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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina

nello scavo di gallerie

Appennino umbro-marchigiano

INAIL - Direzione Centrale Comunicazione P.le Giulio Pastore, 6 - 00144 Roma dccomunicazione@inail.it

www.inail.it

Edizione 2011

RISCHI E PREVENZIONE

ISBN 978-88-7484-244-5

Edizione 2011Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina

nello scavo di gallerie

Appennino umbro-marchigiano

Edizione 2011

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Pubblicazione realizzata da INAIL

Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione (CONTARP) Autori

Contarp centrale M. Mecchia E. Incocciati C. Kunkar Contarp Marche D. Candido R. Compagnoni Contarp Umbria E. Della Penda Fotografie M. Mecchia E. Della Penda

SUVA (Istituto nazionale svizzero di assicurazione contro gli infortuni) Disegni

M. Mecchia D. Candido

edizione - ottobre 2011

Informazioni CONTARP

Direzione Generale

00143 Roma - Via Roberto Ferruzzi, 40 contarp@inail.it

Direzione Regionale Marche 60124 Ancona - Via Piave, 25 marche-contarp@inail.it Direzione Regionale Umbria 06128 Perugia - Via Pontani, 3b umbria-contarp@inail.it www.inail.it

© 2011 INAIL

Distribuzione gratuita. Vietata la vendita. La riproduzione su qualsiasi mezzo è consentita solo citando la fonte ISBN 978-88-7484-244-5

Stampato dalla Tipolitografia INAIL - Milano, aprile 2012

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PREMESSA 5 1 Esposizione a silice libera cristallina respirabile: problematica 7 2 Aspetti tecnico-normativi dell’esposizione a SLC respirabile 11

3 Fonti di esposizione a polveri silicotigene nei lavori di scavo

in galleria 15

4 Tecniche di scavo e fasi del ciclo di lavoro in galleria 17

5 Strategie e tecniche di misura della concentrazione di SLC

respirabile nei lavori di costruzione di gallerie 25

6 Geologia dell’Appennino umbro-marchigiano 35

7 Contenuto di quarzo nelle formazioni umbro-marchigiane 43

8 Concentrazione di SLC respirabile durante lo scavo di gallerie

dell’Umbria e delle Marche 45

9 Metodologia di valutazione del rischio 49

10 Misure di prevenzione e protezione dalle polveri 53

BIBLIOGRAFIA 60

APPENDICE:

Determinazione del contenuto di quarzo nelle formazioni

umbro-marchigiane 61

Indice

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Questo volume è il risultato di un progetto condotto dalla CONTARP del- l’INAIL sui cantieri per la costruzione di gallerie, e rientra in un’attività più ampia che la stessa Consulenza svolge a supporto di datori di lavoro e RSPP nell’ambito della prevenzione per la salute e sicurezza dei lavoratori.

Il prodotto editoriale riguarda il rischio da esposizione a polveri silicotigene nei lavori in galleria.

Constatato che la principale fonte di generazione di polveri in questo tipo di cantieri in sotterraneo è rappresentata dalla roccia in scavo, è stata messa a punto una metodologia predittiva dell’esposizione a silice libera cristallina basata sulle relazioni esistenti fra l’esposizione attesa e il tenore in quarzo della roccia in scavo.

Tali relazioni sono state identificate per un’area specifica del territorio ita- liano: l’Appennino umbro-marchigiano. Il campionamento delle rocce affio- ranti in Umbria e nelle Marche, realizzato dai geologi dell’Istituto che operano in tali regioni, e le successive analisi di laboratorio effettuate nel Laboratorio Centrale di Igiene Industriale CONTARP dell’INAIL, hanno fornito dati appro- fonditi sui tenori in quarzo delle singole formazioni geologiche.

Le numerose misure di esposizione a silice libera cristallina effettuate negli ultimi anni in cantieri in galleria nelle Marche e in Umbria, oggetto di indagini da parte dall’INAIL ai fini assicurativi istituzionali, hanno costituito l’altro ele- mento necessario per definire le relazioni ricercate.

Con l’insieme dei dati raccolti è stata elaborata una metodologia predittiva dell’esposizione dei lavoratori a silice libera cristallina respirabile nei cantieri di scavo di gallerie, da utilizzare nell’analisi di base per la predisposizione del documento di valutazione dei rischi.

Naturalmente, ciò non autorizza l’annullamento del programma di moni- toraggio dell’esposizione a polveri durante l’esecuzione dei lavori, che deve sempre essere previsto nelle attività di scavo in sotterraneo, ma consente di progettare ed implementare misure di prevenzione e protezione mirate alle prevedibili condizioni di inquinamento da polveri silicotigene che si verifiche- ranno nell’ambiente di lavoro. Ciò a garanzia di tutela della salute dei lavora- tori e con l’obiettivo di ridurre l’entità degli interventi successivi.

Premessa

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Con la dizione “silice libera cristallina”, da qui in avanti indicata con l’acro- nimo SLC, si intendono tutte le fasi cristalline del biossido di silicio (SiO2) non combinato con altri elementi.

La forma più comune di SLC è il quarzo, minerale diffusissimo in natura, che entra a far parte in percentuali variabili in molti tipi di rocce, costituendo circa il 12% in volume di tutta la crosta terrestre. Il quarzo è abbondante sia nelle rocce magmatiche che in quelle sedimentarie e metamorfiche ed assume, quindi, un importante ruolo nella caratterizzazione di gran parte dei materiali naturali, oltre che di quelli artificiali che ne derivano.

Altre forme mineralogiche della SLC sono la tridimite e la cristobalite, che possono formarsi nell’ambito di alcuni processi tecnologici che comportano alte temperature, ma che sono rare in natura e non fanno parte di minerali comuni. Per questo motivo, le osservazioni riportate in questo volume, fo- calizzato sullo scavo e costruzione delle gallerie, considerano esclusiva- mente la SLC rappresentata dal quarzo.

Gli effetti dell’esposizione lavorativa a SLC per via inalatoria sono provati da lungo tempo. Nella prima metà del ‘900, infatti, la silicosi è stata la più fre- quente e la più grave tra le malattie professionali.

Tuttavia, la silicosi polmonare è solo l’aspetto maggiormente conosciuto dell’attività biologica della silice. L’inalazione protratta nel tempo di SLC re- spirabile conduce a questa infiammazione cronica ed irreversibile del pol- mone con formazione di fibromi che alterano la funzionalità polmonare. I primi sintomi della malattia si manifestano generalmente dopo molti anni dall’esposizione (eventualmente anche dopo il termine dell’attività lavorativa) e consistono in tosse, dispnea da sforzo, bronchiti ricorrenti, con possibilità di bronchite cronica, enfisema polmonare, tubercolosi polmonare, insuffi- cienza cardiaca.

Inoltre, da decenni è stata riscontrata l’associazione tra malattia silicotica e patologie autoimmuni come lupus, artrite reumatoide e sclerodermia. Più re- centi sono le evidenze scientifiche che legano l’effetto dell’esposizione a si- lice e la comparsa di malattie renali, sempre su base autoimmune (INAIL-Dir.

Reg. Trentino, 2001).

Un nuovo ambito di considerazioni scaturisce dalle ricerche in merito all’as- sociazione tra silicosi e cancro polmonare che, sulla base di numerosi studi

1 Esposizione a silice libera cristallina

respirabile: problematica

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epidemiologici e dei risultati degli studi sperimentali, ha indotto, nel 1997, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) a valutare come sufficiente l’evidenza di cancerogenicità della silice cristallina, classificandola nel gruppo 1 degli agenti cancerogeni. Nella monografia del 1997 la IARC ha affermato: “La silice cristallina inalata in forma di quarzo o cristobalite da sorgenti occupazionali è cancerogena per gli umani”. Nella stessa monogra- fia, tuttavia, si sottolinea che la cancerogenicità negli esseri umani non è stata individuata per tutte le attività lavorative studiate, deducendo, quindi, che può dipendere dalle caratteristiche intrinseche del minerale o da fattori esterni che interessano la sua attività biologica.

