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Nefropatia diabetica: nuove e vecchie strategie terapeutiche confermano il ruolo fondamentale del controllo glicemico

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Academic year: 2021

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Dalla Letteratura

Nefropatia diabetica:

nuove e vecchie strategie terapeutiche confermano il ruolo fondamentale

del controllo glicemico

Inibizione combinata dell’angiotensina per il trattamento della nefropatia diabetica

N Engl J Med 2013;369(20):1892-903 Fried LF1, Emanuele N2, Zhang JH3, Brophy M5, Conine TA6, Duckworth W7, Leehey DJ2, McCullough PA8, O’Connor T3, Palevsky PM1, Reilly RF9, Seliger SL10, Warren SR6, Watnick S11, Peduzzi P3,4, Guarino P3; VA NEPHRON-D Investigators

1From the Veterans Affairs (VA) Pittsburgh Healthcare System and University of Pittsburgh School of Medicine, Pittsburgh; 2Hines VA Hospital, Hines, and Loyola University Medical Center, Maywood, Illinois;

3Cooperative Studies Program Coordinating Center, VA Connecticut Healthcare System, West Haven e

4Yale School of Public Health, New Haven, Connecticut; 5VA Boston Healthcare System and Boston University School of Medicine, Boston; 6VA Cooperative Studies Program Research Pharmacy and University of New Mexico College of Pharmacy, Albuquerque; 7Carl T.

Hayden VA Medical Center, Arizona State University, Tempe, and University of Arizona, Phoenix;

8St. John Providence Health System, Warren, St. John Hospital and Medical Center, Detroit, St. John Oakland Macomb Center, Warren and Madison Heights, and Providence Hospitals and Medical Centers, Southfield and Novi, Michigan;

9VA North Texas Healthcare System and University of Texas Southwestern Medical Center, Dallas; 10VA Maryland Healthcare System and University of Maryland School of Medicine, Baltimore; 11Portland VA Medical Center and Oregon Health and Sciences University, Portland

Premessa. La terapia combinata con inibitori dell’enzima di conversione dell’angio- tensina (angiotensin converting enzyme, ACE) e antagonisti del recettore dell’angio- tensina (angiotensin II receptor blockers, ARB) diminuisce la proteinuria; tuttavia, non ci sono certezze relative alla sicurezza del trattamento e ai suoi effetti sulla progressione dell’insufficienza renale.

Metodi. Dopo aver somministrato losartan (alla dose di 100 mg/die) a pazienti con dia- bete di tipo 2, un rapporto albuminuria-creatinuria (albumina misurata in milligrammi e creatinina misurata in grammi) di almeno 300 e una filtrazione glomerulare (glomeru- lar filtration rate, GFR) stimata di 30,0-89,9 ml/min/1,73 m2 di superficie corporea, essi sono stati randomizzati a ricevere lisinopril (alla dose di 10-40 mg/die) o placebo.

L’endpoint primario era il primo cambiamento nella GFR stimata (un abbassamento

≥ 30 ml/min/1,73 m2 con una GFR iniziale stimata ≥ 60 ml min/1,73 m2o un abbas- samento ≥ 50% se la GFR iniziale stimata era < 60 ml/min/1,73 m2), insufficienza re- nale all’ultimo stadio (end-stage renal disease, ESRD) o decesso. L’endpoint secondario renale era il primo verificarsi di un abbassamento della GFR stimata o ESRD. Outcome di sicurezza includevano mortalità, iperpotassiemia e danno renale acuto.

