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Ataf privatizzata? Soldi regalati ai soliti noti

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Academic year: 2022

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Ataf privatizzata? Soldi regalati ai soliti noti

written by Alessandro Nannini

Lo scorso 17 settembre la Rsu Ataf ha avuto un’audizione con la sesta e terza commissione consiliare del Comune di Firenze. Tale audizione, richiesta dalla Rsu Ataf, ha avuto lo scopo di tirare in ballo tutte quelle forze politiche cittadine che direttamente, ma anche indirettamente, hanno voluto la privatizzazione dell’azienda di trasporto pubblico fiorentina.

Lo scenario che avevamo sempre denunciato nella lunga battaglia contro la vendita si è puntualmente avverato: nel momento che il Comune, e quindi il pubblico, esce da un’azienda strategica come è quella che gestisce il trasporto locale, non fa altro che regalare soldi al privato. Infatti non ha più il minimo controllo che questi soldi servano per offrire un servizio e non per far cassa e profitto.

Quello che sta succedendo nella nuova Ataf Gestioni privata è questo.

Mai come in quest’ultimo anno il servizio offerto ai cittadini è stato così scadente sia per qualità che per offerta. Sono ben oltre il 5% le corse saltate giornalmente per carenza o guasti vetture o per ritardi dovuti sì al traffico ma anche a tempi di percorrenza insufficienti. Ma in questo momento nessun Ente in pratica controlla:

la Regione è troppo presa nel tentativo di bandire una gara regionale che sembra diventata la tela di Penelope, la Provincia di fatto non esiste più, i Comuni latitano.

Basti pensare che solo nei mesi di maggio, giugno e metà luglio, cioè fino a quando non abbiamo avuto il servizio estivo ridotto, puntualmente ogni mattina mancavano una media di 15/20 vetture idonee al servizio perché guaste, con il risultato che altrettanti autisti erano fermi in deposito ad aspettare che venissero riparate per poter uscire e fare servizio. Tutto questo più volte denunciato con tanto di prove alla stampa, che però forse era troppo presa ad obbedire ad ordini superiori, visto che l’Ex Sindaco di Firenze stava facendo carriera.

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Siamo sicuri che con l’arrivo dell’autunno la situazione si ripresenterà: il primo caso lo abbiamo già avuto il 2 settembre quando dei 6 bussini elettrici in servizio sulla linea C2 ne circolava 1 solo. Se la maggioranza di governo di questa città pensava vendendo Ataf di lavarsene le mani di tutte le problematiche del trasporto locale sbagliava di grosso. Come lavoratori e come cittadini le saremo sempre addosso e non smetteremo di lottare perché il diritto alla mobilità sia un vero diritto e non una merce con cui far profitto.

Qui sotto il comunicato stampa Rsu Ataf sull’audizione.

Rappresentanza Sindacale Unitaria ATAF

AUDIZIONE COMMISSIONE COMUNALE

In data odierna la R.s.u. Ataf, a seguito della richiesta d’incontro avanzata alla 6°

e 3° commissione consiliare del comune di Firenze (mobilita e lavoro) è stata ricevuta in audizione.

Lo scopo di tale audizione è stato quello di rappresentare ai consiglieri comunali di tutte le forze politiche la difficile situazione in cui versa il trasporto erogato dall’azienda Ataf Gestioni.

Ai consiglieri presenti sono stati illustrati tutti i disservizi causati dalla mala organizzazione e dalla superficialità con cui l’attuale dirigenza aziendale sta gestendo il trasporto pubblico fiorentino (percorrenze insufficienti, corse saltate, vetture mancanti, turni scoperti, autisti costretti allo straordinario forzato giornaliero, smantellamento delle officine, ecc.).

Chi come noi tutti i giorni è sulla strada ed a contatto con l’utenza ha potuto constatare come l’attuale servizio offerto sia di gran lunga il più inefficiente degli ultimi anni: tutto ciò nonostante i sacrifici che i lavoratori sono stati chiamati a fare in nome del presunto efficentamento dell’azienda sfociato con la sigla dell’accordo del 10/3/14 e dei successivi.

Lo scopo della nostra presenza è stato quello di rimarcare ai consiglieri comunali che se la politica fiorentina pensava con la vendita dell’azienda di essersi lavata le mani delle problematiche inerenti al trasporto pubblico sbagliava di grosso. Tutte le nostre preoccupazioni sulla privatizzazione di Ataf stanno puntualmente

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venendo al pettine: CHI CONTROLLA SE IL SERVIZIO SIA GARANTITO AI CITTADINI E FUNZIONALE ALL’ESIGENZE DEGLI STESSI A DISCAPITO DEL MERO PROFITTO?

Questa situazione sta facendo aumentare il malumore all’interno dei lavoratori ataf, stanchi di dover operare in condizione drammatiche a causa del traffico e delle cantierizzazioni, oltreché ulteriormente stressati dalle continue rimostranze di una utenza esasperata da un servizio totalmente inesistente.

Non ci sarebbe sicuramente da stupirsi se la rabbia derivante da quanto sopra, aggravata addirittura dell’ennessimo tentativo aziendale di cancellazione della trattativa di secondo livello (disdetta accordi al 30/9/14) dovesse nuovamente sfociare in nuove azioni eclatanti.

Le commissioni hanno preso atto di quanto esposto, impegnandosi a convocare l’azienda per poi procedere a successive valutazioni.

Intanto il 26/9/14 incontreremo l’Assessore alla mobilita del Comune di Firenze Giorgetti.

Firenze 17 settembre 2014

“Uomini e soldi” di Fausto Amodei

written by Francesca Breschi

E siamo sempre lì, sempre a dover difendere il diritto al lavoro e a cercare di mantenerlo, quel lavoro. Il precariato è ovunque, si aggira come uno spettro vorace e costringe sempre più a cercare altrove quelle opportunità che qui sono negate.

