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LA CASTA DEI MOLESTI Alberto Melotto*

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Academic year: 2022

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LA CASTA DEI MOLESTI di Alberto Melotto*

N e i g i o r n i s c o r s i Massimo Recalcati ha detto la sua sul tema della didattica a distanza. Sappiamo che questa non è una notizia, di ben altro dovremmo parlare, ad esempio di come, finalmente, un settore prezioso e vitale della popolazione italiana, quello degli studenti dei licei e delle università, stia dando validi segni di risveglio, stia occupando le scuole per significare senza ombra di dubbio il diritto all’insegnamento in presenza, oltre che il diritto a non essere rinchiusi nell’appartamento di papà e mamma a tempo indefinito, in un perenne arresto domiciliare.

Il nodo della matassa è proprio questo: l’intervento di Recalcati, fatto con toni non violenti, semmai bonari e suadenti com’è nel suo stile, tende comunque a narcotizzare queste proteste studentesche, a disinnescarne la potenza eversiva rispetto alla nuova società che ci vogliono imporre, a reprimere il dissenso usando modalità “soft power” come dicono gli strateghi della Nato, ovvero la propaganda al posto delle maniere forti.

In breve, Massimo Recalcati, è uno psicoanalista di lungo

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corso che, dopo una tesi su Sartre e Freud,, si è dedicato lungamente allo studio dell’opera del fumoso Jacques Lacan.

Molti lo conoscono in qualità di affabulatore e divulgatore sulla rete pubblica italiana, dove ammalia il pubblico progressista, specie quello femminile che legge i supplementi del weekend di Repubblica e Corriere. Alcuni anni fa Maurizio Crozza ne ha fatto un’incisiva parodia, mettendone in luce la verve piaciona e inconcludente, quasi fosse un Rutelli, che in gioventù fosse riuscito a laurearsi in psicologia anziché fare da valletto alla Bonino.

Cosa ha detto di così terribile il buon Recalcati? Citiamo testualmente: “Se i nostri ragazzi non hanno potuto beneficiare di una didattica in presenza nel corso di quest’anno, se hanno perduto una quantità di ore e di nozioni significative e di possibilità di relazioni, questo non significa affatto che siano di fronte all’irreparabile. Il l a m e n t o n o n h a m a i f a t t o c r e s c e r e n e s s u n o , a n z i tendenzialmente promuove solo un arresto dello sviluppo in una posizione infantilmente recriminatoria. Insegnare davanti ad uno schermo significa non indietreggiare di fronte alla necessità di trovare un nuovo adattamento imposto dalle avversità del reale testimoniando che la formazione non avviene mai sotto la garanzia dell’ideale .. si tratta di una lezione nella lezione che i nostri figli dovrebbero fare propria, evitando di reiterare a loro volta la lamentazione dei loro genitori”.

In soldoni, Recalcati ci informa che per un ragazzo, ricevere un insegnamento mediocre per un intero anno scolastico non è affatto un dramma. Forse perché, nei programmi del ceto intellettuale italiano, una volta divenuto adulto, non dovrà far altro che andare a lavorare come precario da Amazon, quindi non gli servirà una preparazione culturale di livello, in grado di farlo pensare consapevolmente sulla società che lo circonda e di cui lui è parte. Inoltre, non poter vedere i propri compagni di classe, e quindi non potere stabilire

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relazioni, amicizie, primi amori?

Che vuoi che siano gli incubi notturni, la depressione, quella certa propensione al suicidio che fa capolino qua e là.

L’importante è tener fede alla narrazione ufficiale: il

“reale” è costituito dall’onnipresente mostro, il potente dio pagano Covid-19, che va adorato e temuto, ma che non può mai venire dimenticato. Nel finale Recalcati sfiora, lambisce involontariamente la comicità assoluta, quando afferma che i figli non dovrebbero “reiterare la lamentazione dei loro genitori”, al celebre psicoanalista dà fastidio che padri e figli si parlino, riuniti intorno al focolare domestico, che l’adulto possa provare del risentimento per aver dovuto chiudere il proprio negozio o la propria attività, anch’egli dovrebbe starsene buono, zitto e muto, e aspettare che la

“realtà” modello Matrix faccia il suo corso.

Intendiamoci, l’esempio da noi proposto non è che uno fra tanti. Sempre nei giorni scorsi, l’ex primo ministro Enrico Letta, straparlava a PropagandaLive di come dovrebbero pensare e agire gli italiani del ventunesimo secolo, pensare di laurearsi e poi trovare un lavoro a tempo indeterminato come si faceva nei decenni centrali del novecento, non è più possibile, così disse Letta, occorre “adattarsi”. E ancora, come non citare il ritorno di Mario Monti, e il suo auspicio che i ristori, già assai scarsi, non vengano più erogati per lasciare che la crisi causata dalle scellerate scelte del governo Conte (e non dal virus) faccia il suo corso, e centinaia di migliaia di negozi e piccole aziende chiudano per sempre i battenti.

Occorre dire che l’insieme del ceto politico e intellettuale è composto da cialtroni, venditori di fumo, odiatori seriali del popolo italiano, personaggi che perseguono il bene delle elites finanziarie mondiali, a scapito del nostro benessere.

E’ quanto diceva Costanzo Preve in una sua celebre intervista:

Oggi gli intellettuali sono, nella stragrande maggioranza, più stupidi delle persone comuni”.

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Riusciremo a vincere questa vulgata altamente nociva? Questa prima domanda è strettamente collegata alla seguente: ce la faranno il popolo italiano, e la popolazione mondiale nel suo insieme, a battere il nefasto disegno del “Grande Reset”?

La risposta è semplice: dobbiamo vincere per forza, non possiamo nemmeno contemplare il buio abisso di una sconfitta che porterebbe ad una involuzione dell’essere umano sotto il profilo della socialità e dell’affettività, dei diritti sociali e politici, della stessa integrità fisica, pensiamo all’ibridazione fra uomo e macchina.

E se, come tutti auspichiamo, la nostra lotta politica sarà premiata dalla vittoria, occorrerà un ulteriore atto d’amore verso il nostro paese: liberare l’Italia da questa casta di esseri molesti, i parassiti di cui parlava Franco Battiato nel brano Povera patria.

Non dobbiamo dimenticare che se, nel secondo dopoguerra, lo sviluppo morale, sociale e politico dell’Italia ebbe un inizio alquanto lento e impacciato, ciò si deve anche e soprattutto a l f a t t o c h e , g r a n p a r t e d e l c e t o i n t e l l e t t u a l e e amministrativo aveva saputo riciclarsi, nel passaggio dal regime fascista (e ancor prima liberale e monarchico) alla Repubblica. Magistrati, alti funzionari dell’apparato statale e della pubblica sicurezza rimasero al loro posto, nonostante avessero dato prova di essere collusi col precedente regime.

Mancò una chiara volontà politica di disfarsi di questi personaggi, intrisi di una cultura classista e sprezzante verso il popolo, chiusi a riccio verso ogni forma di rinnovamento sociale e politico, di uguaglianza sociale.

Chi ama la letteratura può trovare un esempio di questo mondo di privilegio e di ottusità intellettuale e umana nel romanzo di Ignazio Silone Il segreto di Luca. Il protagonista, un povero cafone, simile a molti altri contadini ritratti con amore da Silone, viene accusato di un omicidio che non ha commesso, ma con infinito pudore, sceglie di non difendersi,

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perché farlo significherebbe porre all’attenzione della gente la donna da lui amata in silenzio. Così dovrà scontare lunghi anni di carcere, e dovrà subire le angherie e la volgare ironia del magistrato incaricato del suo caso, un anziano arido, tipico rappresentante del mondo elitario e votato a condannare sempre e comunque, i più poveri.

Non ripetiamo lo stesso errore dei nostri avi, liberiamoci (pacificamente, per carità) di questa casta nociva, nei confronti della quale il vecchio detto “braccia rubate all’agricoltura” non stona affatto.

*Alberto Melotto è membro della Direzione Nazionale di Liberiamo l’Italia

Fonte: Liberiamo l’Italia

RESISTERE AL REGIME SANITARIO

– Diego Fusaro e Moreno

Pasquinelli

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Resistere al regime sanitario Che fare?

Ne parlano Moreno Pasquinelli e Diego Fusaro

Oggi 5 gennaio ore 18:00 in diretta sulla pagina facebook di Liberiamo l’Italia e sul canale youtube di Diego Fusaro.