Risultati. Questo studio è stato interrotto precocemente a causa di problemi di sicu- rezza. Tra 1448 pazienti randomizzati con un follow-up mediano di 2,2 anni, ci sono stati 152 eventi di endpoint primario nel gruppo in monoterapia e 132 fra quelli in te- rapia combinata (hazard ratio con la terapia combinata, 0,88; intervallo di confidenza [IC] al 95%, 0,70-1,12; p = 0,30). Una tendenza verso un beneficio dato dalla terapia combinata nel rispetto dell’endpoint secondario (hazard ratio, 0,78; IC al 95%, 0,58- 1,05; p = 0,10) è diminuita col tempo (p = 0,02 per non proporzionalità). Non c’è stato beneficio in relazione alla mortalità (hazard ratio per mortalità, 1,04; IC al 95%, 0,73- 1,49; p = 0,75) o agli eventi cardiovascolari. La terapia combinata ha aumentato il ri- schio di iperpotassiemia (6,3 eventi per 100 persone-anni, vs 2,6 eventi per 100 persone-anni con la monoterapia; p < 0,001) e danno renale acuto (12,2 vs 6,7 eventi per 100 persone-anni, p < 0,001).

Conclusioni. La terapia combinata con ACE-inibitore e un ARB è stata associata a un aumentato rischio di eventi avversi fra i pazienti con nefropatia diabetica.

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Effetto sulla pressione sanguigna della inibizione combinata dell’enzima di conversione dell’endotelina e dell’endopeptidasi neutra con daglutril in pazienti con diabete di tipo 2 con albuminuria: uno studio randomizzato, cross-over, in doppio cieco, controllato con placebo Lancet Diabetes Endocrinol 2013;1:

19-27

Parvanova A1, van der Meer IM1,2, Iliev I1, Perna A1, Gaspari F1, Trevisan R4, Bossi A5, Remuzzi G1,3, Benigni A1, Ruggenenti P1,3, per il Daglutril in Diabetic Nephropathy Study Group

1IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare Aldo e Cele Dacc., Bergamo;

2Department of Internal Medicine, Division of Nephrology, HAGA

Premessa. Una riduzione efficace dell’albuminuria e della pressione arteriosa nei pa- zienti con diabete di tipo 2 con nefropatia viene raggiunta raramente con i trattamenti disponibili. Abbiamo valutato gli effetti del trattamento di questi pazienti con daglutril, un inibitore combinato dell’enzima di conversione dell’endotelina e dell’endopeptidasi neutra.

Metodi. Lo studio randomizzato in cross-over è stato condotto in due ospedali italiani.

I criteri di eleggibilità sono stati: età ≥ 18 anni; escrezione urinaria di albumina 20- 999 μg/min; pressione sistolica < 140 mmHg e diastolica < 90 mmHg. I pazienti sono stati assegnati in maniera casuale (1:1) da una sequenza generata random da com- puter a ricevere daglutril (300 mg/die) e poi placebo per 8 settimane ciascuno o vice- versa, con un periodo di washout di 4 settimane. I pazienti nel frattempo assumevano anche losartan. Partecipanti e ricercatori non erano a conoscenza del trattamento as- segnato. L’endpoint primario era l’escrezione urinaria di albumina nelle 24 ore nella popolazione intention-to-treat. Gli endpoint secondari erano la pressione sanguigna mediana in studio e in ambulatorio (24 ore, diurna e notturna), la funzione emodina- mica e renale, e i risultati dei test metabolici e di laboratorio.

Risultati. Sono stati sottoposti a screening 58 pazienti, 45 dei quali sono stati arruo- lati nello studio (22 assegnati a daglutril e poi placebo, 23 a placebo e poi daglutril; ar- ruolamento da maggio 2005 a dicembre 2006) e 42 (20 vs 22) sono stati inclusi nell’analisi primaria. Daglutril non ha influenzato in modo significativo rispetto al placebo l’escrezione urinaria di albumina (differenza nel cambiamento: –7,6 μg/min, IQR –78,7 a 19,0; p = 0,559). Trentaquattro pazienti hanno presentato lettura completa 24 ore della pressione sanguigna; in confronto al placebo, daglutril ha ridotto significativa- mente nelle 24 ore la pressione sistolica (–5,2 mmHg, DS 9,4; p = 0,0013), quella dia- stolica (–2,5, 6,2; p = 0,015), quella pulsata (–3,0, 6,3; p = 0,019), e quella media Bardoxolone nel diabete di tipo 2

e nello stadio 4 della insufficienza renale cronica N Engl J Med 2013;369(26):