A tutela della silicosi, sviluppatasi con l’espansione industriale e mineraria, in Italia venne introdotta l’assicurazione obbligatoria con la Legge 455 del 1943, ai sensi della quale si intende per silicosi una “fibrosi polmonare, com- plicata o non da tubercolosi polmonare, provocata da inalazione di polvere di biossido di silicio allo stato libero”. A tutt’oggi vige l’obbligo del pagamento all’INAIL di un premio assicurativo supplementare a carico delle aziende che svolgono attività in cui i lavoratori siano esposti al rischio da polveri di SLC (cap. 2).

Tra le attività lavorative che possono comportare un rischio da SLC respira- bile, i lavori edili in sottosuolo meritano particolare attenzione poiché le ope- razioni di scavo (capp. 3 e 4) generano rilevanti volumi di polveri che, in funzione della composizione mineralogica delle rocce scavate, possono con- tenere apprezzabili concentrazioni di quarzo (cap. 6).

Poiché la silicosi è una patologia a carattere evolutivo difficilmente contra- stabile con le terapie attualmente a disposizione, gli interventi prevenzionali, mirati al contenimento dell’esposizione a polveri negli ambienti lavorativi, sono estremamente importanti.

Tali interventi consistono in misure tecniche ed organizzative (cap. 10) fina- lizzate a mantenere il livello di inquinamento ambientale da polveri aerodi- sperse al di sotto di una concentrazione (valore limite di riferimento) che si ritiene protegga “la maggior parte” dei lavoratori dall’eventualità di contrarre la malattia (cap. 2).

Ai sensi del D.Lgs. 81/2008 le misure di prevenzione e protezione devono essere adottate già all’avvio dell’attività. Questo implica uno studio predittivo (“analisi di base”) che garantisca la protezione dal rischio ancor prima che sia possibile misurare la sua effettiva entità. Tale principio, naturalmente, è valido anche per i lavori di costruzione di gallerie.

Il presente volume si propone di fornire indicazioni sui metodi e le strategie di campionamento (cap. 5), nonché sulla valutazione del rischio derivante dall’esposizione a SLC nei cantieri sotterranei sin dalla fase progettuale.

Constatato che la principale fonte di generazione di polveri è costituita dalla

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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roccia in scavo, lo studio ha focalizzato l’attenzione su un’area specifica del territorio italiano: l’Appennino umbro-marchigiano. Nel volume sono riportati dati sull’entità dell’esposizione a SLC riscontrata in cantieri reali attivi tra l’anno 1997 e il 2010 nell’Appennino umbro-marchigiano, e oggetto di inda- gini da parte dall’INAIL ai fini assicurativi istituzionali. Il campionamento sul posto delle formazioni geologiche che affiorano su questo territorio, operato dai geologi dell’Istituto, e le successive analisi effettuate nel Laboratorio Cen- trale di Igiene Industriale CONTARP dell’INAIL, hanno fornito i tenori in quarzo delle singole formazioni geologiche (cap. 7) e permesso di individuare le re- lazioni esistenti con i valori di esposizione (cap. 8). Il presente studio ha così portato all’individuazione di una metodologia predittiva dell’esposizione (cap.

9), da utilizzare nella predisposizione del documento di valutazione dei rischi per questi particolari ambienti di lavoro.

Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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Valore limite di riferimento occupazionale

I valori limite di riferimento per la valutazione dell’esposizione professionale agli agenti di rischio vengono desunti dalla conoscenza che si ha del feno- meno, principalmente tramite studi scientifici sperimentali, ricerche epide- miologiche ed indagini igienistico-industriali.

In Italia non esiste un limite di riferimento ufficiale per l’esposizione profes- sionale a SLC adottato ai sensi della normativa per la tutela della salute e si- curezza dei lavoratori sul luogo di lavoro (leggasi D.Lgs. 81/2008). Al riguardo, il TLV dell’ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygienists) viene spesso adottato sia nei contratti collettivi nazionali di lavoro, sia dagli organi di controllo quale riferimento per la valutazione della salubrità degli ambienti di lavoro. L’ACGIH assume come TLV-TWA per la polvere di SLC respirabile il valore di 0,025 mg/m3.

È però necessario evidenziare che a livello internazionale gli Enti ed Organi- smi che si interessano della questione sono numerosi, e che i limiti di riferi- mento proposti sono diversi.

A livello Comunitario, con Decisione della Commissione Europea n.

95/320/EC è stato istituito lo SCOEL (Scientific Committee on Occupational Exposure Limits) col mandato di tenere aggiornata la Commissione relativa- mente ai limiti di esposizione occupazionale negli ambienti di lavoro. Nella sua raccomandazione del 2003 il Comitato, nel rilevare che il principale ef- fetto dell’inalazione di polvere di silice respirabile nell’uomo è la comparsa della silicosi, evidenziava che il rischio di contrarre il cancro al polmone è più alto in soggetti affetti da silicosi e che perciò ogni azione finalizzata al con- tenimento della silicosi avrebbe conseguentemente ridotto il rischio di con- trarre il cancro. In particolare consigliava la riduzione dei livelli di esposizione a SLC respirabile, individuando limiti di esposizione occupazionale (OELV) inferiori a 0,05 mg/m3. Peraltro va rilevato che, nonostante la posizione dello SCOEL, non sono stati definiti limiti di esposizione a livello comunitario rela- tivamente alla SLC.

I limiti di esposizione a SLC adottati da vari paesi europei sono riportati di seguito.

2 Aspetti tecnico-normativi dell’esposizione

a SLC respirabile

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Negli Stati Uniti, il NIOSH (National Institute for Occupational Safety and He- alth) adotta per la SLC respirabile, considerata un potenziale cancerogeno occupazionale, un limite di esposizione raccomandato (REL) di 0,05 mg/m3 (inteso come media calcolata su una giornata lavorativa di durata fino a 10 ore, durante una settimana lavorativa di 40 ore).

Valore limite di riferimento per la tutela assicurativa

(premio supplementare a tutela dell’insorgenza della silicosi)

I datori di lavoro che svolgono le lavorazioni previste nell’allegato n. 8 al D.P.R.

30 giugno 1965, n. 1124, sono tenuti a corrispondere all’INAIL un premio sup- plementare a copertura del rischio per i lavoratori di contrarre la silicosi.

Alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale espresso dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 2230 del 28 marzo 1986), il premio supplementare è dovuto uni- camente nell’ipotesi in cui risulti accertato in concreto che, a causa dell’ef- fettuazione delle suddette opere, si verifichi nell’ambiente di lavoro una dispersione di silice libera in concentrazione non inferiore a quella idonea - in base alle vigenti disposizioni - a determinare, per il personale addetto, il rischio effettivo (e non già presunto) di contrarre la silicosi.

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

Valori limite per la SLC respirabile adottati in Europa (mg/m3su 8 ore)

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Il premio è calcolato in funzione dell’incidenza dei salari specifici degli addetti esposti a SLC, in concentrazione tale da determinare il rischio, sulle retribu- zioni generali erogate a tutti i lavoratori dello stesso stabilimento, opificio, cantiere, ecc. Nel calcolo del rapporto di incidenza sono considerate retri- buzioni specifiche quelle afferenti alle giornate di paga dei dipendenti adibiti alle lavorazioni morbigene, anche nel caso in cui detta adibizione sia limitata a parte della giornata stessa.

Riguardo al valore di concentrazione idoneo a determinare il rischio effettivo (e quindi a far scattare l’obbligo di pagamento del premio supplementare), la legge non indica alcun valore numerico, a differenza di altri ambiti norma- tivi, in cui le soglie di accettabilità sono indicate. Si tratta di una precisa scelta della L. 27 dicembre 1975 n. 780, la quale ha abolito le precedenti definizioni legali della silicosi e dell’asbestosi dettate dalla Legge 12 aprile 1943, n. 455, artt. 3 e 4 (trasfusi rispettivamente nel D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt.

142 e 143, ed abrogati appunto dalla Legge n. 780), e ciò al fine di lasciare alla ricerca scientifica l’autonomia per sviluppare le più opportune indica- zioni.

