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CADORE LONGARONESE ZOLDO

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Academic year: 2021

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P IANIFICAZIONE F ORESTALE

DI I NDIRIZZO T ERRITORIALE

COMUNITÁ MONTANA

CADORE LONGARONESE ZOLDO

L. Portoghesi, A. Alivernini, R. Bertani, D. Cimini, P. Corona, M. Marchetti, O. Andrich, D. Savio

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P IANIFICAZIONE F ORESTALE

DI I NDIRIZZO T ERRITORIALE

COMUNITÁ MONTANA

CADORE LONGARONESE ZOLDO

______________________________________________________

L. Portoghesi, A. Alivernini, R. Bertani, D. Cimini, P. Corona, M. Marchetti, O. Andrich, D. Savio

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La presente pubblicazione è stata realizzata dall’Unità di Progetto Foreste e Parchi della Regione del Veneto in collaborazione con il Centro Studi Alpino dell’Università degli Studi della Tuscia.

Il contenuto dell’opera, nel rispetto della normativa vigente, esprime esclusivamente il punto di vista degli Autori.

Il gruppo di lavoro è stato coordinato da L. Portoghesi, P. Corona, G. Carraro e M. Dissegna.

Gli Autori ringraziano il dr. Mauro Giovanni Viti, responsabile dell’Unità di Progetto Foreste e Parchi, per aver sostenuto la realizzazione del lavoro, il dr. Maurizio Dissegna ed il dr. Giovanni Carraro per la revisione critica del testo, il dr. Livio De Bettio per il supporto operativo e l’azione di collegamento con le diverse componenti della Comunità Montana.

Un grazie particolare va a tutti coloro che a titolo personale o in rappresentanza di enti e associazioni hanno preso parte con proposte, critiche e suggerimenti alle riunioni pubbliche tenutesi nelle varie fasi di realizzazione del Piano.

UNITÁ DI PROGETTO FORESTE E PARCHI – REGIONE DEL VENETO via Torino 110 – 30172 Mestre (Venezia)

CENTRO STUDI ALPINO – UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DELLA TUSCIA via Rovigo 7 – 38050 Pieve Tesino (Trento)

ISBN 978-88-908313-1-7

Citazione bibliografica

Portoghesi L., Alivernini A., Bertani R., Cimini D., Corona P., Marchetti M., Andrich O., Savio D., 2013 - Pianificazione forestale di indirizzo territoriale. Comunità Montana Cadore Longaronese Zoldo. Regione del Veneto, Università degli Studi della Tuscia, Servizio Immagine e Colore, Mestre.

Seconda edizione stampata in 300 copie nel mese di maggio 2013.

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I NDICE GENERALE

INTRODUZIONE ... 6

1. RAPPORTI DEL PFIT CON LA PROGRAMMAZIONE REGIONALE E LA PIANIFICAZIONE DI ORDINE SUPERIORE ... 8

1.1PIANO TERRITORIALE REGIONALE DI COORDINAMENTO (PTRC)... 8

1.2PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO PROVINCIALE (PTCP) ... 9

1.3PIANO DI ASSETTO TERRITORIALE INTERCOMUNALE "LONGARONESE" ... 10

1.4PROGETTO DI PIANO STRALCIO PER L’ASSETTO IDROGEOLOGICO DEI BACINI IDROGRAFICI DEI FIUMI ISONZO,TAGLIAMENTO,PIAVE,BRENTA–BACCHIGLIONE...11

1.5PIANO REGIONALE ANTINCENDI BOSCHIVI... 12

1.6PIANO FAUNISTICO VENATORIO 2009–2014 ... 12

1.7PIANO REGIONALE NEVE... 13

1.8ESPERIENZE DI PIANIFICAZIONE SOVRACOMUNALE NEL TERRITORIO DELLA COMUNITÀ MONTANA.. 14

1.8.1 Pianificazione forestale... 14

1.8.2 Modello di pianificazione a livello di bacino idrografico... 20

2. METODOLOGIA... 23

2.2ATTRIBUZIONE MULTIFUNZIONALE... 24

2.2.1 Unità territoriale di riferimento per l’attribuzione funzionale ... 24

2.2.2 Sistema gerarchico di attribuzione funzionale... 25

2.2.3 Parametri di valutazione delle unità territoriali... 26

2.2.3.1 Indici relativi alla vocazione del tipo forestale... 27

2.2.3.2 Indici relativi all’attitudine del sito ... 28

2.2.3.3 Processo partecipativo... 33

2.2.4 Valore delle alternative funzionali ed elaborato preliminare di attribuzione funzionale... 34

2.2.5 Potenziali conflitti tra le funzioni... 34

2.2.6 Carta delle funzioni preminenti... 35

2.3AMBITI TIPOLOGICO FUNZIONALI... 35

2.4MONITORAGGIO E VALUTAZIONE... 36

2.4.1 Recepimento delle linee di indirizzo del PFIT nell’attuazione o revisione dei Piani di Riassetto 36 2.4.2 Verifica di sopravvenute incompatibilità a livello normativo o pianificatorio ... 37

2.4.3 Verifica della sostenibilità del piano nell’ambito sociale ... 37

2.4.4 Verifica della sostenibilità nell’ambito ecologico ... 38

3. LA COMUNITÀ MONTANA CADORE, LONGARONESE, ZOLDO... 39

3.1INQUADRAMENTO DELLA ZONA... 39

3.1.1 Aspetti forestali ... 41

3.1.2 Dinamiche spazio–temporali dei popolamenti forestali... 46

3.1.3 Vincoli d'uso o di fatto... 58

3.1.4 Fragilità del territorio e problematiche connesse ... 60

3.1.4.1 Aree di frana e altre fragilità... 60

3.1.4.2 Aree soggette a valanghe... 66

3.1.5 Pregi naturalistici ... 71

3.1.5.1 Pregi dei tipi forestali ... 71

3.1.5.2 Aree protette e siti Natura 2000... 75

3.1.6 Analisi del fenomeno degli incendi boschivi ... 89

3.1.7. La tradizione dell'assestamento forestale ... 92

3.1.7.1 I primi piani di assestamento: fra ricostruzione della massa e sviluppo della selvicoltura naturalistica ... 92 3.1.7.2 L'innovazione: nuove funzioni, l'uso degli strumenti informatici, la conservazione della