Gli emigranti di oggi sono diversi da quelli di un tempo ma il risultato non cambia. Non è che i soldi non ci siano: ci sono ma se ne vanno, eh già, partono anche loro ma per ben altre destinazioni, per strane isole dai nomi esotici…

Fausto Amodei, autore di testi e fine musicista, fece parte del glorioso gruppo de

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Il Cantacronache che annoverava fra i suoi componenti nomi del calibro di Michele Straniero, Margot, Sergio Liberovici, Italo Calvino e altri, oltre a varie collaborazioni che andavano da Franco Fortini a Maria Monti, da Jannacci al Canzoniere delle Lame a Il Nuovo Canzoniere Italiano di Ivan della Mea, Giovanna Marini e Paolo Pietrangeli.

Rimasto ancor’oggi baluardo di quel battaglione fiero e indomito di autori della

“canzone politica” degli anni ’70, ci si accorge con non poco sgomento che gli argomenti che trattava allora sono spesso ancora, ahimé, attualissimi. Pare non esserci scostati di un millimetro da quelle problematiche…

Di Amodei ci risuonano ancora fresche nella memoria i bellissimi e corali “Morti di Reggio Emilia” e “ Se non li conoscete”.

Scelgo invece un altro brano, ascoltato recentissimamente cantato da Giovanna Marini e che non ha bisogno di ulteriori commenti.

“Uomini e soldi”

Son senza patria i soldi ohi dei padroni

son soldi viaggiatori come i piccioni

Per far viaggi d’affari o di piacere

i capitali varcano le frontiere

Son mille e più miliardi che anno per anno traversan le frontiere e se ne vanno

E noi lavoratori sènza lavoro

dobbiamo per mangiar viaggiar con loro

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I soldi che gli agrari ci han tolto via

fan tappa su in Piemonte e in Lombardia

e qui si riproducono per contanti

poi se ne vanno all’estero tutti quanti

I soldi dei padroni van dritti dritti

dovunque possan trarre maggior profitti

e noi passo per passo metro per metro

dobbiamo per mangiare tenergli dietro

Avevo già arricchito più di un padrone facendo da bracciante nel meridione

E poi nel nord e all’estero da operaio

ne ho fatti venir ricchi più d’un migliaio La regola da trarre è solo una

ci dicon di emigrare per far fortuna Cèrto si fa fortuna ma si dimostra

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che noi facciam la loro ma non la nostra

I soldi dei padroni che fuggon via

danneggiano la nostra economia

Perché danno un passivo dei più imponenti

alla nostra bilancia dei pagamenti

Ma la bilancia torna a funzionare

purché noi si continui ad emigrare

ed a spedire a casa quei bei contanti che sono le rimesse degli emigranti

Ma occorre che gli passi quel brutto vizio

che i soldi ci abbian sempre al loro servizio

Dev’essere il contrario e prima o poi

dovranno essere i soldi a servir noi

La rabbia che han portato i nostri fratelli

all’Alfa e alla Fiat

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e alla Pirelli

Noi la dobbiam portare per tutta Europa

spazzando via i padroni come una scopa

Perché il padrone è uno non ci si sbaglia

che faccia i soldi all’estero o qui in Italia

I soldi lui li fa sul nostro lavoro

e poi li manda all’estero e noi con loro

Noi non vogliamo essere mai più esiliati

ma ormai protagonisti e organizzati

Dobbiam farla finita per esser pronti a giunger presto alla resa dei conti.

Inizia il processo per l’uccisione di

Daniele Franceschi. Il governo

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tace

written by Maurizio De Zordo

Il 25 agosto del 2010 moriva, nel carcere di Grasse, in Francia, Daniele Franceschi, viareggino di 36 anni. Era stato arrestato per una carta di credito falsa, una storia di poco conto che gli è costata la vita.

Le autorità francesi hanno per anni glissato sulla vicenda, senza dare risposte e spiegazioni sulle cause della morte e sulle responsabilità. Solo ora, dopo anni e grazie alla determinazione della madre, Cira Antignano, che non ha mai smesso di chiedere verità e giustizia, siamo arrivati ad un processo a carico del medico e di due infermiere del carcere, che hanno gravemente sottovalutato le condizioni di salute di Daniele, senza rispondere alle richieste di aiuto. Il clima e le condizioni delle carceri francesi sono evidentemente simili a quelle italiane: evidentemente è la stessa natura di istituzione totale che il carcere ha assunto che condanna alla disumanità chi è recluso, e chi ci lavora: luogo di separazione, di punizione, di abuso di forza e autorità. E tanti saluti ai concetti di reinserimento sociale e di commisurazione della pena alla gravità del reato, a Beccaria e a Gozzini. In carcere, in ogni carcere, si è in un mondo a parte, in balia della violenza palese o nascosta, senza alcun diritto, passibili di pena di morte. Le campagne di disinformazione sulla “sicurezza” portano anche a questo: sempre più spesso si sente dire “buttate via la chiave”, oppure “datelo a noi”, in un delirio di sete di vendetta e di sfogo rabbioso che certo poco ha a che fare con il concetto stesso di giustizia.

Cira Antignano, la madre di Daniele, ha anche sperimentato la violenza dei poliziotti francesi, anche in questo caso con un triste allineamento ai peggiori comportamenti dei colleghi italiani, o di altre nazioni: pochi mesi dopo la morte di suo figlio è andata a Grasse a manifestare, da sola, davanti al carcere. Malmenata e pestata, tre costole rotte sono state la risposta delle autorità.

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Ora Cira è a Grasse al processo. Non è sola, questa volta, ma Acad solo perché al suo fianco ci sono i parenti delle vittime del disastro ferroviario di Viareggio, e l’Associazione contro gli abusi in divisa.

