CAPITOLO V
LE POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI
5.1 L’importanza della “ruralità” nelle colonie
Alla base della politica economica nazionale fascista vi era il principio dell’ “autarchia”
327che oltre
all’obiettivo di ottenere un’indipendenza alimentare dai mercati esteri,
328perseguiva finalità di
potenza, di prestigio, di sviluppo civile e sociale, le stesse perseguite in altri settori produttivi come
il turismo e l’industria.
Il regime lanciò per questo la "battaglia del grano", che mirava all'autosufficienza agricola da
ottenere grazie a un potenziamento agricolo da raggiungere oltre che sul territorio nazionale, anche
in ambito coloniale
329poiché l’agricoltura italiana e quella coloniale erano considerati fattori
fondamentali di prosperità per l’economia nazionale in genere:
“I due movimenti rinnovatori dell’agricoltura italiana, promossi entrambi dal Duce, la battaglia del grano e la bonifica integrale, appaiono sempre meglio fusi in un’unica finalità. La battaglia del grano divenuta battaglia dell’agricoltura, vuole dare agli italiani tutto il grano che loro necessita” e la produzione di prodotti derivati, “la bonifica integrale delle terre si prefigge invece di accrescere in modo duraturo il campo d’azione dei rurali. Essa crea nuove sedi di vita nelle campagne, facendo sorgere possibilità sempre maggiori nel campo produttivo.”330
In un discorso di Mussolini, all’epoca Ministro delle Colonie, ripreso da Serpieri
331in un articolo
pubblicato nel 1929 sulla rivista L’agricoltura coloniale, si sottolinea come la politica coloniale
poco differisse da quella estera e si esalta la larga parte che il valore morale della politica agraria
avrebbe occupato nella politica coloniale:
“La politica coloniale non è che una parte della politica estera e l’una e l’altra sono inscindibilmente congiunte con quella militare.”. …. “Si tratta di creare quelle condizioni preliminari e fondamentali che consentono l’adattamento del territorio a una coltura capace di maggiore produzione e di più denso popolamento e di attivare questa coltura. Si tratta di far procedere in organica unità tutte queste opere e attività pubbliche e private verso una meta chiara e col minore impiego di forze. In Colonia come nella Metropoli il fine delle grandi trasformazioni fondiarie non è mai esclusivamente economico. Non per nulla la terra non è solo strumento di produzione, ma sede della vita umana. La meta è sempre anche sociale, demografica, ecc. cioè unitariamente politica.”332
327 Autarchia: indipendenza del mercato nazionale dai mercati esteri. Dizionario Grazanti.
328 “L’agricoltura imperiale ha quale primo immediato compito, quello di eliminare le odierne importazioni alimentari.” Gennaro Pistolese, Problemi dell’Impero, in Espansione Imperiale, settembre 1939, Roma, p. 407
329 “…senza dubbio l’avvenire economico delle nostre terre d’oltremare è riposto in massima parte sull’agricoltura in tutte le sue molteplici forme di estrinsecazione.” Enrico Bartolozzi Il regime del Credito Agrario nelle Colonie e Possedimenti Italiani I parte, in L’Agricoltura Coloniale, maggio 1933, pp. 222-224
330 Armando Maugini, Agricoltura nella Metropoli e nelle Colonie, in L’Agricoltura Coloniale, Settembre 1929, pp. 400-402
331 Gli stessi concetti Serpieri li aveva già espressi a Trieste in una conferenza tenutasi il 21 giugno 1926 presso la R. Università di Studi Economici e commerciali di Trieste: “Il maggior sviluppo delle nostre colonie è principalmente affidato allo sviluppo delle produzioni agricole, intese in largo senso. Industrie, commerci, potranno essi pure svilupparsi parallelamente e coordinatamente a quelle produzioni del suolo. Ciò presuppone un’opera preliminare di Stato che ponga le basi dello sviluppo agricolo. E’ inutile parlare di questo senza una adeguata preorganizzazione civile dell’ambiente, nel campo della sicurezza pubblica, dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione, dell’organizzazione bancaria, soprattutto delle comunicazioni marittime, stradali e ferroviarie.” Arrigo Serpieri, Il valore delle nostre colonie, L’Agricoltura Coloniale, giugno 1933, pp. 293-309
Secondo il duce l'Italia doveva raggiungere i 60 milioni di abitanti, poiché l'incremento
demografico esprimeva la potenza nazionale. Mussolini si schierò perciò contro l'urbanesimo "che
isterilisce il popolo" proclamandosi "rurale".
333“Bisogna quindi intensificare da oggi la politica a favore del villaggio. Fra 'stracittà' e 'stravillaggio', io sono per lo 'stravillaggio'."334
Così, alle soglie degli anni '30, in un clima di crisi economica e occupazionale, i territori coloniali
entrano a far parte dei programmi di acquisizione di terreni agricoli e di lotta alla disoccupazione
attuati a livello nazionale. Da quel momento la politica agraria risulterà strettamente connessa alla
colonizzazione demografica
335e la sua gestione richiederà perciò un maggiore intervento statale.
Nel tentativo di cambiare la funzione economica del Dodecaneso in vista di una trasformazione
dell’immagine dell’isola da retrogada a specchio delle “straordinarie” potenzialità della nazione
occupante da mostrare alle altre nazioni europee
336e per incrementare la colonizzazione, anziché la
“Battaglia del grano”, si attuò nel febbraio del 1927 per volere di Lago,
337la “Battaglia dell’olivo”
pianta autoctona di precocissimo insediamento tipica del paesaggio Mediterraneo di cui l’isola
abbondava e che rappresentava, come disse Bartolozzi: “…
il principale strumento della valorizzazione agraria delle isole.”338Le armi per condurre la battaglia in Egeo erano “spuntate” a causa delle scarse risorse e della
scadente valorizzazione delle potenzialità agrarie dell’isola, condizioni ben note da tempo.
Le Isole Egee (kmq 2.663), non fosse altro che per la loro limitatissima superficie, sono un modesto Possedimento e non rappresentano certo per l'Italia nè una preminente posizione economica, nè possono soddisfare le nostre necessità demografiche per le quali dobbiamo augurarci siano trovati sbocchi adeguati in altri paesi.339
333 Martinoli S. – Perotti E., op. cit. , nota 12, p. 44 334 Martinoli S. – Perotti E., op. cit. nota 13, p. 44
335 “Consideriamo precisamente la colonizzazione di popolamento o demografica, che è quella destinata – nell’Impero definito del lavoro- più che tutte ad affermarsi e consolidarsi. Essa è del resto la più fascista in una parola, che si distacca sostanzialmente da tutti gli altri sistemi di colonizzazione adottati da altri Paesi e che, in ogni caso, potranno coesistere con quella anche nei nostri territori.” In “Agricoltura autarchica dell’Impero”, in Africa Italiana, n° 2, Istituto Fascista dell’Africa Italiana, Roma, 1939.
