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3. Le ricognizioni a Capo Mortola: il primo esperimento di perlustrazione sistematica

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Academic year: 2021

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3. Le ricognizioni a Capo Mortola: il primo

esperimento di perlustrazione sistematica

L’unica ricognizione sistematica effettuata nelle acque dinnanzi il promontorio di Capo Mortola e stata quella effettuata da Nino Lamboglia e dalla nave « Daino » dal 5 luglio al 7 agosto 1959 che ha visto lo studioso concentrarsi nel tratto di mare compreso fra la frontiera di Ponte S. Luigi e la foce del Nervia in territorio di Ventimiglia. Lo scopo principale era quello di affrontare la preparazione della carta archeologica sottomarina (Forma Maris Antiqui), e di testarne la fattibilità per attuare una ricognizione sistematica dei fondali mediante la determinazione topografica di ogni particolarità di interesse archeologico.

L'unico sistema che all’epoca consentiva di organizzare razionalmente un simile lavoro di ricognizione era quello dell'ala subacquea1; la principale difficoltà che incontra tale sistema (a parte il tempo notevole impiegato nelle varie manovre) è quella del riferimento in superficie del percorso effettivamente compiuto, sia esso o no ricco o privo di interesse. Per ottenere una relativa precisione cartografica e rendere l'osservazione il più possibile completa, fu adottata la soluzione di dividere il mare in settori delimitati in superficie mediante gavitelli collocati e orientali secondo misure regolari, in modo da quadrettare la superficie marina come quella di un rilievo terrestre. Una volta compiuta questa delimitazione e collocati i gavitelli con l'aiuto dei circoli e del sestante, si trattò di rimorchiare l'ala subacquea su rotte fisse, segnate sulla carta in misura approssimativa dall'Assistente che seguiva dalla barca-rimorchio il sommozzatore e ne raccoglieva le informazioni.

1 Consiste in un sommozzatore appoggiato a un leggero supporto e trainato da una barca manovrata in superficie, che

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Questo piano di lavoro fu applicato e adeguato alla realtà tracciando, a partire dalla linea di frontiera con la Francia, una serie di « settori » di 1 km² paralleli alla costa e manovrando la barca-rimorchio, con l'aiuto della bussola, in una serie di

« passaggi » da nord a sud e viceversa, effettuati a circa 25 metri uno dall'altro, in modo da permettere la visibilità di tutti gli spazi intermedi.

La difficoltà di trainare il sommozzatore a una profondità superiore ai 25 metri ha però subito consigliato di limitare sulla linea batimetrica di 25 metri tale sistema di esplorazione, suddividendo il settore di 1 km2 in due metà, quella più vicina a riva (fino a 25 metri) e quella esterna, da 500 a 1000 metri circa di distanza e fino a 50 metri circa di profondità. Questa ultima zona esterna fu esplorata, anziché con l'ala subacquea, con la stessa nave e con lo scandaglio ultrasonoro in azione, mediante una serie di passaggi multipli su rotte topograficamente ben determinate facendo il « punto » coi circoli e col sestante.

Naturalmente ogni segnalazione di prominenze registrata sullo schermo dello scandaglio doveva poi essere controllata mediante l'immersione di un sommozzatore; e purtroppo, a differenza di quanto era avvenuto sulla Nave Romana di Albenga, si è sempre riscontrato trattarsi di eminenze rocciose, che lo scandaglio non sarà mai in grado di distinguere da qualsiasi relitto di opera umana.

Messo tuttavia a buona prova questo duplice sistema di esplorazione combinata, con la visione diretta dei sommozzatori e con lo scandaglio della nave, si è proceduto regolarmente a “rastrellare” tutto il fondale tracciando sulla carta tre « settori » di 1 km- paralleli alla costa, fra la frontiera e il capo Mortola, e facendo la prova del tempo impiegato e dei risultati ottenuti.

Si è rivelato che, per quanto l'organizzazione fosse agli inizi, le difficoltà pratiche di un lavoro cosi sistematico sono superiori ad ogni previsione.

Esso, per procedere speditamente, richiederebbe condizioni meteorologiche sempre ideali, perfetto funzionamento di tutte le attrezzature e coordinamento assoluto e lungo allenamento fra gli uomini operanti sia in immersione sia in superficie.

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In circa un mese di permanenza nella località, e in 10 giornate effettive di lavoro, è stato possibile esaurire l'esplorazione totale di due settori (A e B) di 1 km ciascuno, nonché di un terzo di minori dimensioni fino all'altezza del capo Mortola.