Continua a brillare l’assenza delle autorità italiane, e toscane, che sembrano del tutto disinteressate alle sorti di un cittadino italiano morto mentre era nelle mani dello stato francese.

Cira ha anche scritto una lettera aperta, indirizzata alle cariche istituzionali italiane e toscane, che di seguito riportiamo. Non ha ricevuto alcuna risposta.

Al Presidente del Consiglio Matteo Renzi Al Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi Al Ministro degli Affari Esteri Federica Mogherini Al Presidente della Commissione Giustizia del Senato Italiano Luigi Manconi

Gentilissimi Presidenti e Ministri,

il mio nome è Cira Antignano e sono la madre di Daniele Franceschi, cittadino italiano, e toscano, che nel 2010 è stato arrestato in Francia per una carta di credito clonata. Mi figlio ha sbagliato, ed è stato arrestato, ma ha pagato con la VITA. Rinchiuso nel carcere di Grasse per mesi. Morto “senza una ragione”, il suo corpo mi è stato restituito dalle autorità francesi in avanzato stato di decomposizione e senza gli organi interni. Soprattutto senza una risposta, una spiegazione, un perché di questa morte assurda, mentre Daniele era nelle mani dello Stato. Di uno Stato che si definisce moderno, libero e democratico.

Non so se ricordate il caso di Daniele, ma penso che dovreste. Dovreste avere a cuore la sorte di un ragazzo di Viareggio, tornato morto da un carcere francese, e che ancora aspetta una parola di verità e giustizia da parte delle autorità.

Dovreste avere a cuore il dolore disperato di una madre che da quel maledetto giorno non si da pace. Trovereste pace voi nella totale negazione dei diritti?

Esiste la pena di morte in Francia? E le Istituzioni Italiane cosa fanno?

Giustificano tutto questo con complice silenzio?

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Io certo non mi rassegno e farò di tutto per ottenere quella verità e quella giustizia troppo a lungo negate, ma mi trovo, sola, a dover lottare contro una macchina inumana e troppo più forte di me.

Il 13 ottobre 2010 sono andata a manifestare davanti al carcere di Grasse, per mio figlio, con un lenzuolo bianco con su scritto: “Carcere assassino, me lo avete ammazzato due volte. Voglio giustizia”. La protesta non è però piaciuta ai vertici carcerari che hanno chiamato la polizia. Ho cercato di spiegare che volevo manifestare pacificamente ma loro mi hanno messo in ginocchio e mi hanno ammanettato. Uno con il tacco della scarpa me l’ha premuto contro il petto fino a rompermi tre costole. Vi pare questo il modo per soffocare il grido disperato di una madre che chiede giustizia per suo figlio?

Il 17 e 18 settembre prossimi si terrà presso il Tribunale francese di Grasse il processo per omicidio colposo a carico del medico del carcere e per due infermiere, ma ancora una volta, come in tutti questi anni, lo Stato e la Regione di cui Daniele era cittadino saranno assenti. Io stessa, in gravi difficoltà economiche, potrò partecipare al processo solo grazie al sostegno di ACAD, “Associazione Contro gli Abusi in Divisa – Onlus” e il “Comitato delle vittime della strage di Viareggio e del 29 Giugno”. Vi pare giusto che ci sia qualcuno che svolge il vostro compito anche in questi termini?

Chiedo a voi, uomini a capo di Istituzioni che si dichiarano democratiche, se ritenete accettabile tutto questo e in che modo potete rispondere a una madre che ha deciso di rivolgersi direttamente a voi dopo aver lottato da sola per un principio che dovrebbe essere acquisito, cioè per vedere affermate verità e giustizia per suo figlio.

Voglio giustizia!

E rivoglio gli organi di mio figlio!

Cira Antignano, madre di Daniele Franceschi

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“Cultura sì, cultura no”. La nuova rubrica di Franca Falletti

written by Franca Falletti

La Città invisibile aprirà, a partire dal prossimo numero, una rubrica dedicata alla cultura e alla sua attuale gestione. Ma cosa si intende qui con questa fatidica parola che serve a tutto, anche, solo per fare un esempio, a non pagare il suolo pubblico? Si intende quel bene cui tutti hanno diritto in maniera egualitaria per sviluppare il proprio spirito, al fine di far crescere una società più giusta e consapevole. Perciò, innanzitutto, alla cultura non si ha accesso tramite il denaro, né tramite posizioni di favore, di potere o di criteri in qualunque modo selettivi.

Per diffondere e difendere questa idea della cultura nasce la nostra rubrica.

Diciamo poi che la cultura di cui si parla qui non è una questione teorica, che non tocca la nostra pratica esistenza quotidiana: al contrario è un potentissimo strumento politico che può determinare le sorti di un paese e quindi di tutti noi.

Solo una società colta sarà in grado di esercitare la sua libera capacità di critica e quindi di influire sulle scelte che riguardano il proprio futuro. In tale ottica diventa imprescindibile prestare attenzione alla qualità della cultura diffusa e alle conseguenze che da essa possono derivare, perché, come attraverso un cibo inquinato, attraverso una falsa cultura si nutre un paese di veleni.

La cultura non pone confini al suo orizzonte nel tempo e nello spazio. Guarda alla storia in tutte le sue manifestazioni, non per accumulare conoscenze, ma per affinare la memoria e leggere con lucidità gli eventi contemporanei: la storia che ci interessa è infatti quella radicata nel presente, perché ciò che vogliamo è conservare il passato ma ancor più produrre il futuro, senza il quale il passato non conta. Guarda anche alle storie e alle culture che si sono sviluppate altrove e che con noi nel presente si mescolano e convivono, avendo contenuti (non natura e finalità) diversi dalla nostra. E guarda anche alle nuove frontiere che si si fanno strada con ritmi sempre più serrati, grazie al mutare delle tecniche e dei sistemi logici e relazionali, ma senza appiattirsi sullo “svago” fine a se stesso (per quanto anch’esso momento legittimo e anzi indispensabile), perché sempre e comunque

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richiede a chi vuole accedervi uno sforzo di attenzione e di intelligenza, sostenuto dalla disponibilità ad assimilare il nuovo e l’altro da sé.