Il limite di riferimento vigente è frutto di un consolidato orientamento del Mi- nistero del Lavoro risalente al 1991 (Ispettorato Medico Centrale, Lettera cir- colare n. 737 del 3 dicembre 1991).

In materia si è anche espressa la Suprema Corte, che con sentenza n. 4540 del 1 marzo 2006 ha ritenuto “corretta la determinazione dell’autorità ammi- nistrativa che ha fissato il limite di concentrazione di silice libera ai fini del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, in campo nazionale in misura prudenziale allo 0,05 mg/m3”.

Per la valutazione del rischio e la determinazione dell’incidenza di cui sopra, è necessario che il datore di lavoro, ad integrazione della denuncia dei lavori, fornisca all’INAIL tutti gli elementi necessari.

Per la determinazione del premio supplementare è previsto un tasso medio che può oscillare in aumento o in diminuzione. L’oscillazione è stabilita entro il limite del 35% e precisamente: fino al 10%, in rapporto all’entità intrinseca del rischio; fino al 25%, per l’attuazione di misure di igiene e di prevenzione.

Avverso i provvedimenti concernenti l’oscillazione, il datore di lavoro può proporre ricorso alla Sede dell’INAIL territorialmente competente. In rela- zione, invece, all’obbligo assicurativo per la silicosi, il ricorso va presentato alla Direzione Provinciale del Lavoro.

Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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La fonte di SLC di gran lunga più importante nello scavo di gallerie è rappre- sentata dal quarzo contenuto nella roccia.

L’ampia variabilità delle concentrazioni di quarzo nei terreni e nelle rocce na- turali influenza necessariamente l’entità dell’esposizione dei lavoratori che operano in galleria e deve essere considerata ai fini dell’attivazione delle mi- sure di controllo e prevenzione per la salute dei lavoratori.

In sede di valutazione preliminare, prima dell’inizio dell’attività di scavo, un’at- tenta analisi geologica è quindi un presupposto indispensabile per ottenere indicazioni predittive sull’entità del rischio da affrontare, in maniera da indi- rizzare le scelte tecniche, impiantistiche e tecnologiche con cui poi realizzare lo scavo del tunnel.

Un’altra possibile fonte di esposizione a SLC è rappresentata dal calce- struzzo, e in particolare dagli inerti in esso contenuti. Nel calcestruzzo la componente del cemento è generalmente esente da silice o ne contiene quantità trascurabili, mentre gli inerti possono contenere quarzo anche in elevati quantitativi. Gli inerti per la produzione di calcestruzzo devono rispet- tare le caratteristiche previste dalle norme tecniche e quelle indicate nei ca- pitolati tecnici dei manufatti da realizzare, ma generalmente non vi sono prescrizioni particolari sulla loro composizione mineralogica, se non l’assenza di sostanze organiche, argillose e terrose (Arcangeli et al., 2008).

Nella maggior parte dei casi la scelta dei materiali da utilizzare nelle opera- zioni del cantiere fonda sulla vicinanza dei siti dove reperirli, e ciò anche in ragione dei notevoli quantitativi richiesti. Di conseguenza, volendo prediligere materiali privi o a basso tenore di quarzo, occorre fronteggiare eventuali dif- ficoltà di tipo logistico, con le conseguenti problematiche connesse ai costi del trasporto e all’impatto sull’ambiente (Arcangeli et al., 2008).

Nel processo di valutazione del rischio da esposizione a SLC le caratteristi- che del calcestruzzo vanno considerate soprattutto nelle operazioni di per- forazione, negli scavi che interessano il calcestruzzo già messo in posa e nelle operazioni di getto di calcestruzzo spruzzato (spritz beton).

3 Fonti di esposizione a polveri silicotigene

nei lavori di scavo in galleria

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

Escavatore

Perforazione per carico esplosivo

Tunnel Boring Machine - Tecniche di scavo in galleria

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Tecniche di scavo in galleria

La scelta della tecnica di scavo, che influenza significativamente la polvero- sità dell’ambiente di lavoro, dipende da diversi fattori, quali la geologia strut- turale del territorio e le caratteristiche litologiche dei terreni che vengono attraversati, e non può prescindere da valutazioni relative al costo e alla ve- locità di esecuzione dell’opera.

Oltre che per la definizione del metodo di avanzamento dello scavo, i risultati delle indagini tecniche preliminari vengono utilizzati per l’individuazione dei re- quisiti progettuali dell’opera quali la sagoma della galleria, le eventuali tecniche di stabilizzazione dell’ammasso roccioso e le caratteristiche del rivestimento.

Rocce massicce, integre e non alterate chimicamente, potenzialmente sa- rebbero in grado di sostenere lo scavo addirittura senza bisogno di supporti strutturali di rivestimento. Lo scavo in questo tipo di rocce è per lo più effet- tuato con l’uso di esplosivi.

Nel caso di rocce stratificate, fratturate e/o degradate chimicamente, lo scavo viene spesso condotto con mezzi meccanici (per es., “martellone”

montato su escavatore), e la sua stabilità dipende dallo spessore degli strati e dal loro orientamento rispetto all’asse della galleria. Lo scavo dovrà essere sostenuto artificialmente con un rivestimento portante (“centine”) che ripri- stini l’equilibrio tensionale degli ammassi rocciosi interessati.

In natura, il passaggio tra tipi di rocce con caratteristiche diverse può essere brusco o graduale, come rivelano anche gli scavi in galleria, e generalmente può essere previsto in base agli studi geologici e geomeccanici preliminari.

Una metodologia di scavo che genera una polverosità nell’ambiente di lavoro sotterraneo con caratteristiche molto diverse da quella che si determina con i metodi convenzionali, sopra accennati, è quella che prevede l’uso di tecniche meccanizzate con frese ad attacco integrale (tunnel boring machine, TBM).

Questo metodo di scavo, che segue indirizzi tecnologici più recenti, crea una sezione intera circolare, dunque non flessibile relativamente alla sagoma della galleria. La TBM è una macchina adatta allo scavo di lunghe gallerie o di opere la cui esecuzione presenta condizioni e difficoltà particolari. In terreni con con- dizioni tensionali difficili, durante l’avanzamento si possono effettuare opera- zioni contemporanee di consolidamento e armatura dello scavo. L’uso di

4 Tecniche di scavo e fasi del ciclo di lavoro

in galleria

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questi mezzi determina una continuità operativa che va a vantaggio della sta- bilità dello scavo e della velocità di avanzamento. Tuttavia, essendo tali mac- chine molto costose, sono usate dove ciò sia economicamente giustificato.

Nell’area appenninica di nostro interesse, fino ad oggi sono stati utilizzati so- prattutto i metodi di scavo convenzionali, sia per le lunghezze delle gallerie, normalmente contenute, sia perché le caratteristiche geomeccaniche delle rocce, piuttosto variabili, necessitano di tecniche flessibili, in grado di adat- tarsi con rapidità alle diverse situazioni.

Nella progettazione di un’opera devono, naturalmente, essere previsti accor- gimenti tecnici e organizzativi in grado di ridurre al minimo l’impatto sulla salute e sicurezza dei lavoratori, garantendo nel cantiere sotterraneo le migliori con- dizioni possibili. Questo assunto vale, ovviamente, anche per il rischio di espo- sizione a polveri respirabili di SLC. Un esame delle varie fasi del ciclo di lavoro in relazione ai problemi legati alla produzione di polvere è quindi molto utile.

Ciclo di lavoro negli scavi con metodi convenzionali

Lo scavo “in tradizionale” segue una successione operativa le cui fasi prin- cipali sono illustrate nello schema esemplificativo che segue. Con questa tecnica è possibile effettuare scavi a sezione sia parziale che intera.

L’elenco delle mansioni tipiche della squadra sul fronte di scavo comprende il caposquadra, l’escavatorista, il palista, il lancista, l’autista, il fuochino e l’addetto alle perforazioni. Nelle operazioni di armo di murette, arco rovescio, calotta e piedritti si aggiunge il carpentiere.