2492-503

de Zeeuw D1, Akizawa T2, Audhya P3, Bakris GL4, Chin M3, Christ- Schmidt H6, Goldsberry A3, Houser M5, Krauth M3, Lambers Heerspink HJ1, McMurray JJ7, Meyer CJ3, Parving HH8, Remuzzi G9, Toto RD10, Vaziri ND11, Wanner C12, Wittes J6, Wrolstad D6, Chertow GM13; BEACON Trial Investigators

1University of Groningen, Groningen, the Netherlands; 2Showa University School of Medicine, Tokyo; 3Reata Pharmaceuticals, Irving, TX;

4University of Chicago e 5AbbVie Pharmaceuticals, Chicago; 6Statistics Collaborative, Washington, DC;

7University of Glasgow, Glasgow, United Kingdom; 8Rigshospitalet, University of Copenhagen, Copenhagen; 9Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico-Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Bergamo; 10University of Texas Southwestern Medical Center, Dallas; 11University of California, Irvine; 12University of Würzburg, Würzburg, Germany; 13Stanford University, Palo Alto, CA

Premessa. Nonostante gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone pos- sano rallentare la nefropatia diabetica, il rischio è ancora alto. Non si sa se gli attiva- tori del fattore nucleare 1 (eritroide-derivato 2)-fattore 2 correlato riducano ulteriormente questo rischio.

Metodi. Sono stati randomizzati 2185 pazienti con diabete mellito di tipo 2 e insuffi- cienza renale cronica allo stadio 4 (filtrazione glomerulare [GFR] stimata da 15 a < 30 ml al minuto per 1,73 m2di superficie corporea) a bardoxolone alla dose di 20 mg/die o placebo.

L’outcome primario era l’ultimo stadio della malattia renale (end-stage renal disease, ESRD) o la morte per cause cardiovascolari.

Risultati. Lo sponsor e il comitato direttivo hanno completato lo studio sulla base delle raccomandazioni del comitato indipendente per il monitoraggio dei dati e della si- curezza; il follow-up mediano è stato di 9 mesi.

I 69 su 1088 pazienti (6%) assegnati in modo randomizzato a bardoxolone e i 69 su 1097 (6%) assegnati a placebo avevano un outcome composito primario (hazard ratio nel gruppo bardoxolone metile vs gruppo placebo, 0,98; intervallo di confidenza [IC]

al 95%, 0,70-1,37; p = 0,92). Nel gruppo bardoxolone ESRD si è sviluppato in 43 pa- zienti e 27 pazienti sono morti per cause cardiovascolari; nel gruppo placebo ESRD si è sviluppato in 51 pazienti e 19 sono sono morti per cause cardiovascolari. Un to- tale di 96 pazienti nel gruppo bardoxolone è stato ospedalizzato o è morto per infarto miocardico rispetto a 55 nel gruppo placebo (hazard ratio, 1,83; IC al 95%, 1,32-2,55;

p < 0,001).

GFR, pressione arteriosa e rapporto albuminuria-creatinuria sono aumentati significa- tivamente e il peso corporeo è diminuito significativamente nel gruppo bardoxolone ri- spetto al gruppo placebo.

Conclusioni. Nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 e stadio 4 della insufficienza re- nale cronica il bardoxolone non ha ridotto il rischio di ESRD o morte per cause car- diovascolari.

Un tasso più alto di eventi cardiovascolari con bardoxolone rispetto al placebo ha por- tato all’interruzione dello studio.