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biodiversità ... 100

3.1.7.3 L'impiego delle tipologie forestali... 106

3.2ATTRIBUZIONE FUNZIONALE... 108

3.2.1 Costruzione del sistema informativo... 108

3.2.2 Determinazione del sistema di preferenze... 109

3.2.3 Elaborato preliminare di attribuzione delle alternative funzionali...110

3.2.4 Revisione dell'elaborato preliminare di attribuzione funzionale e carta delle funzioni preminenti ... 111

3.3AMBITI TIPOLOGICO-FUNZIONALI...119

3.4OBIETTIVI E LINEE GUIDA PER LA GESTIONE FORESTALE... 127

3.4.1 Analisi SWOT e obiettivi di gestione per il settore forestale... 127

3.4.2 Criticità da affrontare ... 128

3.4.3 Principali potenzialità da valorizzare... 131

3.4.4 Obiettivi di gestione forestale ... 133

3.4.5 Linee guida selvicolturali... 133

3.4.5.1 Rapporti tra PFIT e Piani forestali di Riassetto e di Riordino... 133

3.4.5.2 Indicazioni generali ... 138

3.4.5.3 Prescrizioni specifiche per gli ATF con funzione produttiva preminente o significativa.... 140

3.4.5.4 Criteri per lo sviluppo della viabilità forestale ... 143

3.4.5.5 Tutela della funzione protettiva diretta del bosco... 144

3.4.5.6 Indicazioni per la prevenzione degli incendi boschivi ... 145

3.4.5.7 Gestione della funzione paesaggistica... 148

3.4.5.8 Conservazione della biodiversità... 148

3.4.5.9 Controllo dell’espansione naturale delle mughete sui pascoli di alta quota... 152

3.4.5.10 Trasformazione del bosco e interventi compensativi ... 152

3.4.5.11 Gestione della funzione turistico-ricreativa... 153

3.4.5.12 Criteri per lo sviluppo della pianificazione forestale particolareggiata... 155

3.5. INDICAZIONI DI GESTIONE DEGLI AMBITI TIPOLOGICO-FUNZIONALI... 157

3.6 QUADRO DI RIFERIMENTO ECONOMICO ... 239

3.6.1 Strumenti economici del l'attuazione del PFIT ... 239

3.6.2 Contributi Regionali L.R. 52/1978 (Legge forestale regionale) ... 240

3.6.3 Programma di Sviluppo Rurale (PSR) 2007–2013 ... 241

3.6.4 Delibere della Giunta Regionale e altri riferimenti normativi ... 243

3.6.5 Azioni di gestione forestale finanziabili ... 244

CONSIDERAZIONI FINALI ... 247

BIBLIOGRAFIA CONSULTATA... 249

ALLEGATI ... 253

ALLEGATO A.INQUADRAMENTO FISICO E SOCIOECONOMICO... 254

A.1 Geografia, morfologia e geologia ... 254

A.2 Inquadramento climatico1... 259

A.3 Indagine socioeconomica ... 264

ALLEGATO B.QUESTIONARIO PER LE ATTRIBUZIONI MULTIFUNZIONALI DEL PFIT ... 274

B.1 Alternative Funzionali ... 274

ALLEGATO C.CARTA DELLACCESSIBILITÀ... 277

ALLEGATO D.I BOSCHI NELLA STORIA DEL TERRITORIO... 281

D.1. Cenni sulle vicende dei boschi ed alla trasformazione del territorio ... 281

D.2 La foresta di Cajada... 284

D.3 Legami tra la lavorazione del minerale e l'uso dei boschi a Zoldo ... 289

D.4 La via del fiume e quella dell'aria: dagli zattieri ai teleferisti... 291

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I NTRODUZIONE

I beni e soprattutto i servizi richiesti al bosco sono sempre più numerosi e diversificati.

Come conseguenza, la gestione forestale è chiamata a dotarsi di strumenti nuovi e innovativi per svolgere il suo delicato compito di interfaccia tra due sistemi complessi: la società e la foresta. Questa esigenza è riconosciuta da diversi documenti di indirizzo o normativi a scala comunitaria e nazionale, come il Piano d’azione per le foreste dell’Unione Europea, il D.Lgs. 227/2001, il Programma quadro italiano per il settore forestale.

Il Piano forestale di indirizzo territoriale della Regione del Veneto (PFIT), introdotto con la modifica dell’art. 23 della L.R. 52/1978 attuata dalla L.R. 5/2005, risponde a questa domanda di maggiore attenzione verso la multifunzionalità della gestione forestale. Esso si pone su un livello intermedio tra la programmazione regionale forestale e la tradizionale pianificazione assestamentale. Le scelte riguardanti funzioni del bosco diverse da quella produttiva di legname richiedono, infatti, un riferimento territoriale più ampio di quello della singola proprietà boschiva. Questo riferimento, in Veneto è stato individuato nella Comunità Montana. In questo quadro, il PFIT si propone come strumento conoscitivo e d'indirizzo della gestione forestale per l’intera superficie boscata oggetto di pianificazione, attribuendo ai piani aziendali un significato strettamente operativo.

Lo scopo principale del PFIT è di individuare azioni/misure improntate al mantenimento e al miglioramento della sostenibilità economica, sociale, ambientale e culturale della gestione forestale. Gli indirizzi di azione e gli interventi proposti hanno un duplice obiettivo: riduzione/eliminazione delle criticità (conflitti tra funzioni del bosco, carenze infrastrutturali, modelli colturali e modalità assestamentali inadeguate) e valorizzazione delle potenzialità insite nell'uso multiplo del patrimonio forestale, anche ai fini di stabilire priorità nell’allocazione di risorse finanziarie pubbliche. Per assicurare la massima efficienza delle funzioni richieste al bosco, questo livello di pianificazione prende in esame tutte le formazioni forestali, indipendentemente dalla forma di proprietà.

Il PFIT recepisce obiettivi, vincoli e indicazioni contenuti nella pianificazione regionale di ordine superiore e a sua volta, per il perseguimento degli obiettivi individuati, indica linee guida selvicolturali e assestamentali, propone interventi strutturali/infrastrutturali, definendone priorità e possibili fonti di finanziamento disponibili per realizzarli.

Il periodo di validità del PFIT non viene predefinito. Tuttavia, come per ogni strumento di pianificazione, la sua efficacia va verificata (indicativamente dopo 10–15 anni) controllando la validità degli obiettivi e delle misure proposte e introducendo le modifiche e gli aggiornamenti eventualmente necessari.

La metodologia proposta per la realizzazione dei PFIT si basa sui seguenti elementi: la valorizzazione della grande quantità di informazioni già disponibili sui diversi aspetti del territorio, dell’ambiente e delle foreste del Veneto; la zonizzazione dettagliata della superficie forestale sulla base della gerarchizzazione delle funzioni; il coinvolgimento dei principali portatori d’interesse nelle scelte del Piano; il rispetto del ruolo della pianificazione aziendale con il quale il PFIT interagisce.

Questo volume racchiude i principali contenuti del Piano Forestale di Indirizzo Territoriale della Comunità Montana Cadore, Longaronese, Zoldo. Si tratta della seconda applicazione della metodologia messa a punto in occasione del primo PFIT pilota che ha

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riguardato i comuni dell’Altipiano di Asiago. In questa occasione, l’oggetto del Piano è una realtà prettamente alpina, con caratteri fisici e socioeconomici sensibilmente differenti da quella precedente, il che ha permesso di sperimentare la metodologia in un contesto diverso al fine di testarne l’effettiva validità.

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1. R APPORTI DEL PFIT CON LA PROGRAMMAZIONE REGIONALE E LA PIANIFICAZIONE DI ORDINE SUPERIORE

In una logica di integrazione verticale e orizzontale degli strumenti di pianificazione territoriale auspicata e fatta propria dalla Unione Europea, la predisposizione di un piano forestale di indirizzo territoriale non può prescindere dall’analisi delle previsioni, delle indicazioni e delle prescrizioni dei piani di matrice urbanistico–territoriale, paesaggistica e ambientale che, a vari livelli, possono condizionare le scelte di gestione delle risorse forestali.

Di seguito sono esaminati i piani di area vasta, di competenza di vari soggetti istituzionali, attualmente vigenti nel comprensorio: il Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC); il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTPC); il Piano di Assetto Territoriale Intercomunale "Longaronese" (PATI). Inoltre, sono delineati i rapporti con gli strumenti della pianificazione di settore.

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ERRITORIALE

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EGIONALE DI

C

OORDINAMENTO

(PTRC)

Ai sensi dell'art.1 della legge regionale forestale (L.R. 52/1978) la Regione del Veneto promuove la difesa idrogeologica del territorio, la conservazione del suolo e dell'ambiente naturale, la valorizzazione del patrimonio silvopastorale, la produzione legnosa, la tutela del paesaggio, il recupero alla fertilità dei suoli depauperati e degradati, al fine di un armonico sviluppo socioeconomico e delle condizioni di vita e sicurezza della collettività.

Il nuovo PTRC, adottato con D.G.R. n. 372 del 19 febbraio 2009, rappresenta il principale strumento per conseguire nel medio e lungo periodo gli obiettivi che la Regione si pone nell'ambito delle politiche ambientali, sociali ed economico–produttive, e che, quindi, riguardano da vicino anche il settore forestale.

In quest’ottica, il PTRC si propone di promuovere la pianificazione territoriale per la realizzazione dello sviluppo sostenibile e dell’uso razionale del territorio, in ossequio con il principio di sussidiarietà (Norme Tecniche, art. 1).

Il sistema di obiettivi e azioni del PTRC si fonda, tra l'altro, sul riconoscimento: i) dello straordinario valore ambientale e culturale della montagna; ii) della fragilità del territorio montano; iii) dell’importanza del presidio dell’uomo per la sua tutela e manutenzione; iv) sulla necessità di coinvolgere le amministrazioni e gli abitanti della montagna nella gestione sostenibile del proprio territorio.

Tutti gli enti territoriali, in particolare Province e Comuni, sono chiamati a cooperare alla realizzazione di questo scenario con la varietà di strumenti di pianificazione a loro disposizione.

Il PTRC rappresenta pertanto cornice e trama di fondo nella quale inserire organicamente i Piani di livello inferiore.