Ciò che ha spinto ad aprire questa rubrica, infine, non è stata solo la costatazione dell’importanza della cultura e del ruolo che ricopre, ma anche il dibattito che si sta attivando intorno ai problemi ad essa connessi, in particolare in relazione alla crisi economica e al conseguente pressante – quanto inquietante – bisogno dello Stato e degli Enti locali di fare cassa con un patrimonio culturale che appartiene alla collettività e che non deve esserle espropriato.

Lo svuotamento della democrazia e i movimenti. Una proposta da Attac

written by Marco Bersani

Per affrontare il tema della relazione fra i movimenti e la democrazia e fra il conflitto

e la rappresentanza, occorre uscire dall’astrattezza e porsi una domanda concreta: come coniugare le istanze di

trasformazione sociale portate avanti dai movimenti in questi anni con lo stato attuale della democrazia?

Il quesito riguarda l’efficacia delle lotte sociali in campo, a fronte del “muro di gomma” di istituzioni, capaci perfino, non solo di non realizzare, bensì di attaccare in ogni modo e a qualsiasi livello, un pronunciamento della società intera, come quello che si è avuto tre anni fa, con la straordinaria vittoria referendaria sull’acqua.

Occorre a mio avviso partire innanzitutto dall’analisi dello stato della democrazia, che, in estrema sintesi, potremmo definire drammatico. Assistiamo, infatti: a livello internazionale ad un progressivo spostamento dei luoghi

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decisionali dalle sedi statuali a quelle di grandi istituzioni finanziarie transnazionali, quando non a luoghi indefiniti, teatro dell’azione di lobby che spesso determinano le scelte politiche; a livello nazionale, al progressivo spostamento dei poteri dalle assemblee elettive agli esecutivi; a livello locale, alla progressiva espropriazione di ogni democrazia di prossimità, attraverso la esternalizzazione di ogni servizio e funzione pubblica. Naturalmente, il progressivo svuotamento dei poteri delle assemblee elettive e delle istituzioni democratiche non avviene per qualche complotto eterodiretto e univoco: sono infatti le stesse autorità pubbliche a promuovere la propria dissoluzione, dimostrando come da tempo il “pubblico” abbia progressivamente trasformato la propria funzione da garante dei diritti e dell’interesse generale a facilitatore dell’espansione della sfera d’influenza dei grandi interessi finanziari sulla società.

>>> Guarda i video con tutti gli interventi all’Università estiva di Attac Quanto sta avvenendo sul versante della democrazia e delle istituzioni evidenzia alcune caratteristiche precise: la segretezza e l’opacità delle scelte (d’altronde, dizionario alla mano, il contrario di “pubblico” è “segreto”), la privatizzazione della politica (la spazio pubblico è trasformato in arena per interessi di gruppo familistico, lobby economica, clan, perfino all’interno del medesimo partito), la teologia della governabilità (di cui ha parlato Gaetano Azzariti) ovvero, quell’idea per cui tutto avviene dall’alto e l’unico problema diviene come prendere quel potere. Tra l’altro, la teologia della governabilità è anche una delle cause del fallimento nell’ultimo decennio della sinistra radicale, che, impregnata dall’idea dello stare al governo –locale o nazionale che fosse- come unica possibilità di produrre cambiamento, si è ritrovata progressivamente svuotata di ogni senso e di qualsivoglia utilità sociale, fino al dissolvimento.

L’ultima caratteristica che lega queste trasformazioni è l’attenzione, tipica dell’ideologia liberista, al prodotto piuttosto che al processo e, di conseguenza, al

“vincere” a prescindere dai contenuti sostanziali di qualsivoglia presunta vittoria;

un solo esempio per tutti, la stragrande maggioranza delle persone che hanno tributato il 40% al premier Renzi alle ultime elezioni europee è assolutamente convinta di averlo fatto per poter finalmente vincere, indipendentemente dal fatto di condividere quasi nessuno dei provvedimenti agiti da Renzi nella sua azione di governo.

Volgendo lo sguardo sul versante dei movimenti, la riflessione che proporrei è

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quella relativa al loro stato, alle loro possibilità e alle obiettive difficoltà in cui si trovano. Parto da una premessa: non ritengo reale alcuno scenario che descriva la società come in preda ad una passivizzazione di massa e concordo con la definizione di Lidia Cirillo della società come un “universo deflagrato delle resistenze”.

Conosco il territorio italiano per avere la fortuna di poterlo girare invitato in moltissimi luoghi e devo dire che non conosco epoca che possa vantare un attivismo reticolare come quella attuale, con migliaia di esperienze concrete in atto e altrettante conflittualità in corso. Sono tutte esperienze che, anche grazie alla difficoltà di trovare possibilità di contrattazione sociale in una democrazia drasticamente in crisi, hanno giocoforza dovuto affinare le proprie analisi ed elaborazioni: bastino, come esempi, l’affermazione del paradigma dei beni comuni, tutta la riflessione su “pubblico”, “privato” e “comune” e le analisi sulla democrazia partecipativa, affrontate e tematizzate nel nostro Paese e non in altri stati europei, proprio per la profondità della crisi democratica che lo attraversa.

Quello che manca a questo variegato mondo di esperienze e di resistenze è la fiducia nella possibilità di un cambiamento generale, elemento che rischia di precipitare ognuna di esse nell’autoreferenzialità e in una sorta di “mistica del naufrago”, solo al mondo e senza possibilità di interconnessioni.