336 “La funzione economica del Dodecaneso non si intende limitata al commercio, vista la favorevole posizione geografica di Rodi, ma come una forma di sviluppo che possa consentire al Dodecaneso di provvedere ai suoi fabbisogni e per dare all'economia nazionale tutto quel rendimento che le risorse locali consentono, ma anche per costituire un esempio di quello che l'Italia possa nel campo della civilizzazione. E ciò ha una grande, fondamentale importanza, sia nei confronti delle Potenze europee presenti od operanti nell'Oriente Mediterraneo, sia nei confronti delle popolazioni turche e greche, nonché dei Paesi islamici vicini, i quali hanno in Rodi non solo un punto di riferimento, ma anche di attrazione e di educazione morale, economica, ecc. Dalla comprensione di questa duplice funzione nasce l'odierna azione italiana nell'Egeo, che in dieci anni ha trasformato l'ambiente materiale, non meno che quello spirituale di tutte le Isole e dei loro abitanti. Dieci anni abbiamo detto: infatti nel periodo anteriore a questo decennio fascista, all'occupazione si dava un valore transitorio, che non permetteva, naturalmente, nè richiedeva un largo impiego di energie.” Pistolese Gennaro E., Panorama economico delle isole italiane dell’Egeo, in Rivista delle colonie italiane, anno VII, numero 3 marzo pp. 237-243, Bologna, L. Cappelli, 1933
337 Enrico Bartolozzi in L’Italia nel Levante – Il Possedimento delle Isole Egee (I Parte), in L’Agricoltura Coloniale, Ottobre 1929, pp. 460-476
338 Enrico Bartolozzi in L’Italia nel Levante – Il Possedimento delle Isole Egee (I Parte), in L’Agricoltura Coloniale, Ottobre 1929, pp. 460-476
339 “…credo peraltro non sia azzardato pensare che, non appena i lavori catastali e l'ulteriore sviluppo degli accertamenti fondiari faranno conoscere l'esistenza e la disponibilità di terreni demaniali, adatti alla colonizzazione
Malgrado queste premesse, un miglioramento della produzione agricola venne auspicato prima
ancora di una improbabile industrializzazione, come sostenne nel 1920 il Capitano Tommaso
Cerone:
“E’ dunque ovvio che prima di pensare ad industrializzare Rodi, cosa questa assolutamente impossibile nelle condizioni attuali dell’isola, bisogna intensificare e migliorare la produzione agricola. In questo sta il prossimo futuro di Rodi. Attualmente l’industria si riduce ad alcune concerie che sono a Koschino con relativa speculazione vallonea. Ed i cuoi che escono da codeste concerie sono adatti appena per i calzari degli indigeni paesani: quindi anche per le concerie bisognerà apportare innovazioni e processi moderni. Un pò di pastorizia, sparsa qua e là nei siti montuosi e brulli e questo è tutto”.340
Questa stessa situazione si protrasse nel lasso di tempo che intercorse dall’arrivo dagli italiani a
quando l’isola divenne definitivamente italiana. Nel 1924 Lelio Basso su L'Illustrazione coloniale,
valutando la disastrosa situazione economica delle Isole Egee ereditata dai turchi, ripropone lo
sviluppo dell’agricoltura sull’isola grazie a mezzi e tecniche meno rudimentali, all’impiego di
manodopera e capitali italiani:
"All'uopo s'impone che il Governo italiano cerchi di valorizzare al massimo grado le risorse economiche delle isole, migliorando soprattutto le condizioni agricole con l'introduzione di mezzi meno rudimentali e con l'avviamento di coloni italiani e cercando di interessare alla sorte delle nostre Colonie dell'Arcipelago, gruppi, anche modesti, di capitalisti italiani".341
La possibilità di utilizzare le colonie quali valvole di sfogo per il sovrappopolamento della nazione
non risparmiò neanche il Dodecaneso in cui uno “spazio”, seppur limitato, per coloni italiani si
stava “naturalmente” creando a causa dell’emigrazione dei suoi abitanti:
“Dal lato agrario Rodi è caratterizzata da una notevole potenzialità accompagnata da una grandissima decandenza. Credo di non andar lungi dal vero affermando che quest'ultima è dovuta soprattutto allo spopolamento dell'Isola, la quale conta oggi poco più di quarantamila abitanti che ci stanno male mentre nell’antichità ne ebbe fino a duecentomila che ci stavano bene…Perciò credo non sia azzardato concludere, che per lo meno alcune diecine di migliaia di abitanti in più di quelli che vi sono ora potrebbero trovarvi buon collocamento in Rodi: nè potrebbe esser difficile alla Nazione Italiana, così riccamente prolifica, fornire questo contingente: tanto più che molte delle colture che si fanno in Rodi sono ben conosciute anche in Italia.”342
Nella seconda parte dell’articolo, Bartolozzi non cela però una sorta di pessimismo riguardo
l’opportunità di colonizzare l’Isola anche se lascia intendere una sua possibile valorizzazione:
“Deve l'opera degli Italiani, in unità con l'azione e l'assistenza degli organi tecnici ed amministrativi di Governo, valorizzare le risorse agricole che nelle Isole Egee esistono allo stato potenziale attualmente accompagnate da una forte decadenza. Tale sviluppo è da ritenersi possibile, ed ai negatori opponiamo che, se negli antichi tempi, come si afferma, potevano vivere nell'isola di Rodi sopra una superficie di 1.404 kmq circa 200.000 abitanti, dei quali 60.000 nella città di Rodi e 140 mila nelle campagne, mentre oggi la popolazione rurale, suddivisa ed accentrata in 50 villaggi, è cosi rarefatta che si aggirà soltanto a 20 mila anime, in quanto della popolazione complessiva dell'Isola, che è attualmente di agricola, un buon numero di intraprendenti pionieri possano trapiantarsi nelle campagne ancora abbandonate di Rodi e di Coo: saranno da preferirsi coloro che per sobrietà di vita e di abitudini, analogia di clima, e di terreni possano più facilmente ambientarsi sul nuovo suolo. Prospettive feconde si offrono indubbiamente a coloro che con discreta possibilità finanziaria, con cognizioni agricole, con tenacia e paziente fede consacreranno alle nostre isole maggiori i loro sforzi.” Enrico Bartolozzi, L’Italia nel Levante – Il Possedimento delle Isole Egee - II Parte, in L’Agricoltura Coloniale, Novembre 1929, pp. 513-529340 Cerone, p. 231
341 Basso L., L'Illustrazione coloniale, 1924, p. 11
342 Enrico Bartolozzi riporta alcune conclusioni fatte durante una conferenza tenuta, in Firenze nel Febbraio 1925 dal Giorgio Ghigi, in quell'epoca Segretario Generale del Governo delle Isole Egee, in L’Italia nel Levante – Il Possedimento delle Isole Egee (I Parte), in L’Agricoltura Coloniale, Ottobre 1929, pp. 460-476
circa 45 mila abitanti, la metà è accentrala nella sola città e sobborghi, è segno che la potenzialità della terra per sostentare una più densa popolazione è da presumersi latente ma valorizzabile.”343
Nel Dodecaneso, nel 1929, malgrado gli sforzi di una propaganda avviata da Lago da alcuni anni, il
numero degli italiani che si erano trasferiti nei centri più popolosi era ancora alquanto scarso, come
denuncia Bartolozzi
344e fa riferimento al fatto che le isole “magnifica affermazione italiana nel
Mediterraneo Orientale” erano ancora poco conosciute ed apprezzate, anzi quasi ignorate dalla
maggior parte degli italiani.
345Maugini nel 1931 continuerà a esprimere dei dubbi sulla valorizzazione agraria, pur dando
fiducia alle iniziative di Governo:
“La limitata estensione delle Isole Italiane dell'Egeo e le poche terre disponibili fanno apparire modesto il problema dell'avvaloramento agrario. Ma non vi è dubbio che i saggi programmi in via di svolgimento e le larghe vedute che anche in questa materia ispirano il Governo delle Isole, potranno consentire una graduale affluenza di rurali italiani.”346
Vittorio Buti, nel 1933, sarà meno ottimista di Ghigi per quanto concerne la cifra di cittadini italiani
da trasferire in Egeo, poiché per Ghigi erano decine di migliaia, per Buti alcune migliaia:
"certamente non c'è da ritenere che il Possedimento possa divenire territorio di popolamento, ma alcune migliaia di nostri connazionali potranno trovar posto in queste terre, che ancora non avevano veduto mèssi così abbondanti, prodotti così squisiti."347
A Rodi quando gli sforzi del governo locale iniziano a concentrarsi sull'agricoltura
348durante il
processo di “ruralizzazione” mussoliniana, la civiltà agraria dell’isola rivelerà delle differenze
rispetto a quella della madrepatria. Nel 1929 Maugini contrapponeva la secolare civiltà agraria
dell’Italia che indicava le “vie da seguire” alle aziende che coprivano gran parte del territorio, alla
situazione delle colonie in cui molto ancora c’era da fare:
“Nelle colonie il pioniere giunge nuovo su quelle zolle che dovranno assorbire tanti suoi sudori, le aziende mancano, bisogna faticosamente crearle; complessi problemi di trasformazioni fondiarie ed agrarie si devono affrontare e risolvere, con larghezza di capitali, con molto sapere tecnico, paziente attesa del risultato.”349
L’unico elemento che poteva accomunare le due realtà era il fatto che la civiltà agraria dell’isola,
come quella italiana, poteva essere definita anch’essa secolare, anche se sconosciute erano alcune
delle pratiche più elementari, come quella delle rotazioni, la coltura con il riposo a pascolo;
343 Bartolozzi, L’Italia nel Levante – Il Possedimento delle Isole Egee (I Parte), in L’Agricoltura Coloniale, Ottobre 1929, pp. 460-476
344 “…per ora troppo scarso è l’elemento italiano che si trova riunito nei centri più popolosi.” Enrico Bartolozzi, L’Italia nel Levante – Il Possedimento delle Isole Egee I Parte, in L’Agricoltura Coloniale, 1929, pp. 460-476
345Enrico Bartolozzi, L’Italia nel Levante – Il Possedimento delle Isole Egee I Parte, in L’Agricoltura Coloniale, 1929, pp. 460-476
346 Armando Maugini, L’Agricoltura nelle Colonie e nelle Isole dell’Egeo, (articolo scritto nel luglio 1931 su La Nuova Antologia), in L’Agricoltura coloniale Aprile 1932, pp. 171-182
347 Buti, p. 32
348 “Lo sviluppo agricolo del Possedimento va letto nel quadro del vasto processo di ruralizzazione avviato in Italia al volgere della "grande guerra" con l'intento di mobilitare i soldati riluttanti a combattere, promettendo loro in cambio degli sforzi bellici la proprietà di un appezzamento di terra.” Martinoli S. – Perotti E., op. cit., p. 44
349 Armando Maugini, Agricoltura nella Metropoli e nelle Colonie, in L’Agricoltura Coloniale, Settembre 1929, pp. 400-402
l’aratura veniva fatta con l’aratro a chiodo, le semina senza metodo, la raccolta delle olive con
l’abbacchiatura, la concimazione organica poco usata, quella chimica, quasi sconosciuta, e la
produzione dei prodotti locali (cereali, olive, frutta, aranci, ortaggi, tabacco)
350secondo gli esperti
italiani, era per quantità e qualità inferiore alle possibilità di rendimento di una razionale intensa
coltura.