Le strategie e le azioni sviluppate dal PTRC si articolano all’interno di tematiche inerenti differenti ambiti: città, montagna, uso del suolo, biodiversità, energia e altre risorse naturali, mobilità, sviluppo economico, crescita socio–culturale.

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Le foreste rappresentano un elemento trasversale e spesso di raccordo tra i diversi ambiti del Piano. Punto cardine della politica regionale in materia di foreste è il perseguimento di una gestione forestale sostenibile: le attività selvicolturali condotte in base a tale principio sono riconosciute quale fattore indispensabile per lo sviluppo del settore forestale e il miglioramento delle condizioni socioeconomiche soprattutto delle popolazioni montane.

La corretta gestione dei boschi, supportata da una diffusa pianificazione, è proposta come via preferenziale per contrastare l’abbandono delle attività selvicolturali e pastorali a cui consegue una perdita di biodiversità di habitat, biotopi e paesaggi.

Nell’ambito delle linee guida dettate dal PTRC, il recupero della componente produttiva dei boschi, diventa elemento chiave per mantenere la diversità di paesaggio spesso compromessa dall’avanzamento del bosco che, richiudendo inclusi pascolivi e ripopolando prati o coltivazioni abbandonate in prossimità degli abitati, ha sensibilmente modificato l’assetto paesaggistico del territorio.

Al fine di tutelare e accrescere la biodiversità, il PTRC individua nella rete ecologica la matrice del sistema di aree ecologicamente rilevanti della Regione del Veneto. In ambito montano, il miglioramento della biodiversità e della funzionalità ecologica passa per l’applicazione della selvicoltura sistemica che favorisce l’evoluzione dei boschi verso stadi di sviluppo in cui struttura e composizione siano sempre più diversificate senza però penalizzare la filiera legno attualmente in crisi strutturale. Nelle zone più marginali dove la sospensione delle utilizzazioni è in atto già da diversi decenni dovranno essere individuate i soprassuoli più adatti a costituire una rete di boschi vetusti.

Riconosciuta la complessità e molteplicità del paesaggio veneto, il PTRC delinea una articolazione spaziale del territorio suddividendolo in ambiti di paesaggio per i quali sono stati definiti obiettivi di qualità paesaggistica che, con particolare riguardo alle coperture forestali, prevedono di:

 promuovere la conservazione dell’integrità delle aree ad elevata naturalità ed alto valore ecosistemico;

 assicurare una copertura forestale non omogenea, in sintonia con la vegetazione naturale potenziale e i fattori biogeografici locali;

 mantenere boschi e foreste ben curati nelle aree montane e collinari;

 conservare la copertura boschiva di valore naturalistico e, se possibile, potenziarne il ruolo di connessione ecologica nelle aree planiziali.

1.2 P

IANO

T

ERRITORIALE DI

C

OORDINAMENTO

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ROVINCIALE

(PTCP)

Il PTCP della provincia di Belluno, approvato con D.G.R. n. 1136 del 23 marzo 2010, si pone come strumento di coordinamento dei processi di pianificazione adottati da vari soggetti istituzionali (Provincia, Comuni e loro consorzi) e da altri soggetti che operano sul territorio provinciale. In particolare definisce le direttive quadro utili alla redazione degli strumenti comunali (PAT e PATI) e costituisce il quadro delle conoscenze integrate per i piani di settore provinciali.

Nonostante gli aspetti sociali rappresentino il centro focale del piano, l’integrazione tra tutela e valorizzazione degli aspetti naturalistici e paesaggistici del territorio provinciale rappresenta un tema centrale nella formulazione degli obiettivi del piano stesso.

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In ambito paesaggistico, questo strumento di pianificazione ricompone un mosaico valoriale strutturato sulla identificazione di invarianti, ovvero ambiti naturali e seminaturali del territorio provinciale che più contribuiscono a dare specificità e pregio sotto il profilo naturale, scenico e culturale al paesaggio bellunese. La loro perimetrazione e la definizione di linee di tutela e valorizzazione è affidata agli strumenti di pianificazione di ordine comunale e intercomunale (PAT/PATI) per i territori di competenza.

Tra gli ambiti di pregio paesaggistico il PTCP colloca le aree boscate, nonché le aree ricoperte prevalentemente da vegetazione arborea che per caratteristiche e localizzazione assumono interesse naturalistico, ambientale, paesistico ed ecologico. Dal momento che questi ecosistemi sono riconosciuti quali fondamentali elementi di equilibrio ecologico, gli interventi ammessi dovranno rispondere al principio della loro valorizzazione.

In questo ambito, al fine di regolamentare gli interventi nelle aree boscate, il PTCP individua nel Piano di Indirizzo Forestale lo strumento idoneo per la pianificazione e la gestione di tali aree e per l’individuazione di nuove aree da sottoporre a rimboschimento.

All’interno del Piano le aree forestali assumono un ruolo centrale anche nella costituzione della rete ecologica provinciale, principale riferimento per la tutela, la valorizzazione e il collegamento biologico e funzionale delle aree a maggiore valenza naturalistica del bellunese.

I componenti della rete ecologica provinciale (nodi ecologici, biotopi di interesse provinciale e sistemi di connessione ecologica) sono assunti dalla Provincia per definire le priorità della programmazione forestale e per orientare i contributi e i finanziamenti derivanti dalla normativa europea, nazionale e regionale di settore (Programma Regionale di Sviluppo Rurale e il Piano per l’attivazione delle iniziative connesse alla pianificazione forestale ).

Agli strumenti di pianificazione territoriale subordinati (PAT e PATI) sono riconosciuti i compiti di precisare i perimetri degli elementi della rete ecologica locale e di approfondire le modalità di fruizione e le discipline d'uso del territorio.

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IANO DI

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SSETTO

T

ERRITORIALE

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NTERCOMUNALE

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ONGARONESE

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Il Piano di Assetto Territoriale Intercomunale (PATI) "Longaronese" comprende l'intero territorio dei Comuni di Longarone e Soverzene, ne delinea le scelte strategiche di assetto e di sviluppo, perseguendo la tutela dell’integrità fisica ed ambientale, nonché l’identità culturale e paesaggistica. Esso definisce norme generali, obiettivi, indirizzi e azioni progettuali strategiche per la programmazione del governo del territorio tali da favorirne uno sviluppo sostenibile, in coerenza con gli strumenti di pianificazione sovraordinati e cogliendo le aspettative di sviluppo espresse dalle comunità locali.

Il Comune di Longarone ha adottato il PATI con D.C. n. 9 del 15 marzo 2010, il Comune di Soverzene con D.C. n. 6 del 13 marzo 2010.

Ai sensi della L.R. 11/2004, il territorio intercomunale è suddiviso in Ambiti Territoriali Omogenei (ATO), parti di territorio omogenee dal punto di vista morfologico, paesaggistico e antropico, la cui tutela e sviluppo sono regolamentate dalle direttive e prescrizioni riportate dalle Norme Tecniche allegate al PATI.

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Le aree forestali dei Comuni di Longarone e Soverzene rientrano in parte negli ambiti territoriali definiti “Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi” (ATO 05) e Riserve Naturali di interesse regionale del “Monte Dolada” e di “Val Tovanella e Bosconero” (ATO 06) e in parte in uno specifico ambito detto "Ambito del bosco e della montagna" (ATO 07) che comprende gran parte dei due territori comunali.

In accordo con la pianificazione di livello superiore, il PATI "Longaronese" detta una specifica disciplina di regolamentazione, tutela e salvaguardia precisando i limiti e definendo nel dettaglio le invarianti strutturali di natura geologica, paesaggistica, ambientale e storico–monumentale.

I boschi, considerati invarianti di natura ambientale e paesaggistica, sono distinti in boschi di antico impianto (superficie governate a bosco da almeno 25 anni) e boschi di recente formazione che comprendono anche le aree boscate costituitesi in seguito alla colonizzazione spontanea dei terreni agricoli abbandonati. Per entrambe le categorie le norme tecniche incentivano una gestione sostenibile sia per scopi protettivi (tutela degli acquiferi e stabilità dei versanti), sia per scopi paesaggistici, sociali e ricreativi.

Per i boschi di antico impianto è sottolineata l’importanza che nelle normali operazioni selvicolturali i criteri di utilizzo siano orientati al mantenimento o all’incremento dei livelli di biodiversità e di qualità biologica; per quanto riguarda i boschi di recente formazione, il controllo dell’avanzata del bosco è sempre da acconsentire, se non da incentivare, nel caso di latifoglie, mentre per i boschi di conifere, laddove non siano interessati pascoli ancora utilizzati o situazioni di particolare pregio ambientale, può essere assecondata l’evoluzione naturale (Norme tecniche, art. 18).