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Hospital, Den Haag, Netherlands;

3Unità di Nefrologia, 4Unità di Diabetologia, Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII, Bergamo;

5Unità di Diabetologia, Ospedale di Treviglio, Bergamo giuseppe.remuzzi@marionegri.it

(–3,1, 6,2; p = 0,003), così come tutte le letture della pressione notturna e tutte quelle della pressione diurna tranne la diastolica. Inoltre, in confronto al placebo daglutril ha anche ridotto significativamente la pressione sistolica misurata nello studio medico (–5,4, 15,4; p = 0,028), ma non quella diastolica (–1,8, 9,9; p = 0,245), quella pulsata (–3,1, 10,6; p = 0,210) o quella media (–2,1, 10,4; p = 0,205) e ha aumentato la con- centrazione sierica di big-endotelina. Gli altri outcome secondari non hanno mostrato differenze significative fra i periodi di trattamento. Tre pazienti in trattamento con pla- cebo e 6 in trattamento con daglutril hanno avuto lievi eventi avversi correlati al tratta- mento; il più comune è stato edema facciale o periferico (in 4 pazienti trattati con daglutril).

Interpretazione dei dati. Daglutril ha migliorato il controllo della pressione sanguigna nei pazienti con diabete di tipo 2 e nefropatia mantenendo un profilo di sicurezza ac- cettabile. L’inibizione combinata dell’enzima di conversione dell’endotelina e dell’en- dopeptidasi neutra può rappresentare un nuovo approccio all’ipertensione in questa popolazione ad alto rischio.

Danno renale e i relativi risultati del Diabetes Control and Complications

Trial/Epidemiology of Diabetes Interventions and

Complications Study Diabetes Care 2014;37:24-30 de Boer IH; DCCT/EDIC Research Group

Division of Nephrology and Kidney Research Institute, University of Washington, Seattle, WA deboer@u.washington.edu

Obiettivo. Il danno renale si manifesta clinicamente con elevata escrezione urinaria di albumina (albumin escretion rate, AER) e filtrazione glomerulare (glomerular filtration rate, GFR) compromessa o entrambe, ed è causa di notevole morbilità e mortalità nel diabete di tipo 1 (T1D). Lo studio Diabetes Control and Complications Trial/Epidemio l- ogy of Diabetes Interventions and Complications (DCCT/EDIC) ha valutato se il tratta- mento intensivo del diabete (INT), portando il più possibile le concentrazioni del glucosio ai livelli normali, riduca il rischio di danno renale e altre complicanze del dia- bete.

Disegno dello studio e metodi. Nello studio DCCT 1441 pazienti con diabete di tipo 1 sono stati randomizzati a trattamento intensivo (INT) o convenzionale (CON) per una durata media di 6,5 anni. I partecipanti sono stati successivamente seguiti per altri 18 anni nello studio osservazionale in corso EDIC. Durante lo studio DCCT/EDIC sono state condotte misurazioni standardizzate longitudinali di AER, GFR e pressione sanguigna.

Risultati. Durante lo studio DCCT il trattamento INT ha ridotto il rischio di microalbu- minuria (AER ≥ 40 mg/24 h) e macroalbuminuria (AER ≥ 300 mg/24 h) rispettivamente del 39% (IC al 95% 21-52%) e del 54% (29-74%). Durante lo studio EDIC, anni 1-8, i partecipanti assegnati precedentemente al trattamento INT hanno continuato ad avere una bassa incidenza di micro- e macroalbuminuria con una riduzione del rischio ri- spettivamente del 59% (39-73%) e 84% (67-92%). Gli effetti positivi di INT sullo svi- luppo di una GFR scompensata (stimata come GFR < 60 ml/min/1,73 m2) e dell’ipertensione si è resa evidente durante il follow-up combinato DCCT/EDIC, con una riduzione del rischio rispettivamente del 50% (18-69%) e 20% (6-21%), rispetto al trattamento CON.

