SENTENZA
Tribunale sez. lav. - Trieste, 19/01/2009, n. 48
Intestazione
REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE
Sezione Civile - Controversie del Lavoro
Il Tribunale, in composizione monocratica, in funzione di giudice
del lavoro, nella persona della dott.ssa Silvia Rigon, all'udienza
del 19.11.2008, ha pronunciato la seguente SENTENZA
Nella controversia iscritta al n. 140/08 R.G. e promossa con ricorso
del 10.3.2008 DA:
K.D., rappresentata e difesa dagli avv.ti Franco Berti, Paolo Longo,
Carlo Berti e Piero Longo, con domicilio eletto presso il loro
studio a Trieste, Piazza S.G., come da procura a margine del ricorso
Ricorrente
LELU S.R.L., in persona del legale rappresentante, rappresentata e
difesa dagli avv.ti Mario d'Ecclesia del Foro di Pescara e
Alessandro di Mitri, con domicilio eletto presso lo studio del
secondo, a Trieste Piazza S.G., come da delega a margine della
memoria
resistente
avente ad oggetto: differenze retributive ex art. 36 Costituzione.
Conclusioni di parte ricorrente:
A) Condannare la convenuta a pagare l'importo di 7.968,78 Euro per i
titoli indicati in narrativa, e a regolarizzare conseguentemente la
posizione contributiva dell'attrice.
B) Spese rifuse, interessi e rivalutazione di legge.
Come precisate con la memoria del 13.10.2008: in estremo subordine
per l'accoglimento delle medesime, decurtate unicamente
dell'incidenza diretta (175,97+91,57+189,68+560,38) e indiretta
(75,38) della 14°, pari a complessivi Euro 1.017,57 Conclusioni di parte resistente:
1) Accertare e dichiarare che alla ricorrente K.D., nel periodo
4/05/2005-28/02/2007, è stato applicato un trattamento economico e
normativo adeguato e conforme a quello dovuto in riferimento al
CCNL/CNAI - settore commercio;
comunque, infondate, in fatto ed in diritto, tutte le pretese
avanzate dall'attrice con il ricorso introduttivo;
3) Condannare, sempre ed in ogni caso, la ricorrente alla rivalsa
delle spese, diritti ed onorari del presente giudizio. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 10.3.2008 la signora K.D. conveniva in giudizio la Lelu s.r.l. chiedendone la condanna al pagamento delle differenze retributive, ex art. 36 della Costituzione.
La ricorrente esponeva di aver lavorato per la predetta società, a Trieste, dal 04/05/2005 al 28/2/2007, con mansioni di commessa; che da verifiche effettuate in sede sindacale era emerso che la datrice di lavoro non aveva applicato il trattamento previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro 2/7/2004 per le aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi, sottoscritto a Roma con la Confcommercio dalle associazioni sindacali dei lavoratori maggiormente
rappresentative (CGIL, CISL e UIL, con separata adesione anche di CISAL, CONFSAL e UGL), bensì un "C.C.N.L./CNAI - settore commercio", mai visto, di cui ignorava l'esistenza, ambiguamente richiamato nel contratto di assunzione, contenente un trattamento economico assolutamente inadeguato, molto
peggiore di quello del CCNL stipulato dai sindacati maggiormente
rappresentativi, il quale peraltro notoriamente costituiva attendibile indice dell'equa retribuzione.
La signora K.D. evidenziava che il CCNL applicato dalla società era probabilmente di uno dei contratti collettivi c.d. "pirata", cioè stipulati con sedicenti organizzazioni sindacali dei datori, esistenti solo sulla carta, sostanzialmente prive di iscritti e comunque prive di qualsivoglia reale rappresentatività (invitiamo controparte a provare il contrario).
convenuta per beneficiare - come in effetti aveva beneficiato e beneficia - dei vantaggi della cd. fiscalizzazione degli oneri sociali; che infatti l'art. 6, co. 9 e ss., d.l. n. 338/89, conv. in l. n. 389/89, in combinato disposto con l'art. 2, co. 25, l. n. 549/1995, condizionava la fiscalizzazione degli oneri sociali alla circostanza che i lavoratori dipendenti del datore di lavoro beneficiario siano retribuiti con
retribuzioni non inferiori a quelle previste dal CCNL stipulato dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative; detta disposizione - al pari delle
precedenti previste dall'art. 4, l. n. 502/1978, art. 1, l. n. 782/1980, art. 36, l. n. 300/1970 - era stata intesa dalla Suprema Corte di Cassazione come
disposizione a favore di terzi, attributiva ai lavoratori di un diritto soggettivo al rispetto del trattamento previsto dal CCNL citato (v. Cass. sent. n. 7333/1998; n. 12915/2003; cfr. altresì Corte Cost. sent. n. 226/1998).