In tutte le aree boscate, ed in particolare per quelle di recente formazione, fra le attività da favorire rientrano anche quelle produttive di biomassa a scopo energetico per impiego locale.

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DROGEOLOGICO DEI BACINI IDROGRAFICI DEI FIUMI

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SONZO

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ACCHIGLIONE

Con Delibera n. 1 del 3 marzo 2004, il Comitato Istituzionale ha adottato il Progetto di Piano stralcio per l’assetto idrogeologico dei bacini dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Piave e Brenta–Bacchiglione. A fronte delle valutazioni relative a nuovi dissesti, alle opere di mitigazione dei rischi e per regolare i rapporti con l’Autorità di Bacino dell’Adige, la prima variante al Progetto di Piano è stata adottata con delibera n. 4 del 19 giugno 2007.

Nel Progetto di Piano vengono individuate le aree pericolose, ovvero a rischio, dal punto di vista idraulico, geologico e da valanga. Nelle norme di attuazione sono previste le azioni ammissibili in funzione delle diverse classi di pericolosità: nelle aree a elevata pericolosità geologica, idraulica e da valanga sono consentite l’esecuzione di opere di difesa e di sistemazione dei versanti, di bonifica e di regimazione delle acque nonché opere connesse con le attività di gestione e manutenzione del patrimonio forestale e boschivo, purché non in contrasto con le esigenze di sicurezza idrogeologica.

Gli obiettivi di difesa e conservazione del suolo nel territorio montano e collinare sono conseguiti impedendo il degrado delle formazioni boscate e delle superfici prative nonché

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attraverso la manutenzione e l’inserimento di opere atte ad assicurare un efficace e sicuro deflusso delle acque dei torrenti e dei fiumi che caratterizzano le zone montane del bacino.

Alla Regione vengono rimandati gli interventi di tipo intensivo nelle aste torrentizie e di tipo estensivo sulle pendici in dissesto, opportunamente correlati, questi ultimi, ad una attività di ricostituzione e di miglioramento colturale dei boschi esistenti sulla base delle indicazioni fornite dalla pianificazione forestale.

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NTINCENDI

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OSCHIVI

Il Piano regionale antincendi boschivi (AIB), adottato con D.G.R. n. 43 del 30 giugno 1999, è stato delineato secondo un approccio sistemico, le cui parti fondamentali riguardano la previsione, la prevenzione e l’estinzione.

Le attività connesse alla gestione selvicolturale dei soprassuoli boschivi sono coinvolte principalmente nella fase di prevenzione. L’approccio adottato dal Piano si sviluppa su basi tipologiche: l’attribuzione di un valore del potenziale pirologico, inteso come valutazione potenziale della probabilità del verificarsi di un incendio, alle tipologie forestali facilita la definizione degli interventi di prevenzione e di ricostituzione dei popolamenti colpiti dal fuoco. L'approccio tipologico funzionale consente altresì di pianificare a livello regionale attraverso una scala di priorità gli investimenti necessari per emanare direttive e norme di disciplina delle utilizzazioni boschive finalizzate ad una riduzione del pericolo di incendio.

In questa logica il piano definisce per ciascun tipo forestale, e secondo una scala di priorità, gli interventi colturali indispensabili, opportuni o possibili, compatibilmente con le risorse finanziare disponibili. Gli interventi previsti dal Piano comprendono: taglio dell’erba, raccolta dei residui delle lavorazioni boschive, potatura sul secco, diradamenti, rinaturalizzazione del popolamento con eliminazione delle specie alloctone ad alta infiammabilità. Il maggiore valore di potenziale pirologico è stato attribuito alla mugheta termofila, all’ostrio–querceto e alla pseudomacchia.

L’approccio basato sulle tipologie forestali nella prevenzione degli incendi boschivi si considera possa avere una ricaduta positiva nella pianificazione forestale: gli strumenti di settore che recepiscono le direttive del piano AIB possono assumere valenza anche in termini pirologici.

Il piano AIB riconosce alla gestione selvicolturale impostata sui criteri della selvicoltura naturalistica un ruolo rilevante nella prevenzione degli incendi boschivi: popolamenti a struttura di tipo disetaneo, disetaneiforme pluristratificata possono migliorare la resistenza e la resilienza dell’intera biocenosi forestale anche nei confronti degli incendi boschivi.

In ogni caso, il piano ribadisce l’obbligo di proteggere le foreste contro i danni prodotti dagli incendi qualsiasi sia la loro situazione, anche dal punto di vista della proprietà, seppure per i privati il coinvolgimento, anche su basi economiche, può risultare rilevante.

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AUNISTICO

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ENATORIO

2009–2014

Il Piano Faunistico Venatorio (PFV) della provincia di Belluno costituisce uno strumento di orientamento delle attività di conservazione e gestione della fauna selvatica e di pianificazione del prelievo venatorio. Oltre ad aggiornare la cartografia provinciale di

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descrizione territoriale e ambientale, sviluppata in prospettiva delle esigenze della fauna selvatica, il piano definisce la destinazione del territorio nei diversi istituti provinciali (a esempio, Riserve Alpine di Caccia, Aziende Faunistico–Venatorie, ecc.) ed esamina la situazione delle principali specie di interesse venatorio indicando gli obiettivi gestionali per il periodo di validità del Piano con particolare riferimento alla definizione di un prelievo sostenibile.

Le unità spaziali di riferimento per la gestione faunistica sono costituite da gruppi di Comprensori Alpini e definite in maniera differenziata per ciascuna specie secondo le esigenze ecologiche della specie stessa e le caratteristiche ambientali del territorio.

Dal momento che politiche gestionali condotte con obiettivi diversi in aree separate amministrativamente ma unite ecologicamente possono portare a gravi squilibri nelle densità locali delle popolazioni, e risultare poco efficaci o anche vanificarsi vicendevolmente, il PFV raccomanda che gli obiettivi, le modalità di intervento e il monitoraggio delle popolazioni di specie condivise con Amministrazioni diverse siano per quanto possibile definiti e condotti in maniera concertata e coordinata.

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N

EVE

Il Piano neve della Regione del Veneto (PRN), previsto dall’art. 7 della L.R. 21/2008 e adottato con D.G.R. n. 3375 del 10 novembre 2009, è lo strumento di pianificazione per il settore impiantistico funiviario e sciistico regionale ovvero il documento politico programmatico che ne definisce gli indirizzi di carattere generale.

Il Piano si concentra prevalentemente sullo sci alpino e sullo sci di fondo che necessitano di un’infrastrutturazione estesa (seppur minimale, nel caso del fondo) del territorio coinvolto.

Il Piano è finalizzato a razionalizzare la realizzazione degli impianti e delle piste, nonché delle infrastrutture complementari ed accessorie all’attività sciistica. Data la situazione turistica generale, l’orientamento del Piano privilegia il recupero e la razionalizzazione del patrimonio esistente, anche attraverso il progressivo smantellamento delle strutture non più redditizie, al fine di ottenere vantaggi di tipo ambientale ed economico.

Per quanto riguarda lo sci di fondo, i criteri definiti per la realizzazione e la localizzazione delle piste e delle opere accessorie mirano a imporre valori massimi ammissibili di sviluppo dei circuiti o delle superfici interessate. Infatti il frequente utilizzo di piste o strade forestali limita l’impatto di questa disciplina sull’ambiente e determina uno sviluppo molto variabile dei circuiti anche in funzione dalle locali e temporanee condizioni di innevamento naturale.

In riferimento allo sci alpino, la strategia pianificatoria proposta si concretizza con l’individuazione di un'area, definita demanio sciabile, all’interno della quale potranno essere realizzate le nuove piste o i nuovi impianti.

I criteri di sviluppo prevedono l’ampliamento e il riselezionamento delle aree sciabili per motivi legati al raccordo di aree esistenti o per migliorare la sicurezza degli sciatori.

Gli ampliamenti, in particolare, sono limitati alle zone dove sono state ammesse le proposte di nuove aree sciabili in quanto zone sufficientemente infrastrutturate, affermate

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dal punto di vista della fruizione e dell’appetibilità turistica e meno fragili nella componente ambientale.

