gettato le basi per l’alto grado di professionalizzazione del sistema informativo, può essere riconosciuta con la nascita dei penny papers [Gozzini, 2002 Schudson 1984]. I penny papers vengono alla luce tra gli anni trenta e quaranta del secolo XIX. Come sostiene Schudson:

«Prima degli anni trenta, quando i giornali si rivolgevano ad un pubblico apparetente alle elites commerciali, i loro nomi concordavano con questa esigenza . Più della metà dei giornali pubblicati settimanalmente a New York, Boston, Baltimora, Filadelfia e Whasington conteneva nei suoi titoli termini come “advertiser”, “commercial”, “mercantile”. Dopo il 1830 ci fu una fioritura di giornali che evocavano un qualche genere di azione “critic” “herald”o “tribune”.[…] Il passaggio da “advertiser a “herald” è stato definito la rivoluzione commerciale della stampa americana». [Schudson, 1984, pp. 24−28].

E furono proprio i penny papers ad incarnare il nuovo modello di stampa commerciale, caratterizzato da un’ampissima diffusione e dovuta al basso prezzo di vendita del giornale: un penny, contro i sei degli altri quotidiani. Proprio il prezzo e lo stile asciutto e diretto dei giornali permise alla stampa una stupefacente proliferazione, arrivando a far vendere al primo penny press, ovvero il New York Sun, la quota di 15.000 copie al giorno.10

la nascita della penny press, la stampa si rivolge a due platee differenti: le masse, desiderose d’informazione quotidiana, quasi un diario dei fatti; le elites economico−politiche, desiderose di un approfondimento sulle opinioni. Per un approfondimento si veda SCHUDSON, 1984,

Discovering the news.

10 In totale gli altri giornali dell’epoca vendevano solo 23.000 copie. Dati tratti da William J.

Bleyer, Main Currents in the History of American journalist, Boston, Miffin, 1927, p.166, cit. in Schudson, op.cit.

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I penny press si fecero dunque strada puntando su un ampissima diffusione e sulla raccolta pubblicitaria. Questo permise ai pionieri della penny papers di rendersi completamente indipendenti dalla politica. Proprio il disegno economico del progetto era intimamente legato alla filosofia del lassez faire propria dei nuovi quotidiani: non c’era pregiudizio nei confronti di nessun fatto, di nessuna notizia, il sovrano era solo il lettore, ovveroil principale finanziatore dei giornali [Schudson,1984].

La rivoluzione commerciale della stampa americana è fondamentale, perché può essere messa in relazione con la nascita di quella che Schudson chiama “società democratica di mercato”, ovvero di una società dove venivano meno i privilegi borghesi in favore di una struttura che andava ad assomigliare ad una moderna democrazia di massa. A questo radicale mutamento sociale è stata associata la crescita dell’economia di mercato, che plasmò con gli ideali di interesse personale e di libero scambio la cultura democratica del paese. [Schudson, 1984, p.63]. Inoltre con la fine del XIX la cultura americana, ma soprattutto il giornalismo, recepì le innovazioni dettate dalle nuove scoperte scientifiche (soprattutto l’evoluzionismo di Darwin) inaugurando quello che sarà il modello informativo americano classico, ovvero il “modello realista”, con la nascita della figura del reporter e della regola delle 5 W 11[Schudson, 1984].

Il modello d’informazione rimarrà fondamentalmente inalterato fino a metà degli anni cinquanta, ovvero fino alla nascita ed alla diffusione della televisione. Tuttavia, nel corso degli anni si è andato a modificare l’atteggiamento della politica americana verso

11 Le cinque W, ovvero: Why, Where, When, What, Who, le 5 domande a cui doveva rispondere

l’articolo del giornalista, definite così da Maxwell, direttore del “Chicago Globe” nel 1892. Cit. in Schudson, 1984.

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l’informazione. La marcata indipendenza dell’sistema informativo e la fiducia che esso aveva presso i cittadini lettori, hanno contribuito ad accrescere l’importanza della gestione dell’arena informativa, fondamentale per chi avrebbe dovuto acquisire e muovere il consenso delle grandi masse [Lipmann 1964, Chomsky 2006]. Proprio questo interesse è stato oggetto di analisi di Lipmann, che già negli anni ’20 denunciava il tentativo di manipolazione e gestione delle notizie da parte del governo [Lipmann, 1964].

Infatti, l’interesse della politica verso la gestione dei flussi informativi va fatto risalire proprio all’immediato primo dopoguerra, a seguito del quale lo staff presidenziale iniziò a gestire le notizie da rivelare ai giornalisti ed al grande pubblico, specialmente in merito ai termini del trattato di Parigi (1919) [Schudson, 1984, p.164].