Lo stato d’emergenza diventato stato di permanenza, la catastrofe economica e sociale che incombe, mutano radicalmente, sia il campo politico che l’orizzonte della nostra azione. Le classi dominanti non nascondono che useranno questo shock per quello che viene chiamato “Grande Reset”.

Stiamo entrando in periodo storico di profondi mutamenti e turbolenze sociali. In questo quadro inedito invocare l’Italexit, per quanto strettamente necessario, non è sufficiente a connotare un’identità forte. Una nuova e coerente visione del mondo è indispensabile.

IL GRANDE RESET È GIÀ QUI –

video

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D i seguito l’intervista rilasciata da Ilaria Bifarini a Moreno Pasquinelli.

Cos’è il “Grande Reset”, come l’élite usa la pandemia per realizzarlo, perché è necessario combatterlo.

BERGOGLIO, L’IMMIGRAZIONE E

FREUD di Moreno Pasquinelli

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Daremo un giudizio organico sulla ultima e densa Lettera Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”. Diverse e importanti le novità che contiene, tra cui una visione del globalismo che a torto viene liquidata come complementare a quella delle classi dominanti. Confermata invece, anzi rafforzata, la “linea immigrazionista”.

Ripubblichiamo, sul tema, quanto scrivemmo nel gennaio scorso.

Papa Francesco, a conferma della posizione a favore dell’accoglienza degli immigrati senza sé e senza ma, concludendo in San Pietro la sua catechesi nell’udienza generale, il 7 gennaio scorso [2]

«Chiediamo oggi al Signore di aiutarci a vivere ogni prova sostenuti dall’energia della fede; e ad essere sensibili ai tanti naufraghi della storia che

approdano esausti sulle nostre coste, perché anche noi sappiamo accoglierli con quell’amore fraterno che viene dall’incontro con Gesù. È questo che salva dal gelo

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dell’indifferenza e della disumanità».

Bergoglio non fa qui che riproporci come prescrittivi gli obblighi morali che discendono dalla fede in Cristo, fondati sulla pietas — il credente deve non solo amare con affetto filiale Dio, ma anche ogni essere umano in quanto sua prediletta creatura —, e sulla caritas; dove caritas sta per il radicale superamento dell’amor proprio in quanto esso solo c o n s e n t e l ’ i d e n t i f i c a z i o n e v e r t i c a l e c o n C r i s t o . Identificazione spirituale con Cristo (vero Dio e vero uomo), quindi specialmente con le figure di chi “ha fame, sete, è malato” [3], la quale soltanto apre la strada all’amore orizzontale e incondizionato verso tutto il genere umano. La caritas, l’amore fraterno e disinteressato verso gli altri —

“Amerai il prossimo tuo come te stesso” [4] —, in quanto immagine di quello misericordioso di Dio verso l’uomo, è dunque un vero e proprio “nuovo comandamento” [5], che per la precisione fonda la stessa cristologia che contraddistingue la fede cattolica.

Siamo, com’è evidente, ben al di là della filantropia già nota alla cultura e all’ethos greci:

«E’ come un fratello lo straniero e colui che chiede protezione. (…) Sono sotto la protezione di Zeus tutti gli stranieri ed i mendicanti». [6]

E’ tuttavia su queste basi meta-politiche e trascendenti, quindi improbabili, che Papa Bergoglio invoca “porti aperti” e prescrive l’accoglienza incondizionata degli immigrati. Una prescrizione che ha valore assoluto, malgrado Bergoglio sappia e denunci lo sradicamento che l’immigrazione implica e l’ingistizia sociale che la provoca,[7] nonostante sappia che la gran parte degli immigrati che giungono in Italia siano condannati all’esclusione sociale, all’illegalità, ad una vita da paria ove non al vero e proprio schiavismo.

Il discorso sull’immigrazione andrebbe riportato sul terreno

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della politica, più precisamente del realismo politico. La qual cosa il Papa, e con lui le sinistre immigrazioniste, non fanno, e si rifiutano di fare, brandendo come anatema l’accusa di razzismo. Ma su certe nequizie abbiamo scritto più volte.

Qui dobbiamo chiederci se l’antropologia che avanza Bergoglio sia plausibile. Secondo chi scrive non lo è affatto. Il comandamento cristiano non chiede infatti all’uomo solo benevolenza e solidarietà disinteressata verso il prossimo;

chiede uno sforzo spirituale e materiale che sfiora il divino, un’illimitatezza che evidentemente chiede l’implicazione di un dono supremo, quello della grazia. La qual cosa, appunto, appartiene solo a quegli esseri che Dio premia investendoli della Sua santità.

Bergoglio risponde spesso tirando in ballo la bontà, la compassione, il cuore, la fede prima della ragione. In una p a r o l a i s e n t i m e n t i . H e g e l , b e s t i a n e r a d i c e r t o cattolicesimo, fu spietato nel demolire quest’approccio, per lui

«… il pensiero è ciò che l’uomo ha di più propriamente suo, ciò che lo differenzia dai bruti, mentre il sentire lo accumuna a questi».[8]

Ancor più correttamente ebbe a dire che l’etica, alias il Politico, è una cosa seria e non può “dissolversi nella pappa del cuore, dell’amicizia e dell’entusiasmo”. [9] Per questo, a sua difesa, Hegel citava proprio i vangeli:

«Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli o m i c i d i , g l i a d u l t e r i , l e p r o s t i t u z i o n i , l e f a l s e testimonianze, le bestemmie», [10]

Non ci si può chiedere assoluta benevolenza, totale empatia, addirittura amore verso chiunque, verso chi non si conosce, verso chi non fa parte della mia famiglia, della mia cerchia di amici, nemmeno della mia comunità politica e nazionale. E non lo si può chiedere non solo perché fattivamente

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impossibile. Non lo si deve chiedere perché sarebbe, in barba alle più pie intenzioni, letale per la comunità medesima di cui faccio parte. Il “prossimo” implica infatti prossimità:

che vincolo di solidarietà avrei mai verso chi mi è davvero prossimo, se lo considerassi alla pari di chi non conosco nemmeno? Come potrei “sentire” un vincolo sincero e forte di solidarietà verso chi, oltre a non parlare la mia lingua, non ha le mie stesse consuetudini, che vuole anzi preservare, opponendomele, le sue proprie tradizioni e la sua propria cultura?

Solo una concezione individualistica, atomistica e anarco- liberista della società può concepire l’orrore di una comunità come addizione sgangherata di singole monadi — concezione alla quale fa da contraltare la visione di certi comunitaristi che la immaginano come conglomerato meticcio di etnie e/o di sette confessionali.

Una comunità politica non si regge se non grazie a legami di solidarietà che si costruiscono e si consolidano in quell’opificio che è la storia, ovvero in quel processo spietato che spesso ha chiesto che ogni comunità risolvesse allo stesso proprio interno, nel conflitto e anche ricorrendo alla lotta fratricida, cosa essa volesse diventare, quale identità scegliesse di assumere. Così che, quando la comunità, dopo tanti tormenti, è riuscita a stabilire cosa davvero sia, essa tenderà a difendere da ogni intrusione ciò che è diventata.

Si può perdonare il Papa, a cui non si può chiedere di violare uno dei comandamenti della sua fede, non si può perdonare una sinistra transgenica che scimmiotta il Pontefice ma sulla base di un cosmopolitismo senza fede, verniciato con una sconclusionata visione antropologica dell’uomo.

Proprio perché ci occorre credere nell’essere umano, si deve capire di che materiale esso sia affettivamente fatto. Per quanto si possa dissentire dalla visione pessimistica della

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sua ultima fase di ricerca, ci giunge in soccorso Sigmund Freud, che vogliamo citare:

«Ce ne può indicare la traccia una delle cosiddette pretenzioni ideali della società civilizzata, quella che dice: “amerai il prossimo tuo come te stesso”. E’ una pretesa nota in tutto il mondo, certamente più antica del cristianesimo, che la ostenta come la sua più grandiosa dichiarazione, ma certamente non antichissima; sono esistite perfino epoche storiche in cui era ancora estranea al genere u m a n o . P r o p o n i a m o c i d i a d o t t a r e v e r s o d i e s s a u n atteggiamento ingenuo, come se ne sentissimo parlare per la prima volta. Impossibile in tal caso reprimere un senso di sorpresa e disappunto.

Perché mai dovremmo far ciò? Che vantaggio ce ne può derivare? Ma soprattutto, come arrivarci? Come ne saremo capaci?