Al Piano competono anche le previsioni di collegamento tra stazioni sciistiche (o tra aree sciabili di una stessa stazione) che possono essere individuate in termini di connessione tra demani sciabili oppure come tracciato di massima da seguire per la realizzazione dei futuri sistemi di piste–impianti.

Nel territorio della Comunità Montana Cadore, Longaronese, Zoldo rientra il subdemanio sciistico Civetta Sud che interessa diverse particelle forestali nel territorio di Zoldo Alto. Il PRN prevede l’ampliamento di questo subdemanio per inserirvi un’area per l’80 % boscata e prossima al confine della ZPS Civetta–Monte Sebastiano. All’interno del demanio sciabile si determinano sensibili impatti sull’ambiente legati alla sottrazione di superfici forestali e al disturbo determinato dalle attività ricreative nei confronti delle specie animali e vegetali più sensibili.

Il PRN è stato sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica (VAS), una procedura che integra e sviluppa gli aspetti della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) relativi alla trasparenza e alla partecipazione delle comunità interessate alle decisioni. Ne è stata, inoltre verificata la coerenza nei confronti dei principali strumenti di pianificazione territoriale regionali (Piano di Sviluppo Economico e Sociale; PTRC, PSR, Piani d’Area, Piano faunistico e venatorio, Piani di gestione della rete Natura 2000). Si assume, quindi, che le decisioni del PRN si inseriscono in maniera armonica nel territorio interessato e non siano destinate a determinare conflitti con gli altri interessi legati alla gestione forestale essendo tali conflitti, se presenti, inquadrabili all’interno di un equilibrato bilancio tra costi e benefici.

Per questi motivi, il PFIT non può interferire con le prescrizioni dettate dal PRN riguardanti il demanio sciistico e ne è sottordinato. Pertanto, la presenza di piste da sci è stata utilizzata per costruire uno degli indicatori che quantificano il valore della funzione paesaggistica dei boschi.

1.8 E

SPERIENZE DI PIANIFICAZIONE SOVRACOMUNALE NEL TERRITORIO DELLA

C

OMUNITÀ

M

ONTANA

1.8.1PIANIFICAZIONE FORESTALE

Per le sue caratteristiche territoriali e di connessione tra la fascia Dolomitica e quella Prealpina, la Comunità Montana Cadore, Longaronese, Zoldo ha sempre considerato le tematiche forestali nel suo insieme, avvalendosi della conoscenza del territorio e della frequente produzione di documenti tecnico-scientifici che la interessavano direttamente.

Fin da quando era denominata “Basso Cadore, Longaronese, Zoldano” e poi “Cadore, Longaronese, Zoldano”, tale Comunità Montana ha manifestato la propensione a promuovere una pianificazione forestale coordinata con i ruoli e gli scopi dell’istituzione della Comunità Montana stessa. Di questa visione va dato merito agli amministratori succedutisi nel tempo ed anche agli stimoli apportati dagli incontri tecnici in tema di boschi che per molto tempo si sono tenuti a Longarone, presso la locale Fiera, in occasione delle manifestazioni di Agrimont e di altri eventi congressuali.

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Già poco dopo la sua istituzione, negli anni settanta del secolo scorso, la Comunità Montana Basso Cadore, Longaronese, Zoldano impostò un programma sui lavori a carattere silvo-pastorale e idraulico-forestale, basato su una relazione, a cura del prof. Lucio Susmel, sulle proprie condizioni forestali.

FOTO 1.1 - MONTE PELMO, IL LEGGENDARIO CAREGON DEL SIGNOR, CHE DOMINA, PROTEGGE ED ISPIRA LE VALLI DI ZOLDO E DEL CADORE

A metà degli anni ottanta fu rilevante il dibattito sul Parco delle Dolomiti Bellunesi: la Comunità Montana, assieme alle altre tre interessate dall'istituzione dell'area protetta, prese l’iniziativa di realizzare una proposta di legge a livello regionale, nonché un piano d’interventi non soltanto nell’area inclusa nel Parco, ma anche nelle zone attigue.

Nel 1989, nell’ambito del Piano Generale di Sviluppo, si attribuiva nuova rilevanza al settore foreste, che occupava il 45% del territorio, ovvero, tenendo conto di cespuglieti ed arbusteti, il 60 %; le attività agro-silvo-pastorali non venivano più considerate solo in un’ottica di produzione e/o di difesa idrogeologica, finalizzando la loro gestione al mantenimento e al miglioramento dell’ambiente.

Il 1992 costituì un momento cruciale nella politica regionale per la Montagna. Temi come quello delle fasce altimetriche – territoriali (L.R. n 19 del 3/07/1992, art. 18) non costituivano dei meri adempimenti procedurali ma davano la misura degli effettivi intendimenti di intervenire nelle zone disagiate. La Comunità Montana assunse quindi un

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ruolo guida nel proporre delle fasce di intervento basate non solo sull’altitudine degli abitati o del territorio ma considerando anche orografia e morfologia, condizioni climatiche, stato vegetazionale, fragilità ecologica, rischi ambientali, vincoli naturalistici.

Per concepire un quadro d’insieme si manteneva un costante rapporto di equilibrio tra i temi generali e quelli locali: indipendentemente dai risultati ottenuti, questa azione è significativa del grado di maturazione tecnico-amministrativa a cui gli enti di questo livello avevano assurto. Si può pertanto asserire che il decentramento delineato dal Progetto Montagna (L.R. 29/1983) era attuabile; se poi vi fu una involuzione di questa tendenza, dipese da altre circostanze e non dall’affidabilità delle Comunità Montane.

La Comunità Montana Cadore, Longaronese, Zoldano, consapevole sia della visione integrata dei suoi compiti, sia della propria capacità di realizzarli, redasse un “Piano per la gestione dell’ambiente silvo-pastorale e rurale” assai ben documentato e supportato da dati e grafici, che, presentato nel giugno 1993, fu partecipato con i Comuni entro il febbraio 1994.

Tale documento era stato preceduto, nel marzo 1993, da un Piano della viabilità silvo- pastorale, visto non solo come applicazione di quanto previsto dall’art. 6 della Legge Regionale n° 14 del 31.03.1992 ma anche come strumento di promozione di interventi sovracomunali.

In questo contesto la Comunità Montana stessa impostava la progettazione di numerose strade silvo-pastorali, che trovavano attuazione secondo una gerarchia di interventi nei programmi triennali ed annuali. Molte di queste opere furono realizzate alla fine degli anni novanta, usufruendo dei benefici del Reg. Cee 2052/88 – Obiettivo 5b.

In parallelo a queste pianificazioni, mai in contrasto tra di loro ma sinergiche, procedevano quelle per l’agricoltura, con minori ambizioni, e dell’ambiente (con le aspettative legate alla attivazione del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi).

Seguirono delle direttive per la gestione economica dei boschi, tematica particolarmente difficile, date le caratteristiche orografiche di questo territorio. In particolare, la Comunità Montana promosse la costituzione di ditte di boscaioli, anche acquistando attrezzature e macchinari, con un esperimento di amministrazione diretta.

Di tali studi, esperienze e documentazioni l'Ente si avvalse per il suo Piano pluriennale di sviluppo socio-economico, redatto all’inizio degli anni 2000. Gli aspetti fisici e biologici del territorio di competenza vi venivano affrontati a tre livelli, in parte successivi e in parte connessi: a) tematiche tecniche settoriali; b) azioni coordinate a livello interdisciplinare; c) progetti speciali su argomenti salienti.

In forma di schede furono identificate, fra l’altro, le seguenti tematiche: idrografia, pedologia, tipologie forestali, fisionomia della vegetazione, uso del suolo, proprietà silvo- pastorali, attività antropiche, funzioni del bosco e relative destinazioni potenziali.

Connessi al Piano pluriennale, vennero redatti dei progetti speciali, da sviluppare a tempi brevi in attuazione dei presumibili orientamenti della Regione Veneto, nonché di quelle che sembravano essere le competenze.