Proprio in questo periodo nasce la news managment, che andava in un primo momento a riguardare l’opportunità e la modalità di pubblicizzare le azioni di politica interna ed internazionale da parte del governo. La news managament theory troverà terreno fertile durante la presidenza “di guerra” di Roosvelt, ma è soprattutto con la fine del secolo, con gli anni ottanta e la presidenza Reagan che si avrà una vera e propria applicazione scientifica delle teorie di gestione delle notizie, verso cui i governi americani della fine del XX secolo avranno una fortissima attenzione.

Le pressioni della politica si concretizzeranno soprattutto nel filtro delle informazioni che provenivano dai fronti della Seconda guerra mondiale e, successivamente, durante il periodo del

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maccartismo12. Lo strappo del mondo del giornalismo rispetto a questo periodo che possiamo chiamare “di consenso” rispetto al potere, avviene durante la guerra del Vietnam, quando molti giornali riscoprono il giornalismo d’inchiesta [Schudson, 1984]. Come risposta l’amministrazione americana si affiderà, soprattutto a partire dagli anni ottanta, in particolare con la presidenza Reagan, alla News Managment. Il forte peso che la televisione aveva ormai acquisito ha permesso l’affinamento delle tecniche di news managment, dando sempre più spazio ad un intervento, o perlomeno al tentativo d’incidere, sull’esposizione delle notizie da parte della politica.

3.3.2. Il sistema politico statunitense

Non è certamente questa la sede per effettuare una disamina approfondita del sistema politico americano, oggetto di molte attenzioni in letteratura. Per questo motivo, ed anche per facilitare la comparazione con il sistema italiano, ci affideremo ad una breve analisi del sistema politico americano procedendo, anche in questo caso, secondo lo schema suggerito da Pasquino [Pasquino e Campus, 2003]. Per poter fare un’analisi sintetica, ma esaustiva, del regime politico occorre innanzitutto analizzare e descrivere brevemente il ruolo del presidente, del sistema partitico, facendo anche un accenno al ruolo delle lobby.

Nella concezione tradizionale della sistema politico statunitense il presidente è una figura dominante nel panorama delle istituzioni

12 Il senatore Joseph Mc Charty negli anni cinquanta sfrutto i canali d’informazione per portare

avanti la sua caccia ai “comunisti”, usando la proverbiale neutralità dei reporter per divulgare le sue accuse contro i cittadini americani. Per approfondire si veda VERCESI BASSO, 2005.

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[Campus, 2003]. Gode di ampissima visibilità, ed è eletto direttamente dagli elettori. Fin da sempre il presidente ha rappresentato un elemento fondamentale per il sistema, una figura rassicurante per la comunità,13una funzione di guida e di alta responsabilità. Questa figura e lo stesso ruolo istituzionale del presidente ha subito un grande cambiamento ed adattamento nel corso degli anni: alle origini della federazione i padri fondatori avevano pensato alla figura presidenziale come mediatrice nei confronti degli altri poteri istituzionali. Il sistema era stato infatti dotato di una serie check and ballance, necessari a mantenere l’equilibrio tra le varie istituzioni. Nel corso dello sviluppo del sistema il presidente è divenuto sempre più commander in chief della federazione, ovvero oltre che rappresentare una mediazione tra le istituzioni dell’unione federale è anche responsabile della produzione di politiche e della loro esecuzione: in altre parole la funzione del presidente si è andata trasformando da mediatrice a decisamente, ma non totalmente, autonoma rispetto al Congresso, al quale invece era molto legata all’inizio del XIX secolo [Rizzuto, 2003]. Per dirla con le parole di Neustad (1991) “il presidente è il potere esecutivo” [Campus e Pasquino, 2003, p.154].

Il capo dell’esecutivo dunque gode di ampia, ma non assoluta, libertà di agire nell’interesse del paese, e la sua figura gode certamente di una forte esposizione al pubblico, più marcata rispetto alle altre istituzioni, anche perché eletto direttamente da parte cittadini [Campus e Pasquino, 2003].