In definitiva, per effetto della mancata applicazione del CCNL stipulato dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative la ricorrente sosteneva di aver ricevuto un trattamento insufficiente e non proporzionato alla qualità e
quantità del lavoro prestato, rimanendo creditrice di ben 6.372,01 Euro, come risultante dal conteggio allegato, redatto in conformità al trattamento spettante all'aiuto commesso di 5° livello del CCNL citato; inoltre a prescindere dal contratto applicato, la ricorrente era rimasta creditrice dell'ulteriore importo di Euro 1.596,77, di cui 701,88 per il TFR non corrisposto, Euro 764,69 per
mancato pagamento dell'indennità di mancato preavviso (spettantele essendosi dimessa entro l'anno dalla nascita del bambino), Euro 130,20 per festività non retribuite cadute nel periodo di astensione dal lavoro per maternità (iniziato il 3 febbraio 2006). Concludeva, pertanto, come riportato in epigrafe.
Con memoria del 22.4.2008 si costituiva la Lelu s.r.l la quale chiedeva il rigetto delle domande proposte dalla ricorrente.
La società convenuta evidenziava che il CCNL applicato era stato stipulato, in data 20.7.2005, dalle organizzazioni sindacali CNAI, UCICT, UNO per parte datoriale e CISAL e FENASAL/CISAL per i lavoratori, UNCI e CISAL ricomprese nell'elenco delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e che il suddetto CCNL era stato depositato presso il Ministero, e correttamente
applicato dalla società, come risultante dal contratto di assunzione; che la società non aveva mai beneficiato della fiscalizzazione degli oneri sociali,
stipulanti il CCNL invocato e mai vi aveva aderito, sicché esso giammai avrebbe potuto trovare applicazione alla fattispecie; che in ogni caso, le altre differenze retributive richieste erano state debitamente corrisposte, come da
documentazione prodotta; nel contestare, infine, i conteggi prodotti dalla ricorrente, la convenuta concludeva come indicato in epigrafe.
Esperito senza esito il tentativo di conciliazione, sulla base della
documentazione prodotta, veniva autorizzato il deposito di note conclusive e, all'udienza del 19.11.2008, esaurita la discussione, il giudice decideva la causa come da separato dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato e pertanto meritevole di accoglimento, nei termini di seguito esposti.
Risulta provato, dalla documentazione depositata e dalle mancate contestazioni di parte convenuta, che la signora K.D. ha lavorato per la convenuta Lelu s.r.l. dal 4 maggio 2005 al 28 febbraio 2007, con mansioni di commessa, rimanendo assente per maternità, in relazione alla nascita del figlio avvenuta il 30 maggio 2006, da gennaio di quell'anno alla fine del rapporto, cessato per dimissioni della lavoratrice madre; il periodo di interdizione prima ed astensione obbligatoria poi è cessato il 30.8.2006 e quello di astensione facoltativa è iniziato il 31.8.2006. Risulta altresì che sino al marzo 2006 l'attrice è stata retribuita sulla base di una paga oraria di Euro 5,04, e successivamente di Euro 5,43 (5,42977), avendo il datore di lavoro, a detta della stessa difesa della convenuta, applicato il CCNL stipulato il 20.7.2005, dalle organizzazioni sindacali CNAI, UCICT, UNCI per parte datoriale e CISAL e FENASAL/CISAL per i lavoratori, UNCI e CISAL. La questione oggetto della controversia attiene alla valutazione della
proporzionalità e sufficienza della retribuzione attribuita alla ricorrente ed all'eventuale determinazione, secondo equità, della retribuzione alla stessa spettante.