Per la “Battaglia dell’olivo” urgevano interventi ad hoc. Questi si tradussero in un progetto di
sviluppo agricolo dell’isola, che prevedeva una serie d’interventi che rientravano in un progetto di
bonifica, utile al contempo allo sviluppo dell’industria turistica:
“poiché le maggiori possibilità di avvaloramento di Rodi e di Coo si riferiscono allo sviluppo agricolo e a quello del movimento dei forestieri. Le maggiori cure del Governo sono quindi rivolte a questi due rami”.351
Fra le strategie progettate per un buon esito della “Battaglia dell’olivo” e intraprese dal governo
italiano troviamo: l’accertamento della proprietà fondiaria, la creazione delle zone di bonifica e loro
riduzione a coltura intensiva; la sistemazione montana e delle acque; determinazione delle zone
destinate all’agricoltura indigena, intensificata mediante la riduzione del pascolo brado al minimo;
sperimentazione agraria e costruzione di “villaggi agricoli” oltre alla costruzione di nuove strade e
alla riattivazione del porto di Mandraki, sia per motivi turistici, che per ridurre le distanze e quindi
le difficoltà di collegamento tra i centri agricoli.
San Marco, insieme all’Istituto Sperimentale di Villanova rappresenterà una delle due imprese
governative di bonifica agraria, mentre Campo Savona (a Trianta), la S.A. di Frutticoltura di Rodi,
lo stabilimento d’orticoltura Lucaccini e l’Azienda Agraria di Acandia, l’Azienda Agricola Casa dei
Pini e l’Azienda Agraria modello “La Vittoria” erano imprese private italiane il cui obiettivo era
quello di colonizzare l’isola.
350 La pastorizia era diffusa in tutte le isole: capre e pecore, bovini, asini e pochi cavalli. 351 Buti, p. 130
Figura 135. Stand delle Isole Italiane dell’Egeo alla “Mostra dei tipi di trasformazioni fondiarie e dei principali prodotti delle colonie italiane all’Istituto Agricolo Coloniale Italiano- 30 aprile-7 maggio 1932”, Fonte: L’AC, gennaio 1933) (Fotoriproduzione G. Cocco)
5.2 L’accertamento della proprietà fondiaria e l’incameramento di terreni agricoli mediante
espropri per pubblica utilità e indemaniamento
Le terre rappresentavano ovviamente una fonte di reddito, e per tutti gli stati colonizzatori, una
delle prime preoccupazioni fu sempre quella di accertare la consistenza delle proprietà demaniali e
subito dopo delle terre vacanti, per disporne per lo sfruttamento della Colonia, concedendole o
cedendole a imprese colonizzatrici statali o a singoli privati colonizzatori che potevano o stabilirvisi
in via definitiva o avviare opere di pubblica utilità redditizie.
Anche a Rodi dietro la necessità di accertare la proprietà di beni immobili, si celavano grandi
interessi, soprattutto quello di far rientrare nel demanio il maggior numero di terre al fine di ridurre
la proprietà locale e di conseguenza accrescere quella italiana nell’ottica di una colonizzazione
demografica, oltre che per una questione di prestigio. Si procedette quindi su vari fronti, come
l'accertamento della proprietà fondiaria e l'organizzazione del credito agrario.
Questi lavori preliminari erano necessari per avere un quadro completo della disponibilità delle
terre da affidare ad una gestione tutta italiana. Mancava infatti un vero e proprio commercio della
terra poiché gli indigeni proprietari non intendevano alienare i loro fondi se non a costi proibitivi.
352Nelle Isole Egee, come nei paesi sottoposti per lungo tempo a dominio islamico, il possesso delle
terre era regolato da molteplici e varie disposizioni di diritto, nonché da molte leggi
consuetudinarie; all’epoca, tanto nella coltura asciutta, erbacea che nell’arborea, si riscontrava
l’estremo frazionamento del possesso indigeno, un vero e proprio polverizzamento mentre nella
coltura irrigua con pozzo era la portata di questo che normalmente determinava l’estensione del
fondo. Esisteva anche una certa avversione a cedere la proprietà, soprattutto da parte dei turchi,
come ci dice Bartolozzi,
353come anche degli ortodossi, poiché per molti cedere la terra equivaleva a
rompere le tradizioni di famiglia
354“equivale direi quasi disonorare il proprio nome; significa pure dover anche esplicare una qualche energia per dare impiego al capitale ricavato e quindi perdere in cualche modo la propria pace, modesta ma tranquillamente oziosa.”355
352 Bartolozzi le definisce: “pretese enormi, illogiche”, in L’Italia nel Levante – Il Possedimento delle Isole Egee (I Parte), in L’Agricoltura Coloniale, Ottobre 1929, pp. 460-476
353 Bartolozzi è stato per 5 anni addetto ai Servizi Agrari di Rodi.
354 Nella guida del TCI del 1929, troviamo colorite informazioni sulla regolamentazione locale dell’eredità del patrimonio:“Presso gli ortodossi, alla morte dei genitori il patrimonio è diviso tra i figli e le figlie non sposati: quelli già sposati non vi hanno alcun diritto. Se invece i figli sono già tutti sposati, il patrimonio va diviso in parti uguali fra tutti prima della morte dei genitori, eccettuata una casa chiamata la gerontomìri (parte dei vecchi) che, alla morte dei genitori, spetta generalmente al primogenito il quale ne paga i diritti di parte ai fratelli, quando i genitori non ne facciano esplicitamente dono al figlio o alla figlia che ha provveduto al loro sostentamento durante la vecchiaia. A Siana (Rodi) quando si sposa il 1° figlio, si disegnano su una tavola tanti cerchi quanti sono i figli e una commissione presieduta dal parroco assegna a ogni cerchio una parte della proprietà che la commissione stessa ha precedentemente suddivisa. Poi si sceglie un fanciullo estraneo alla famiglia ed egli getta un sasso entro ogni cerchio pronunciando il nome di uno dei figli. A ognuno spetta irrevocabilmente la parte corrispondente al cerchio designato dal sasso”.
355 Enrico Bartolozzi in L’Italia nel Levante – Il Possedimento delle Isole Egee (I Parte), in L’Agricoltura Coloniale, Ottobre 1929, pp. 460-476
Di conseguenza non erano da ritenersi nè facili nè convenienti gli acquisti di terreni, tenendo conto
che, anche acquistare alcune proprietà di uno stesso comprensorio di terra, avrebbe inevitabilmente
comportato l’ostacolo di un gruppo di proprietari pronti a rifiutarsi a cedere i loro appezzamenti
facendo quindi mancare quella continuità perimetrale indispensabile al successo di ogni impresa
agricola:
“E’ evidente infatti che dovendo procedere a opere di viabilità, costruzione, regolarizzazione e canalizzazione delle acque, non è possibile che ciò possa farsi per terreni non adiacenti fra di loro, ma perché si faccia seria agricoltura è indispensabile poter procedere a esperimenti per nuclei riuniti e formanti comprensori ben stabiliti.”356
Si rese necessario quindi dimostrare come modificare le regole prestabilite in un territorio
riguardanti l’ordinamento giuridico della proprietà fosse possibile anzi necessario, come sostenne
Massimo Colucci in una Relazione presentata al II Congresso di Studi coloniali a Napoli
nell’ottobre del 1934:
“La consuetudine indigena non si deve toccare: è la parola d’ordine che è stata presa alla lettera. Or io voglio dimostrare che ciò è dannoso agli stessi indigeni che si crede di proteggere e favorire. Il diritto consuetudinario di un qualsiasi gruppo, qualunque sia il suo grado culturale, non è costituito da un ammasso informe di usi, ma ha sempre in sé un proprio sistema: si basa cioè su alcuni principi che, se sfuggono ai ricercatori superficiali di notizie folcloristiche, bene appaiono all’occhio dell’osservatore intelligente. Questi principi a lor volta hanno una lor ragione nel necessario contemperamento che qualsiasi società anche primitiva deve trovare, per sussistere, tra l’elemento etico e quello utilitario; e questa ragione è tutta d’ordine politico, cioè contingente. Non è vero perciò che i diritti consuetudinari siano fissi ed eterni; essi si muovono e si evolvono tosto che muti l’equilibrio e la proporzione tra quei due elementi.”357
La possibilità di colonizzazione, tenuta pur presente la limitata superficie territoriale del’isola, era
quindi intimamente legata alla disponibilità di terre demaniali in zone agrologiche adatte alla
valorizzazione agraria che il Governo del Possedimento avrebbe potuto eventualmente cedere a
condizioni vantaggiose e con obblighi per il loro avvaloramento e conduzione a qualche Ente
bonificatore o a singole famiglie metropolitane.