Il mio amore è una cosa preziosa, che non ho il diritto di gettar via sconsideratamente. Mi impone degli obblighi e devo essere pronto a fare dei sacrifici per adempierli. Se amo qualcuno, in qualche modo egli se lo deve meritare. (trascuro i vantaggi che egli mi può arrecare e anche il suo eventuale significato come mio oggetto sessuale; relazioni di questi due tipi non hanno nulla a che vedere col precetto di amare il prossimo). Costui merita il mio amore se mi assomiglia in certi aspetti importanti talché in lui io possa amare me stesso; lo merita se è tanto più perfetto di me da poter io amare in lui l’ideale di me stesso; devo amarlo se è figlio del mio amico, poiché il dolore del mio amico se gli accadesse qualcosa sarebbe anche il mio dolore, un dolore che dovrei condividere. Ma se per me è un estraneo e non può attrarmi per alcun suo merito personale o per alcun significato da lui già acquisito nella mia vita emotiva, amarlo mi sarà difficile. E se ci riuscissi, sarei ingiusto, perché il mio amore è stimato da tutti i miei cari un segno di predilezione; sarebbe un’ingiustizia verso di loro mettere

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un estraneo sullo stesso piano. Ma se debbo amarlo di quell’amore universale, semplicemente perché anche lui è un abitante di questa terra, al pari di un insetto, di un verme, di una biscia, allora temo che gli toccherà una porzione d’amore ben piccola e mi sarà impossibile dargli tutto quello che secondo il giudizio della ragione sono autorizzato a serbare per me stesso.

A che pro un precetto enunciato tanto solennemente, se il suo adempimento non si raccomanda da se stesso come razionale.

Se osservo le cose più da vicino, le difficoltà aumentano.

Non solo questo estraneo generalmente non è degno d’amore, ma onestamente devo confessare che avrebbe piuttosto diritto alla mia ostilità e persino al mio odio. Sembra non avere il minimo amore per me, non mi mostra la minima considerazione.

Se gli fa comodo, non esita a danneggiarmi, senza nemmeno domandarsi se il vantaggio che ricava sia proporzionato alla gravità del danno che mi procura. (…)

Se si comportasse diversamente, se verso di me estraneo mostrasse rispetto e indulgenza, io a buon conto, a parte qualsiasi precetto, sarei disposto a trattarlo nella stessa maniera. Se quel grandioso comandamento avesse ordinato: “ama il prossimo tuo come il prossimo tuo ama te”, non avrei niente in contrario.

C’è un secondo comandamento che mi sembra ancora più incomprensibile e che solleva in me un’opposizione ancora più violenta. E’: “ama i tuoi nemici”. Riflettendoci, ho torto a considerarlo una pretesa ancora più assurda. In fondo è la medesima cosa». [11]

Marx ebbe modo di scrivere che «Se si vuole essere un bue, naturalmente si può voltare la schiena ai tormenti dell’umanità e badare solo alla propria pelle».[12]

Proprio perché non siamo buoi ma “animali politici”, proprio

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perché non voltiamo “la schiena ai tormenti dell’umanità”, sappiamo che non è con il cuore e i buoni sentimenti che si porrà fine a quei tormenti, ma con la lotta pratica, la quale chiede una teoria politica adeguata, che non nasce se non da uno sforzo teorico, da quella che Hegel chiamava la “fatica del concetto”. [13]

NOTE

[2] La prolusione era dedicata al libro degli Atti degli Apostoli e alla figura di San Paolo. Molte sarebbero le cose da dire al riguardo, ovvero sulla distanza siderale che separa la Chiesa cattolica (come del resto Protestanti e Ortodossi) dalle prime comunità cristiane. Diverso sarebbe il giudizio sulla concordanza o meno con la teologia paolina.

[3] Mt 25, 30-40 [4] Mc 12, 28-34 [5] Gv, 13,34

[6] Odissea, (VIII, 546 e VI, 207)

[7] Ha afffermato Bergoglio«Siamo di fronte ad un’altra morte causata dall’ingiustizia. Già, perché è l’ingiustizia che costringe molti migranti a lasciare le loro terre. È l’ingiustizia che li obbliga ad attraversare deserti e a s u b i r e a b u s i e t o r t u r e n e i c a m p i d i d e t e n z i o n e . È l’ingiustizia che li respinge e li fa morire in mare». ANSA, 19 dicembre 2019

[8] G.W.F.Hegel, Fenomenologia dello spirito, UTET, p.145

[9] «Con il semplice rimedio casalingo dí basare sul sentimento ciò che è l’opera, invero piú che millenaria, della ragione e dell’intellezione di essa, ci si risparmia certamente tutta la fatica dell’intendimento razionale e della conoscenza guidati dal concetto pensante [ … ] . Ma il marchio peculiare che [questa retorica] porta in fronte è l’odio

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contro la legge. Che il diritto e l’eticità, e il mondo reale del diritto e dell’etico, comprendano se stessi con il pensiero,e mediante concetti diano a sé la forma della razionalità, ossia universalità e determinatezza, tale fatto, ossia la legge, è ciò che quel sentimento che riserva a se medesimo il libito, quella coscienza che ripone il diritto nella convinzione soggettiva, considerano fondatamente come l’elemento a loro piú ostile. La forma del diritto come un dovere e una legge viene avvertita da quel sentimento e da quella coscienza come una lettera morta e fredda e come una catena […]». G.W.F.Hegel, Lineamenti della filosofia del diritto, Prefazione, 1820, Laterza 199, pp.104-105

[10] Mt, 15,19

[11] Sigmund Freud, Il disagio della civiltà, In Opere, vol.

II, pp.519-520, RBA

[12] K. Marx a S.Meyer, 30 aprile 1867

[8] G.W.F.Hegel, Fenomenologia dello spirito, ibidem

ANAMNESI DEL TRUMPISMO di

Moreno Pasquinelli

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Il trumpismo come reazione

Mai come ora l’esito delle elezioni presidenziali americane avrà implicazioni ed effetti mondiali. Mai è stata tanto profonda la divaricazione tra i due candidati sia per quanto concerne la politica interna che quella estera. Eravamo abituati a considerare la competizione tra repubblicani e democratici una pantomima in quanto entrambi espressioni della medesima plutocrazia capitalista e imperialista. Negli ultimi decenni la musica è cambiata. L’opposizione “progressisti conservatori”, anche a causa dei profondi mutamenti sociali e culturali americani (di cui il trumpismo è spettacolare effetto), è diventata asprissima, gravida di devastanti conseguenze, fino al punto da poter sfociare in un conflitto violento, per alcuni analisti addirittura una guerra civile.

Dare giuste risposte implica porsi le giuste domande, e la madre di tutte le domande è appunto cosa davvero sia (la sua natura intendiamo) il trumpismo. E siccome l’albero si riconosce dai frutti, può aiutarci a risolvere il quesito

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capire se esso abbia radici storiche profonde, e se ce le ha quali esse siano. Proviamo a capirlo, e per capirlo non c’è solo bisogno di quella che Hegel chiamava la “fatica del concetto”, occorre anche sbarazzarsi, qui un punto di premessa cruciale, sia delle lenti che delle categorie del Politico tipicamente europee. Tutto ciò infatti che l’America importa, trasfigura, fino al punto che il risultato è sempre altro rispetto a ciò che lo ha prodotto.

E’ noto come, negli USA, la principale linea di demarcazione politica sia quella tra progressisti e conservatori, tra i liberals e repubblicans. Non è questo il luogo per ricostruire la complessa vicenda storica che ha condotto a questa polarizzazione, segnata da diversi, complicati e osmotici passaggi politici.

Non avremmo avuto Trump alla Casa Bianca se non fosse avvenuta una controversa metamorfosi nel poliverso liberal, ovvero l’egemonia strappata dall’ala clintoniana-obamiana in seno al Partito Democratico. Alcuni politologi sostengono che ove utilizzassimo le categorie europee li definiremmo socialdemocratici. Sartori ha addirittura affermato che i liberals odierni sarebbero “socialisti in un paese senza socialismo”. I risultati oggettivi delle presidenze di Clinton prima e di Obama poi non pare proprio che confermino simili giudizi. Negli ultimi decenni abbiamo avuto una smisurata polarizzazione della ricchezza ad un polo, quello di potenti oligarchie plutocratiche, e l’impoverimento del proletariato e delle classi media dall’altro. E’ noto come proprio questo fenomeno sia stato il carburante dell’ascesa di Trump. Sarebbe sbagliato, tuttavia, spiegare questa ascesa solo con i criteri della sociologia. Esso è anzitutto una secca risposta ideologica alla corrente clintoniana e obamiana la quale, una volta conquistato il Partito Democratico, è diventata egemone in seno all’élite intellettuale, dentro il potente establishment statuale, tra le stesse file della plutocrazia capitalista.