In altri termini, si tratta di verificare se la retribuzione calcolata e corrisposta dal datore di lavoro in applicazione del citato CCNL rispetti il parametro
caso contrario, quale sia il parametro utilizzabile dal giudice per determinare, secondo equità, la retribuzione proporzionata e sufficiente.
Orbene, si ritiene che la retribuzione concretamente corrisposta alla ricorrente, quale risultante dalle buste paga e dalle non contestazioni della resistente, pur se in applicazione del citato CCNL, non rispetti i criteri della proporzionalità e soprattutto della sufficienza imposti dall'art. 36 della Costituzione.
Come detto, documentato e non contestato è che alla ricorrente sia stata attribuita una retribuzione oraria di Euro 5,04, e successivamente di Euro 5,43 (5,42977), in applicazione, secondo la resistente, del citato contratto collettivo. Diversamente, in base al CCNL del Terziario, stipulato dalla
CONFCOMMERCIO con la FILCAMS-CGIL, la FISASCAT-CISL e la UILTuCS-UIL la retribuzione prevista in relazione alle mansioni e all'inquadramento della ricorrente è stata invece di Euro 6,98 fino a giugno 2005, di Euro 7,11 da luglio 2005 a dicembre 2006, di Euro 7,27 da gennaio 2007.
È indubbio che il datore di lavoro convenuto, in quanto non affiliato alle organizzazioni datoriali stipulanti, non sia né direttamente né indirettamente tenuto all'applicazione del suddetto contratto collettivo, non essendo in alcun modo provato - e nemmeno sostenuta - una implicita adesione allo stesso.
Come correttamente riconosce la difesa della ricorrente, è pacifico che la sfera di applicazione del contratto collettivo di diritto comune, non vincolante erga
omnes, sia limitata agli iscritti o a coloro che, esplicitamente o implicitamente vi abbiano fatto adesione.
Nella nota sentenza 26.3.1997 n. 2665 la Cassazione a sezioni unite ha finalmente affermato la tesi dell'inapplicabilità, nell'attuale sistema sindacale, dell'art. 2070 c.c., in ordine alla individuazione del contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro secondo l'attività obiettivamente svolta dall'impresa, valendo l'attuale contratto di diritto comune solo nei confronti delle imprese affiliate o comunque obbligate per loro libera scelta; il contratto collettivo di diritto comune, ha efficacia vincolante solo limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti e a coloro che, esplicitamente o implicitamente, vi abbiano prestato adesione. Il contratto collettivo di diritto comune può, in ogni caso, essere
quella in concreto attribuita (Cfr. Cass. s.u. 26/3/1997, n. 2665, in GC, 1997,1, 1199).
Orbene, nella fattispecie concreta, questo giudice ritiene, per un verso, che la retribuzione corrisposta alla ricorrente per le mansioni svolte non soddisfi i parametri della sufficienza e proporzionalità; dall'altro ritiene, nell'ambito della rimessa valutazione di equità, di dover fare riferimento, nella determinazione della retribuzione proporzionata e sufficiente, alle previsioni del CCNL del Terziario, stipulato dalla CONFCOMMERCIO con la FILCAMS-CGIL, la
FISASCAT-CISL e la UILTuCS-UIL , al pari di come avrebbe fatto se il datore di lavoro non avesse applicato alcun contratto collettivo.
Conferma del buon fondamento della domanda risiede proprio nel fatto che controparte, anziché negare la fondatezza del rilievo attoreo di iniquità della retribuzione corrisposta (e neppure le modalità con cui è stata ottenuta la firma sulle lettere di assunzione da parte dell'attrice, la quale sostiene di essere stata ignara della stessa esistenza del contratto), si limita ad affermare l'applicabilità del diverso contratto collettivo in quanto depositato al Ministero, circostanza, questa, non rilevante ai fini del giudizio.
Diversamente, appare invece rilevante la circostanza, non contestata, che la ricorrente abbia affermato di essere stata ignara dell'esistenza del contratto individuale nel quale viene richiamato il CCNL. Si tratta di circostanza che dovrebbe portare comunque ad escludere l'applicabilità, nei confronti della lavoratrice, del suddetto contratto collettivo, essendo pacifica la non affiliazione dello medesima alle organizzazioni firmatarie.