Proprio a questo proposito ci è utile ricordare il lavoro di Neustad (1991), il quale raggruppa in due le categorie attraverso le

13 Molte ricerche effettuate sui bambini hanno dimostrato che essi vedono il presidente come una

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quali il presidente esercita le proprie funzioni, ovvero il comando e la persuasione: quando il presidente e la decisione richiesta riguarda direttamente le prerogative presidenziali, ed ha carattere di urgenza e necessità, allora il presidente comanda (esempi lampanti sono le decisioni urgenti in politica estera ); quando invece il presidente si trova a dover rapportarsi con il Congresso e con l’opinione pubblica (attività che occupano la maggior parte del suo tempo) allora persuade. Questo accade proprio in ragione dello sharing power del congresso: il Presidente non può governare da solo, anche quando i rami del congresso sono in mano alla stessa sua stessa maggioranza politica, per questo il capo dell’esecutivo si trova molto spesso a dover dialogare con il congresso, e, a causa della sua visibilità, deve continuamente relazionarsi con l’opinione pubblica, per giustificare le sue scelte [Campus e Pasquino, 2003].

Il sistema dei partiti è molto più semplice di quello italiano: negli Stati Uniti esistono solo due partiti (solo alla fine dell’800 si affacciò sull’arena politica il partito “populista” che ebbe poca fortuna e breve vita) ovvero il partito Democratico ed il partito Repubblicano, i quali si sfidano secondo un sistema elettorale maggioritario semplice [Pasquino 2003]. L’organizzazione dei partiti è diametralmente diversa da quella italiana: i partiti sono in realtà poco radicati sul territorio e creano un’organizzazione più capillare solo in concomitanza con le elezioni presidenziali o di midterm.

E’ pratica diffusa che il vincitore delle elezioni distribuisca le principali cariche della funzione pubblica tra personale vicino al partito (il cd. spoil system). Questa pratica permette un naturale ricambio di personale in carica nelle posizioni di potere, preservando il sistema, grazie anche ad un’alternanza delle forze politiche al

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governo, dalla nascita e dalla proliferazione di pratiche clienterali dovute dall’assenza di un ricambio fisiologico delle cariche pubbliche [Pasquino e Campus, 2003].

E’altresì fondamentale descrivere il ruolo delle lobby: il sistema politico infatti dipende molto dalle donazioni e dalle pressioni che le Lobby, ovvero organizzazioni informali di particolari settori della vita sociale ed economica, fanno sul sistema. In particolare sono le lobby che si schierano con i diversi candidati a seconda degli obiettivi politici: nelle ultime due elezioni ad esempio il Presidente GW Bush è stato appoggiato delle lobby della armi, dai produttori di energia, mentre il candidato Democratico Al Gore ha potuto contare ad esempio sull’appoggio delle lobby degli ambientalisti. [Campus e Pasquino, 2003].

L’elezione diretta del presidente e la cruciale importanza del suo ruolo all’interno dell’sistema istituzionale, e la sua continua opera di persuasione, ha portato negli anni ad un largo uso degli strumenti mediatici per convogliare il consenso della pubblica opinione [Chomsky, 1974]. La particolare funzione del presidente, che da una parte va ad equilibrare e guidare il sistema politico, dall’altra và ad incidere pesantemente sul regime politico grazie all’uso a carattere persuasivo dei media, i quali, soprattutto a partire dalla diffusione della tv, hanno svolto un ruolo importantissimo per veicolare, non sempre in modo adeguato, il suo messaggio politico.

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3.3.3. Il mercato della stampa americana: dall’editore

tipografo all’arrivo dei grandi manager

Il mercato della stampa americana ha subito varie rivoluzioni, che in un certo senso hanno seguito l’evoluzione storico−sociale del giornalismo americano. In un primo tempo infatti, ovvero prima della diffusione dei penny papers, avvenuta nella prima metà dell’800, l’editoria non era un affare, ma un modo di ostentare ricchezza da parte delle classi medio alte [Schudson, 1984]. La nascita dei penny papers ha fatto scoprire la possibilità di fare business ai cittadini americani. In particolare i primi editori erano veri e propri imprenditori di se stessi, dato che di frequente erano allo stesso tempo tipografi e giornalisti [Schudson, 1984, e Gorini, 2002]. Questo particolare modello di stampa rimarrà inalterato, certo mutando di dimensioni, per buona parte del ventesimo secolo.

I primi anni del XX secolo vedevano mutare profondamente il grado di libertà dei giornalisti e la loro indipendenza. Durante gli anni ‘20 infatti si assisteva alle prime manifestazioni di concentrazione della proprietà editoriale, che si svilupperà definitivamente alla fine del secolo. Proprio tra le due guerre apparvero sul mercato personaggi come Munsley ed Hearst, che fino alla grande depressione avevano costruito grandi imperi finanziari legati a catene di quotidiani [Basso Vercesi, 2005]. E’ comunque con la diffusione della radio, e successivamente della Tv che comincia a manifestarsi nel mercato della stampa un effettiva difficoltà nel resistere alla tentazione dell’editoria impura. Soprattutto alla fine della seconda guerra mondiale inizierà una serie di acquisizioni da parte di grandi imprese editoriali, che spartiranno i grandi giornali in pochi gruppi.