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Questa corrente ha ben poco che vedere con la tradizione socialdemocratica europea, si presenta piuttosto come un pensiero che fa del mondialismo e del transumanesimo le sue cifre peculiari. Una corrente che ha assolutizzato i tradizionali concetti di cosmpolitismo e progressismo di matrice europea, trasformandoli in veri e propri concetti teologici. Da una parte l’idea di sbarazzarsi come anticaglie dei tradizionali stati nazionali a favore di un vero e proprio governo internazionalista, di un melting pot non solo di popoli ma di élite. Di qui l’idea di una nuova governance globale, di nuovo ordine mondiale che dietro al cosiddetto

“multilateralismo” considera veri sovrani i giganti economici transnazionali, coi loro consigli di amministrazione globali per composizione e vocazione — e di cui gli stati non sarebbero che protesi regionali. Dall’altra parte questa élite si presenta come super-progressista, ciecamente fiduciosa nei poteri taumaturgici della scienza e della tecnica, sordidamente feticista verso i suoi marchingegni. Un super- progressismo il cui stile politicamente corretto nasconde un vero e proprio estremistico cupio dissolvi, l’idea di una vera e propria mutazione antropologica nella veste di una superomistica palingenesi di genere.

Il trumpismo è una reazione a questa svolta radicale avvenuta in seno all’élite e all’establishment americano. Non deve trarre in inganno che in quanto reazione esso risulta assemblaggio di reazionari d’ogni specie, dai suprematisti bianchi ai cattolici anti-bergogliani, dalle sette critiano- sioniste ai settori della destra tradizionalista repubblicana

— di qui l’eterogeneità del suo blocco sociale. Il populismo trumpiano non è una mera variante di conservatorismo repubblicano. Data la natura della sfida esso è costretto ad ostentare una sua propria visione del mondo. Ogni visione del mondo deve avere delle radici antiche. Trump le riesuma sì dal deposito culturale europeo ma, come ogni cosa capita tra le sue mani, le trasforma e le radicalizza.

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Liberismo vs democrazia

E’ noto come in filosofia politica (e in scienza del diritto) si presupponga la dicotomia tra libertà negativa e libertà positiva. Teorico della prima concezione fu Thomas Hobbes. Per il nostro la libertà consisterebbe nella assenza di limiti coercitivi esterni che impediscano ad un uomo nel fare quel che gli pare. Scriveva infatti Hobbes che la libertà si situa in tutti i campi che la legge deliberatamente omette e lascia fuori dal suo campo prescrittivo. Essa si attua: «nella libertà di comprare, di vendere, e di fare contratti l’uno con l’altro, e di scegliere la propria dimora, il proprio cibo, il proprio modo di vita». C’è dunque, per Hobbes, tanto più libertà quanto più sono deboli le interferenze da parte dei pubblici poteri. John Locke, padre nobile del liberalismo moderno, contestò l’assolutismo di Hobbes ma ne adottò la concezione mercatistica e privatistica della libertà.

Di contro i teorici della libertà positiva posero al centro un’altra questione (del tutto dimenticata dai teorici della libertà negativa): posto che la società si deve dare delle norme, chi dev’esserne l’autore? “chi deve comandare? A chi appartiene la sovranità politica?”. Per Rousseau, per essere davvero liberi, occorre essere autori delle norme, ovvero “non obbedire ad altre leggi se non a quelle che noi stessi ci siamo dati”. Rousseau pose poi una seconda domanda: ha senso dire che sono libero, che posso comprare o vendere ciò che voglio, se non dispongo del denaro e delle risorse per farlo?

Se sono povero e non ho alcuna risorsa posso considerarmi libero? Ergo: non c’è libertà in quella società ove i cittadini non dispongano dei mezzi e delle risorse che consentano di esercitarla effettivamente. E’ noto come in tal modo Rousseau pose le basi, ad un tempo, della teoria democratica e di quella socialista. In estrema sintesi: mentre la teoria negativa assume come proprio paradigma l’individuo privato e proprietario, quella positiva rivendica la c e n t r a l i t à d e l l a c o l l e t t i v i t à , l a s u a f a c o l t à d i

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autogovernarsi, il criterio dell’eguaglianza sociale.

E’ certo nel liberalismo individualistico europeo che affondano le radici ideologiche più profonde della cultura politica americana. Radici così potenti e pervasive che hanno impedito che prendessero successivamente piede sia il rousseauismo che il socialismo. Il fatto è che, come ogni altro prodotto d’importazione, una volta trasferitosi in A m e r i c a , i l l i b e r a l i s m o h a s u b i t o u n p r o c e s s o d i nazionalizzazione, ovvero radicalizzazione assoluta.

Già nella sua patria d’elezione europea il liberalismo non è mai stato un corpo teorico omogeneo e monocorde. Di liberalismi ne esistono infatti diversi tipi. Vale ricordare la distinzione posta da Benedetto Croce nella sua polemica con Luigi Einaudi tra liberalismo e liberismo. Vero è che questa distinzione lessicale l’abbiamo solo nella lingua italiana, ciò non toglie che essa ci aiuta a capire cosa sia avvenuto negli ultimi decenni in seno alle società capitalistiche occidentali. Per Croce il liberismo consisteva nella teoria economica smithiana per cui, posta la supremazia della “mano invisibile” del libero mercato, era da condannare qualsiasi interferenza politica che ponesse limiti alla sua provvidenza.

D’altra parte il liberalismo poggiava secondo Croce su un’etica che poteva ben conciliarsi con la visione democratica e addirittura socialista, come sia con l’idea di uno stato interventista. Una distinzione “italiana” che tuttavia può aiutarci a comprendere una peculiarità squisitamente americana, ovvero la matrice indiscutibilmente liberista della sua identità.

Trumpismo, anarco-capitalismo, ultra-americanismo

La nostra tesi potremmo riassumerla in questo modo: (1) nel momento in cui la cultura liberal-borghese europea è approdata oltre oceano essa ha subito una metamorfosi profonda e si è venuta consolidando come identità ideologica specifica ed a sé stante; (2) il liberismo britannico, vero padre di questa

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identità ideologica, ha subito una palingenesi che ha figliato quello che potremmo chiamare ultra-liberismo o meglio, come vedremo, anarco-capitalismo; (3) il combinato disposto tra questo ultra-liberismo e le radici religiose del messianismo puritano-calvinista (Weber) costituisce l’ideocrazia americanista — ciò che Hegel avrebbe chiamato volks-geist o spirito del popolo americano; (4) dopo la seconda guerra mondiale, in una lotta senza quartiere contro il suo avversario comunista a trazione russa, questo spirito è venuto avanzando come weltgeist o “spirito del mondo”, fino ad affermarsi come egemone a scala mondiale dopo il catastrofico crollo dell’URRS.

Hegel considerava che il popolo-avanguardia che fosse riuscito ad incarnare lo “spirito del mondo” sarebbe diventato invincibile. Com’è evidente il grande filosofo tedesco si sbagliava. A trenta anni dalla propria apoteosi l’egemonia americana traballa, è già allo stadio della decadenza, quello spengleriano della Zivilisation, della civiltà moribonda condannata a lasciare il posto a quella successiva.

In questo quadro si dovrebbe intendere il trumpismo, manifestazione di un doppio fenomeno: da una parte il fatto del tramonto dell’egemonia globale dell’imperialismo americano, dall’altra il tentativo disperato di opporsi a questo destino. L’icastico slogan trumpiano “Make america great again” esprime plasticamente questo dilemma. Esso non è tuttavia solo un mero backlash, un contraccolpo di natura interna e/o geopolitica, si presenta come una catarsi dell’americanismo, un ambizioso e radicale tentativo di rinascere riscoprendo e tornando appunto a certe peculiari radici.