Sono tutte esperienze dentro le quali -come ci ha detto Paolo Cacciari- si evidenzia una domanda insopprimibile di democrazia; ma sono altrettante realtà per le quali vale anche la riflessione di Mimmo Porcaro, quando ci ha detto che il fatto che l’uomo sia un animale sociale, più che orientarci verso l’idea di una tendenza naturale al “socialismo” (comunque lo si voglia declinare), ci deve far riflettere sull’altrettanto insopprimibile domanda di appartenenza;

talmente forte da determinare in molte persone la rinuncia ai propri diritti a patto di poter sperimentare una qualche forma di inclusione sociale, anche simbolica.

Credo che queste due declinazioni, la domanda di democrazia e la domanda di appartenenza, ci dicano molto delle attuali difficoltà delle esperienze di movimento a trovare forme di connessione e di unità più solide e capaci di farne avanzare gli obiettivi.

Anche perché queste due domande attraversano non solo le formazioni sociali ma gli stessi individui: come se ciascuno di noi, sia interiormente che nella propria dimensione sociale, fosse attraversato da una intensa forza che ci permette di avanzare nella sperimentazione di nuove forme di relazioni sociali e

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di nuovi laboratori di democrazia e, contemporaneamente, vivesse una fragilità che ci spinge a far prevalere l’appartenenza e la quasi totale identificazione con un tema, una vertenza, un obiettivo (acqua, No Tav, rifiuti etc.).

L’esperienza di questi anni ci dice come, ad oggi, la costruzione di una coalizione sociale ampia è stata possibile solo dentro una battaglia e un movimento di scopo: da questo punto di vista, l’esperienza referendaria del movimento per l’acqua è stata senz’altro quella più significativa, ma, su scala diversa, il medesimo risultato si può osservare in diverse situazioni e vertenze. Il fatto è che la crisi verticale della rappresentanza produce i suoi effetti anche dentro i movimenti, rendendo difficile qualsiasi percorso che, da uno scopo collettivamente definito, provi a produrre connessioni più ampie: di fronte a questi tentativi, scattano immediatamente domande di democrazia radicale (“chi ha deciso?”) e bisogni di appartenenza (“noi siamo il movimento per l’acqua, che c’entriamo, aldilà della reciproca solidarietà, con il movimento No Tav?”). Cosa è dunque possibile fare, tenendo conto che il modello neoliberista questi problemi non se li pone e, nella dinamica concreta, agisce un attacco sempre più globale alla società, alla vita delle persone e alla natura stessa?

Credo che, nonostante sia in voga una tendenza alla fretta e all’idea che non ci sia più tempo, senza sottovalutare la drammaticità della situazione, occorra armarsi di una “lenta impazienza”, ovvero dell’impazienza determinata dal verificare quotidianamente l’insopportabilità dello stato di cose presenti, ma anche della consapevolezza della lentezza di un processo di costruzione di alternativa reale.

Del resto a chi, dopo un 4,03% di voti alla lista “Un’altra Europa con Tsipras” alle recenti elezioni europee, considera matura la costruzione di una Siryza italiana, occorre ricordare come l’esperienza greca abbia prodotto in oltre dieci anni il risultato a cui è giunta oggi e, soprattutto, dopo un lavoro reticolare di radicamento sociale e territoriale. E occorre altresì ricordare come, aldilà degli evidenti limiti soggettivi e oggettivi di un’esperienza come quella del Movimento 5 Stelle, anche 160 parlamentari “contro” sembrino produrre poco più che impotenza nell’azione dentro le istituzioni.

Occorre senz’altro intraprendere un cammino, ed io credo debba avere due obiettivi: politicizzare il sociale e socializzare la politica.

Cosa significa politicizzare il sociale? Certamente occorre sostenere -come ci ha ricordato Paolo Cacciari- tutte le buone pratiche che sperimentano forme

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alternative di stare nell’economia e nella società, riconoscendone il valore politico della costruzione di un’altra antropologia, di un altro modo di vivere. Ma il fare non è di per sé politicizzato, se nella sua azione non riconosce i nessi necessari da una parte a salvaguardare la propria esperienza, dall’altra a permetterne una universalizzazione attraverso il conflitto. Per fare un esempio certamente banale, ben vengano gli orti urbani, ma è bene che i nostri coltivatori alternativi si interessino sia del piano regolatore, per evitare che un terreno liberato oggi divenga un centro commerciale domani, sia di come produrre un cambiamento verso una nuova economia sociale territoriale, per non venire fagocitati come nicchia di sistema. La politicizzazione del sociale chiede che, nella vertenza dentro la quale ciascuno di noi è impegnato, si riconoscano a fondo i nodi che ne impediscono lo sbocco e li si inserisca come obiettivi di lotta. Non si tratta di un automatico passare dal “particolare” al “generale”, bensì di andare a fondo del particolare, per scoprire quali nodi più generali ne impediscono un’evoluzione positiva.

Per fare un esempio, Attac Italia, da sempre parte attiva del movimento per l’acqua, ha fatto una riflessione profonda sullo “stallo”, verificatosi addirittura dopo una straordinaria vittoria referendaria e i nodi che ha compreso -e proposto come obiettivi all’intero movimento dell’acqua- sono stati la necessità di aggredire l’ideologia del debito pubblico e il muro di gomma del “non ci sono i soldi”. Da questa riflessione è nato il percorso che ha dato vita al Forum per una nuova finanza pubblica e sociale, ovvero un luogo con proposte -indagine popolare indipendente sul debito e socializzazione del credito, a partire da Cassa Depositi e Prestiti- che non si sono giustapposte come obiettivi di un ulteriore forum agli altri già esistenti, ma che hanno cercato di indicare quei nessi che ciascun movimento dovrebbe riconoscere come insiti anche nella propria vertenza e necessari allo sblocco della stessa. E’ in questo senso che, faticosamente, diventa possibile una prima tappa nell’unificazione dei movimenti e dei conflitti:

mantenendo la caratteristica di scopo, senza nessuna generalizzazione astratta, e tuttavia allargando progressivamente lo scopo stesso.