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

Successione operativa dello scavo di gallerie con metodi di scavo convenzionali

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Il preconsolidamento del fronte, finalizzato a migliorare la qualità dell’am- masso roccioso da attraversare, per assicurarne la tenuta e l’equilibrio du- rante la fase di scavo, è effettuato in genere subito prima dell’avanzamento.

Può essere realizzato con un getto di “spritz beton” (miscela composta di calcestruzzo ed additivi, proiettata a pressione) tramite una “lancia” (pompa) alimentata da autobetoniera. Diverse tecniche prevedono la perforazione del fronte di scavo: iniezioni di cemento, infilaggi di tubi o barre di vetroresina, bullonatura.

Nelle metodologie convenzionali, lo scavo del fronte può essere condotto facendo uso di esplosivi o con mezzi meccanici quali escavatori (ripper, mar- telli, benne) o frese ad attacco puntuale. Nel caso di terreni incoerenti o de- bolmente coerenti possono essere usate le benne, mentre i ripper, che sono attrezzi muniti di uno o più denti molto robusti, sono particolarmente adatti su terreni coesivi. I martelli demolitori sono utili soprattutto nel caso di rocce poco resistenti e nel disgaggio per correggere il profilo della sezione di scavo.

Le frese ad attacco puntuale (TSM) possono avere la testa dotata di taglienti diversi a seconda del tipo di roccia da affrontare. In tratti successivi di una galleria in scavo possono essere utilizzati metodi di avanzamento diversi, adattando il profilo della sezione della galleria alle variazioni delle condizioni geologiche che si presentano. Le sollecitazioni create dai mezzi sugli am- massi rocciosi generalmente non sono eccessive, quindi le condizioni di equilibrio al contorno dello scavo vengono mantenute abbastanza a lungo.

L’uso di queste macchine è preferito per gallerie di lunghezza media o breve.

La tecnica tradizionale di avanzamento del fronte di scavo mediante perfo- razioni ed esplosivo è utilizzata soprattutto nelle gallerie di lunghezza limitata e nel caso di rocce dure, ma può dare utili risultati anche in presenza di ban-

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Preconsolidamento: infilaggi (a sinistra) e getto spritz beton (a destra)

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

Scavo del fronte: operazioni di perforazione con il jumbo

chi e stratificazioni con caratteristiche di resistenza medio-alta. Il ciclo lavo- rativo standard comprende, in generale, le seguenti fasi:

- Preparazione dei fori da mina - con macchine perforatrici idrauliche o pneumatiche (jumbo) dotate di aste (fioretti) munite nell’estremità di un utensile da taglio al quale viene impresso un movimento roto-percussivo.

I fori che si ottengono devono essere disposti secondo una geometria ben definita, al fine di ottenere l’abbattimento del volume di roccia prestabilito che rispetti la sagoma della galleria.

- Caricamento dell’esplosivo all’interno dei fori da mina - con cartucce di

“gelatine”, “slurries” o emulsioni esplosive.

- Esecuzione della volata di mine - il brillamento viene programmato in base alla geometria della distribuzione delle mine. Per l’evacuazione della pol- vere e dei gas dopo lo scoppio, viene riattivata la ventilazione, interrotta prima del brillamento; i lavori dovrebbero riprendere solo dopo una fase di attesa di durata sufficientemente prolungata.

I detriti prodotti dallo scavo vengono portati all’esterno della galleria (smarino). La rimozione meccanica è la tecnica operativa più usata nei si- stemi di avanzamento convenzionale. Per questa operazione si adoperano pale meccaniche o escavatori che caricano il materiale su dumpers o camion, i quali trasportano il “marino” in apposite discariche esterne. In alcune situa- zioni è necessario mettere contemporaneamente in sicurezza il fronte prov-

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

Disgaggio (a sinistra) e smarino (a destra) con l’escavatore

Posa centine di prerivestimento

vedendo al “disgaggio” di parti di roccia instabili sulle pareti o in calotta che potrebbero costituire un pericolo potendo crollare nel prosieguo delle attività.

Il prerivestimento ha la finalità di mettere in equilibrio a breve termine la ca- vità, soprattutto se lo scavo ha interessato rocce di cattiva qualità e in gene- rale quando le condizioni degli ammassi rocciosi non sono stabili. È necessario, quindi, armare la volta e le pareti della galleria mediante la posa di centine (profilati metallici a forma di arco) e/o reti elettrosaldate e getti di spritz beton, definendone così il profilo. Per questa operazione viene utiliz- zato un apposito mezzo posacentine, dotato di cestello.

Le murette hanno funzione di sostegno e di rivestimento, ma servono anche come appoggio dei binari sui quali si muovono le macchine per l’impermea-

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

Arco rovescio: armo (a sinistra) e getto (a destra)

bilizzazione della calotta o il cassero per i getti della calotta e dell’arco rove- scio. Vengono realizzate in posizione arretrata rispetto al fronte, previo scavo sui due lati della galleria di trincee che vengono impermeabilizzate, e nelle quali sono poi posizionate le cassaforme e gettato il calcestruzzo. In questa fase del ciclo vengono utilizzati l’escavatore e il camion per il trasporto del materiale scavato, nonché i mezzi tradizionalmente adoperati per il getto del calcestruzzo.

L’arco rovescio, in calcestruzzo rinforzato da armatura in ferro, si spinge al di sotto del piano stradale e viene realizzato in continuità con le pareti della galleria. Questo arco di contenimento distribuisce la pressione esercitata dalla roccia e conferisce resistenza meccanica alla galleria. È sempre neces- sario in presenza di rocce sciolte (coerenti e incoerenti) o di rocce spingenti:

in questi casi può essere realizzato al passo con il fronte, oppure in momenti successivi. Anche in questa fase i mezzi utilizzati sono l’escavatore, la pala meccanica, il camion per il trasporto del materiale scavato, e l’autobetoniera per il getto del calcestruzzo.

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

Impermeabilizzazione

L’impermeabilizzazione, quasi sempre necessaria, consiste nell’applicare un manto in PVC e/o geotessuti su tutte le pareti di scavo e sulla volta al fine di preservare l’opera dalle infiltrazioni d’acqua.

L’ultima fase di lavoro è la realizzazione del rivestimento definitivo di calotta e piedritti che viene eseguito mediante getti di calcestruzzo, eventualmente armato, sulle pareti della galleria. Per tale operazione sono necessari casseri metallici, cioè forme in lamiera metallica sostenute da un telaio portante al- l’interno delle quali effettuare il getto, montati su un carro di movimentazione che si sposta per tutta la lunghezza della galleria.

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Strategie di misura

Prima di avviare il cantiere per lo scavo di una galleria, ovvero ancora in fase progettuale, è necessario definire le misure di prevenzione e protezione da adottare (cap. 10).

Infatti, ai sensi del D.Lgs. 81/2008 - Titolo IX (come pure della previgente le- gislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro), le misure di prevenzione e protezione di carattere generale devono poter essere applicate ancor prima del concreto avvio delle operazioni di cantiere. In altri termini, qualsiasi va- lutazione puntuale ed approfondita del rischio chimico non può prescindere dall’attuazione preliminare e prioritaria da parte del datore di lavoro dei prin- cipi e delle misure generali di tutela dei lavoratori.

La misura dell’esposizione a SLC respirabile in un ambiente di lavoro è sem- pre finalizzata al confronto con il valore limite. Tuttavia, come si è preceden- temente evidenziato (cap. 2), l’Europa e l’Italia non hanno ancora stabilito l’entità di tale valore. Nel nostro paese vengono utilizzati valori diversi in con- testi diversi e di questo si deve tener conto nell’affrontare la problematica dell’esposizione a SLC.

Per quanto riguarda l’esposizione a polveri silicotigene, al fine di dimensio- nare preventivamente gli interventi, è quindi necessaria l’identificazione del- l’esposizione potenziale e una “analisi di base” predittiva dell’entità di tale esposizione basata su un “giudizio professionale”.

Una volta avviato il cantiere di scavo, dovrà essere effettuata una “prima valu- tazione” dell’esposizione professionale per tutte le mansioni attive nel cantiere.