Conclusioni. Nello studio DCCT/EDIC, il trattamento INT ha dato risultati clinicamente importanti, riduzioni durature del rischio di micro- e macroalbuminuria, miglioramento del GFR e ipertensione.

Il controllo intensivo della glicemia migliora gli outcome renali nei pazienti con diabete di tipo 2

Kidney Int 2013;83:517-23 Perkovic V, Heerspink HL, Chalmers J, Woodward M, Jun M, Li Q, MacMahon S, Cooper ME, Hamet P, Marre M, Mogensen CE, Poulter N, Mancia G, Cass A, Patel A, Zoungas S; ADVANCE Collaborative Group

L’effetto del controllo intensivo della glicemia sui maggiori outcome renali nel diabete di tipo 2 resta da chiarire. A questo scopo lo studio ADVANCE ha randomizzato 11.140 par- tecipanti a una strategia intensiva per l’abbassamento del glucosio (obiettivo: emo- globina glicata, HbA1c≤ 6,5%) o a un controllo glicemico standard. Sono stati poi valutati gli effetti del trattamento su malattia renale all’ultimo stadio (end-stage renal di- sease, ESRD) che richiedeva dialisi o trapianto renale, eventi renali totali, morte per cause renali, raddoppio della creatinina oltre ai 200 μmol/l, inizio di macro- o microal- buminuria e progressione o regressione di albuminuria. Dopo un periodo di 5 anni l’HbA1cmedia era 6,5% nel gruppo in trattamento intensivo e 7,3% nel gruppo stan- dard. Il controllo glicemico intensivo ha ridotto significativamente il rischio di ESRD del 65% (20 vs 7 eventi), la microalbuminuria del 9% (1298 vs 1410 pazienti) e la macroal-

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The George Institute for Global Health, University of Sydney, Sydney, New South Wales, Australia vperkovic@georgeinstitute.org.au

buminuria del 30 % (162 vs 231 pazienti). La progressione dell’albuminuria si è ridotta significativamente del 10% e la sua regressione è aumentata significativamente del 15%. I risultati sono stati molto simili tenendo in considerazione rischi potenzialmente correlati. Il numero dei partecipanti da trattare per 5 anni per prevenire l’ESRD è va- riato da 410 nello studio complessivo a 41 partecipanti con macroalbuminuria al ba- sale. Quindi, un migliore controllo del glucosio migliorerà i principali outcome nei pazienti con diabete di tipo 2.

La nefropatia diabetica rimane una delle complicanze più te- mibili della malattia diabetica. Poiché il diabete sta assumendo le dimensioni di un’epidemia globale, anche le complicanze croniche del diabete sono in costante aumento. Circa il 30- 40% dei pazienti diabetici, sia di tipo 1 sia di tipo 2, presenta nel corso della malattia i segni della malattia renale cronica. La nefropatia diabetica è, insieme alla nefroangiosclerosi secon- daria all’ipertensione arteriosa, la causa più frequente di ma- lattia renale cronica. Come conseguenza, non solo i diabetici sono i soggetti a più elevato rischio di insufficienza renale ter- minale (con necessità di dialisi o di trapianto renale), ma anche e soprattutto a un rischio più elevato di morbilità e mortalità precoce per cause cardiovascolari. È interessante notare che l’aumentato rischio di morte per qualsiasi causa, sia nel dia- bete di tipo 1 che di tipo 2, è associato quasi interamente alla presenza di malattia renale cronica. In assenza di malattia re- nale, il rischio di morte tra le persone con diabete è simile, o di poco superiore, a quello della popolazione generale.