358L’unico sistema perciò era quello di effettuare il
censimento dello proprietà immobiliari attraverso un ordinamento fondiario, necessario al fine di
esprimere la proprietà e l'insieme delle caratteristiche che configuravano i fondi interpretati
soprattutto come unità di produzione.
L'accertamento della proprietà passò per due stadi: il lavoro topografico e quello catastale. Il
Tenente Colonnello Giuseppe Gianni, arrivato a Rodi nel 1922, completò nel 1929
359gli studi
topografici avviati nel 1921 dall’IGM che avevano suddiviso il territorio dell'isola in tavolette
rilevate graficamente in scala di 1 a 20.000 e ridotte fotomeccanicamente, a lavoro ultimato
356 Di queste problematiche subì gli effetti la Società agricola del Dodecaneso (SAD) che ebbe serissime difficoltà a riunire terreni siti tra Kalamon, Tholos e Damatria in cui si sarebbe dovuta occupare della bonifica dei terreni in quella zona in vista di una colonizzazione da parte di contadini italiani. Rapporto Piccarolo, 30 luglio 1928, ASD, Fasc. 125/1928.
357 Massimo Colucci, Sistemi di accertamento e di pubblicità dei diritti fondiari nelle colonie, Relazione presentata al II Congresso di Studi coloniali a Napoli, Ottobre 1934, in L’Agricoltura coloniale, Ottobre 1934, pp. 508-515
358 Enrico Bartolozzi in L’Italia nel Levante – Il Possedimento delle Isole Egee (I Parte), in L’Agricoltura Coloniale, Ottobre 1929, pp. 460-476
359 Dopo il 1929, Gianni, direttore dei rilievi topografici dell'IGM, rimane ancora a lungo a Rodi come,capo dei lavori catastali, compiuti dal personale civile. Martinoli, op. cit., p. 23.
(1929), in scala di 1 a 25.000 (la stessa adottata in Italia).
360Dal 1923 sotto il governatore Lago vennero emanati una serie di decreti che contenevano le norme
per la regolamentazione del catasto e l’ordinamento fondiario:
D.G. 14 Marzo 1923 n. 30 (istituzione di un catasto geometrico) D.G. n° 46 del 22 agosto 1925 (sull’Ordinamento Fondiario); D.G. n° 133 del 16 agosto 1927 (lievi modifiche al D.G. del 1925)
L’Ordinamento Fondiario denominato “Norme per l’accertamento e la conservazione dei diritti fondiari delle isole Egee” è contenuto nel D.G. n° 132, del 1 settembre 1929;
D.G. n° 71 del 6 maggio 1930 (lievi modifiche al D.G. del 1929).
D.G. n° 18 del gennaio 1933 (Gli Uffici fondiari di Rodi e Coo vengono riuniti con l’Ufficio di Finanza).361
Nel D.G. del 1923 Lago decretava la formazione di un "catasto geometrico per l'accertamento, la
descrizione e la definizione delle proprietà immobiliari"
362dichiarando
di pubblica utilità tutte le operazioni connesse alla sua attuazione, e istituisce una Direzione dei lavori topografici e catastali. L'accertamento delle proprietà e dei diritti immobiliari è affidato a una commissione appositamente istituita, composta da un presidente, un magistrato, il capo dell'ufficio catasto, il capo ufficio finanza e il sindaco di Rodi."363
Le stesse disposizioni saranno riprese nel decreto del 22 agosto 1925 sull'ordinamento
fondiario, che rivelerà fondamentali differenze rispetto al codice civile italiano poiché venne
rispettata, in parte, la suddivisione turca dei beni immobiliari del Possedimento.
Sotto il dominio turco, lo ricordiamo, le proprietà erano state in gran parte frazionate ed alienate. A
Rodi, la grande proprietà fondiaria privata non esisteva, e quella media era di poco conto e neanche
esistevano beni di proprietà collettiva. Dominava invece la piccolissima proprietà con frequenza
rilevante di appezzamenti inferiori al mezzo ettaro di superficie. Le terre erano suddivise e
classificate in 5 categorie secondo il codice ottomano:
3641.
Terre Mulc (diritto di proprietà nel senso più lato)2.
Terre Mirì (demanio dello Stato) 365 / 3663.
Terre Mevcoufè (beni di enti morali, vacuf, inalienabili, imperscrittibili, beni di mano morta)360 Dalla cartografia primaria si traggono ulteriori carte in diverse scale, a dipendenza dell'uso specifico. Si segnala in particolare il "Piano topografico della città di Rodi e dintorni" del 1923 (1:4.000), aggiornato più volte in seguito allo sviluppo urbano, da cui viene tratta la "Pianta della città di Rodi e dintorni" (1:2.000), completata nel 1925: entrambi fondamentali per la progettazione del piano regolatore. Successivamente la cartografia delle isole principali viene aggiornata a più riprese per documentare lo sviluppo stradale ed edilizio e costituisce la base da cui trarre la cartografia derivata. Martinoli, op. cit. p. 24.
361 Nota n° 59 p. 26, Martinoli, op. cit. 362 D.G. 14 Marzo 1923 n. 30. 363 Martinoli, op. cit. p. 24.
364 Livi Livio, Prime linee per una storia demografica di Rodi e delle isole dipendenti dall’età classica ai nostri giorni, Firenze, 1944, pp. 93-94. Cfr. Cap. II, par. 2.3.
365 Le terre Mirì potevano esser date in concessione a privati in quasi-proprietà trasmissibile ereditariamente. Al momento dell’occupazione italiana le terre di piena proprietà (che possono farsi corrispondere alle terre Mulk e Mevkufè del codice ottomano), erano circa l’1,0% della intera superficie dell’isola, quelle date in concessione a privati (Arzi-Mirì), circa il 41% dell’intera superficie, ed il resto, circa il 58%, costituiva il demanio dello Stato (cioè terre Mirì non date in concessione, terre Metrukè e Mevat).” Livi, op. cit. pp. 92-93
366 Il Mirì dava luogo a concessioni paragonabili all’enfiteusi, che si acquistavano pagando una volta tanto una tassa detta “tapù” con la quale la terra diventava “arzimiri”. Lasciando questa incolta per più di 3 anni, si decadeva dal diritto. Le migliorie eseguite previa autorizzazione, diventavano di proprietà Mulc. La trasmissione ereditaria e l’alienazione erano soggette a particolari regole. In Guida d’Italia del Touring Club Italiano, Possedimenti e colonie, Milano, Tip. Capriolo e Massimino, 1929, p. 72
4.
Terre Metrouchè (demanio pubblico di uso collettivo)5.
Terre Mevat (terre morte, incolte, abbandonate, deserte).Questo regime fondiario secondo il codice ottomano delle terre, fu sostanzialmente mantenuto dal
governo italiano, con opportuni adattamenti.
367Il decreto del 1925 riclassificava così le terre:
•
demaniali (mirì)
– (suddivisi in beni di demanio pubblico e in beni patrimoniali)•
collettivi (metrukè),
•
destinati a pio scopo di religione o beneficenza (evkaf) o alla proprietà privata (mulk).