Se l’americanismo originario si distingueva per portare alle estreme conseguenze l’individualismo di marca euro-liberale, la vera cifra dell’americanismo trumpiano sta nella tradizione teorica e politica del libertarianism: non si tratta solo dell’idea dello Stato minimo, c’è quella di uno Stato tendente

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a zero. Evanescente è il confine con l’anarco-capitalismo yankee, la concezione per cui si debba mercatizzare ogni sfera sociale nonché le principali funzioni dello Stato. Se per democrazia si debbono intendere la sovranità popolare e l’autogoverno dei cittadini attraverso la partecipazione ai processi di decisione politica — quindi il concetto di uno Stato che non possiamo altrimenti qualificare che come Stato etico —, per i libertarians e ancor più per gli anarco- capitalisti una democrazia così intesa non è solo riprovevole, ma una minaccia ai diritti indisponibili dell’individuo. Se in democrazia la persona è anzitutto cittadino politico, titolare di diritti ma soggiacente alla primazia della comunità, alla base dell’americanismo abbiamo la tesi opposta, quella per cui né la comunità né i poteri pubblicipossono intromettersi nella sfera privata dell’individuo come agente del mercato.

Il libertarismo americano parte dal paradigma lockiano ma lo porta alle estreme conseguenze, alla sacralizzazione del mercato, alla deificazione dell’individuo proprietario.

Andando ben oltre il liberismo di Hayek o Milton Friedman, sarà Robert Nozick a cristallizzare questa dogmatica individualista, vera e propria anima oscura dell’americanismo.

Secondo Nozick “lo stato non può usare il suo apparato coercitivo allo scopo di far sì che alcuni cittadini ne aiutino altri, o per proibire alla gente attività per il suo proprio bene o per la sua propria protezione”. Siamo oltre lo Stato minimo, siamo allo Stato ultraminimo. Siamo, a ben vedere, oltre la stessa concezione dello Stato come “guardiano notturno”, protettore armato della privata proprietà e dei traffici mercantili. Opponendosi infatti alla idea che lo Stato si caratterizzi come l’ente che detiene il monopolio della forza, Nozick considera moralmente e giuridicamente lecito che i cittadini associati possano autorganizzarsi manu militari per garantire la propria sicurezza. Con ciò abbiamo n o n s o l o u n a t e s t i m o n i a n z a d i u n ’ a l t r a p e c u l i a r e caratteristica della società americana (la possibilità di costituire milizie armate), abbiamo il presagio di quanto

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potrebbe accadere ove le elezioni alle porte sancissero una sconfitta (tanto più se sul filo di lana) di Trump.

C’è chi teorizza che il populismo trumpiano sia solo una meteora, che vivrà di vita breve come il Partito Populista della fine dell’800 (di cui in effetti, fatte le debite differenze, ricalca le orme). Noi ne dubitiamo e tendiamo a pensare che non possano stabilirsi analogie di destino tra allora (imperialismo nascente) e l’oggi (imperialismo tramontante). L’onda che sorregge il trumpismo è lunga, e profondo il solco scavatosi tra popolo ed élite. Il suo impatto sarà quindi duraturo.

Qualcuno potrebbe dirci che il trumpismo consiste in un blocco sociale alquanto eterogeneo, e che quindi l’ideologia libertaria e/o anarco-capitalista non è che uno dei suoi volti. Per la vulgata politicamente corretta il trumpismo sarebbe addirittura un fascismo a stelle e strisce. Se quanto abbiamo scritto si approssima alla realtà dovremmo essere riusciti non solo a dimostrare: (1) che esso non ha nulla a che vedere col fascismo (“tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”); (2) che i colpi portati al trumpismo dal nemico, lungi dal produrre un suo sfaldamento, se gli faranno momentaneamente perdere dei pezzi, lo spingono ad epurarsi da certe scorie secondarie ed a consolidarsi; (3) che nella brodaglia culturale che caratterizza il campo trumpiano, l’ingrediente principale che ne determina la natura è proprio l’anima libertarian e/o anarco-capitalista.

A questo c’è solo da aggiungere un ultima precisazione.

Abbiamo affermato che quest’anima si presenta come orgoglioso e fanatico patriottismo ultra-americanista. Non lo si dovrebbe intendere come se esso fosse in continuità con l’imperialismo interventista che ha caratterizzato la politica estera statunitense negli ultimi cento anni. Il trumpismo è anche l’espressione di una ritirata strategica mondiale dell’imperialismo americano, riscopre una certa tradizione

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isolazionistica, per cui l’America decide oggi di raccogliersi in sé stessa, tenendosi lontana dalle le fiamme di un conflitto globale e lasciando che le altre potenze si scannino tra loro e vadano in malora. Ciò nella speranza di poter risorgere come impero dominante.

Chi vivrà vedrà.

COMUNISMO QUEER? di Salvatore Bravo

Il comunismo queer1 è la costola dell’omonima teoria. In una cornice di relativismo indifferenziato, il comunismo queer si propone di abbattere il capitalismo mediante il superamento d e l l e l o g i c h e d i d o m i n i o e p r o d u z i o n e i n t r i n s e c h e

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all’eterosessualità. Quest’ultima è automaticamente associata alla sussunzione e al dominio, poiché accentra in se stessa il modello di “normalità”, e quindi compara ogni manifestazione altra all’eterosessualità decretando la gerarchizzazione dei generi, l’esclusione e l’inclusione, ma vi è di più, l’eterosessualità come lo schema latente di Bacone, è il modello che ha fatto lievitare il capitalismo, poiché la sussunzione e la fabbricazione dei generi sono l’anima perversa dell’eterosessualità trasmessa al capitalismo. Esse hanno posto le condizioni per la germinazione del capitalismo, il quale si è sviluppato in nome della gerarchia e della sperequazione amplificando le relazioni di potere eterosessuali. La gerarchia opera un taglio tra i generi, divide e privatizza, formula parametri etici con cui valutare le differenze, distribuisce patenti normalità con il possesso autoritario delle parole.

La gerarchizzazione implica la proprietà privata, in quanto

“il taglio operato”, insegna la divisione proprietaria e la logica acquisitiva e manipolativa. Il maschio eterosessuale possiede la donna, la usa, la definisce per porla in un confine invalicabile. La logica del porre il confine acquisitivo diviene la prassi ideologica entro cui orientarsi.

L’eterosessualità è associata all’essenzialismo, in quanto ha stabilito il fine degli organi, in tal modo, ha determinato i limiti teleologici dei corpi, ha innalzato barriere tra il lecito e l’illecito. Per abbattere il capitalismo bisogna neutralizzare la cultura eterosessuale che ne è il fondamento, si potrebbe dire che l’eterosessualità, nell’ottica queer, è la verità/totalità del capitalismo, il punto archimedico che regge il capitale. La soluzione per realizzare il comunismo è liberare ogni forma di differenza dall’asservimento all’eterosessualità, dalla comparazione con essa produttrice di classificazione ed incasellamento in un ordine, la cui razionalità è solo potere.

Pregiudizi queer

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In primis il “comunismo queer” svela già nel nome l’organicità alla globalizzazione anglofona. L’uso dei termini non è neutro, ma essi sono veicolo di visioni del mondo e di adesioni ideologiche. La globalizzazione ed il capitalismo assoluto non patteggiano per le identità stabili, ma sono schierati con le identità fluide, cangianti, tutto è lecito, tutto è ammesso, purché si consumi. L’identità instabile insegna la precarietà, l’individualizzazione e la frammentazione atomistica delle identità, non è affatto rivoluzionaria, non a caso trova i suoi cantori ed aedi in ogni mezzo mediatico ed accademia. La globalizzazione prolifera sull’irrilevanza delle scelte e dei progetti esistenziali: si accetta ogni differenza, la si fa emergere dal mondo mitico della marginalità, per farne prodotto da vendere nel mercato. Ogni differenza, anche la più parossistica, trova ospitalità in ogni trasmissione televisiva, è proibito manifestare argomentata contrarietà dinanzi alle scelte “più inusuali”. Si incoraggia a sperimentare, poiché, se il soggetto vive per il suo narcisistico piacere, è politicamente disimpegnato, e quindi, è innalzato a modello da imitare. Ogni appello alla comunità ed alla condivisione è interpretato come un attentato alla libertà di consumare identità. Ogni potenziale comunità è, così, resa nulla dall’attacco frontale all’affettività stabile, in quanto cela tra le sue pieghe la progettualità. Le omelie queer dagli altari atei e laicisti del nuovo clero orante innalzano il diritto all’identità multipla ed evanescente, all’intersessualità, si scoraggia ogni nucleo c o m u n i t a r i o i n n o m e d e l d i r i t t o i n d i v i d u a l e a l l a trasformazione. Il nichilismo senza confini e limiti diviene il fine della liberazione dai vincoli dell’eterosessualità, la metafisica è la catena da cui liberarsi per librarsi tra le identità e perdersi tra di esse.