Si dava la priorità alla stabilità dell'assetto territoriale ed alla conservazione paesaggistica e ambientale nelle aree agro-silvo pastorali soggette a fenomeni di abbandono;

in questo contesto rientrava anche la manutenzione finalizzata alla riduzione del rischio di incendio della vegetazione arboreo - arbustiva. Il compito fu svolto concentrando lo studio

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dei fenomeni e le proposte conseguenti in cartografie informatizzate del territorio, riguardanti:

1. prevenzione e lotta agli incendi boschivi mediante la classificazione del rischio;

2. mappatura preliminare e caratterizzazione degli interventi di sfalcio per il mantenimento delle praterie;

3. gestione delle attività forestali mediante la determinazione dell’ottimale sistema di esbosco.

Le tre attività, per vie diverse, miravano a raggiungere il medesimo obiettivo: fornire informazioni, valutazioni e proposte alla Comunità Montana per far fronte alla problematica della manutenzione del territorio; dati gli scopi, il tema delle praterie non era disgiunto da quello del bosco.

Nell'esame dei fattori di rischio sugli incendi boschivi nell’area della Comunità Montana furono presi in esame tra l’altro: i tipi di combustibili forestali, la loro disposizione nello spazio, la trattenuta dell'acqua, le cause e i caratteri degli incendi da affrontare. Particolare attenzione venne riservata ai seguenti fattori, prima cartografati singolarmente e poi sovrapposti: altitudine, esposizione, pendenza, posizione, caratteristiche delle specie arboree presenti in relazione alla loro infiammabilità, copertura arbustiva, copertura dello strato erbaceo.

Al di là degli aspetti tecnici e scientifici, non si mancò di sottolineare che la consistenza e la qualità delle foreste e degli ambiti naturali potevano e possono costituire elementi di richiamo vincente in un mercato di fruitori ben più vasto e meglio motivato di quello sino ad ora acquisito. Il territorio che a partire da Longarone e Codissago sale in direzione nord- ovest lungo l’asse fluviale del Maè, raccogliendo attorno a sè l’intera Valle di Zoldo, è una zona di bassa e media montagna molto ricca e interessante dal punto di vista ambientale: sul paesaggio dell’intera valle incombono il massiccio del Pelmo e quello della Civetta, gruppi Dolomitici da tempo ben noti all’alpinista esperto e, con l’avanzare del turismo di massa, conosciuti anche dal turista medio.

È proprio alla luce di tale ampliamento di conoscenze da parte dell’utenza turistica che vale la pena di considerare l’importanza di un intervento di qualità per la riorganizzazione delle risorse storico-culturali della zona e la presenza del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi. Riguardo agli aspetti culturali, le memorie dell’uso dei boschi e dell’impiego del legno trovano la loro collocazione nel sistema museale della Comunità Montana.

Oltre alle azioni riguardanti l'area di propria competenza, la Comunità Montana tra il 1999 ed il 2001 sviluppò, anche per conto delle altre quattro Comunità Montane del Gruppo di Azione Locale (GAL) Alto Bellunese, nell’ambito del Programma Regionale Leader II, l’Azione 8 della misura B (Programmi di innovazione rurale) – submisura 5 (Valorizzazione delle produzioni primarie) concernente la “Realizzazione di strumenti per la gestione sostenibile delle foreste”. Si trattò di una attività complessa, concretizzata, fra l'altro, nella pubblicazione di un testo sulla certificazione ambientale come strumento di valorizzazione delle risorse forestali nell’Alto Bellunese e di un manuale di gestione ambientale nel territorio del GAL di appartenenza, con cinque allegati di supporto. Con una indagine ed una elaborazione che coniugavano la conoscenza del territorio e le innovative tecnologie informatiche vennero realizzate 57 mappe: la maggior parte di queste, contenendo informazioni o valutazioni “sensibili”, non è stata pubblicata ma depositata presso la sede

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dell'Ente. Si è trattato comunque di una innovazione e di una anticipazione di documenti ufficiali condotti successivamente a scala regionale.

Pare interessante porre l’attenzione sulla “plurifunzionalità delle aree boscate”, tematica oggi più che mai rispondente alle esigenze più evolute della società odierna, considerata nelle mappe dell’Azione 8 tra gli “indicatori funzionali”, in seguito ripresa dal menzionato Piano pluriennale di sviluppo e quindi suscettibile potenzialmente di diventare strumento di pianificazione territoriale.

FOTO 1.2-COMUNE DI OSPITALE DI CADORE: NEI VERSANTI DELLA VAL BONA LO SVILUPPO DI UNA FITTA COPERTURA FORESTALE NON CONTRASTA CON LE TENDENZE NATURALI DELLA VEGETAZIONE,

LEGATE AI FATTORI ECOLOGICI E STAZIONALI, FRA CUI SI ANNOVERANO I CANALONI ED I SALTI DI ROCCIA INTUIBILI NELLIMMAGINE

L'importanza dei ruoli dei boschi è percepita in maniera diversa, a seconda dell'ottica dei singoli individui che ne fruiscono. Poche aree forestali, inoltre, esplicano una sola funzione, mentre, nella maggior parte delle situazioni, le varie utilità ed i diversi servigi offerti dal bosco si sovrappongono o possono essere aumentati o ridotti a seconda di decisioni gestionali.

Anche se non sono stati applicati concretamente, vale la pena quindi di ricordare in base a quali criteri sono stati identificati i seguenti tipi di unità attitudinali.

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Boschi ad elevato uso multiplo: garantiscono l’erogazione di risorse rinnovabili (legname ad alti livelli qualitativi e quantitativi) contemporaneamente alla regimazione delle acque, alla tutela del suolo, alle funzioni paesaggistiche ed alle opportunità ricreative estensive. Vi sono inclusi i migliori boschi comunali, con provvigioni e incrementi elevati.

Boschi a moderato uso multiplo: consentono una produzione legnosa a cicli lunghi, quantitativamente ridotta, ma talora di qualità soddisfacente, coesistente con la protezione dall'erosione, la presenza di scenari estetici ed habitat di fauna, l'esercizio turistico estensivo. Oltre ai boschi di enti pubblici con minori provvigioni e decentrati, sono inclusi nella categoria i cedui in conversione ed i boschi ad uso multiplo in formazione.

Boschi di prevalente produzione a cicli brevi, con altri ruoli subordinati: si tratta soprattutto di boschi cedui di proprietà pubblica, in grado di fornire assortimenti legnosi di ridotto valore qualitativo ma di sostenuta quantità; esplicano invece limitate capacità di protezione del suolo, ricreazione, funzioni igieniche ed estetiche. Interessi naturalistici scarsi e localizzati.

Boschi di prevalente etero-protezione: esercitano principalmente la funzione di protezione di manufatti, di boschi di produzione e di colture da danni atmosferici, smottamenti, distacco di slavine, rotolamento di sassi. Costituiscono sede privilegiata di habitat faunistici e di una libera evoluzione floristico-vegetazionale, nonché di una ricreazione estensiva di tipo culturale. Le funzioni di produzione sarebbero possibili ma sono nettamente subordinate a quelle tutelari.

Boschi di prevalente auto-protezione: situati in condizioni stazionali estreme o in precario equilibrio ambientale, rivestono importanza per la protezione del suolo; svolgono inoltre funzioni ecologico-naturalistiche e ricreative estensive. Non vi è auspicabile alcun uso economico.

Soprassuoli arbustivi con funzioni antierosive: cespuglieti d'alta quota, mughete, rocce boscate e colatoi di slavine con preminenti finalità antierosive, garantite dal mantenimento della copertura vegetale su versanti impervi e scoscesi, che crea effetti scenici e naturalistici localmente rilevanti.

Boschi di produzione primaria a cicli lunghi: boschi di conifere di proprietà privata, in condizioni orografiche e di viabilità generalmente soddisfacenti. Costituiti e gestiti con intenti di produzione di legname resinoso, svolgono anche ruoli igienici e idrogeologici generici, mentre altre funzioni territoriali sono assenti o casuali.

Boschi di primaria produzione a cicli brevi: boschi di latifoglie governati a ceduo, di proprietà privata, in condizioni orografiche e di viabilità di solito soddisfacenti. Modellati nel tempo per la produzione di legna, svolgono anche ruoli igienici e idrogeologici generici;

altre funzioni territoriali sono assenti o casuali. Funzioni ambientali e ricreative possono ritrovarsi localmente, ma sono subordinate alle finalità produttive.

Boschi di produzione a cicli lunghi fuori mercato: di proprietà privata e finalizzati alla produzione di legname resinoso, sono situati in aree dislocate, impervie o poco servite da strade; a complicare il quadro, si aggiunge talvolta lo stato di degrado. Il costo di utilizzazione è dunque superiore al prezzo di vendita.