La nostra Legislazione dà precise indicazioni sulle metodiche a cui far riferi- mento per la misurazione degli agenti che possono presentare un rischio per la salute negli ambienti di lavoro. Le strategie adottabili per una corretta va- lutazione del rischio da esposizioni a polveri contenenti silice sono descritte nella norma UNI EN 689, mentre i requisiti generali per le prestazioni dei pro- cedimenti di misura sono dettati dalla UNI EN 482. Entrambe le norme sono citate dal D.Lgs. 81/2008 al Titolo IX, Capo I - Protezione da agenti chimici, laddove all’art. 225 (Misure specifiche di protezione e di prevenzione) si fa menzione dell’Allegato XLI dello stesso decreto contenente l’elenco, dichia- ratamente non esaustivo, delle metodiche standardizzate di riferimento.

5 Strategie e tecniche di misura

della concentrazione di SLC respirabile

nei lavori di costruzione di gallerie

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La norma UNI EN 689 descrive le strategie e le metodologie utili per misurare la concentrazione degli agenti chimici aerodispersi, rapportare l’esposizione inalatoria degli operatori con i valori limite, consentire il confronto dei dati nel tempo, definire la periodicità delle misure. Tuttavia, la norma non stabili- sce alcuna “procedura formale” per decidere se le esposizioni sono al di sotto del valore limite, lasciando spazio a diverse modalità di applicazione ed interpretazione delle indicazioni fornite.

La corretta valutazione del rischio silicosi prevede che vengano assunti criteri precisi e metodologie consolidate in tema di:

- strategia di campionamento;

- sistemi di prelievo della frazione respirabile delle polveri aerodisperse;

- tecniche d’analisi dei campioni prelevati;

- trattazione statistica dei dati di campionamento;

- valutazione della conformità con il valore limite di esposizione.

La norma UNI EN 482 indica che, al fine di valutare l’esposizione professio- nale da confrontare con il valore limite, l’utilizzo di postazioni di misura fisse è consentito solo se in grado di rappresentare l’effettiva esposizione del la- voratore. Nel caso degli addetti che operano nella costruzione delle gallerie, data la tipologia delle lavorazioni, il campionamento ambientale non può es- sere considerato adeguato e solo il campionamento personale, effettuato per mansione, può garantire la rappresentatività delle esposizioni professio- nali. Pertanto, deve essere stabilito uno schema di lavoro che preveda il campionamento delle polveri di tipo personale. La strategia può convenien- temente essere studiata in modo da assicurare la rappresentatività dei risul- tati al costo più contenuto possibile. Il momento migliore per eseguire i campionamenti dovrà, evidentemente, tenere conto della successione delle operazioni di cantiere fra l’inizio dello scavo e la data prevedibile per la con- clusione dei lavori stessi. Effettuati i campionamenti e le analisi di laboratorio, i risultati saranno elaborati ottenendo i valori di esposizione per mansione (“prima valutazione”).

Le misure progettuali adottate per contenere la polverosità del posto di lavoro potranno essere ritenute adeguate se l’esposizione risulterà ben al di sotto del valore limite, in conformità alla norma UNI EN 689. Diversamente, do- vranno essere messi a punto ed adottati interventi in grado di ridurre la con- centrazione di SLC (cap. 10). Successivamente all’implementazione degli interventi, il programma di misure previste nello schema di lavoro verrà ripe- tuto per accertare l’efficacia dei provvedimenti adottati. Nel caso non risulti possibile ridurre l’esposizione al di sotto del valore limite, sarà necessario adottare misure di “protezione” dei lavoratori che garantiscano il rispetto del valore limite.

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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La norma UNI EN 689 precisa che nel caso di consistenti modifiche delle con- dizioni operative, la valutazione dell’esposizione professionale debba essere ri- petuta. Per ciò che riguarda lo scavo di gallerie, questo implica una nuova valutazione del rischio silicosi quando l’avanzamento del fronte di scavo inter- cetta una formazione rocciosa con contenuto di quarzo significativamente su- periore a quello caratteristico del tratto precedente, già oggetto di valutazione dell’esposizione. L’eventualità di dover predisporre una nuova valutazione del- l’esposizione a SLC è, naturalmente, prevedibile già in fase progettuale, e de- sumibile dai tipi di formazioni geologiche che ci si aspetta di incontrare lungo il tracciato della galleria in base alle sezioni geologiche di progetto.

Per quanto riguarda la scelta degli addetti da sottoporre alle misurazioni di esposizione, possono naturalmente essere fornite solo delle indicazioni ge- nerali. L’approccio migliore prevede la suddivisione del personale in gruppi omogenei rispetto all’esposizione. Nelle attività che si svolgono sul fronte di scavo di una galleria il gruppo omogeneo è rappresentato dagli addetti ad una stessa mansione; si possono, per esempio, considerare le mansioni ti- piche di caposquadra, escavatorista, palista, lancista, autista, fuochino e ad- detto alla perforazione. Per ogni mansione dovrà essere scelto il numero di addetti da includere nei campionamenti. La norma UNI EN 689 indica, come regola generale, che il campionamento dovrebbe essere eseguito per almeno un addetto su dieci per ogni mansione. Nei cantieri di scavo in galleria rara- mente sono presenti più di 10 addetti per mansione, quindi un solo addetto potrebbe generalmente già essere sufficiente a rappresentare la mansione, anche se è comunque preferibile sottoporre a misura più addetti per man- sione. Nel caso di misure su più addetti di un gruppo omogeneo, sarà nor- male riscontrare differenze nei valori misurati. Di regola, nell’ambito di una mansione è da considerare anomala una singola esposizione che risulti mi- nore della metà o maggiore del doppio della media aritmetica dei valori di esposizione riscontrati per il gruppo omogeneo.

Per ottenere misure rappresentative dell’esposizione a SLC per gli addetti ad una specifica mansione è necessario effettuare campionamenti che comprendano tutte le diverse fasi operative a cui la mansione è associata, con modalità e tempi proporzionati all’effettiva attuazione. Quindi, il luogo, il momento e la durata del campionamento sono decisivi. Molte attività la- vorative sono caratterizzate da una modesta variabilità nel tempo e il cam- pionamento a lungo termine (generalmente un periodo compreso fra 2 e 8 ore nel turno di lavoro) fornisce un quadro adeguato a misurare l’effettiva variabilità nelle caratteristiche di esposizione individuale all’aria inquinata.

La norma UNI EN 689 specifica che nel caso di campionamenti di polvere su filtro è necessaria una durata di campionamento di almeno 1 ora. La du- rata del campionamento può variare anche in funzione del numero di ad-

Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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detti per mansione sottoposti a misurazione: nel turno di lavoro, per 1 ora di campionamento il numero minimo di addetti per mansione da sottoporre a misurazione è pari a 2, mentre un solo addetto può essere rappresenta- tivo nel caso di campionamenti di 2 o più ore. La norma evidenzia, comun- que, che i tempi non campionati costituiscono un punto di debolezza per la rappresentatività di una misura di esposizione.

Nei casi in cui il ciclo di lavoro sia costituito da fasi distinte, la norma UNI EN 482 prevede la possibilità della misurazione “a step” in alternativa alla misure a lungo termine. Determinata la concentrazione media di SLC per ciascuna fase di lavoro, l’esposizione del lavoratore viene calcolata come concentra- zione media pesata delle singole fasi. Esempi di calcolo della concentrazione di esposizione professionale sono riportati nella norma UNI EN 689. Nei cal- coli si deve tener presente che le esposizioni professionali in qualsiasi pe- riodo di turno sono considerate equivalenti ad una singola esposizione uniforme per 8 ore di esposizione (media ponderata di 8 ore TWA).

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

Esempio di calcolo dell’esposizione personale a SLC respirabile per le mansioni di escavatorista e palista

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Seguendo lo spirito della norma, nello schema della pagina precedente è riportato un esempio applicativo di misure personali di concentrazione di SLC e di calcolo dell’esposizione per mansione per il caso di una galleria, messo a punto nel corso di accertamenti INAIL. Sono rappresentate le mi- sure eseguite in più giorni sugli addetti a due mansioni durante le opera- zioni di scavo con metodi convenzionali.