Ipertrofia queer

L’umanità è al plurale, le affettività sono diversamente

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declinate, ma se il tutto è ridotto alla sola pulsione liberata da ogni limite e metafisica il discorso è pericoloso e distruttivo. La sessualità è polimorfa, ha aspetti anche distruttivi e sadici, la liberazione queer rischia di legittimare ogni genere di pulsione, tranne l’eterosessuale, in quanto figura del katechon, del padre che dà la misura al piacere ed al consumo. L’ipertrofia dell’io è sostenuta dalla spinta mediatica ad appoggiare la cultura queer e le sue filiazioni, dato che legittimano la globalizzazione liberale.

In primis insegnano che ogni identità fluida va vissuta e non pensata concettualmente. Se ogni desiderio è legittimo, anche l’illimitato appetito indotto dal capitale ha la sua ragion d’essere: il desiderio senza confini è la struttura del capitale, l’ideale su cui il sistema si regge, è l’orizzonte di possibilità verso cui tutto si orienta e converge. Il comunismo queer è sostenuto dal femminismo radicale e dai gruppi LGBT. Le loro rivendicazioni non sono rivoluzionarie, o v u n q u e s i a s s i s t e a l l a t r a s g r e s s i o n e v e i c o l a t a dall’economicismo. La vera trasgressione nella contemporaneità è la chiarezza dell’identità all’interno di relazioni stabili che fecondano la psiche con la creatività del pensiero e della condivisione.

Pregiudizio queer

Il modello eterosessuale padre di ogni male è trattato in modo preconcetto, anche in questo, niente di nuovo sotto il sole, continuamente siamo informati dei crimini eterosessuali maschili, in tal modo, si occultano gli innumerevoli crimini del capitale e le sue vittime. Il fine è distogliere l’attenzione dai crimini finanziari per demonizzare l’eterosessuale quale simbolo, del limite, della famiglia, della comunità. Non vi è comunità senza la consapevolezza del limite. La parola comunismo implica l’universale, la partecipazione collettiva delle differenze che si ritrovano nella comune essenza ed umanità. Puntare sulle differenze, sull’empirico è assai semplice, il percorso di cui

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necessitiamo è fondare l’universale concreto della filosofia, ovvero universale ed individuale debbono essere tra loro in tensione positiva, altrimenti ci esponiamo in nome della liberazione di ogni differenza ad un relativismo nichilistico, nel quale ogni persona vive la propria esistenza da monade globalizzata. Le differenze non possono diventare un dogma indiscutibile. Ci sono differenze legittime, ma anche patologiche che non vanno incoraggiate. La censura agisce sui dubbi, neutralizza la dialettica, poiché ogni affermazione critica sulla teoria queer è interpretata come aggressione ai diritti individuali. Il problema è come e chi stabilisce quali differenze sono legittime. La filosofia ci dona categorie interpretative eterne: la dialettica, il logos, la comunicazione interdisciplinare. Più ampio è il numero delle persone e delle istituzioni coinvolte pubblica discussione, maggiore sarà la qualità della condivisione.

Nel regno del “politicamente corretto”, dell’adesione calcolata agli ideali della globalizzazione finanziaria, ciò è q u a s i i m p o s s i b i l e . S i t r a t t a d i c o n g e d a r s i d a l l e esemplificazione e dalla ricerca del facile applauso, per riportare al centro la razionalità oggettiva e confrontarsi con le innumerevoli difficoltà e contraddizioni che essa comporta, e specialmente si tratta di abbandonare i dogmi del politicamente corretto, oggi tragicamente trasversale in ogni compagine politica ed accademica. L’eterosessuale, in generale, astratto dalla condizione materiale non esiste, ma ciascuna persona è situata nel modo di produzione, taluni in posizione di privilegiati, molti altri come sudditi.

L’eterosessualità quale forma assoluta del male che precede il capitalismo, secondo il comunismo queer, e rischia di sopravvivergli, sembra piuttosto un nuovo archetipo organico all’economicismo del turbo capitalismo. L’eterosessualità maschile ha assunto tante forme in tante culture, è oggi giudicata mediante uno schema unidirezionale: eterosessualità maschile è equiparata alla violenza. Nei propugnatori di tale

“visione” dovrebbe emergere il dubbio, la consapevolezza che

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stanno ricostruendo la storia dell’oppressione mediante un pregiudizio che rende semplice e manichea la lettura della stessa. L’eterosessualità è, in tale interpretazione, espressione della proprietà privata, della chiusura all’alterità, è il vaso di Pandora da cui si originano tutti i mali, pertanto attaccandola frontalmente si pongono le premesse per la comunione dei corpi, degli spazi, si trascende o g n i r e c i n t o c h e c o i n c i d e , s e m p r e e s o l o , c o n l’eterosessualità (maschile)2:

«In questo senso, una politica queer anticapitalista in grado di aprire alla costituzione di un nuovo blocco storico potrebbe focalizzarsi sulla messa a valore delle esperienze del «comune», delle forme di affettività non privatizzate e non diadiche, delle forme di contestazione e di ridefinizione dello spazio pubblico, delle strade, delle piazze, dei luoghi di battuage, come anche degli spazi politici occupati e autogestiti, e tutto ciò al fine di sottrarre spazio all’eterosessualità. Non si tratta solo di rivendicare una maggiore visibilità. Si tratta, piuttosto, di costruire fermi punti d’appoggio contro la privatizzazione neoliberale, agendo in autonomia, ma in modi che possano entrare in risonanza e convergere puntualmente con le lotte dei migranti, ad esempio, contro il razzismo strutturale di Stato, fondato anch’esso sulla creazione di spazi d’apartheid razziale, e spalleggiato dalle forze di polizia».

Non è chiaro il destino degli eterosessuali e di coloro che rifuggono dalla transumanza identitaria, in nome della stabilità affettiva, se saranno rieducati, e in che modo.

L’eteronormatività diviene il nemico da abbattere con gran pace degli apparati finanziari, che siamo certi, appoggeranno la rivoluzione arcobaleno queer3:

«Un’interpretazione gramsciana dell’eteronormatività potrebbe mostrarci come l’eterosessualità a fondamento delle società capitalistiche è uno degli aspetti del «blocco ideologico»

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dell’egemonia (un insieme ideologico coerente) di tali società, organico a ciò che Gramsci definisce «apparati egemonici» (la struttura materiale del blocco ideologico).

L’eteronormatività, tuttavia, o l’«eterosessualizzazione», non è che uno degli elementi che partecipano organicamente del processo di formazione del blocco storico delle società del tardo-capitalismo e che vanno a costituire «l’insieme c o m p l e s s o , c o n t r a d d i t t o r i o e d i s c o r d a n t e d e l l e sovrastrutture».

La liberazione delle minoranze è un valore indiscutibile, ma la sostituzione del maschile e del femminile con l’androgino indeterminato dai mille colori e sfumature, è parte dell’operazione economica e culturale di distruzione di ogni ricerca e non solo, del fondamento naturale della comunità con annessa verità. L’androgino senza natura, senza identità è il trionfo dell’artificiale, della grande manipolazione in atto f i n a l i z z a t a a s r a d i c a r e o g n i l i m i t e e r e s i s t e n z a all’economicismo che avanza. L’emancipazione deve avvenire all’interno di un fondazione metafisica, in caso contrario non vi può che essere la violenza dell’illimitato dipinto di arcobaleno ad avanzare ed annichilire la libertà. Senza sovranità etica non vi è libertà, ma solo il regno dell’assoluta peccaminosità4:

«Il modello androgino esalta ovviamente la centralità simbolica del gay maschile e femminile, che viene imposta mediaticamente come la figura sessuale centrale e più significativa della società contemporanea. In un mondo in cui non esiste più naturalità, sostituita dall’artificialità integrale della società capitalistica, è del tutto ovvio che anche il “genere” (gender) si scelga, ed uno nasce più maschio o femmina, ma “sceglie” di diventare maschio o femmina».

Note

1 Queer termine che indica una pluralità di differenze sessuali: gay(omosessuali), lesbiche, pansessuali, bisessuali,

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asessuali, transessuali, transgender e/o intersessuali.