Boschi di produzione a cicli brevi fuori mercato: boschi cedui di proprietà privata, in condizioni orografiche e di viabilità difficili, che rendono il costo di utilizzazione superiore al prezzo di vendita. Se le cause dipendono da degrado del suolo e della struttura, è

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necessario evitare interventi per un lungo periodo, durante il quale si possono svolgere locali funzioni ambientali.

Alberature, boschetti e siepi: formazioni arboreo-arbustive, legate ad aziende agricole e a piccole proprietà private, che svolgono funzioni coreografico-paesaggistiche e localmente ambientali.

La definizione di queste unità/categorie funzionali consentiva di delineare i tipi di gestione nella forma più consona alle esigenze unitarie del territorio. Per diventare operativa, tale classificazione doveva però essere recepita ad un livello istituzionale superiore, il quale doveva evidentemente tener conto di tutto il territorio regionale. È comprensibile perciò che non vi fossero le condizioni concrete per attuare una pianificazione così complessa.

Questa proposta merita però di essere menzionata, se mai in un futuro si potrà addivenire ad una pianificazione non disgiunta con i settori ambientale ed urbanistico.

1.8.2MODELLO DI PIANIFICAZIONE A LIVELLO DI BACINO IDROGRAFICO

Nel 1994, gran parte del territorio della Comunità Montana è stata interessata da uno studio finalizzato alla redazione di Piani da parte dell’Autorità di Bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta – Bacchiglione, istituita dalla L. n°183/1989: si trattava, in applicazione dell’art. 12 , di redigere linee guida per la difesa del suolo nelle attività agro-silvo-zootecniche delle “terre alte”.

Il bacino del Maè sembrò adatto a servire da campione per la parte montana, in quanto situato all’incirca in posizione centrale dell’area sottesa dai bacini menzionati e soprattutto per i propri caratteri.

La morfologia della zona è varia, talora impervia, con forti sbalzi altitudinali: si va da circa 430 m s.l.m. agli oltre 3220 m del Monte Civetta. Ad eccezione di piccole superfici pianeggianti, il Territorio è dominato da una successione di cime che originano valli spesso dirupate, dove scorrono corsi d'acqua a regime per lo più permanente. Le condizioni climatiche sono influenzate dalla tensione tra correnti provenienti dall'Adriatico e l'impatto di alte montagne, con il passaggio attraverso obbligate strettoie. Lungo l'asse obliquo del Maè si inseriscono molte piccole valli, orientate in tutte le direzioni, nelle quali si possono formare microclimi e, di conseguenza, tipi di vegetazione caratteristici.

In sintesi, tale bacino manifesta sia una unitarietà, sia una diversità di caratteri e di problematiche riscontrabili in zone affini del Nord-Est.

Le oltre venti carte che furono all’uopo redatte sono tra le prime del genere di tipo informatizzato. Il formato vector DWG, in scala 1:25.000 con isoipse ogni 200 metri, era una base semplificata del Sistema Informativo dell’Autorità di Bacino. Adusi precedentemente a cartografie manuali, sembrava sorprendente di poter disporre di carte delle pendenze (differenziate per classi, a seconda che l’impiego pratico riguardasse la stabilità zootecnica o l’uso agro-silvo-pastorale), dell’esposizione e di altri parametri del territorio necessari alla pianificazione.

Dato il carattere dello studio, l’attenzione si concentrò sulla capacità antierosiva, dipendente innanzitutto dal grado di densità dei boschi, desumibile da osservazioni dirette, cartografie già esistenti, informazioni dei piani di assestamento.

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Alla copertura boscata si associò la stratificazione dei soprassuoli dell'altofusto: nelle strutture polistratificate le chiome occupano posizioni diverse nello spazio e possono formare più strati ben distinguibili, oppure una successione progressiva di piante; le strutture biplane sono articolate su due piani distinti di alberi; nelle strutture monostratificate gli alberi sono situati più o meno alla stessa altezza e formano un solo strato orizzontale.

Per quanto riguarda il ceduo, pur essendo monostratificato, esso svolge una soddisfacente funzione antierosiva se versa in condizioni di buona copertura; il ceduo povero di ceppaie attive e di polloni, invece, ha capacità protettive assai inferiori rispetto a quelle compatibili con le condizioni stazionali. Il più importante provvedimento migliorativo consiste nell'aumentare il numero delle ceppaie e nel ridestare, dovunque possibile, la facoltà pollonifera delle esistenti ceppaie inattive ma non ancora deperite.

Per cartografare la capacità regimante si considerò anche la biomassa dei boschi, desumibile nei boschi pubblici dalla provvigione rilevata nei piani di assestamento e dai campionamenti inventariali nei boschi privati. Alla massa ipogea corrisponde una proporzione di quella epigea e quindi dell'inviluppo delle radici, della loro capacità di trattenere l'acqua e di ampliare e formare il suolo. Un altro elemento da giudicare è la composizione e la qualità dello strato arboreo e arbustivo, attraverso il quale passa l'acqua meteorica.

Si tentò inoltre di valutare la vulnerabilità ecosistemica del bacino del Maè, considerando il grado di stabilità di fronte a rischi di diversa natura capaci di destabilizzare il sistema ecologico forestale.

Seguendo le indicazioni del prof. F. Viola dell’Università di Padova, risultava di particolare rilevanza la constatazione che una parte consistente della vulnerabilità del territorio dipende dall'abbandono dei lavori agro-silvo-pastorali, sostituiti con attività spesso in grado di generare pressioni antropiche con effetti destabilizzanti.

Sulla base degli elementi rilevati si costruirono matrici di correlazione usi/effetti e vennero simulati degli scenari a seconda della massimizzazione alternativa del valore fondiario, del livello di naturalità, della funzione turistico-ricreativa, nonché della minimizzazione dell’erosione superficiale del suolo.

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FOTO 1.3-ALTA VAL PRAMPER.IL RAPPORTO TRA IL BOSCO DALTA QUOTA E LA PRATERIA ALPEGGIATA CONFIGURA UN PAESAGGIO CHE, PUR RIDOTTO PER ESTENSIONE RISPETTO AL PASSATO, RIVESTE NUOVI E RICONOSCIUTI RUOLI CULTURALI ED AMBIENTALI

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2. M ETODOLOGIA

Ai fini della redazione del PFIT viene fatto riferimento alla metodologia sviluppata e sperimentata nella sua applicazione pratica nell'altopiano di Asiago (Corona et al., 2010).

Lo schema generale di realizzazione è riportato in figura 2.1, mentre per la descrizione di ciascuna fase si rimanda alla pubblicazione citata.

FIG. 2.1– SCHEMA DELLE FASI DI REALIZZAZIONE DEL PFIT. LE FRECCE BLU INDICANO I PROCESSI TECNICI, QUELLE ROSSE I PROCESSI PARTECIPATI

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Il PFIT della C.M. Cadore, Longaronese, Zoldo costituisce una seconda sperimentazione finalizzata alla verifica della applicabilità del metodo in contesti territoriali diversi. In questo capitolo sono presentate le valutazioni e le modifiche all'approccio di riferimento che consentono la replicabilità degli strumenti di analisi nel territorio della C.M.

2.2 A

TTRIBUZIONE MULTIFUNZIONALE

Nel contesto della multifunzionalità forestale, l'attribuzione di una funzione preminente a ciascuna superficie elementare di un ampio territorio boscato diventa obiettivo strategico per orientare la gestione forestale nel medio e lungo periodo.

Con il termine attribuzione multifunzionale viene indicato il processo attraverso il quale le diverse funzioni svolte dal bosco sono ordinate per importanza sulla base di punteggi ottenuti combinando le informazioni contenute nel sistema informativo con le preferenze espresse dai portatori d’interesse. La funzione con il punteggio più alto viene definita funzione preminente dell’unità territoriale. L’attribuzione funzionale viene condotta in base ad una metodologia di analisi multicriteriale, cioè una tecnica di valutazione che supporta la scelta tra più alternative. L'analisi multicriteriale, organizzando il processo decisionale e i dati rappresentati dai tematismi cartografici in modo gerarchico, consente di superare i limiti di una valutazione soggettiva rendendo il processo razionale, trasparente e ripercorribile.