Quanto all'affermazione che si tratti di contratto "pacificamente operante sul territorio nazionale", su cui peraltro non viene offerta alcuna prova, essa non appare fondata, dal momento che nello specifico settore del terziario è notorio che la CISAL risulta quasi totalmente assente, mentre del tutto sconosciute sono le associazioni padronali stipulanti, assolutamente non paragonabili alla
notorio che il mondo cooperativo proviene da una tradizione consolidata di basse remunerazioni.
Ammesso e non concesso dunque che la CISAL rientri tra le associazioni sindacali più rappresentative, analogo discorso non si può fare per la
FE.NA.S.A.L.C. -CISAL cioè, come si desume dall'intestazione del contratto, per la Federazione Nazionale Sindacati Autonomi Lavoratori Commercio, del tutto assente sul territorio.
Pare allora che il contratto collettivo asseritamente applicato dalla società convenuta faccia capo a organizzazioni datoriali e di lavoratori di dubbia
rappresentatività, certamente con un contenuto fortemente al ribasso rispetto al contratto stipulato per la categoria dai sindacati maggiormente rappresentativi, tanto che, in ipotesi, ci si potrebbe anche chiedere, seguendo una tesi espressa in dottrina, se questi contratti siano o meno veri contratti, in quanto stipulati con autentiche organizzazioni sindacali dei lavoratori. Si deve, però, anche ricordare che in un sistema improntato alla libertà sindacale le categorie si
autodeterminano.
Il punto decisivo è, comunque, come correttamente evidenziato dalla difesa della ricorrente, un altro. Esso consiste nella circostanza che la retribuzione
concretamente attribuita alla ricorrente - sensibilmente ridotta rispetto a quella prevista dal contratto collettivo CONFCOMMERCIO con la FILCAMS-CGIL, la FISASCAT-CISL e la UILTuCS-UIL - non risulta tale da superare il vaglio della proporzionalità e sufficienza ex art. 36 della Costituzione.
Ciò anche se si considera, quale fatto notorio, il sempre più ridotto potere di acquisto delle retribuzioni di operai ed impiegati, quali anche previste dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni maggiormente rappresentative. Altrettanto fatto notorio è che Trieste sia città dal costo della vita ben più elevato della media nazionale, nella quale notoriamente (com'è quotidianamente dato di leggere sulla stampa) gli stipendi hanno ancor più perso il loro potere d'acquisto, in considerazione della crescente inflazione reale degli ultimi anni.
commercio sia pure come sopra emendato) sia effettivamente una retribuzione che soddisfa i parametri costituzionali.
Tali considerazioni portano, per quanto interessa, a ritenere che la retribuzione oraria corrisposta alla ricorrente - pari, si è detto, fino all'aprile del 2006 a lordi Euro 5,04 per 36 ore la settimana per 4,33 settimane al mese, per 13 mensilità all'anno- e dall'aprile 2006 pari ad euro 5,43 Euro, sempre al lordo di tasse e contributi - non rispetti, in concreto, il parametro della sufficienza e
proporzionalità, in considerazione anche delle mansioni svolte.
Come evidenziato dalla difesa attorea, le coeve paghe del contratto del commercio erano superiori del 41% (41% di 5,04=2,06; 2,06+5,04=7,10) e, rispettivamente, del 31% (31% di 5,43=1,68; 1,68+5,43=7,11): e ciò senza tener conto della 14A mensilità, che da sola fa salire lo scarto a più del 50% e,
rispettivamente, del 40% (infatti 5,04x13/12 dà 5,46, mentre 7,11x14/12 dà 8,30, importo pari a 5,04 maggiorato del 52%; al tempo stesso 5,43x13/12 dà 5,88, che maggiorato del 41% dà 8,30); e senza tener conto di scatti di anzianità, permessi retribuiti per ex festività e per riduzione d'orario.
Nella breve durata del rapporto di lavoro della ricorrente, pari a 22 mesi (di cui, tra l'altro, 8 pagati all'80% e 6 al 30%) vi è stata una differenza di ben 6.372,01 Euro, rispetto al CCNL stipulato dalle associazioni comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale; circostanza, questa, sintomatica dell'iniquità lamentata, anche in considerazione dell'indubbio limitato attuale potere di
acquisto delle stesse retribuzioni previste da tali contratti collettivi, di cui sopra si è detto.