“I beni demaniali, quelli cioè che appartenevano al governo del Possedimento comprendevano non solo le "zone dichiarate monumentali", ma anche "i terreni improduttivi o incolti o abbandonati (mevat), i beni caduti in confisca,... e tutti quelli già appartenenti allo Stato ottomano" e "le saline, le cave, le miniere, i boschi e le foreste che non risultino da titoli legittimi, di pertinenza o in possesso di privati"." Anche i beni collettivi "vanno intestati come demaniali con l'annotazione dell'uso o godimento collettivo che vi si esercita". Si specifica però che il governo ha la facoltà di "destinare i detti beni ad altro uso per ragioni di riconosciuta utilità generale."368Nel decreto del 1929 il governo Lago rivide tutta la legislazione fondiaria riunendone le
disposizioni in un testo unico (L’Ordinamento Fondiario denominato “Norme per l’accertamento e
la conservazione dei diritti fondiari delle isole Egee” ) in cui vennero abrogati i precedenti decreti in
materia. Nel testo una nuova distinzione degli immobili si sostituì alla precedente. I beni vennero
classificati in:
•
demaniali (miri, erazi-emiriè, metrukè, mevat)
•
di libera proprietà (mulk)
•
beni evcaf
369Tra i beni di demanio pubblico non figurano più le "zone dichiarate monumentali", mentre tra i beni patrimoniali del Possedimento si cita "qualsiasi altra proprietà immobiliare del Governo non classificata di demanio pubblico, e non iscritta in altra categoria di beni."370
Fra le modifiche introdotte, praticamente il concessionario di terre demaniali non poteva più senza
il consenso del Governatore trasferire ad altri le terre a nessun titolo, oneroso o gratuito: qualsiasi
trasferimento che fosse avvenuto in violazione a questo divieto sarebbe stato considerato nullo.
Quindi avrebbero fatto parte del Demanio tutti quei beni che, già appartenenti al demanio ottomano,
erano stati concessi per la sola proprietà utile (erazì emiriè) a privati e da questi posseduti in forza
di titoli di possesso riconosciuto valido (Tapù).
371Così tutti i beni definiti demaniali,
372distinti in
367 Cfr. M. Colucci, L’Ordinamento fondiario delle Isole Egee, in Rivista coloniale, maggio-giugno 1927, Istituto Coloniale Italiano, Roma;368 “Come unità catastale viene assunta la particella di proprietà e anzitutto si procede al censimento e al rilevamento preliminare e a una preventiva definizione della proprietà, per passare in seguito agli accertamenti giuridici e infine alle imposizioni fiscali. Per ogni parcella di proprietà viene costituito un "libretto censuario", in cui la parcella viene definita e descritta, con allegato un rilievo planimetrico. Per ogni comune i rilievi parziali vengono poi inquadrati in una mappa catastale in scala di i a 5000. I lavori a Rodi vengono ultimati nel 1928.” Martinoli, op. cit., p. 24
369 Giuseppe Ziliotto,Gli ordinamenti fondiari dei possedimenti italiani nel Mediterraneo, in Osservatorio Italiano di
Diritto Agrario, Studi Giuridici Coloniali, - Proprietà immobiliare e libri fondiari nelle colonie, Ed. Universitarie, Roma, 1939, p. 195.
370 Martinoli, op. cit., riporta Art. 4, D.G. n° 132, del 1 settembre 1929, in nota n° 58, p. 24. 371 Ziliotto, op. cit., p. 259.
demanio pubblico, inalienabile e beni patrimoniali, sarebbero appartenuti al Governo del
Possedimento: “
Al demanio pubblico appartiene tutto quanto è destinato al godimento, all’uso e all’utilità pubblica.”373Le procedure per le « Espropriazioni per pubblica utilità » furono regolamentate dal
D.G. n° 2 dell’1 gennaio 1926.
Anche le terre mevat quelle cioè incolte o scarsamente coltivate a lunghi turni, specialmente a
cereali e orzo, il Governo dopo un certo periodo di incuria avrebbe potuto dichiararle demaniali,
poiché
“la presunzione di demanialità delle terre incolte trova non solo il fondamento giuridico in una ragione di interesse sociale, ma nelle stesse norme islamiche per le quali la terra, che è di Dio, e per esso dell'autorità che sulla terra lo rappresenta, ossia il Governo, viene usucapita dal privato con la sua messa in valore, intesa questa non con semine saltuarie o con pascoli ma con la vera e propria “vivificazione”.”374
I D.G . successivi a quello del 1929 riportano solo lievi modifiche, come il D.G. n° 71 del 6 maggio
1930 – VIII (124)
375in cui la speciale forma di proprietà separata che riguardava le arborature che
consentiva di vendere, donare, dare in legato o possedere uno o più alberi di un determinato fondo,
in modo che mentre il terreno era di un proprietario o di un concessionario, l’albero o gli alberi
potevano essere di uno o parecchi altri proprietari, venne abrogata.
Per gli accertamenti, le intestazioni, gli aggiornamenti e la conservazione della proprietà
fondiaria venne istituito a Rodi un Ufficio fondiario
376a cui faceva capo una commissione
fondiaria, presieduta dal segretario generale e i cui membri erano il magistrato capo dell'ufficio
fondiario, il direttore dei lavori topografici e catastali, il capo dell'ufficio finanza e il
governatore di Rodi.
377L'Ufficio Fondiario avrebbe dovuto far conoscere l'estensione e soprattutto
la qualità dei terreni demaniali disponibili, condizione essenziale per l'espansione italiana nell’isola.
I proprietari delle terre delle Isole del Dodecaneso (come quelli della Libia), avrebbero dovuto
obbligatoriamente, stando ai Decreti emanati da Lago, presentare all’Ufficio Fondiario domanda
per dimostrare la leggittima proprietà dei beni posseduti, mentre nelle colonie di altri stati gli
ordinamenti fondiari erano prevalentemente facoltativi.
378Gli immobili per i quali nessuno avesse
potuto dimostrare la proprietà, venivano di fatto considerati demaniali, e provvisoriamente intestati
373“ I terreni improduttivi, quelli incolti o abbandonati, gli arenili, le secche e i loro relitti, le cave e le miniere, le saline sono invece beni patrimoniali del demanio coloniale.” Ziliotto, op. cit., p. 259.
374 Enrico Bartolozzi in L’Italia nel Levante – Il Possedimento delle Isole Egee (I Parte), in L’Agricoltura Coloniale, Ottobre 1929, pp. 460-476
375 Ziliotto, op. cit., p. 197
376 “Modifiche Ordinamento Fondiario D.L. del 16-08-1927: visti i RR.DD.LL. 1355 del 28-08-1924 / 06-08-26 / 03-10-24 e n° 46 del 22-08-25. Art. 1: tutte le mansioni e funzioni attribuite dall’Ordinamento Fondiario vigente agli organi di acc.mento, intestazione e conservazione dei diritti immobiliari – eccettuate le contestazioni di cui all’art. 9 n° 3 del D.L. n° 57 suindicato – sono devolute alla competenza dell’Ufficio Fondiario che si istituisce a Rodi. È diretto da un magistrato nominato dal Governatore con alla dipendenza il personale idoneo per i servizi di sua spettanza.” ASD: Provvedimenti e Decreti Governatoriali dall’1-01-1926 al 31-01-1927
377 Martinoli, op. cit. p. 24. 378 Ziliotto, p. 227
a favore del Demanio.
379Qualora nessuno li avesse reclamati o non avesse potuto dimostrare la
legittima proprietà entro un un periodo di tre anni, questi sarebbero stati definitivamente attribuiti al
demanio.
380“La proprietà così geometricamente accertata lo è stata poi giuridicamente, secondo norme espressamente stabilite. Divenuto definitivo il riconoscimento del diritto di proprietà, viene rilasciato al proprietario un titolo corrispondente all'intestazione fatta sul Libro fondiario. Tali titoli fondiari sono equiparati a titoli esecutivi, e danno luogo a esecuzione forzata a favore degli intestatari, previo visto di esecutorietà”. 381
Il Libro Fondiario, come in ogni ordinamento fondiario, avrebbe dovuto contenere in vari volumi e
nello specifico in ogni Foglio, le indicazioni necessarie per precisare e identificare esattamente e
senza possibilità di dubbi, incertezze o equivoci gli immobili, gli aventi diritto e le successive
variazioni.