Lo stesso vale per l’attuale campagna “Stop TTIP!”, ovvero contro il tentativo di costruire fra Usa e Ue la più grande area di libero scambio del pianeta, realizzando l’utopia delle multinazionali. Anche in questa campagna si mantiene la modalità d’azione sullo scopo, che consente la coalizione, ma lo scopo stesso progressivamente si amplia, consentendo un nuovo passaggio, che da una parte

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risponda all’insopprimibile domanda di democrazia, dall’altra non metta drasticamente in discussione la domanda di appartenenza.

Abbiamo detto che, a fronte della necessità di politicizzare il sociale, occorre affrontare anche la necessità della socializzazione della politica.

Su questo terreno, decisamente più ostico dell’altro, occorre, a mio avviso, avere chiaro un punto di partenza: non ci sono scorciatoie possibili e l’idea che la crisi verticale della rappresentanza si superi entrando, sic et simpliciter, nel circuito della rappresentanza stessa, rischia di produrre delusioni a ripetizione. Lo stato della democrazia e delle istituzioni che abbiamo descritto all’inizio ci dice chiaramente come, senza una mobilitazione ampia della società, non siano possibili azioni realmente incisive dentro le istituzioni. Per dirla con poche parole:

nelle istituzioni si entra per eccedenza e non per frustrazione, ovvero si entra perché si è prodotta una tale movimentazione sociale, da far divenire l’irruzione nelle istituzioni un passo di naturale rafforzamento delle lotte e un terreno ulteriore di vertenza per la loro radicale democratizzazione. Se invece si entra per frustrazione, ovvero per ovviare alla percezione sociale di non contare nulla o per la malcelata idea che solo entrando nelle istituzioni (quelle attuali?) si possano produrre mutamenti, allora bisogna prepararsi all’ennesima delusione o alla costruzione di un ulteriore piccolo ceto politico.

Attac Italia, nella sua ultima assemblea nazionale del giugno scorso, ha identificato la costruzione di una coalizione politica e sociale dei movimenti come l’obiettivo a cui cercherà di dare il proprio massimo contributo.

Naturalmente, tutte le riflessioni sin qui fatte indicano come, con che tempi e con quale atteggiamento politico questo obiettivo debba essere praticato, in particolare a livello nazionale. Sul terreno locale, riteniamo che ci siano le condizioni per una sperimentazione più intensa e più incisiva, che possa consentire la costruzione dal basso di una rete di esperienze conflittuali e di pratica dell’alternativa.

E’ per questo che lanceremo la campagna “Riprendiamoci il Comune”, proponendola non solo laddove i nostri comitati locali sono presenti, ma in tutte le realtà territoriali attive e interessate. La campagna nasce dall’individuazione dell’ente locale come di uno dei luoghi in cui precipiterà lo scontro tra la necessità del modello liberista di mettere a valorizzazione finanziaria l’intera vita delle persone e le battaglie per i diritti, i beni comuni e la democrazia. E’ sugli

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enti locali che si sviluppano già ora -e si approfondiranno in seguito- gli attacchi dei grandi interessi finanziari, perché è lì che è presente la ricchezza collettiva da depredare: territorio, patrimonio pubblico, beni comuni e servizi pubblici locali.

In estrema sintesi, poiché ci saranno altri luoghi in cui discuterne in maniera più approfondita, noi proponiamo a tutte le vertenze di ciascun territorio una campagna che abbia come obiettivi:

la riappropriazione della ricchezza sociale territoriale;

la riappropriazione dei beni comuni e del territorio per una comunità locale ecologicamente e socialmente sostenibile;

la riappropriazione di una democrazia reale di prossimità; proponendo, come prima tappa, l’organizzazione di università popolari territoriali, che, affrontando questi temi attraverso le esperienze concrete degli attivisti locali sulle diverse vertenze, facilitino la costruzione di obiettivi comuni di rivendicazione collettiva e favoriscano la costruzione di alleanze sociali dal basso fra i movimenti.

Ci sembra un primo passo concreto per iniziare a camminare.

“Movimenti fuori dal Palazzo”, perUnaltracittà all’Università di Attac – VIDEO

written by Ornella De Zordo

Per trattare il nodo “Movimenti, conflitti, democrazia, rappresentanza” che Attac quest’anno ci propone come tema centrale della sua Università estiva mi pare utile partire da un concetto di fondo. L’erosione degli spazi di democrazia a cui assistiamo sia dentro le istituzioni che fuori dal Palazzo non può essere sganciata dalla crisi del sistema in cui viviamo, quel capitalismo avanzato in fase di finanziarizzazione che chiamiamo neoliberismo. Più precisamente è una sua conseguenza, e più la crisi si aggrava, più i margini di diritti e democrazia si

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riducono. Inevitabilmente.

Per questo l’azione di chi non accetta quella democrazia puramente formale (a volte neppure tale) che caratterizza il nostro Paese non può limitarsi a tentare di correggere i meccanismi istituzionali, ma dovrebbe essere rivolta a mutare all’origine il sistema stesso che ne è la causa. Non si tratta di sostituire una classe politica corrotta e screditata con una costituita da persone oneste, ma è lo stesso spazio della politica istituzionale, sono gli stessi luoghi decisionali nei loro vari livelli, i presupposti economici stessi del sistema in atto a dover essere cambiati.

Da qui si può partire per un ragionamento – tutto da costruire – che riguarda le modalità con cui i movimenti sociali possono influire concretamente su un cambiamento radicale che in forme e modi diversi viene richiesto da un numero sempre più ampio di gruppi e di singoli più o meno politicizzati, più o meno organizzati, che legittimamente vogliono la stessa cosa: una vita migliore di quella che sono costretti a vivere.