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L’ascesa più spettacolare degli anni cinquanta fu quella di Hearst, il quale nel 1951 arrivò a possedere ben 24 testate, tra quotidiani e settimanali [Basso e Vercesi, 2005].

Le grandi concentrazioni si sono sempre susseguite negli anni, ma è con l’avvento dei nuovi media e con la fine del secolo che si assiste ad una nuova fase di accorpamenti. Non è un caso che l’evento finanziario più importante della storia del giornalismo negli ultimi cinquant’anni è stato rappresentato dalla fusione di Time e Warner, avvenuta nel 1989. [Gilsenti e Pesenti, 1990]. La fusione dei due colossi, il primo della carta stampata, il secondo un gigante nelle cinematografia e nell’enterteiment, ha destato non poco scompiglio nell’economia e nel mondo del giornalismo americano. L’indipendenza dei giornalisti del “Time” era stata messa sotto giudizio, a scapito dell’autorevolezza del settimanale. Il gruppo Time è sempre stato infatti il punto d’osservazione più interessante per capire le trasformazioni e gli sviluppi del mondo della comunicazione in America. Herny Luce, proprietario fino al 1967 del gruppo, era riuscito a gestire il suo impero, formato da tre testate “Time”, “Fortune”, “Life”, senza mai mettere in secondo piano la qualità dei prodotti editoriali.

La svolta arriva negli anni ’80, quando alcune scelte improvvide di Grunwald, all’epoca direttore del gruppo, prosciugarono le casse ed aprirono le porte alle majors della finanza, e quindi, anche qui,all’editoria impura.

Tuttavia in America non sono scomparsi gli editori puri, specialmente in quello che viene chiamata il “corridoio orientale”, tra Washington e Boston. Ma le majors finanziare ed i loro manager sono entrati prepotentemente nel mercato, Robert Cohen afferma infatti:

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«le cose sono cambiate negli ultimi anni, quando nell’editoria è arrivata gente come me, uscita dalle scuole di finanza, dove ci hanno insegnato che il nostro primo compito è di far salire il prezzo delle azioni in borsa. Fin dall’inizio abbiamo cominciato a gestire queste aziende come avremmo gestito qualsiasi altra impresa, senza alcuna considerazione per il fatto che si trattava di mettere mano a fenomeni culturali nei quali creatività ed innovazione dovrebbero avere un peso determinante. Ed adesso siamo un po’ dappertutto nelle società editoriali». [Gilsenti e Pesenti, 1990, p. 192]

Il matrimonio tra colossi editoriale è la naturale conseguenza di un mercato dell’informazione che vede sempre più in crisi la stampa tradizionale, in favore di uno straordinario sviluppo dei nuovi media. L’innovazione tecnologica ha premiato i piccoli emergenti, penalizzando i grandi gruppi detentori delle testate a larga diffusione. Sono saliti alla ribalta gruppi come Ingersoll (62 percento di aumento di fatturato tra ’85 e ’90) Tribune Fox (30 percento di aumento), Daily Juornal Company (22,1 percento). [Gilsenti e Pesenti ,1990]. Tutte le aziende sopraccitate si sono accaparratte la raccolta pubblicitaria snobbata dalle majors, soprattutto rivalutando e rivolgendosi alle periferie ed alle suburbs delle grandi città americane.

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Testata Mil. di $ Var % su 1988 Times 373.385.017 + 6,8 Sport Illustrated 336.671.529 + 4 People Weekly 326.203.199 +6,8 Tv guide 322.985.623 −3,7 Business Week 260.575.042 +14,6 Fortune 167.284.138 +21,9 Forbes 157.696.946 +5,9

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Il grande sviluppo dei nuovi media ed il costante aumento degli investimenti nel settore televisivo ha anche modificato l’attenzione della politica verso quest’ultimo. Ecco perché le presidenze Reagan e Bush hanno fatto della gestione delle immagine dell’esecutivo verso il pubblico il proprio caposaldo, ma di questo parleremo nel quinto capitolo.

3.3

Due sistemi a confronto

Nei paragrafi precedenti abbiamo cercato di mettere in evidenza le diversità e le analogie dei sistemi d’informazione di Italia e Stati Uniti, utilizzando per entrambi tre variabili: l’evoluzione storica del

Tab 5: Chi raccoglie più pubblicità (investimenti pubblicitari per testata, 1989. Fonte: Gilsenti e Pesenti, 1990)

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sistema, il sistema politico, l’evoluzione e le caratteristiche del mercato della stampa.