I risultati di addestramento sono stati notevoli per tutti i partecipanti all'operazione, ma non si sono avute scoperte sensazionali. La speranza di compiere fruttuose osservazioni subacquee sui fondali antistanti alle celebri caverne dei Balzi Rossi è venuta meno, per la mancata partecipazione del prof. Alberto Carlo Blanc e di altri esperti geologi e paleontologi. Né si è incontrata in questa prima zona della Riviera italiana alcuna traccia di relitti antichi. L'unica località che doveva possederne uno, e dove si sono fatte anche più ampie ed estese ricerche da terra, è quella del promontorio della Mortola, classico campo di fortunali e di naufragi: i frammenti di anfore romane, sempre di età repubblicana, vi esistono in numero cospicuo, frantu-mati dalle onde e concrezionati fra gli scogli ; ma non si è trovato un concentramento tale di essi che possa indicare la presenza di un relitto, almeno disintegrato e scom-parso. Gli estesi campi di alghe che si addensano dinanzi al promontorio hanno offerto un ostacolo imprevisto ad un allargamento della zona di osservazione, e il quesito è perciò rimasto insoluto.

Questa prima esperienza rimane però un unicum, in quanto durante i quasi 50 anni passati da questa esperienza nulla di simile fu più compiuto in questo tratto di mare, infatti tutto il materiale recuperato proviene da ricognizione sporadiche effettuate sia dalla soprintendenza,o da recuperi effettuati da subacquei e pescatori.

Sporadicamente nel corso degli ultimi anni, visto anche l’interesse che già il Lamboglia sembrava intuire nella zona, sono state compiute ricognizioni dal Dott.G.P.Martino con l’aiuto del corpo dei carabinieri sia nel 1991 che nel 1994, nelle quali, durante le ricognizioni, sono stati recuperati numerosi frammenti ceramici, relativi a delle anfore.

L’ultima ricognizione in ordine di tempo è stata effettuata nel febbraio del 2008, sempre sotto la direzione del Dott.G.P.Martino, con la partecipazione del sottoscritto

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persona delle affermazioni del Lamboglia circa la presenza massiccia di poseidonia, che però non ha ostacolato il ritrovamento di un collo di anfora Gallica 7 e di una parete di anfora Dressel 1.

Il principale problema inerente questo tratto di mare è la presenza, in modo massiccio, di poseidonia oceanica in banchi che, oscurando il fondale alla vista dei ricercatori preclude qualsiasi evidenza archeologica, e poiché specie protetta impedirebbe anche un eventuale scavo subacqueo.

Altro problema è la fortissima presenza, in particolare durante l’estate, ma presenti nella zona durante tutto l’anno, di apneisti e subacquei sportivi che frequentano la zona e che hanno avuto libero accesso alla zona per oltre 60 anni.

Nelle acque di Capo Mortola, Lamboglia, sperimentò per la prima volta le difficoltà della realizzazione di tecniche, che, considerate attuabili in siti terrestri, come la ricognizione di superficie, presentano un numero esponenziale di difficoltà una volta messe in pratica in contesti subacquei, ma che, nonostante le molte difficoltà ha saputo qui sperimentare per la prima volta.

Spostò le ricerche verso Ventimiglia, sondando rapidamente con lo scandaglio (e con esito finora negativo) lo spazio intermedio fino alle foci del Roia, e si è tentò per la prima volta l'esplorazione del fondale antistante la città romana di Albintimilium, fra la foce del Roia e quella del Nervia.

Ebbe la conferma e la nozione precisa dell'inanità della ricerca sistematica su un fondale soggetto a massicci apporti alluvionali di natura torrentizia e a una continua azione di insabbiamento. Il fondo marino dinanzi a Ventimiglia forma una sterminata distesa di sabbia e di fango, continuamente rialzata e rinnovata dall'azione dei fiumi. Il Lamboglia, sconsolato, concludeva così:”…Pur mantenendo fermi i risultati e le esperienze di carattere metodologico, si è tratta da questo primo mese di addestramento una conclusione negativa: la carta archeologia sottomarina delle coste italiane non potrà per ora basarsi su un lavoro di perlustrazione sistematica, fatta metro per metro ma in gran parte a vuoto e con considerevole dispendio di tempo e di energie. Essa dovrà ancora affidarsi (come del resto l'archeologia di terraferma) al

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caso e alle segnalazioni fortuite, limitando le ricognizioni di dettaglio a quelle zone che, o per la loro storia o per la loro posizione o per eventi particolari, diano a priori la garanzia di risultati sicuramente positivi. Per queste zone rimarrà valido il sistema di esplorazione messo a punto per la prima volta col « Daino », nonché l'uso dello scandaglio ultrasonoro e di altri mezzi più perfetti che possano trovarsi in avvenire.”

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