2 Gianfranco Rebucini Verso un comunismo queer, Autonomia, disidentificazione, rivoluzione sessuale 29 Novenbre 2017

3 Ibidem

4 Costanzo Preve Una storia alternativa della filosofia Petite Plaisance Pistoia 2013 pag. 451

Fonte: sinistra in rete

BIOSICUREZZA E POLITICA di Giorgio Agamben

C i ò c h e colpisce nelle reazioni ai dispositivi di eccezione che sono stati messi in atto nel nostro paese (e non soltanto in questo) è l’incapacità di osservarli al di là del contesto

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immediato in cui sembrano operare.

Rari sono coloro che provano invece, come pure una seria analisi politica imporrebbe di fare, a interpretarli come sintomi e segni di un esperimento più ampio, in cui è in gioco un nuovo paradigma di governo degli uomini e delle cose.

Già in un libro pubblicato sette anni fa, che vale ora la pena di rileggere attentamente (Tempêtes microbiennes, Gallimard 2013), Patrick Zylberman aveva descritto il processo attraverso il quale la sicurezza sanitaria, finallora rimasta ai margini dei calcoli politici, stava diventando parte e s s e n z i a l e d e l l e s t r a t e g i e p o l i t i c h e s t a t u a l i e internazionali.

In questione è nulla di meno che la creazione di una sorta di

“terrore sanitario” come strumento per governare quello che veniva definito come il worst case scenario, lo scenario del caso peggiore.

È secondo questa logica del peggio che già nel 2005 l’organizzazione mondiale della salute aveva annunciato da

“due a 150 milioni di morti per l’influenza aviaria in arrivo”, suggerendo una strategia politica che gli stati allora non erano ancora preparati ad accogliere.

Zylberman mostra che il dispositivo che si suggeriva si articolava in tre punti: 1) costruzione, sulla base di un rischio possibile, di uno scenario fittizio, in cui i dati vengono presentati in modo da favorire comportamenti che permettono di governare una situazione estrema; 2) adozione della logica del peggio come regime di razionalità politica;

3) l’organizzazione integrale del corpo dei cittadini in modo da rafforzare al massimo l’adesione alle istituzioni di governo, producendo una sorta di civismo superlativo in cui gli obblighi imposti vengono presentati come prove di altruismo e il cittadino non ha più un diritto alla salute (health safety), ma diventa giuridicamente obbligato alla

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salute (biosecurity).

Quello che Zylberman descriveva nel 2013 si è oggi puntualmente verificato. È evidente che, al di là della situazione di emergenza legata a un certo virus che potrà in futuro lasciar posto ad un altro, in questione è il disegno di un paradigma di governo la cui efficacia supera di gran lunga quella di tutte le forme di governo che la storia politica dell’occidente abbia finora conosciuto.

Se già, nel progressivo decadere delle ideologie e delle fedi politiche, le ragioni di sicurezza avevano permesso di far accettare dai cittadini limitazioni delle libertà che non erano prima disposti ad accettare, la biosicurezza si è dimostrata capace di presentare l’assoluta cessazione di ogni attività politica e di ogni rapporto sociale come la massima forma di partecipazione civica.

Si è così potuto assistere al paradosso di organizzazioni di sinistra, tradizionalmente abituate a rivendicare diritti e denunciare violazioni della costituzione, accettare senza riserve limitazioni delle libertà decise con decreti ministeriali privi di ogni legalità e che nemmeno il fascismo aveva mai sognato di poter imporre.

È evidente – e le stesse autorità di governo non cessano di ricordarcelo – che il cosiddetto “distanziamento sociale”

diventerà il modello della politica che ci aspetta e che (come i rappresentati di una cosiddetta task force, i cui membri si trovano in palese conflitto di interesse con la funzione che dovrebbero esercitare, hanno annunciato) si approfitterà di questo distanziamento per sostituire ovunque i dispositivi tecnologici digitali ai rapporti umani nella loro fisicità, divenuti come tali sospetti di contagio (contagio politico, s’intende).

Le lezioni universitarie, come il MIUR ha già raccomandato, si faranno dall’anno prossimo stabilmente on line, non ci si

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riconoscerà più guardandosi nel volto, che potrà essere coperto da una maschera sanitaria, ma attraverso dispositivi digitali che riconosceranno dati biologici obbligatoriamente prelevati e ogni “assembramento”, che sia fatto per motivi politici o semplicemente di amicizia, continuerà a essere vietato.

In questione è un’intera concezione dei destini della società umana in una prospettiva che per molti aspetti sembra aver assunto dalle religioni ormai al loro tramonto l’idea apocalittica di una fine del mondo.

Dopo che la politica era stata sostituita dall’economia, ora anche questa per poter governare dovrà essere integrata con il nuovo paradigma di biosicurezza, al quale tutte le altre esigenze dovranno essere sacrificate.

È legittimo chiedersi se una tale società potrà ancora definirsi umana o se la perdita dei rapporti sensibili, del volto, dell’amicizia, dell’amore possa essere veramente c o m p e n s a t a d a u n a s i c u r e z z a s a n i t a r i a a s t r a t t a e presumibilmente del tutto fittizia.

11 maggio 2020 Giorgio Agamben Fonte: quodlibet.it

TRONTI: PENSIERO SMARRITO di

Piemme

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Siccome è stata una delle migliori intelligenze del movimento comunista che fu, molte cose vennero perdonate a Mario Tronti.

Alcuni, per pudore, chiusero gli occhi e lo assolsero malgrado abbia scelto di essere, fino all’ultimo momento, senatore del Partito Democratico.

Il nostro giunse al punto di farsi presentare il suo libro

“Dello spirito libero”, dal Ministro renziano per le riforme, Maria Elena Boschi [vedi foto più sotto]. Era il 3 marzo del 2016, governo Renzi in carica, e Tronti era infatti uno dei suoi sostenitori (così si spiega come mai la Boschi presenziasse la kermesse).

Confesso che i miei sentimenti furono di tristezza e pena; al di là della meschina figura politica, cosa volete che avesse capito la Boschi delle riflessioni depositate in quel libro — oscillanti tra il sacro ed il profano, tra l’esegesi teologica

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e la nostalgia del “secolo terribile”?

Già allora era noto il refrain di Tronti: dopo il 1989-91 la politica è morta, e con lei la democrazia.

Si vabbè, ma allora che ci fai nel Pd (per di più come senatore), dei killer della democrazia e della politica, il più grande?

Nessuno in quel salotto che più borghese non si poteva, forse per una malintesa riverenza o forse perché nessuno lo prese sul serio, gli fece questa elementare quanto doverosa domanda.

Ogni tanto il nostro fa capolino qua e la, in questa o quella testata, sempre rigorosamente di sinistra (di regime). Come un disco rotto ripete il solito concetto: “La politica? Finita con la caduta del muro”.

Questo è infatti il titolo con cui IL RIFORMISTA ha pubblicato, il 17 giugno scorso la sua ultima intervista.

Al netto della solita solfa senza costrutto frammista alla stuccchevole nostalgia per il ‘900, mi ha colpito la risposta all’ultima domanda su cosa è diventata la sinistra. Ecco quel che dice:

«Sono stato fieramente avverso a questo tipo di maggioranza e di governo. Adesso che c’è, bisogna capire che farne, tra

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l’altro in un passaggio molto delicato. Direi così: se si vuole arrivare almeno all’elezione del presidente della Repubblica, si tenga l’alleanza e si cambi il premier. Il Pd rivendichi per sé la guida politica del governo: l’unico modo per dare dignità ed efficienza a un’alleanza che di per sé è priva dell’una e dell’altra. È vero quanto dice il mio amico Cacciari che il Pd è stato infettato dal virus del governismo.

Non meno che da altri virus: azionismo, giustizialismo, moderatismo. Tutti limiti di cultura politica».

Eh sì, perché Tronti, i governi a guida Pd li ha sostenuti tutti, compreso quello a guida Mario Monti. Ma questo Conte bis no, proprio non lo digerisce, troppo profonda la sua idiosincrasia per il “populismo” ed i cinque stelle. Tuttavia bisogna farsene una ragione, bisogna tenere in vita questa deprecabile alleanza e sapete perché? Per arrivare ad eleggere il Presidente della Repubblica, ovvero per far si che al Quirinale resti, dopo Mattarella, un paladino convinto dell’ordine neoliberista e ligio al vincolo esterno.

Mi sbaglio o più in basso di così è difficile scendere?

No caro Tronti, la politica non è crepata affatto, né è morto il conflitto sociale (e lo vedremo nei prossimi mesi). Quel che è davvero passata a miglior vita è solo la tua capacità critica e di discernimento. E’ il tuo spirito libero di cui non c’è più traccia.