382Per gli abitanti delle isole dimostrare la proprietà delle terre tramite titoli di proprietà con prove di
possesso effettivo, attraverso atti notarili o simili, fu arduo, poiché spesso la trasmissione dei beni
terrieri si effettuava sulla base di regole consuetudinarie e di accordi orali e nell’ufficio del catasto
turco
383, che era per proprietà, regnava talvolta l’approssimazione:
“la consistenza degli immobili, tanto nelle iscrizioni fondamentali e nelle variazioni, quanto nei titoli, era definita da cenni monografici descrittivi molto sommari e frammentari relativamente ai confini, e del tutto approssimativi poi nei riguardi delle dimensioni superficiali e del valore catastale; né esisteva alcun rilievo geometrico particolare o generale, né altra indicazione sicura, che potesse comunque servire a stabilire topograficamente la posizione, la forma e la vera delimitazione dei singoli immobili..."384
Dopo aver individuato i limiti territoriali delle proprietà, si procedette all'incameramento di terreni
mediante espropri per pubblica utilità. I terreni espropriati si sommarono a quelli acquistati
precedentemente dal governo a prezzi irrisori, come dice Casavis:
“In Rhodes valuable parcels of land have been taken and paid for by the Government at figures far below their assessed value for taxation, only to be turned over to Italian firms or individuals.”385
Elena Papani Dean sottolinea come spesso i terreni espropriati non fossero sempre terreni incolti,
infatti
"si verificò che aree, anche estese, vennero tolte ai legittimi proprietari con la motivazione di una bonifica da realizzare mentre, negli stessi decreti di esproprio, il governo delle isole non poteva non classificare i medesimi terreni come... coltivati ed a diversi gradi di specializzazione colturale ...".386
379 “… tutto il resto del territorio non occupato da coloni a titolo di prprietà privata, era dichiarato vacante e perciò proprietà del Demanio coloniale.” Ziliotto, op. cit. , p. 230.
380 D.G. n° 132 del 1929, art. 28, 29 e 86. Relazione Savarese al D.G. n° 132 del 1929. Ziliotto, p. 195. 381 Buti, op. cit. p. 129
382 Ziliotto, op. cit. p. 201.
383 ordinato secondo la legge ottomana del 1874.
384 G. Ghigi, in Atti del Congresso Geografico Italiano, 1927, p. 575, citazione a p. 23, Cap. I, S. Martinoli, op. cit.. Riferimento bibliografico nella nota n° 50 di p. 26.
385 Casavis, J.N., Italioti Atrodties in thè Grecian Dodecanese, The Dodecanesian League of America, New York 1936, and
Sforza versus Sforza, published by N. Mavris , 1943, p. 8
Kolonas intravede in queste misure imposte dalle autorità italiane, insieme al D.G. del 1924
387sulla
tutela delle foreste, le premesse dell’impoverimento e dell’emigrazione della forza lavorativa greca:
“The italian authorities undertook to settle Italian citizens in the Dodecanese as one of a series of steps to remove Greeks from their land, use Greeks to provide the labor for constructing public works, and withdraw agricultural production from Greeks hands.”388“The 1928 decree making agricultural lands thet had not been cultivated for three years – in consequence of the above measures – the property of the italian government and assignings these lands to italian farmers;
The 1929 decree expropriating lands that still remained in the hands of the people of the Dodecanese, giving rights over these lands to any italian wishing to undertake a new kind of farming or introduce a new crop.”389
Tutela del Demanio forestale - D.G. n° 3 del 6/01/1926
Visto il R.D. n° 1354 del 28 agosto1924, constatata la necessità di rimuovere le cause più
frequenti d’incendi in boschi delle isole, visto il nostro D. n° 19 del 4 aprile 1924 pel regime
forestale, decretiamo
Art. 1 – E’ fatto divieto a chiunque di tenere armi e comunque esercitare l’apicoltura nei boschi
delle isole e nelle zone limitrofe fino ad una distanza di m. 50.
Art. 2 – E’ fatto obbligo a chiunque coltivi terreni confinanti con boschi di mantenere lungo i
margini di questi una fascia della profondità di m. 25 costantemente ripulita da ogni cespuglio
eliminando qualsiasi materiale che possa costituire esca per il fuoco.
Art. 3 – Dal mese di giugno al periodo delle abbondanti piogge autunnali è fatto divieto a
chiunque di fumare nei boschi.
Art. 4 – Il transito nei boschi sarà permesso solo lungo le vie di comunicazione tra un villaggio e
l’altro. Per ragioni di lavoro od altre ritenute plausibili, la Direzione di Agricoltura e Lavoro potrà
rilasciare dei lasciapassare in deroga a questa disposizione.
Art. 5 – Le infrazioni saranno punite.
Figura 136. D.G. n° 3 del 6/01/1926 sulla Tutela del Demanio forestale. In ASD Provvedimenti e Decreti Governatoriali dall’1-01-1926 al 31-01-1927.
Definire incolti alcuni terreni per poi considerarli demaniali fu uno degli escamotage più frequenti
usati dal governo italiano per estendere la superficie coltivabile dell’isola. Gli esiti li ritroviamo in
vari documenti reperiti presso l’Archivio del Dodecaneso e in pubblicazioni come il Symposium di
Casavis, in cui si racconta di un fatto interessante che evidenzia quanto poco trasparenti fossero
talvolta le procedure di indemaniamento da parte degli italiani a discapito dei proprietari. Pare che
la tendenza del governo italiano fosse infatti quella di assicurarsi proprietà di terreni senza
effettuare il corrispettivo pagamento al proprietario di una quota d’acquisto avvalendosi proprio di
questa vecchia legge turca che l’autore definisce “finta” quella cioè che attribuiva la proprietà delle
terre incolte al sultano. Dal momento in cui il governo italiano subentrò al governo turco, il
governatore si considerò successore del sultano facendo così propria questa prerogativa. Secondo
l’autore, diverse indagini dimostrano che in diverse istanze questa prerogativa sia stata usata
ingiustamente. Ci narra di un caso in particolare avvenuto appena fuori dalla città di Rodi in cui un
387 D.G. n° 19 del 4 aprile 1924 modificato da Lago con D.G. n° 3 del 6/01/1926 sulla Tutela del Demanio forestale (fig. n°125 ).
388 X. Papachristodoulou, Іστορία της Ρόδου από τους προϊστορικούς χρόνους έως την ενσωμάτωση της Δωδεκανήσου (1948), Athens, 1972, p. 554. (nota n° 64, in Kolonas, p. 71)
proprietario aveva dato in affitto la sua terra alle forze italiane per l’esercitazione delle truppe
durante il 1917. Alla fine della guerra le truppe continuarono a utilizzare quel terreno senza pagare
l’affitto a dispetto delle diverse richieste del proprietario che intendeva riappropiarsene per
ricominciare a coltivarla. Nel 1927 il proprietario notando che degli operai stavano recintando il
terreno, si lamentò con le autorità solo per sentirsi dire che la terra non era più sua poiché era
divenuta demaniale visto che egli aveva trascurato di coltivarla per 10 anni. Successivamente alcune
inchieste dimostrarono che il governo italiano passò la proprietà all’albergo delle Rose che inaugurò
su quei terreni un campo da golf cambiandone così la destinazione d’uso.
390Adducendo il motivo dell’incuria talvolta venivano considerati demaniali terreni appartenenti a
comunità religiose, anche all’insaputa degli interessati, come accadde alla Comunità ortodossa di
Rodi che scrisse al Goveratore per mano del Metropolita Apostolo di Rodi una missiva il 6 marzo
1936 in cui si dice di aver scoperto dalla notifica di due atti del 30 dicembre 1935 del Direttore
dell’Ufficio Catastale di Rodi che erano state dichiarati demaniali due terreni di loro proprietà.
L’esproprio era avvenuto per i motivi di cui abbiamo parlato nell’episodio precedente, e cioè la
mancata coltivazione che la comunità adduce al fatto che furono proprio i competenti organi
governatoriali a rifiutare e impedire la coltivazione alla comunità che aveva in locazione quei
terreni. Il Metropolita chiedeva la revoca del procedimento oppure la comunità non aveva niente in
contrario a cederli dietro indennizzo.
391Un altro episodio riguarda i terreni di Damatrià venduti alla Società Frutticoltura di Rodi dopo
averli espropriati al loro legittimo proprietario, il sig. Eiup Zadé Escref che in una missiva del 1929
fa intendere che i terreni erano stati dichiarati ingiustamente demaniali per prolungata incoltura non
per colpa dei precedenti proprietari ma per un’incuria triennale della Società (fig.127).