Ecco il video del mio intervento.

http://youtu.be/YNqTlR3fhP0

Su La Città invisibile il saggio del professor John Hilary – Stop TTIP

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written by Redazione

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Grazie alla Fondazione Rosa Luxemburg e alla collaborazione con Attac Italia, “La Città invisibile” è lieta di offrire alle sue lettrici e ai suoi lettori il saggio del professor John Hilary sul Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti, noto anche con la sigla TTIP.

Si tratta di scoprire il lavorio segreto che chi governa l’Europa (e gli Stati Uniti) sta compiendo per la deregolamentazione di commercio e investimenti a vantaggio dei profitti delle grandi imprese transnazionali e a svantaggio della democrazia e dei nostri diritti, a partire da quelli occupazionali e ambientali, della sicurezza del cibo senza tralasciare la privatizzazione di sanità e istruzione.

Buona lettura e buona diffusione

Tutti gli articoli: Introduzione | Che cosa è il TTIP | Non trasparente e antidemocratico | La minaccia ai posti di lavoro | La deregolamentazione della sicurezza alimentare | La deregolamentazione ambientale | L’attacco ai servizi pubblici | La sfera privata a rischio | Una crescente resistenza

IL PARTENARIATO TRANSATLANTICO PER IL COMMERCIO E GLI INVESTIMENTI: UNA CARTA PER LA DEREGOLAMENTAZIONE, UN ATTACCO AI POSTI DI LAVORO, LA FINE DELLA DEMOCRAZIA

di John Hilary*

Il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership) è un trattato di libero scambio e investimento, che l’Unione Europea e gli Stati Uniti stanno attualmente negoziando in segreto. L’intenzione di dare il via ai negoziati TTIP era stata annunciata inizialmente dal presidente Barack Obama nel suo discorso sullo stato dell’Unione nel febbraio 2013. Il primo ciclo di negoziati ha avuto luogo tra i

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funzionari della Commissione europea e gli Stati Uniti nel luglio dello stesso anno.

L’obiettivo è di superare il più rapidamente possibile la fase delle discussioni senza far trapelare dettagli in pubblico. Si spera infatti che le trattative possano essere portate a termine prima che i cittadini europei e americani scoprano le vere dimensioni delle minacce costituite dal TTIP.

Come ammettono anche i funzionari delle due parti, lo scopo primario del TTIP non è di stimolare gli scambi attraverso l’eliminazione delle tariffe tra l’UE e gli USA poiché queste sono già a livelli minimi. Il fine principale del TTIP è, come essi stessi confermano, l’eliminazione di “barriere” normative che limitano i profitti potenzialmente realizzabili dalle società transnazionali a est e a ovest dell’Atlantico. Tuttavia, queste “barriere” rappresentano in realtà alcuni dei nostri standard sociali maggiormente apprezzati, ossia le normative ambientali, i diritti dei lavoratori, le norme per la sicurezza alimentare (comprese le restrizioni sugli OGM), i regolamenti sull’uso di sostanze chimiche tossiche, le leggi sulla privacy digitale e anche le nuove norme a tutela delle operazioni bancarie, introdotte per prevenire una crisi finanziaria come quella del 2008. La posta in gioco, insomma, non potrebbe essere più alta.

In aggiunta al programma di deregolamentazione, il TTIP mira a creare nuovi mercati con l’apertura dei servizi pubblici e dei contratti per appalti governativi alla concorrenza di imprese transnazionali, minacciando così di provocare un’ulteriore ondata di privatizzazioni in settori chiave come la sanità e l’istruzione. Ma ciò che desta maggiore preoccupazione è che il TTIP stia cercando di concedere agli investitori stranieri un nuovo diritto di citare in giudizio i governi sovrani, portandoli di fronte a tribunali arbitrali creati ad hoc, qualora le loro società subissero una perdita di profitti derivante da decisioni di politica pubblica. Questo meccanismo di “risoluzione delle controversie tra investitori e Stato” innalza di fatto il capitale transnazionale ad uno status equivalente a quello di uno stato nazionale e minaccia di indebolire i principi più elementari della democrazia, tanto nell’Unione Europea che negli Stati Uniti.

Il TTIP quindi viene visto, a giusto avviso, non come un negoziato tra due concorrenti commerciali, ma come un tentativo da parte di compagnie transnazionali di aprire e deregolamentare i mercati su ambedue le sponde dell’Atlantico. Tra i cittadini dell’UE e degli USA sorgono quindi preoccupazioni sempre maggiori di fronte alle minacce costituite dal TTIP, mentre raggruppamenti della società civile stanno riunendo attualmente le proprie forze,

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assieme ad accademici, parlamentari e altri, per evitare che funzionari di governo pro-business decretino la fine degli standard sociali e ambientali fondamentali sopra citati. Tutti sono incoraggiati a partecipare a questa resistenza, prendendo contatto con le campagne locali o avviandone una propria.

*John Hilary è il direttore esecutivo di War on Want. Negli ultimi 20 anni è stato autore di pubblicazioni su una grande varietà di argomenti relativi al commercio e gli investimenti. Nel 2013 è stato nominato Professore Onorario presso la School of Politics and International Relations dell’Università di Nottingham.

Si ringrazia per la pubblicazione l’ufficio di Bruxelles della Rosa-Luxemburg- Stiftung, oltre che Attac Italia. Il testo integrale è disponibile nell’ebook scaricabile qui.

Vota il Pizzo d’Uccello tra i

“Luoghi del cuore” e salvi le Apuane

written by Eros Tetti

P e r b e l l e z z a p a e s a g g i s t i c a e rilevanza ambientale il Pizzo d’ Uccello è una delle montagne più importanti del centro Italia. La sua suggestiva parete a strapiombo per oltre 700 metri l’ha candidata ad essere una classica dell’alpinismo nonostante si stia parlando della minuta catena delle Alpi Apuane.