Il cardine del trattamento della malattia renale cronica nel dia- bete è basato sul trattamento dell’iperglicemia e dell’iperten- sione. L’utilizzo di farmaci che inibiscono il sistema renina- angiotensina si è dimostrato fondamentale non solo nel ridurre la micro- e macroalbuminuria, ma anche nel rallentare la pro- gressione del declino della funzione renale, tanto che in alcuni casi è possibile stabilizzare o, addirittura, far regredire i segni di danno renale associati al diabete. Proprio per questa azione benefica dell’inibizione del sistema renina-angiotensina, è stato ipotizzato che l’utilizzo combinato di due farmaci inibenti tale sistema fosse uno strumento adeguato per proteggere ulteriormente il rene del paziente diabetico con nefropatia dia- betica. Da anni specialisti nefrologi e diabetologi hanno ripor- tato dati, su piccole coorti di pazienti, che sembravano dimostrare la bontà del doppio blocco del sistema renina- angiotensina nel ridurre la proteinuria e la perdita di funzione renale.

Purtroppo i dati dello studio VA NEPHRON-D pubblicato re- centemente nel NEJM ha raffreddato notevolmente questa convinzione. Lo studio voleva dimostrare che il doppio blocco, un ACE-inibitore associato a un antagonista del recettore del- l’angiotensina II, era superiore al trattamento con il singolo far- maco per quanto riguardava il rischio di peggioramento della funzione renale, di dialisi e di morte nei pazienti con nefropa- tia diabetica conclamata. Lo studio è stato bloccato prema- turamente per un eccesso di rischio di eventi avversi nei pazienti trattati col doppio blocco. In particolare, il doppio blocco aumentava il rischio di iperpotassiemia e di insuffi- cienza renale acuta. Pertanto, anche se i pazienti in doppio blocco mostravano segni di ridotta progressione della malat- tia renale, tale beneficio era totalmente oscurato dai rischi acuti associati a tale terapia. Inoltre non si è osservata alcuna ridu- zione di mortalità cardiovascolare nei pazienti in doppio blocco.

È questa la fine del doppio blocco come terapia della nefro- patia diabetica con proteinuria? Sicuramente i dati di questo trial dimostrano che tale terapia, pur riducendo la proteinuria e migliorando, seppur modestamente, la perdita di funzione renale, è rischiosa e va monitorata con attenzione per evitare il rischio di iperpotassiemia e di rapido peggioramento della funzione renale. Riteniamo allo stadio attuale che il doppio blocco vada riservato solo ai pazienti con proteinuria residua elevata (> 1 g/die) dopo trattamento con ACE-inibitore o ARBs (angiotensin receptor blockers, antagonisti del recettore del- l’angiotensina). Se i pazienti dimostrano una riduzione della proteinuria, il trattamento può essere proseguito, ma va mo- nitorato in modo stretto al fine di evitare eventi avversi. Va in- vece sospeso se la proteinuria non diminuisce. Il rischio di eventi avversi è sicuramento superiore ai suoi possibili bene- fici a lungo termine.

Altrettanto deludenti sono stati i risultati ottenuti col bardoxo- lone. Il bardoxolone è una molecola che attiva dei fattori di tra-

Commento alla rassegna “Nefropatia diabetica: nuove e vecchie strategie terapeutiche confermano il ruolo fondamentale del controllo glicemico”

R. Trevisan

USC Malattie Endocrine, Diabetologia, AO Papa Giovanni XXIII, Bergamo

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scrizione nucleare che regolano i geni che svolgono azione antiossidante. Dati preliminari nell’uomo avevano dimostrato che il bardoxolone fosse in grado di aumentare la velocità di filtrazione glomerulare in pazienti con insufficienza renale se- vera o moderata, e pertanto era stata posta l’ipotesi che que- sto nuovo trattamento fosse l’ideale per i diabetici con nefropatia conclamata. Purtroppo il trial, anche questo recen- temente pubblicato sul NEJM, è stato sospeso prematura- mente per la presenza di gravi effetti avversi nel gruppo di pazienti trattati col bardoxolone. In particolare il farmaco au- mentava il rischio di insufficienza cardiaca e di eventi cardio- vascolari, aumentava la proteinuria, la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca, portava a perdita di peso e a sintomi ga- strointestinali. Anche se i motivi di tali eventi avversi non è chiaro, risulta evidente che le nuove terapie dovrebbero es- sere testate molto attentamente in fase preclinica, prima di ar- rivare alla sperimentazione nei pazienti. Il fallimento di questa nuova molecola si aggiunge ad altri insuccessi, quali l’inibi- zione della proteina chinasi C e di farmaci che riducevano la glicosilazione avanzata delle proteine.