390 “The Italian Government of the Dodecanese, for ite own purposes, has another means of securing real property without any payment to the proprietor. This consists of a pretended old Turkish law which assumed that ali land belonged to the Sultan, who could dispossess any occupant not making proper use of it. Since the Italian Government are considered as successore of the Sultan, they may be said to have taken over bis prerogatives in regard to the domain where no other has been promulgated. Investigation shows that in several instances this prerogative has been wrongly used. One case in particular, just outside the urban district of Rhodes, reveals a state of affairs that in any other civilized community would be considered fantastic and im-possible. The proprietor in question rented his land to the Italian for-ces for exercise of the troops during 1917. At the dose of the war the troops contìnued to use the land without paying rent, despite several demanda from the proprietor that he be permitted to cultivate it. Last year (1927) the owner, on noticing some labourers engaged in enclos-ing the land with a fence, complained to the authorities, only to be told that the land was no longer his, it having reverted to the domain, because he had neglected to cuìtivate it for a period of ten years. Sub-sequent inquiry showed that the Italian Government had the intentimi of granting this property to the new Italian hotel de luxe which was opened on May 24th last, for use as a golf course.” In J.N. Casavis, A Symposium on the Dodecanese, Protesting italian oppression, Published by Dodecanesian League of America, New York, 1938, p. 11.
Governo delle Isole Egee A Società Frutticultura Rodi 22 agosto 1929
Oggetto: Terreni di Damatrià
Acclusa copia di reclamo di Eiup Zadé Escref relativo a terreni venduti alla S.A. Frutt.
In sostanza lo Zadé Escref dice che i terreni di cui si tratta vengono dichiarati demaniali per prolungata incoltura la colpa non è dei precedenti proprietari, ma della Frutticoltura che da tre anni ne è entrata in possesso. Non sarebbe infatti giusto che la Frutticoltura godesse, a danno dei precedenti proprietari, di una perdita dei diritti di cui a lei risalirebbe la colpa.
Prego chiarimenti. Il Governatore392
Figura 137. Trascrizione della lettera inviata il 22 agosto 1929 dal Governo delle Isole Egee alla Società Frutticoltura di Rodi per chiedere chiarimenti in relazione ai terreni espropriati di Damatrià. ASD - IDD 125 - 1929
Talvolta gli espropri vennero eseguiti contro il volere dei leggittimi proprietari, come avvenne per
l’esproprio del terreno nei pressi di Rodini, località Zumbullù, per l’impianto di una stazione
ricevente Radio-Rodino. Al proprietario venne dato un periodo di dieci giorni per accondiscendere
alla vendita della sua proprietà, in caso di diniego si sarebbe notificato un atto di esproprio.
393Spesso i contadini di Rodi per mano dei loro sindaci dovettero fare espressa richiesta alla Direzione
Agricoltura e Foreste affinché venissero dati loro in affitto terreni di proprietà demaniale.
Talvolta fra gli affittuari di beni demaniali vi erano ditte italiane insolventi che compromettevano il
buon nome della nazionalità degli occupanti:
Beni demaniali dati in affitto: Ditte italiane insolventi: Spaini, Peregrini, Armando Maddalena. Hanno come abitudine a non pagare – indispensabile che finisca sia per la serietà dell’Amministrazione sia perché le ditte italiane nell’Egeo dovrebbero dare esempio di disciplina all’elemento indigeno.394
La realizzazione di un Libro fondiario e di un catasto rappresentarono per l’Italia una ulteriore
occasione per dimostrare “al mondo intero” l’abilità scientifica di cui questa era capace
395anche se,
come sostenuto da Ziliotto, pare che l’Ordinamento Fondiario pensato appositamente per le Isole
392 IDD 125 - 1929
393 Il D.G. del 14 novembre del 1925 non ha numero. 394 ASD: IDD 96-1926
395 “Il Governo delle Isole Egee accingendosi ad accertare ed attribuire la leggittima pertinenza delle proprietà dell’isola allo scopo di ottenere una intestazione catastale che serve come punto di partenza certo agli effetti dei susseguenti passaggi (art. 2 del D.G. n° 57 del 3 ottobre 1924) ha assunto un compito che ne impegna l’onere in faccia al mondo, sia perché, entrando nel campo dei più gelosi interessi privati, ha l’obbligo di tutelarli e risolverli con scrupolo e diligenza impareggiabili; sia perché avendo ideato un sistema suo che vuole raggiungere il massimo della semplicità e praticità insieme colla maggiore efficienza, non può compromettere l’esito dell’esperimento per poca accurata esecuzione; sia perché finalmente il nuovo catasto dovrà essere probatorio il che è quanto dire che i documenti che oggi si stanno compilando dovranno formare per secoli la base granitica per l’agile e sicuro movimento di tutta la proprietà fondiaria Rodia onde non è ammissibile che sia trascurata la benché minima cura e nessun controllo può parer superfluo per avere la matematica certezza della loro perfezione formale e sostanziale.” In Nota di servizio del 13 dicembre 1926 da parte del Governo egeoo per l’Ufficio di Presidenza della Commissione accertamenti immobiliari, e per gli Uffici tecnico, di Finanza, Trasferimenti e ipoteche. ASD
Egee, “certamente più perfetto di tutti gli altri” per la esatta impostazione della legge fondiaria e
nella precisione dei concetti fondamentali, fosse alquanto macchinoso e pesante.
396I lavori realizzati o avviati nel periodo d'occupazione in campo topografico e catastale
rappresentarono comunque una solida base su cui gli italiani impostarono poi il futuro sviluppo
urbano e agricolo del territorio del Possedimento.
397Ricordiamo inoltre che il catasto geometrico
degli immobili e dei terreni, rappresenta ancora oggi, l’unico catasto agrario dell’isola di Rodi.
5.3 Il Credito agrario e le Banche
Altra accortezza governativa a favore dell'economia rurale del Possedimento fu la istituzione di una
Cassa di Credito Agrario con D.G. del 23 gennaio 1928 n° 20 al fine di esercitare operazioni
creditizie per l'agricoltura per liberare le popolazioni autoctone dall'usura
398, considerata una delle
cause del deperimento agricolo locale:
“In tal modo, oltre al valido concorso finanziario dato da questo Istituto per la formazione di attività agricole metropolitane, è offerta la possibilità anche agli agricoltori nativi delle Isole di usufruire piccoli prestiti per fronteggiare migliorie permanenti sui loro fondi e di liberarle da inveterate forme di strozzinaggio che colpivano in doppio modo la popolazione agricola del Possedimento, perché ad una clientela spesso misera e priva di risorse finaziarie si imponovano interessi usurari che si risolvevano nell'accaparramento delle derrate agricole, cedute a prezzi spesse irrisori ed in ogni modo a prezzi imposti dal mutuante.”399
L'organizzazione del credito ebbe come atto preliminare la fondazione di una succursale della
Banca d'Italia nel Possedimento la cui prima filiale di Rodi iniziò le operazioni il 4 aprile 1927.
400Ad essa venne affidata nel 1936 la gestione della Tesoreria del Governo e la funzione di
equilibratrice del mercato. Importante fu l’azione che la Banca esplicò in materia valutaria, sia in
396 Ziliotto, p. 202.
397 “Pure nelle Isole Italiane dell'Egeo l'agricoltura rappresenta la fonte principale dì ricchezza, nonostante l'accentuato decadimento delle terre dovuto a secoli di abbandono. La volontà di affrontare il problema dell'avvaloramento agrario appare chiaro ai Governi delle Isole Italiane dell'Egeo fin da quando essi decisero l'esecuzione del catasto agrario dell'Isola di Rodi. Lavoro imponente condotto già a termine e che segna un saldo punto di partenza per lo studio di programmi avvenire.” Armando Maugini, L’Agricoltura nelle Colonie e nelle Isole dell’Egeo, (articolo scritto nel luglio 1931 su La Nuova Antologia), in L’Agricoltura coloniale Aprile 1932, pp. 171-182 398 “Lo strozzinaggio è una piaga che colpisce in doppio modo lo popolazioni del Possedimento, perché oltra gl'interessi usurari che impone ad una clientela misera e priva di risorse finanziarie, si risolve nell’accaparramento dei prodotti che il mutuatario è costretto a cedere a prezzi spesso irrisori, ed in ogni modo a prezzi imposti dal mutuante. Gl’incettatori ed i bagarini anticipano somme all'atto delle semine e delle concimazioni con l'impegno di acquisto del prodotto, ed in tal modo strozzano due volte i contadini.”Enrico Bartolozzi in L’Italia nel Levante – Il Possedimento delle Isole Egee (I Parte), in L’Agricoltura Coloniale, Ottobre 1929, pp. 460-476
399 Enrico Bartolozzi, Il regime del Credito Agrario nelle Colonie e Possedimenti Italiani II parte, (Maggio 1933) in L’Agricoltura Coloniale, Agosto 1933, pp. 392-393
400 “Verso la fine del 1926, il Governo delle Isole Italiane dell’Egeo, nell’intento di meglio disciplinare l’organizzazione bancaria di Rodi e di diffondere e potenziare con mezzi più adeguati la funzione di credito a vantaggio dell’economia locale, si interessò perché la Banca d’Italia provvedesse all’impianto di una filiale in quell’isola.” in La Banca d’Italia nelle terre italiane d’Oltremare, maggio, A. XVIII, E.F., Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1940. pp. 139
qualità di banca agente sia come rappresentante dell’Istituto Nazionale per i cambi con l’estero.