Certamente la storia politica e sociale dei due paesi ne ha contribuito molto a plasmare il sistema giornalistico: mentre in Italia s’iniziava il lungo percorso verso l’unità, negli Stati Uniti era già diffusa la cronaca locale, grazie ai penny papers, e la stampa era già divenuta un importante forma di business. D’altra parte l’Italia ha dovuto subire il blocco di ogni libertà d’informazione durante la dittatura Fascista, mentre nello stesso periodo negli Stati Uniti si assisteva già ai primi tentativi di news managment da parte della politica. Anche i due sistemi di mercato sono evidentemente diversi: seppur entrambi tendenti all’editoria impura, gli Stati Uniti preservavano un altissimo grado di concorrenza all’interno del mercato, grazie ancora all’eredità della fine dell’Ottocento, quando si assistette alla massiccia proliferazione dei quotidiani, soprattutto su scala locale.

La stampa italiana al contrario si affida da subito ai grandi gruppi industriali, che vedranno nel controllo del mercato un ottimo affare. Questa tendenza, che si avvertirà anche negli Stati Uniti, ma solo a partire dagli anni 80 del XX secolo, porterà in America la diffusione dell’editoria impura, ma al contrario di ciò che è accaduto nel nostro paese, si assisterà ad una concentrazione di imprese editoriali, e non grandi gruppi con attività eterogenee. Il sogno giornalistico americano della perfetta neutralità del reporter sopravviveva anche agli spregiudicati imprenditori che costituivano catene di quotidiani e settimanali, soprattutto perché fin da subito c’è stata separazione tra il carattere commerciale dell’informazione, e la sua funzione etica.

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L’indubbia tendenza alla professionalità, necessaria ad acquisire la fiducia del lettore e quindi a garantire un buon livello di vendite, è dunque servita come scudo contro gli innumerevoli tentativi di strumentalizzazione da parte del potere politico, del quale la stampa, e successivamente gli altri media, sono stati attenti watch dog.

In Italia invece, il carattere elitario della stampa, la bassa diffusione dei giornali e le difficoltà economiche cui andavano incontro le imprese editoriali, hanno facilitato la commistioni tra gli interessi degli editori, che spesso erano attenti e preservavano le loro altre attività, e l’economia, facilitando l’insorgere di casi di manipolazione dell’informazione.

In ultimo, anche i due sistemi politici hanno condizionato in modo diverso l’informazione nei due paesi. Negli Stati Uniti il sistema ha garantito negli anni l’alternanza nella gestione del potere tra Repubblicani e Democratici, e, grazie al sistema delle spoglie, ha garantito anche un ricambio del personale politico all’interno dei posti chiave della pubblica amministrazione, impedendo che si sviluppassero pratiche illegali e scambi corrotti. Inoltre, proprio la funzione di guardiano nei confronti del potere, ha permesso al giornalismo di essere immune rispetto al potere politico. In altre parole, negli il sistema politico degli Stati Uniti era scarsamente interessato alla strumentalizzazione media, perché l’ampissima concorrenza presente nel mercato avrebbe impedito di fatto tale pratica.

In Italia invece, il sistema partitocentrico, bisognoso di mantenere il consenso presso l’elettorato degli innumerevoli partiti, ha fatto sì che l’informazione fosse pesantemente influenza e strumentalizzata dal potere politico a fini strettamente di parte. D’altro

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canto il giornalismo Italiano si è sempre mostrato servile nei confronti del potere economico e politico, senza mai dare segno di strappi, come quelli avvenuti negli Stati Uniti in occasione del Maccartismo e della guerra in Vietnam.

Tuttavia negli ultimi vent’anni di storia politica americana si è visto un cambiamento di rotta soprattutto nel rapporto della politica nei confronti dei media. In particolare, il ruolo del Presidente e la sua crescente centralità all’interno della scena politica internazionale, associato al ruolo di superpotenza, hanno portato l’establishment del governo Americano cercare nuove e più raffinate forme di management delle notizie da divulgare presso l’opinione pubblica, spesso tentando di scavalcare la mediazione dei giornalisti.

Nei prossimi capitoli andremo ad analizzare con attenzione alcuni casi di deformazione dell’informazione in Italia e negli Stati Uniti, presentando i fatti, gli attori e le reazioni della pubblica opinione agli eventi di disinformazione o deformazione della realtà

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