Orbene, è noto che, in applicazione del combinato disposto degli articoli 1419 (occorrendo) e 2099 c.c. nonché 36 Costituzione, il giudice che ravvisi l'iniquità della retribuzione pattuita tra le parti, ovvero comunque corrisposta, deve - ove sollecitato - ricondurla ad equità (cioè, appunto, adeguarla).
Nel far ciò prende - in via di principio, anche se non necessariamente, per quanto ampiamente esposto - come parametro la retribuzione della
In applicazione di questo principio da decenni nel nostro paese, stante l'assenza di una legislazione sui minimi retributivi e stante l'inattuazione del sistema
prefigurato dall'art. 39, comma 4, della Costituzione, la giurisprudenza ha
costantemente fatto applicazione, indiretta e non automatica, alle tariffe previste dai contratti di categoria stipulati dalle organizzazioni maggiormente
rappresentative, applicandole come parameli di riferimento sia in caso di mancanza di una contrattazione collettiva di settore applicabile, sia in caso di datori di lavoro non affiliati alle associazioni sindacali stipulanti.
E per il settore del commercio, nello specifico, la giurisprudenza suole far riferimento al CCNL stipulato dalla Confcommercio con FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL e UILTuCS-UIL.
Come correttamente evidenziato dalla difesa della ricorrente, questa questione peraltro non implica l'applicazione di regole giuridiche diverse da quelle appena menzionate: si tratta pur sempre di applicare le medesime regole che
disciplinano la nullità parziale del contratto (art. 1419 c.c.), attribuiscono il potere al giudice di determinare la retribuzione quando questa non sia stata affatto determinata o lo sia stata in maniera iniqua (art. 2099 c.c.), impongono, con efficacia immediatamente precettiva, che la retribuzione sia equa (art. 36 Cost.). Che vi sia o non vi sia una valida pattuizione individuale sull'entità della
retribuzione, che vi sia o non vi sia una retribuzione collettiva applicabile
(direttamente o indirettamente), ovvero che ve ne sia in astratto una pluralità, i termini giuridici della questione restano sempre gli stessi: ogni lavoratore, come ha fatto la ricorrente, può rivolgersi al giudice per pretendere la retribuzione "equa" e al giudice che ne venga sollecitato compete di determinarla. I contratti collettivi nazionali di lavoro hanno costantemente costituito per la giurisprudenza il punto di riferimento sia per la declaratoria di nullità che per la successiva
determinazione della nuova retribuzione conforme al dettato costituzionale. E comunque, così come il legislatore ha fatto per il minimale contributivo, sembra ragionevole dare rilievo anche sul piano della ricerca dell'equa retribuzione ai fini dell'applicazione dell'art. 36 Costituzione alla maggiore affidabilità offerta dalle associazioni sindacali "comparativamente più
potendosi valutare, in concreto, la natura e la quantità del lavoro svolto, sulla base di nozioni di comune esperienza e anche di criteri ampiamente equitativi. In altri termini, il CCNL di categoria non rappresenta uno standard necessario di riferimento, ma funziona, piuttosto, come indicatore possibile minimale della giustizia del caso concreto.
Orbene, ai fini di tale valutazione equitativa nella fattispecie concreta il contratto collettivo del commercio, stipulato da un lato da Confcommercio e dall'altro da FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL e UILTuCS-UIL è certamente quello stipulato dalle organizzazioni maggiormente rappresentative.
Se la rappresentatività ha - come certamente ha - un senso nel dare garanzia di equilibrato confronto e raccordo di interessi contrapposti, là dove vi sia una pluralità di contratti collettivi la rappresentatività comparativamente maggiore sarà verosimilmente garanzia di un più attendibile indice dell'equa retribuzione. Per la determinazione delle somme spettanti concretamente alla signora K.D. viene fatto riferimento agli analitici conteggi indicati in ricorso, in quanto svolti secondo corretti criteri di calcolo - in conformità al trattamento spettante all'aiuto commesso di 5° livello del CCNL più volte citato - oltre che non contestati, se non in maniera assolutamente generica, dalla convenuta.