La strategia di misurazione è necessariamente basata su un approccio che consenta una razionalizzazione delle risorse. A tal fine può essere adottata una strategia di misurazione diretta inizialmente a determinare l’entità del- l’esposizione nelle condizioni peggiori, che nelle attività di scavo di gallerie si riscontrano normalmente sul fronte di avanzamento, nello scavo e nelle operazioni di perforazione della roccia per il preconsolidamento. Qualora i risultati delle misurazioni nelle condizioni peggiori si collochino ben al di sotto del valore limite considerato, si può generalmente presumere che anche le altre attività lavorative nel cantiere si svolgano in condizioni di esposizione inferiori al valore limite.

Le linee guida tracciate dalla UNI EN 689 applicate alle attività di scavo in galleria sono sintetizzate nella Tabella riportata nella pagina successiva.

Per quanto riguarda le caratteristiche che il sistema di misura (campiona- mento sul luogo di lavoro e successiva analisi in laboratorio) deve essere in grado di soddisfare, la norma UNI EN 482 specifica che esso dovrebbe es- sere in grado di rilevare un intervallo di concentrazioni dell’agente chimico compreso fra 0,1 e 2 volte il suo valore limite (VL), nel caso di misure su lungo termine. Quindi, per le misure su lungo termine e considerando le due enun- ciazioni del valore limite della SLC più ampiamente usate in Italia (cap. 2):

- per un VL di 0,025 mg/m3, il sistema dovrebbe essere in grado di rilevare concentrazioni di SLC fino a 0,0025 mg/m3;

- per un VL di 0,050 mg/m3, il sistema dovrebbe essere in grado di rilevare concentrazioni di SLC fino a 0,005 mg/m3.

L’incertezza estesa relativa della misura, ottenuta come somma dell’incer- tezza del campionamento e dell’incertezza dell’analisi di laboratorio, do- vrebbe essere ≤50%. La norma riporta un dettagliato e complesso procedimento per il calcolo dell’incertezza di misura.

Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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I requisiti sopra riportati, di riferimento per tutte le sostanze chimiche, sono particolarmente difficili da rispettare nel caso della SLC, almeno se si consi- derano i VL sopra indicati.

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

Fasi della strategia di valutazione dell’esposizione professionale per le attività di scavo in galleria, secondo la UNI EN 689

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

Linea di campionamento personale

Strumentazione per il campionamento delle polveri respirabili

La valutazione dell’esposizione professionale a SLC si basa su campiona- menti personali della frazione respirabile della polvere aerodispersa.

Il sistema di prelievo personale della polvere respirabile prevede solitamente:

- un campionatore (selettore) in grado di selezionare la frazione respirabile della polvere (per es. un ciclone);

- un substrato di raccolta della polvere respirabile (per es. un filtro);

- un sistema di aspirazione dell’aria (per es. una pompa, collegata al cam- pionatore attraverso un tubo).

Il campionatore (selettore) per il prelievo del particolato respirabile deve es- sere scelto in modo tale che sia garantita la conformità allo standard UNI EN 481. Nella recente revisione del metodo UNICHIM MU 2010, riguardante la determinazione gravimetrica della frazione respirabile delle particelle aero- disperse, è riportato un ampio elenco di campionatori/selettori che, secondo

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quanto dichiarato dai costruttori, garantiscono la conformità allo standard UNI. Ogni campionatore deve essere utilizzato con il flusso di aspirazione predeterminato dal costruttore. Con i campionatori attualmente disponibili, il range dei valori di flusso varia da 1,7 a 10 litri al minuto. È utile far presente che, benché tutti i campionatori in commercio siano dotati di dichiarazioni dei rispettivi costruttori che attestano l’idoneità dell’efficienza di campiona- mento della polvere respirabile, evidenze sperimentali dimostrano che in al- cuni casi i risultati ottenuti utilizzando campionatori diversi sono significativamente differenti. La soluzione del problema è allo studio e nel fu- turo porterà probabilmente alla modifica delle norme europee che regolano le caratteristiche costruttive di questi dispositivi.

La scelta del mezzo filtrante su cui si deposita il particolato va fatta consi- derando la compatibilità con il tipo di campionatore e con il metodo analitico da impiegare. Alcuni campionatori possono essere utilizzati solo con speci- fiche schiume da cui il particolato va successivamente recuperato per essere ridepositato su substrato filtrante ed avviato all’analisi. Tuttavia, la maggio- ranza dei campionatori, per esempio i cicloni, richiede l’uso di filtri a mem- brana e permette la successiva analisi diretta. Tenendo presente che una determinazione analitica esaustiva comporta sia l’analisi gravimetrica (per quantificare le polveri respirabili nel loro insieme) che l’analisi diffrattometrica (per quantificare la frazione di SLC), fra i tipi di filtro reperibili sul mercato sono consigliabili le tipologie in argento, polivinilcloruro (PVC) ed esteri misti di cellulosa (riportati in ordine decrescente sia di qualità del dato analitico ottenibile che di costo). Nel caso in cui per la determinazione quantitativa della SLC venga utilizzata l’analisi in spettrometria infrarossa, i filtri d’argento non possono essere utilizzati per il campionamento.

Come già evidenziato, il tipo di filtro a membrana impiegato influisce sulla qualità del risultato. Per quanto riguarda l’analisi gravimetrica, il peso del substrato può subire, infatti, variazioni in funzione delle cariche elettrostatiche superficiali e dell’umidità relativa e ciò richiede che anche le bilance di pre- cisione siano sufficientemente sensibili e rispondano a specifici requisiti de- scritti da appositi standard di buone prassi. Nell’analisi in diffrattometria dei raggi X, il materiale che costituisce il filtro produce un rumore di fondo; ma- teriali diversi determinano una migliore o peggiore leggibilità del picco dif- frattometrico di interesse (e quindi una diversa incertezza di misura); alcuni tipi di filtri producono significative interferenze con i picchi diffrattometrici delle fasi di SLC.

Le pompe da impiegare per il campionamento personale devono possedere specifiche caratteristiche indicate nella norma UNI EN 1232. Per il campio- namento personale, durante il prelievo d’aria, la pompa deve essere posi- zionata all’altezza della vita dell’operatore, attaccata alla cintura o ad altro

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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sistema analogo (ad esempio, un sistema di cintura e tracolla), in modo che non intralci il normale svolgimento dell’attività lavorativa. Il tubo di raccordo tra pompa e selettore non deve essere soggetto a strozzature o piegature mentre la testa del selettore dimensionale deve essere posizionata nelle vi- cinanze della zona respiratoria del lavoratore, ad una distanza non superiore a 30 cm dalla bocca o dal naso.

Analisi di laboratorio

A termine del campionamento il filtro viene inviato in laboratorio per le analisi strumentali, per quantificare la massa di SLC (solitamente il quarzo) che, rap- portata al volume di aria campionata, fornisce il livello di concentrazione, espresso in mg/m3.

L’analisi gravimetrica effettuata su bilancia analitica, fornisce, per lettura dif- ferenziale prima e dopo il campionamento, la massa di polvere respirabile campionata. Successivamente, questo valore consentirà di determinare il te- nore percentuale di quarzo nella polvere respirabile.

Per l’analisi delle fasi di SLC possono essere applicate due tecniche analitiche:

- diffrattometria dei raggi X (DRX);

- spettrometria infrarossa a trasformata di Fourier (FT-IR).

Per entrambe le tecniche sono applicate diverse metodiche, messe a punto e validate da organismi ed enti di normazione internazionali. La DRX, basata sulla risposta delle fasi cristalline all’irraggiamento con raggi X, è la tecnica attualmente più utilizzata in Italia per la determinazione della SLC su filtro.