Ce ne siamo fatti una ragione.

UNO, NESSUNO, CENTOMILA di

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Alberto Melotto

O g g i , sabato 20 giugno 2020, si svolgerà l’annuale edizione del Pride Italiano, questa volta in versione virtuale, ovvero attraverso la rete di Internet. Una versione live avrebbe violato i sonni felici del nostro governo, impegnato a provare sdegno per qualsiasi forma di interazione sociale. E’ così la c o m u n i t à L G B T Q I t r a s f e r i r à n e l l ’ e t e r e l e p r o p r i e rivendicazioni, la propria usuale e ostentata allegria.

Lungi da noi voler mettere in dubbio il diritto a manifestare di una tale forma di espressione sociale e politica, ci preme però di provare a smontare un insieme di affermazioni che troppo spesso vengono accettate senza che vi sia un vero dibattito culturale.

All’interno della comunità LGBTQI si dà per scontata la separazione fra i concetti di sesso e di genere. Fu lo psicanalista americano Robert Stoller nel volume del 1968 Sesso e gioventù, fra i primi a porre esplicitamente una distinzione tra sesso e genere, quest’ultimo definito come

“l’insieme complesso di comportamenti, sensazioni, pensieri e

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fantasie che sono legate ai sessi e che , tuttavia, non hanno connotazioni biologiche primarie”. E’ la prima volta che si separa il sesso come dato biologico dal genere come insieme di dati culturali e sociali, distinzione subito adottata dalla critica femminista e subito elevata a fondamento teorico di ricerche poi confluite nei gender studies, gli studi di genere. Così la storica statunitense Joan Scott , nel 1986 afferma che il genere va pensato come una categoria sociale imposta a un corpo sessuato costituendo “un fattore primario del manifestarsi delle relazioni di potere.

Nel corso degli ultimi trent’anni, come afferma Cristina Demaria, si giunge infine al superamento dei concetti di sesso e genere a opera della critica detta QUEER (o post-gender) in cui si riconoscono principalmente, donne lesbiche, e più di recente, individui che rivendicano un’identità transgender o transessuale. Il termine queer (che significa strano, deviato, e quindi anche “inquietante”) è un termine ombrello, che comprende la rivendicazione di pratiche sessuali culturalmente e socialmente etichettate come marginali. Queer indica insomma il rifiuto pratico e teorico di allinearsi e confluire in qualsiasi pratica dell’identità, la volontà di decostruire ogni posizione che affermi una divisione netta tra sesso come dato biologico, genere e desiderio sessuale.

Questa imperiosa tendenza a indebolire, minare alla base le identità maschile e femminile, strettamente legate al dato biologico, deve a nostro avviso preoccupare chi ha a cuore un progetto di superamento dell’attuale fase di storica di neo- liberismo esasperato. Frammentare la propria identità sessuale, renderla fluida e volatile, pronta a mutare ad ogni mutare del capriccio proprio o altrui, significa rendersi facilmente preda di quei poteri che offrono false libertà di costume, e spogliano le masse popolari di quei diritti sociali ed economici che appartengono loro di diritto.

Nel nostro tempo, il corpo umano così come ci viene dato alla nascita viene vissuto quasi con fastidio, come un orpello

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noioso e già visto, che va modificato, abbellito fino a personalizzarlo, quasi fosse un’automobile da colmare di accessori, e non una parte essenziale, insieme alla mente e allo spirito, della nostra persona.

A livello filosofico, siamo immersi dagli anni ottanta nel cosiddetto post-modernismo.

Una delle caratteristiche fondanti del post-modernismo è il cosiddetto paradigma della molteplicità, ovvero l’affermazione che il mondo “Non è uno, ma molti”, che si traduce in una difesa programmatica della differenza, accompagnata da una s e r i e d i p r a t i c h e c u l t u r a l i d i r o t t u r a , q u a l i l a frammentazione, la dissociazione, l’ibridazione, la carnevalizzazione. Non a caso uno dei personaggi che assume su di sé la valenza simbolica dei nostri giorni è Orfeo che, secondo la leggenda, viene smembrato dalle Menadi e la cui anima trasmigra di corpo in corpo. La frammentazione del corpo di Orfeo non è vista come qualcosa di tragico, ma come qualcosa di giocoso: la liberazione di Orfeo non consiste nella ricomposizione ultima della sua identità. Orfeo sperimenta la propria libertà passando per la frammentazione e la trasmigrazione da una forma all’altra, senza che ciò dia luogo a una forma definita e definitiva.

Inoltre, il post-modernismo tende a diffidare di ogni utopia r i v o l u z i o n a r i a , q u a l e i l s o c i a l i s m o . L e v i s i o n i omnicomprensive del mondo vengono irrise, messe alla berlina.

Vi è una sfiducia programmatica in ogni terapia salvifica. Con queste premesse si è giunti fatalmente al ripiegarsi sul p r i v a t o , s u l l ’ i n d i v i d u a l i s m o n a r c i s i s t i c o . L a carnevalizzazione di cui parlavamo poc’anzi, diventa la prassi quotidiana per milioni di esseri umani, prassi che sostituisce e accantona, la disciplina dell’acculturarsi e del fare azione politica. Il tatuaggio, il piercing, sono tentativi improvvidi di valorizzarsi e sottrarsi a quella che viene vissuta, erroneamente, come una condizione di anonimità.

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L’autoritarismo attuale è figlio della distopia di Aldous Huxley, il romanzo Il mondo Nuovo (Brave New World, 1932), Nel romanzo di Huxley, i protagonisti conducono una vita sgargiante, colma di divertimenti e di passatempi piacevoli, lontana dal grigiore opprimente del 1984 di Orwell. Dietro le quinte, comunque, anche nel mondo distopico di Huxley tutto viene deciso da pochi autocrati a tavolino, a cominciare dalla nascita di ciascuno, attentamente pianificata dall’uso della provetta come metodo procreativo.

Se uno dei nemici più pericolosi per la nostra specie è il transumanesimo, occorre dire senza troppe cautele che l’ideologia fluid-gender va, quale che sia la consapevolezza di molti suoi militanti, nella direzione di rendere l’essere umano debole e manipolabile, da qualsiasi punto di vista – fisiologico, mentale, spirituale.

*Alberto Melotto è membro del Cpt di Torino Fonte: Liberiamo l’Italia

PSICOPATICI E CRAVATTARI di

Umberto Spurio*

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I o h o relazioni sociali e affettive. La parola assembramento è da psicopatici.

Gli stessi che hanno deciso che in un minibus di quattordici metri quadri possono entrare dieci persone e in un negozio grande il doppio, solo tre.

Io ho bisogno di respirare. Se mi vieti di farlo all’aria aperta sei del gruppo degli stessi psicopatici. Dovreste andare in analisi da un ottimo psichiatra. Ma poichè tutti insieme avete preteso di curare un morbo nuovo senza fare autopsie, dato disposizioni che hanno diffuso il contagio e provocato migliaia di morti, dovreste essere processati e condannati da un tribunale del popolo, visto che in magistratura si dice “in nome del popolo italiano” ma si traduce “in nome degli amici di merenda e di partito”.

Io ho bisogno di soldi per vivere e sono stato obbligato a chiudere bottega. Ma ho lo stesso pagato le bollette della luce con la spesa maggiore sulle tasse e sugli accessori:

farmelo fare non è da psicopatici, ma da cravattari. E con quei seicento euro che ho ricevuto due volte non ci pago nemmeno l’affitto, beninteso di un negozietto chiuso.

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Cravattari e infami. Perchè le tasse le devo pagare lo stesso.

Io ho due figli che devono studiare da casa, ma devo anche lavorare e non posso lasciarli soli in casa. Cosa si stanno inventando gli psicopatici super laureati?

Sono triste. Sono triste quando vedo un vecchio da solo su una panchina, imbavagliato e curvo sotto il peso di una vita intera. Quando vedo i suoi occhi persi nel vuoto. Solo un manipolo di psicopatici e cravattari può fare questo. Mandate in onda gli spot per la tutela dell’infanzia e della terza età: sarà il momento che scaravento dalla finestra la mia inutile tv, può darsi che vi becco in pieno quando uscite da una delle vostre auto blu.

Ma è più probabile che colpisca un povero cristo come me. Devo pensare ad altro per farvela pagare. Magari unirmi a tutti quelli come me.

Si. Perchè dovete pagare caro e tutto.

*Umberto Spurio è membro del Coordinamento nazionale di Liberiamo l’Italia

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