In particolare, sulle voci riconosciutele in busta paga l'incidenza della differenza oraria è pari ad euro 1,94 prima; 2,06 poi; 1,84 alla fine;
La somma indicata nel conteggio dalla ricorrente è stata dunque correttamente calcolata moltiplicando tutte le ore retribuite a vario titolo nelle buste paga per la differenza oraria tra la retribuzione del contratto invocato (Euro 7,11 prima ed Euro 7,27 poi) e quella indicata sulle buste medesime (Euro 5,04 prima e 5,43 poi).
Spetta inoltre la quota di incidenza (426,54 Euro) di dette differenze orarie sul TFR maturato per l'intero rapporto, come pure per la quota di incidenza (278,77 Euro) sull'indennità di mancato preavviso.
Dalla complessiva somma così indicata dalla ricorrente, pari ad euro 6.372,01, vanno peraltro detratte - secondo gli stessi calcoli svolti nella memoria
euro 1.017,57 (175,97+ 91,57+ 189,68 + 560,30) e di euro 75,38 quali somme di incidenza rispettivamente diretta della 14° e indiretta della stessa sul TFR,
essendo, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, la 14° istituto di matrice contrattuale.
Risultano invece altresì dovute, in quanto non contestate oltre che documentate, a prescindere dalle suddette differenze, le seguenti ulteriori tre voci
correttamente calcolate sulla retribuzione in concreto corrisposta dalla
convenuta: Euro 701,88 (1275,34-573,46) per TFR non pagato relativamente al periodo di astensione per maternità; Euro 764,69 per indennità di preavviso non pagata, ancorché dovuta in quanto lavoratrice madre dimissionaria entro l'anno dalla nascita (artt. 54-55 D. lgs. 251/2001 e 12 1. 1204/71); Euro 130,20 per festività non retribuite durante l'astensione per maternità (1 giorno in novembre 2006 e 3 in dicembre 2006). Il calcolo corretto di tale ultima voce, comprensivo del periodo di maternità, dà un totale di Euro 1.275,34 (già al netto dello 0,50%), da cui tolto il percepito di Euro 573,46, residuano appunto 701,88 Euro. Quanto all'indennità sostitutiva del preavviso, pari a 364,70 Euro (25/30 di
5,43xl73,33orex90%xl3/12=764,70), non è condivisibile l'affermazione che detta indennità sia stata pagata (anche solo in parte) sotto forma di 14A mensilità, nella misura di Euro 560,35 (cioè 4,52977x8/12 di 173 orex90%). Infatti, un conto è l'indennità sostitutiva del preavviso ed un conto è la 14A che, sia pur tardivamente, la convenuta si è alla fine del rapporto spontaneamente indotta a pagare nella misura di 103,20 ore (cioè 8/12 di 173 ore al 90%). Della
14Acorrisposta, comunque, l'attrice ha tenuto debito conto nel conteggio inserito nel corpo del ricorso, là dove a titolo di 14A maturata nel 2007 (8/12 appunto - tra il l°/7/2006 e il 28/2/2007- pari a 103,20 ore) si è limitata a calcolare solo l'incidenza relativa alla differenza oraria di Euro 1.84 (7,27-5,43=1,84):quindi 1,84 Euroxl03,20 ore=189,68. Quanto infine alle festività di fine anno 2006, dalla busta paga di dicembre emerge il mancato pagamento delle festività dell'8, 25 e 26 dicembre e da quella di novembre emerge il mancato pagamento (in aggiunta alla festività del 1 ° novembre e a quella del 4 novembre, ex festività, spostata alla domenica) quella del Santo Patrono, cioè, per Trieste, S. Giusto festeggiato il 3 novembre.
somme via via rivalutate dalle singole scadenze al saldo, nonché alla conseguente regolarizzazione contributiva.
La decisione sulle spese - nella misura liquidata in dispositivo - segue la regola della soccombenza.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, deduzione ed eccezione disattesa,
condanna la convenuta Lelu s.r.l. a corrispondere alla ricorrente Dunja K.D. la complessiva somma di euro 6.875,83 a titolo di differenze retributive e TFR, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme via via rivalutate dalle singole scadenze al saldo;
condanna la convenuta alla conseguente regolarizzazione contributiva; condanna parte convenuta a rifondere alla ricorrente le spese del giudizio, liquidate in complessivi euro 2.986,87 di cui euro 1.195,00 per diritti, euro 1.460,00 per onorari, euro 331,87 per spese generali, oltre IVA e CPA. Trieste, 19.11.2008.