Il metodo UNICHIM MU 2398, di recente pubblicazione, descrive un metodo di analisi diffrattometrico a standard esterno per il dosaggio della SLC in campioni aerodispersi. Oltre ad affrontare nel dettaglio i passi procedurali di cui consta il dosaggio della SLC (materiali e strumentazioni per il campiona- mento e per le analisi di laboratorio, campionamento, analisi gravimetrica, analisi DRX qualitativa e quantitativa), il metodo contiene specifiche indica- zioni sulla conservazione dei filtri-campione impiegati per la costruzione della retta di taratura, l’incertezza di misura dell’analisi ed il rapporto di prova

“tipo”. Inoltre il metodo, che per la fase di campionamento della frazione re- spirabile di polvere fa esplicito riferimento al MU 2010, affronta nel dettaglio, in una serie di appendici, i seguenti fattori ritenuti critici ai fini della qualità, in termini di accuratezza e precisione, del dato analitico:

- membrane filtranti;

- caratteristiche e proprietà dei materiali di riferimento della SLC;

- sistemi di impolveramento dei campioni di riferimento;

Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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- caratteristiche diffrattometriche delle fasi cristalline;

- settaggi strumentali del diffrattometro a raggi X e programmi di scansione;

- correzione dell’assorbimento dei raggi X dovuto all’effetto matrice;

- preparazione dei campioni di riferimento per le rette di taratura;

- costruzione delle rette di taratura e determinazione del minimo valore rivelabile;

- analisi delle interferenze.

Una volta quantificata l’esposizione professionale, i dati rilevati vengono con- frontati con il valore limite (cap. 5).

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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Il paesaggio umbro-marchigiano è modellato in rocce che si sono formate e trasformate nell’arco di oltre 200 milioni di anni. La successione geologica è rappresentata quasi per intero da rocce sedimentarie di origine marina.

6 Geologia dell’Appennino umbro-marchigiano

Complessi litologici nella regione umbro-marchigiana e localizzazione degli affioramenti campionati dall’INAIL

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Le rocce più antiche sono prevalentemente calcaree, più o meno ricche di selce e intervallate a depositi argillosi e marnosi, che gli eventi geologici hanno spinto in affioramento a costituire l’ossatura dell’Appennino umbro- marchigiano. Queste “rocce carbonatiche” formano il 30% del territorio (area verde in Figura).

La dorsale montuosa è bordata da rocce marnoso-arenacee stratificate (aree gialle dei bacini umbro e marchigiano in Figura), che complessivamente in- teressano il 34% dell’area umbro-marchigiana.

Terreni più giovani, costituiti da depositi continentali argillosi e sabbiosi, oc- cupano vaste aree vallive e pedemontane, rappresentando il 35% dell’esten- sione delle due regioni (area bianca in figura).

Sul territorio, le rocce si presentano in successioni di strati sovrapposti; ana- lizzandone le variazioni litologiche è possibile “leggere” l’evoluzione degli ambienti in cui esse si sono formate. A tal proposito, è utile riportare qualche definizione che faciliti la comprensione del linguaggio geologico.

Una serie di strati sovrapposti che presentano tra loro analogie litologiche riconducibili ad un ambiente di formazione omogeneo, costituisce una formazione geologica.

Una successione di più formazioni geologiche forma una serie stratigrafica.

Questa è caratteristica di ciascuna località e testimonia gli eventi geologici in essa avvenuti: aree che presentano la stessa serie stratigrafica hanno su- bito i medesimi eventi geologici.

L’ambiente di formazione della successione umbro-marchigiana è legato al frazionamento del continente Pangea che portò, tra la fine del Paleozoico e l’inizio del Mesozoico, circa 250 milioni di anni fa, alla disarticolazione di zolle minori interposte tra la placca europea e quella africana e all’apertura di sol- chi oceanici. La progressiva apertura di un oceano oggi scomparso portò alla individuazione del vasto dominio paleogeografico marino umbro-mar- chigiano, del dominio toscano a Nordovest e della piattaforma laziale-abruz- zese a Sud. Per dominio paleogeografico si intende un’area molto vasta corrispondente ad un particolare ambiente di sedimentazione marina, indi- viduabile studiando le caratteristiche litologiche, il contenuto fossilifero, le strutture sedimentarie delle successioni geologiche su scala regionale e l’età dei terreni.

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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Nell’evoluzione del dominio umbro-marchigiano si distinguono tre tappe fon- damentali. Nella successione geologica si possono infatti evidenziare (Società Geologica Italiana, 1994):

- una parte basale, formata in ambienti costieri con bacini evaporatici e in ambienti marini di acqua bassa, che risale all’intervallo tra i periodi Trias- sico superiore e Giurassico inferiore (220-180 milioni di anni fa);

- una parte media, deposta in ambiente di mare aperto (ambiente pelagico), nell’arco temporale tra i periodi Giurassico medio e Paleogene (180-24 mi- lioni di anni fa);

Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

Colonna stratigrafica della successione umbro-marchigiana

Parte superiore della successione

Parte media della successione

Parte basale della successione

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- una parte superiore, torbiditica, formata in ambiente marino profondo nel- l’epoca Miocene (24-5 milioni di anni fa).

La colonna stratigrafica rappresenta una tipica successione delle formazioni geologiche dell’Appennino umbro-marchigiano. Naturalmente, la variabilità degli spessori a scala regionale può essere notevole, e non tutte le formazioni sono presenti in un’unica colonna stratigrafica valida per tutta questa por- zione dell’Appennino.

Parte basale della successione geologica (Triassico superiore - Giurassico inferiore)

Nel Triassico superiore l’area umbro-marchigiana fu occupata da un esteso bacino evaporitico in cui si depositarono i materiali che oggi costituiscono la formazione delle Anidriti del Burano (alternanze di gesso e dolomia o brecce calcaree) per uno spessore presunto di oltre 1000 m che però si rin- viene in affioramento in poche località, e perciò non è stata inclusa in questo studio. Successivamente, mutate le condizioni climatiche, si depositarono i sedimenti carbonatici delle formazioni delle Dolomie del Monte Cetona, nelle regioni in esame rappresentate da limitati affioramenti, e del “Calcare Mas- siccio”, compatto, stratificato in banchi di molti metri di spessore e privo di intercalazioni significative. Lo spessore complessivo del Calcare Massiccio raggiunge i 700-800 m.

Parte media della successione geologica (Giurassico medio - Paleogene)

Per effetto di azione tettoniche distensive, connesse all’apertura del ba- cino oceanico ligure, la piattaforma carbonatica che si era formata nel Triassico si frammentò e in alcune aree gradualmente sprofondò. II feno- meno tettonico provocò la suddivisione dell’area corrispondente all’Ap- pennino centrale in due domini paleogeografici ben definiti: la piattaforma laziale-abruzzese che rimase in condizioni di mare basso, ed il bacino umbro-marchigiano che fu soggetto ad una rapida subsidenza ed accolse una sedimentazione di mare aperto. Il bacino marino che si formò dopo l’annegamento della piattaforma triassica presentava un fondale estre- mamente articolato con blocchi diversamente rialzati ed inclinati. Queste variazioni nella batimetria e nella velocità di subsidenza sono registrate da successioni sedimentarie diverse da zona a zona. Le formazioni geo-

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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logiche, in successione cronologica dalla più antica alla più giovane, sono elencate di seguito.

“Corniola”: calcare micritico grigio, omogeneo e regolarmente stratifi- cato; spessore variabile da qualche metro a 200 m con strati di 20-40 cm; presenta selce in liste e noduli soprattutto nella parte alta della for- mazione.

“Rosso Ammonitico”: alternanze di livelli di marne e calcari rossi; il tenore in argilla diminuisce verso l’alto stratigrafico; ricco in fossili di ammoniti.

Lo spessore è compreso fra qualche metro e 40 m.

“Calcari e marne a Posidonia”: marne nella parte basale passanti a cal- cari a grana molto fine (micritici) caratterizzati dalla presenza di gusci di posidonia (molluschi lamellibranchi). Lo spessore può raggiungere alcune decine di metri.

“Calcari diasprigni”: nella parte alta, calcari a grana molto fine sottilmente stratificati contenenti fossili di aptici (opercoli dei gusci delle ammoniti) ed echinodermi; nella parte inferiore con fitte intercalazioni di lenti e noduli di selce. Lo spessore complessivo può arrivare a circa 100 m.