Più promettenti invece sono stati i risultati ottenuti con daglu- tril, un farmaco nuovo che inibisce le endopeptidasi e l’enzima convertente l’endotelina in forma attiva. Il lavoro pubblicato dal Negri-Bergamo su The Lancet Diabetes & Endocrinology ha dimostrato che questa nuova molecola è in grado di mi- gliorare significativamente la pressione arteriosa sia sistolica sia diastolica in 8 settimane in pazienti diabetici ipertesi già in trattamento con losartan. Purtroppo non ha invece dimostrato alcuna capacità di riduzione dell’albuminuria.

Nonostante ciò, va ricordato quanto sia difficile il controllo pressorio nel diabetico iperteso e nefropatico. Avere a dispo- sizione un nuovo farmaco potrà offrire migliore opportunità di ottenere un controllo pressorio ottimale, essenziale per rallen- tare la perdita di funzione renale. Ovviamente altri studi, più a lungo termine e su coorti di pazienti più ampie, saranno ne- cessari prima di promuovere questa molecola a trattamento efficace per i pazienti diabetici con malattia renale.

Di fronte a questi dati deludenti o molto preliminari, emerge con sempre maggiore evidenza il ruolo del buon controllo glicemico: non solo è la migliore strategia per la prevenzione della nefropatia diabetica, ma è anche importante nel ral- lentare la progressione del danno renale nel diabetico con malattia renale cronica. A questo proposito ci è sembrato interessante segnalare due contributi apparsi recentemente nella letteratura internazionale. Nel numero di gennaio di Dia- betes Care sono stati pubblicati una serie di articoli dedicati al trentennale del DCCT, lo studio seminale per il diabete di tipo 1 che ha dimostrato l’efficacia del buon controllo nel ri- tardare le complicanze croniche. Uno degli articoli è dedi- cato ai risultati ottenuti a livello renale. In modo elegante è ricordato che il DCCT e il successivo follow-up, l’EDIC Study, hanno dimostrato che il controllo intensivo della gli- cemia porta a risultati clinici rilevanti in termini di riduzione del rischio di microalbuminuria, macroalbuminuria, perdita di funzione renale e di ipertensione. Non c’è alcun dubbio che il buon controllo glicemico è in grado di produrre effetti benefici prolungati e duraturi sulla funzione renale e cre- diamo che, proprio per questi risultati, assisteremo nei pros- simi anni a una netta riduzione della nefropatia nel diabete di tipo 1.

Ancora più interessante è l’articolo di Perkovic, pubblicato su Kidney International, che ha analizzato in dettaglio i dati renali dello studio ADVANCE, uno studio condotto su 11.140 dia- betici di tipo 2. Si dimostra che il trattamento intensivo della glicemia per 5 anni era in grado di ridurre il rischio di insuffi- cienza renale terminale del 65%, di microalbuminuria del 9%

e di macroalbuminuria del 30%. La progressione dell’albumi- nuria era ridotta del 10% e la possibilità di remissione della stessa aumentava del 15%. È stimato che il trattamento in- tensivo della glicemia in 41 diabetici con microalbuminuria sia sufficiente per prevenire un caso di insufficienza renale termi- nale. Questi dati dimostrano ulteriormente che il buon con- trollo glicemico gioca un ruolo preponderante nella terapia della nefropatia diabetica non solo nelle fasi iniziali.

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