401(Fig. 130).
Poiché la Cassa di Credito Agrario aveva troppe limitate possibilità, successivamente, a favore
dell'economia rurale del Possedimento, con D.G. 14 agosto1928, n° 28 anche il Banco di Sicilia
impiantava a Rodi una sua filiale,
402con lo scopo di provvedere alla concessione del credito agrario
agli agricoltori locali
403assorbendo la Cassa di Credito Agrario delle Isole Egee, istituita nello
stesso anno.
404Nel 1936 a Rodi esistevano le sedi di tre principali istituti di credito italiani: La Banca d’Italia, il
Banco di Roma, il Banco di Sicilia. Vi erano rappresentate anche la Banca Commerciale e il
Credito Italiano. Oltre a queste quattro banche, ne esistevano quattro locali gestite da ebrei che
nell’Annuario del 1940 non saranno più menzionate
405: Banca Figli di Salomone Alhadeff, Banco
Isacco Alhadeff, Banca Notrica Menascè, Banca Figli di Bension Menascè.
406A completare il buon funzionamento del credito agrario di esercizio, De Vecchi istituì un Ente sul
tipo dei Consorzi Agrari del Regno denominato “Ente autonomo per l’assistenza alla bonifica
agraria”. Tale organismo era destinato a provvedere all’agricoltura le materie prime necessarie
(sementi, macchine, attrezzi).
407I prestiti venivano concessi a queste condizioni:
“I prestiti di esercizio potranno essere consentiti agli agricoltori che conducono direttamente i fondi o le piantagioni, dai medesimi a qualunque titolo legittimamente posseduti, ed agli agricoltori che conducono per qualunque titolo legittimo fondi e piantagioni di proprietà altrui: i prestiti invece di miglioramento possono essere concessi a privati enti ed associazioni che posseggano o conducano terreni in forza di un titolo il quale consenta la esecuzione dei lavori e delle opere, l'assunzione dell'onere del prestito e la prestazione delle garanzie 401 La Banca d’Italia nelle terre italiande d’Oltremare, maggio, A. XVIII, E.F., Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1940. p.145
402 Con Decreto Governatoriale del 14-8-1928, n. 28 il Banco di Sicilia è autorizzato ad esercitare il credito agrario di esercizio ed il credito di piccolo miglioramento nel Possedimento delle Isole Egee a mezzo della una Filiale in Rodi : assorbisce la Cassa di Credito Agrario delle Isole Egee, già istituita con D. G. 23-1-1928, n. 20. Il saggio d'interessi non potrà essere superiore a quello stabilito dalle disposizioni vigenti in Italia per la Sezione di Credito Agrario del Banco di Sicilia per i prestiti diretti a privati.” Enrico Bartolozzi in L’Italia nel Levante – Il Possedimento delle Isole Egee (I Parte), in L’Agricoltura Coloniale, Ottobre 1929, pp. 460-476
403 “…vittime spesso del’ingordigia dei capitalisti. A tal fine il Governo concesse un contributo, che fu aumentato allorchè fu istituita un’agenzia a Coo. Precedentemente però si era, con decreto 22 giugno 1927 riformato tutto l'istituto cambiario.” Buti, op. cit.
404 Esisteva già a Rodi un Servizio di Credito agrario di esercizio e di piccolo miglioramento disciplinato con norme fissate dal D. governatoriale 14 agosto 1925 che venne affidato ad una filiale in Rodi del Banco di Sicilia nel 1928. Questa Filiale assorbì la Cassa di Credito Agrario già esistente e funzionò per pochi mesi con organizzazione e mezzi prettamente governativi. Cfr. Enrico Bartolozzi, Il regime del Credito Agrario nelle Colonie e Possedimenti Italiani II parte, (Maggio 1933) in L’Agricoltura Coloniale, Agosto 1933, pp. 392-393
405 Annuario delle colonie italiane, Paesi dell'Africa italiana e delle Isole italiane dell'Egeo Istituto coloniale fascista, A. 13 (1938/39)- A. 14 (1940), Roma, Tipografia Castaldi, 1938-1940, p. 823.
406 Annuario delle colonie italiane, Isole Italiane dell'Egeo, Paesi dell'Africa, Istituto coloniale fascista A. 11 (1936) Roma, Tipografia Castaldi, 1936-1936, p. 642.
407 “…segna una notevole tappa nello sviluppo agricolo del Possedimanto e contribuirà indubbiamente ad aumentare la prosperità delle categorie interessate alla produzione agraria.” Annuario delle colonie italiane, Paesi dell'Africa italiana e delle Isole italiane dell'Egeo Istituto coloniale fascista, A. 13 (1938/39)- A. 14 (1940), Roma, Tipografia Castaldi, 1938-1940, p. 824.
richieste, nonché a Consorzi di bonifica, di irrigazioni e simili, che provvedano alla esecuzione di opere di bonificamento e miglioramento agrario nell'interesse dei consorziati. I suddetti prestiti sono garantiti da cambiale o da ipoteca.”408
La legge italiana sulla cambiale fu una delle prime iniziative della Banca introdotta nel
Possedimento, in sostituzione della legge turca che considerava il titolo come una semplice
obbligazione civile scontrandosi anche in questo caso con le consuetudini locali:
“in tale occasione l’Istituto si adoperò per diffondere la conoscenza della nuova funzione del titolo stesso e dei vantaggi che una sua larga utilizzazione avrebbe recato, segnatamente al commercio, favorendo la mobilità dei capitali e accelerandone la circolazione. Il conseguimento di tale obiettivo, che non si presentò scevro di difficoltà per la mentalità abitudinaria della popolazione e anche per l’atteggiamento delle banche locali che non accolsero di buon grado l’innovazione, valse a normalizzare su nuove basi il movimento commerciale e a portare un efficace aiuto a tutte le iniziative meritevoli di incoraggiamento.”409
In linea di massima, l’attività creditizia della Banca d’Italia nell’Egeo si svolgeva mediante il
finanziamento delle maggiori imprese che si dedicavano nel settore agricolo non solo alla
conduzione e coltivazione dei terreni, alla raccolta, l’utilizzazione e la trasformazione e
all’esportazione dei prodotti agricoli, ma anche all’acquisto di bestiame, macchine e attrezzi
agricoli, l’avvio di piantagioni, trasformazione di colture, costruzione di strade poderali,
sistemazione di terreni, costruzione di pozzi, abbeveratoi, opere idriche di irrigazione o bonifica,
costruzione di fabbricati rurali; nel settore commerciale ed anche nel settore delle piccole industrie e
dell’artigianato con l’appoggiare il lavoro delle concerie, la produzione dei tappeti, delle ceramiche,
dei laterizi, della ebanisteria:
“…giova altresì ricordare come la Banca abbia inoltre validamente contribuito all’incremento edilizio del Possedimento mediante larghe concessioni di credito alle imprese che attendono la costruzione di abitazioni, opere militari e stradali e, in genere, al compimento del vasto programma di lavori pubblici intrapreso.”410
Le funzioni del credito agrario dovevano coadiuvare le imprese degli agricoltori che nelle colonie
trovavano ostacoli da superare come aspre condizioni ambientali, oltre ad affrontare trasformazioni
fondiarie e agrarie spesso su vaste e sparse superfici, su terreni lasciati incolti da lungo tempo e
talvolta mai coltivati, che in genere non consentivano redditi a breve scadenza, attività spesso
intraprese da individui che non sempre possedevano sufficienti mezzi finanziari. Il credito da
concedere perché la colonizzazione avesse successo era dunque un “largo credito” che il colono
avrebbe prima o poi dovuto rimborsare alla scadenza prestabilita con gli interessi. La percentuale
d’interesse da applicare da parte delle banche in caso di prestiti diretti a privati, non doveva essere
superiore rispetto alle disposizioni vigenti in Italia, così da rendere equo il trattamento nelle
operazioni creditizie
411in patria e nelle colonie. Bartolozzi fa notare però, che per i “coloni”, gli
interessi avrebbero dovuto costituire un onere sopportabile mentre le banche spesso erano solite
408 Enrico Bartolozzi in L’Italia nel Levante – Il Possedimento delle Isole Egee (I Parte), in L’Agricoltura Coloniale, Ottobre 1929, pp. 460-476
409 La Banca d’Italia nelle terre italiande d’Oltremare, op. cit., p. 139 410 Ibidem p. 140.