“Maiolica”: calcari micritici bianchi ben stratificati con selce grigio-nera per uno spessore variabile da 20 a 400 m. Presenta nella parte alta livelli marnoso-argillosi scuri, in frequenza e spessore crescenti al passaggio con la sovrastante formazione.

“Marne a fucoidi”: argille marnose, marne e in subordine calcari marnosi per uno spessore di 45-90 m. Gli strati presentano le tipiche impronte di scavo (fucoidi) prodotte da organismi animali.

“Scaglia bianca”: calcari micritici bianchi ben stratificati, con selce nera o grigia e con interstrati marnosi, per uno spessore di 40-70 m.

“Scaglia rossa”: calcari micritici regolarmente stratificati (10-15 cm) con intercalazioni marnose e selcifere rossastre per uno spessore di 150-400 m.

“Scaglia variegata”: calcari marnosi e marne calcaree stratificati per uno spessore di 20-50 m, di colore variabile dal rosa al bianco, e dal bianco al grigio-verde.

Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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“Scaglia cinerea”: marne e calcari marnosi color grigio o grigio-verde per uno spessore di 100-200 m.

In tutta l’area umbro-marchigiana la parte sommitale, selcifera, ha termine con un orizzonte vulcanoclastico (livello Raffaello) corrispondente al limite Oligocene-Miocene (risalente a circa 24 milioni di anni fa).

Parte superiore della successione geologica (Miocene)

Nel Miocene il dominio umbro-marchigiano fu soggetto a fasi di corruga- mento che modificarono la morfologia dei fondali ed influenzarono la sedi- mentazione. Si individuarono dei bacini orientati in senso appenninico che si spostarono progressivamente verso Est. Le successioni che si deposero in questi bacini sono caratterizzate inizialmente dai prodotti dell’attività vul- canica connessa all’orogenesi e successivamente dalla presenza di elevati spessori di torbiditi (sedimenti clastici che si depositano sul fondo marino in corrispondenza del piede della scarpata continentale in seguito all’apporto di grandi volumi di materiali provenienti dall’erosione delle terre emerse). La sequenza sedimentaria inizia con la deposizione del “Bisciaro”: marne e cal- cari marnosi grigi e grigio-verdi con selce grigio-nera e intercalazioni di ci- neriti, tufiti e bentoniti vulcaniche. Lo spessore è variabile da 15 a 70-100 m.

Nelle Marche, al di sopra del Bisciaro è presente la formazione dello

“Schlier”: alternanze di marne e marne argillose in strati sottili e da torbiditi calcaree in strati più spessi. Lo spessore varia da pochi metri a 400 metri.

Nel bacino umbro, più antico rispetto ai bacini marchigiani, si deposita il complesso di sedimenti torbiditici della “Formazione Marnoso-Arenacea”:

marne emipelagiche e successivamente arenarie torbiditiche; si distinguono successioni differenti in base alle caratteristiche litologiche e all’età proce- dendo da Ovest verso Est. Gli spessori arrivano fino a 2000 m. Inglobati nella formazione si trovano i depositi del “Complesso argilloso di Casaca- stalda”: argille in giacitura caotica, tipica di un olistostroma, con frammenti di calcari marnosi, selci e calciruditi a Pecten; costituiscono una massa con forma e dimensioni irregolari, con estensione fino a diverse decine di metri.

Nelle Marche, al di sopra dello Schlier le successioni torbiditiche si accumu- larono in una serie di bacini minori, caratterizzati da depositi marnoso are- nacei che colmarono depressioni strette e allungate. Fra le diverse formazioni geologiche distinte dai geologi, in questo studio sono stati effettuati cam- pionamenti di rocce nelle “Arenarie di Matelica (o di Camerino)” e nelle

“Arenarie di Serraspinosa”.

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Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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Nel Miocene superiore l’area umbra entrò in piena fase di deformazione ed arrivò ad emergere, mentre buona parte dell’area marchigiana rimase sog- getta a sedimentazione marina. Nel Messiniano (fra 6 e 5 milioni di anni fa) il collegamento con l’Oceano Atlantico subì diverse interruzioni, il Mar Medi- terraneo venne parzialmente prosciugato e la forte evaporazione delle acque marine determinò l’accumulo sui fondali marchigiani dei depositi evaporitici legati alla crisi di salinità noti come “Formazione Gessoso-Solfifera”: de- positi di gesso, arenarie gessose, gessareniti, calcari solfiferi, argille, con spessori massimi di circa 200 m. La formazione Gessoso-Solfifera è seguita dalla “Formazione a Colombacci”: depositi di acque salmastre, con argille marnose e intercalati banchi arenacei. Lo spessore massimo è di 120 m.

Nel Pliocene buona parte dell’Umbria fu nuovamente invasa dal mare, si for- marono depositi marini e continentali di sabbie e conglomerati, argille, limi.

Valutazione dell’esposizione a silice libera cristallina nello scavo di gallerie Appennino umbro-marchigiano

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Per determinare il contenuto di quarzo in una successione di rocce è in- nanzitutto necessario conoscere la litostratigrafia del territorio. La litostra- tigrafia suddivide e gerarchizza le successioni rocciose in unità formali, distinte sulla base della loro litologia, cioè dei caratteri fisico-chimici (com- posizione, tessitura, strutture, colore) che definiscono l’aspetto di una roccia (APAT, 2002).

L’unità litostratigrafica fondamentale è la formazione geologica, che indivi- dua un corpo roccioso distinguibile da quelli adiacenti sulla base delle ca- ratteristiche litologiche e dalla sua posizione stratigrafica (età, generalmente stabilita in base al contenuto fossilifero). Una formazione può avere al suo interno discontinuità deposizionali, è però fondamentale che sia facilmente riconoscibile sul terreno, che sia cartografabile e che abbia una complessiva omogeneità litologica.

Le carte geologiche riportano le aree di affioramento delle formazioni. Le for- mazioni istituite dalla Commissione Italiana di Stratigrafia sono riportate nel

“Catalogo delle Formazioni - Carta Geologica d’Italia 1:50.000”, pubblicato da APAT e CNR. In ogni caso, l’evoluzione delle conoscenze fa sì che l’inter- pretazione delle caratteristiche delle formazioni geologiche sia soggetta ad una certa mutevolezza, e persino le loro denominazioni sono spesso oggetto di dibattito e revisione.

Nell’Appendice sono riportati, sotto forma di schede, i dati relativi al con- tenuto in quarzo delle formazioni geologiche umbro-marchigiane, così come ottenuti nello studio INAIL. A questo scopo i geologi dell’Istituto hanno effettuato campionamenti in 8 località dell’Appennino umbro-mar- chigiano (cap. 6), prelevando complessivamente 153 campioni di roccia, analizzati poi in diffrattometria dei raggi X nel Laboratorio CONTARP di Roma.

Nell’Appendice è anche descritto il metodo adottato per il calcolo del con- tenuto medio di quarzo nelle formazioni geologiche, che tiene conto della variabilità dei litotipi che costituiscono ogni formazione. Tipicamente, infatti, a causa delle variazioni ambientali che si ripetono ciclicamente nel tempo, una formazione è costituita da un’alternanza di due o più litotipi. Nel calcolo del contenuto di quarzo si è anche tenuto conto della variabilità da luogo a luogo delle caratteristiche della formazione.

7 Contenuto di quarzo nelle formazioni

umbro-marchigiane

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La Tabella che segue riassume i risultati delle elaborazioni, riportati in detta- glio nelle schede dell’Appendice.

Per ogni formazione geologica descritta nel cap. 6, sono indicati in propor- zione i diversi litotipi individuati, rappresentati con le seguenti sigle:

C calcare

CM calcare marnoso M marna

MA marna argillosa A argilla

AR arenaria S selce

Per i diversi litotipi è riportato poi il contenuto percentuale in quarzo nei valori medi e nei valori estremi indicando la condizione più favorevole e la più av- versa presente sul territorio umbro-marchigiano.

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