2.2.1UNITÀ TERRITORIALE DI RIFERIMENTO PER LATTRIBUZIONE FUNZIONALE

La funzione preminente attribuita dall'analisi multicriteriale si riferisce a porzioni omogenee di territorio (unità territoriali di riferimento) ricavate dalla carta dei tipi forestali e dal particellare dei Piani di Riassetto.

FIG.2.2–UNITÀ TERRITORIALI ADOTTATE PER L'ATTRIBUZIONE FUNZIONALE

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Le unità territoriali di riferimento (fig. 2.2; tab. 2.1) sono costituite dalle particelle forestali, per le aree soggette a pianificazione aziendale, e dei poligoni della carta dai tipi forestali della Regione del Veneto per le altre aree boscate.

Unità territoriali Superficie (ha) Superficie boscata (ha)

Poligoni della carta forestale 7.460 7.460

Particelle forestali 21.661 17.373

Totale complessivo 29.121 24.833

TAB.2.1–SUPERFICIE COMPLESSIVA DELLE UNITÀ TERRITORIALI

2.2.2SISTEMA GERARCHICO DI ATTRIBUZIONE FUNZIONALE

Il sistema gerarchico di attribuzione funzionale è strutturato in quattro livelli (fig. 2.3).

L’attribuzione della funzione preminente rappresenta il I livello (obiettivo della decisione), i criteri con cui valutare le alternative costituiscono il II livello del sistema gerarchico e sono riconducibili al contesto geografico e vincolistico del territorio (attitudine del sito) e alle caratteristiche bio–ecologiche della formazione forestale dominante nell’unità territoriale (vocazione del tipo forestale). Le alternative funzionali (produttiva, protettiva diretta, ecologico-conservativa, paesaggistica e turistico-ricreativa intensiva) rappresentano il III livello mentre alla base del sistema sono collocati gli strati informativi parametrizzati in forma di indice.

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FIG.2.3–STRUTTURA GERARCHICA DELLANALISI MULTICRITERIALE

2.2.3PARAMETRI DI VALUTAZIONE DELLE UNITÀ TERRITORIALI

Per ogni unità territoriale di riferimento (particella forestale o poligono della carta dei tipi forestali) sono definiti i valori dei parametri (indici) che la caratterizzano in relazione alle cinque alternative funzionali: produttiva, protettiva diretta, paesaggistica, ecologico- conservativa e turistico-ricreativa intensiva. Per ciascuna alternativa funzionale vengono

Attribuzione funzionale

Vocazione del tipo forestale

Attitudine del sito

Produttiva

Protettiva diretta

Ecologico- conservativa Paesaggistica

Turistico- ricreativa intensiva OBIETTIVO CRITERI ALTERNATIVE

1° Livello 2° Livello 3° Livello 4° Livello

Pregio cromatico

Pregio vegetazionale

Pregio floristico Indice di naturalità Fertilità relativa

Pendenza

Vicinanza da strade Pericolosità da valanghe

Ambiti di istituzione di Parchi e Riserve Visibilità da strade

Visibilità da baite

Produttiva

Protettiva diretta

Ecologico- conservativa Paesaggistica

Turistico- ricreativa intensiva

INDICI (esempi)

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considerati due criteri (vocazione del tipo forestale e attitudine del sito): per ogni unità territoriale di riferimento sono quindi stimati 10 punteggi (2 criteri x 5 alternative). Agli indici e ai punteggi sono assegnati valori secondo una scala normalizzata da zero a uno.

La metodologia relativa all’attribuzione funzionale proposta da Corona et al. (2010) è stata adattata al contesto territoriale e vincolistico della C.M. rivisitando criticamente gli indici relativi a ogni alternativa funzionale e la modalità di calcolo per parametri.

2.2.3.1 Indici relativi alla vocazione del tipo forestale

La vocazione del tipo è valutata in base alle caratteristiche biologiche della formazione forestale presente nell’unità territoriale. Gli indici adottati per la quantificazione della vocazione del tipo forestale sono quelli proposti da Del Favero et al. (2000) riportati in tabella 2.2. Fanno eccezione il “Valore degli assortimenti ritraibili” ed il “Valore produttivo e protettivo attribuito dai Piani di Riassetto”.

Un panel di esperti ha stimato l’indice “Valore degli assortimenti ritraibili” sulla base delle conoscenze del mercato locale (tab. 2.3). Gli indici relativi al valore produttivo e al valore protettivo sono stimati dai Piani di Riassetto Forestale in base al rapporto tra la superficie destinata dai Piani alla funzione produttiva o protettiva e la superficie totale interna all'area pianificata.

Funzione Indice Nome campo

1Fertilità relativa V_Fert_rel

2Valore produttivo attribuito dai Piani di Riassetto V_Prod_PR

1Resistenza agli schianti V_Res_sch

Produttiva

3Valore degli assortimenti ritraibili V_Val_ass Protettiva diretta 2Valore protettivo attribuito dai Piani di Riassetto V_Prot_PR

Paesaggistica 1Potenziale pregio cromatico V_Pot_crom

1Indice di naturalità V_I_nat

1Indicatore di specie ad habitat protetto V_I_hab

1Potenziale pregio floristico V_Pot_flor

1Potenziale presenza di macrofauna sensibile agli

interventi V_Pot_mfau

Ecologico–

conservativa

1Pregio vegetazionale V_Preg_veg

1Pregio vegetazionale V_Preg_veg

1Potenziale pregio cromatico V_Pot_crom

Turistico–ricreativa intensiva

1Potenziale pregio floristico V_Pot_flor

TAB.2.2–INDICI UTILIZZATI PER DETERMINARE LA VOCAZIONE DEL TIPO FORESTALE.1INDICI BASATI SULLA CARTA FORESTALE REGIONALE; 2INDICI RIFERITI AL PARTICELLARE DEI PIANI DI RIASSETTO;

3INDICI ELABORATI DA TEMATISMI NON PRESENTI NEL SIT DELLA REGIONE DEL VENETO

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Tipo Forestale Indice del valore assortimenti ritraibili

Indice del valore protettivo attribuito dai

Piani di Riassetto

Abieteto esomesalpico montano 1,00 0,09

Aceri–frassineto tipico 0,88 0,00

Arbusteto 0,38 0,00

Castagneto dei substrati magmatici 0,88 0,00

Castagneto dei suoli mesici 0,88 0,00

Faggeta altimontana 1,00 0,00

Faggeta montana tipica esalpica 1,00 0,13

Faggeta montana tipica esomesalpica 1,00 0,00

Faggeta submontana con ostria 0,50 0,68

Faggeta submontana dei suoli mesici 0,88 0,00

Formazione antropogena di conifere 1,00 0,15

Lariceto primitivo 0,25 0,00

Lariceto tipico 1,00 1,00

Mugheta microterma 0,40 0,85

Orno–ostrieto primitivo 0,13 0,00

Orno–ostrieto tipico 0,50 0,00

Ostrio–querceto tipico 0,75 0,00

Pecceta dei substrati carbonatici altimontana 0,88 0,78

Pecceta secondaria montana 0,88 0,33

Pineta di pino silvestre esalpica tipica 0,50 0,00

Robinieto 1,00 0,00

Saliceti e altre formazioni riparie 0,75 0,00

TAB. 2.3 – INDICI DEL VALORE DEGLI ASSORTIMENTI RITRAIBILI E DEL VALORE PROTETTIVO IN FUNZIONE DEL TIPO FORESTALE

La “Vocazione del tipo” per ogni funzione è quantificata attraverso la media degli indici della funzione. Per la funzione ecologico-conservativa, il valore assunto come riferimento è il maggiore tra quelli degli indici considerati.

2.2.3.2 Indici relativi all’attitudine del sito

L’attitudine del sito è valutata in base alle caratteristiche stazionali dell’unità territoriale e del contesto vincolistico a cui essa è sottoposta, avvalendosi di:

 CTR (Carta Tecnica Regionale) in formato vettoriale;

 Carta delle Fragilità, Carta dei Vincoli della Pianificazione Territoriale, Carta del Sistema Ambientale (elaborati grafici del PTCP);

 carta della localizzazione probabile delle valanghe (ARPAV - Centro Valanghe di Arabba, 1987, 1993);

 localizzazione delle baite e dei rifugi (CAI, 2006);

Riferimenti

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