L’incredibile parete rocciosa è parte integrante del Circo Glaciale del Solco di Equi, il circo glaciale più basso d’ Europa; siamo in uno scenario maestoso che ricorda le più imponenti Alpi settentrionali ma da qui si sentono i profumi

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mediterranei e siamo in Toscana. Un luogo tempestato di grotte, di siti archeologici (area di diffusissime presenze archeologiche pre e protostoriche) e anche di preziose acque termali. Questo territorio, il “Pizzo D’ Uccello e il Circo Glaciale del Solco d’ Equi” è il luogo proposto dal movimento “Salviamo le Apuane” per il censimento 2015 dei “Luoghi del Cuore” del FAI.

>>> Scarica il Progetto Pizzo d’Uccello Apuane – FAI Questo luogo ha bisogno di molta attenzione e tanta visibilità perché è minacciato, come tante altre parti delle Alpi Apuane, dall’escavazione industriale del marmo. Si pensi che ai piedi della parete nord della montagna ci sono ben 4 cave che minacciano irreparabilmente il fragile ecosistema di questo luogo, che è recensito tra i SIC (siti di interesse comunitario – S.I.C. Valli glaciali di Orto di Donna e Solco d’Equi, IT5120008) che fanno parte della rete “Natura 2000”.

Inoltre in questo luogo di meraviglie nidifica l’ aquila reale e vivono molte specie endemiche di piante.

Votare questo luogo e fargli raggiungere una dignitosa posizione nella classifica nazionale del FAI è importantissimo perché collegato ad esso c’è un progetto di riconversione economica, realizzato per il precedente censimento del FAI (2013), che punta a riconvertire l’economia del territorio. Un progetto appoggiato e supportato dal Sindaco di Casola in Lunigiana, un sostegno istituzionale che può concretamente dar gambe a questa iniziativa.

Presentare in breve una montagna ed un luogo così importante non è facile pertanto sono tantissime le cose che mancano all’appello, ma negli allegati a questo articolo potrete trovare schede di approfondimento. Rimanendo in tema di appelli veniamo al motivo reale e concreto di questo articolo, ovvero quello di chiedere anche a te aiuto nella raccolta firme che stiamo mettendo in moto.

Proprio a te che stai leggendo in questo momento. Ecco in breve come potrai aiutare questa causa.

1) Innanzitutto puoi firmare subito, facilmente e velocemente (meno di un minuto) online.

2) Diffondi tra gli amici questo appello e se puoi crea un piccolo comitato per difendere questa montagna simbolo.

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Tre semplici passi che se realizzati in rete ci porteranno a creare una forte coscienza attorno al problema delle Alpi Apuane e più profondamente attorno al degrado ambientale generale. Abbiamo bisogno del tuo aiuto perché le montagne sono oggi spopolate ma sono luoghi sacri, ricchi di significati e di vita.

Il progetto del Pizzo D’ Uccello è una prima azione concreta di trasformazione che va ben oltre la denuncia perché puntiamo a costruire qualcosa che superi l’impoverimento del nostro territorio. Per questo abbiamo bisogno anche del tuo aiuto!

I montanari di Salviamo le Apuane (clicca per sostenerli su Facebook)

Se 25 vi sembran pochi. Al CPA si festeggia il quarto di secolo

written by Redazione

Il Centro Popolare Autogestito Firenze sud, CPA, compie 25 anni.

Dalla riappropriazione di uno spazio di aggregazione da parte dei ragazzi di un quartiere assediato da speculazione ed eroina, alla occupazione della ex Longinotti, allo sgombero orchestrato dalla coppia Domenici-Unicoop, alla nuova occupazione della ex scuola di via Villamagna: 25 anni di lotta per una realtà che è cresciuta fino a diventare uno dei punti di riferimento della Firenze altra, quella che ci piace, quella che si oppone alla città vetrina, alla dittatura del mercato, all’impoverimento umano e materiale del tessuto urbano.

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Cresciuta politicamente, con le mille battaglie per l’antifascismo, per il lavoro e i diritti, per i servizi sempre più tagliati e privatizzati, per la scuola pubblica e di tutti, per un quartiere, una città, e un mondo più giusto.

Cresciuta nelle iniziative, con i concerti, il cinema, la palestra, la libreria e il cento documentazione, con le cene popolari e solidali.

Cresciuta attraverso il lavoro di tanti, giovani e meno giovani, che tutti i giorni la fanno vivere, dai diciassettenni di oggi al diciassettenne che, in un agosto di 70 anni fa, liberava Firenze da nazisti e fascisti con la Brigata Sinigaglia

TANTI AUGURI CPA!!!

È uscito il #4 de “La Città invisibile”

written by Redazione

È ripresa dopo una pausa estiva la pubblicazione de “La Città invisibile”, la rivista del laboratorio politico di perUnaltracittà. Anche nel quarto numero l’attenzione è prevalentemente su eventi che riguardano il nostro territorio: un approfondimento sull’interruzione di gravidanza a Firenze, gli effetti della legge Lupi sul Concorde, la protesta dei lavoratori fiorentini di Eataly, un commento a caldo sulla legge elettorale toscana. Abbiamo inoltre ampliato l’orizzonte con riflessioni che riguardano realtà quali l’Ilva di Taranto, lo scandalo della cava di Paterno fino ad arrivare all’Università europea di Attac a Parigi.

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>>> Leggi il #4 de La Città invisibile Come sapete, le nostre rubriche si alternano, e in questo numero troverete la mappa degli eccidi nazifascisti a Firenze nel 1944, un aggiornamento di Acad e la presentazione di un sito di un’attivista culinaria palestinese con relativa ricetta.

Abbiamo alternato le parti scritte con video, interviste e infografiche che attivisti di perUnaltracittà hanno realizzato per “La Città invisibile”.

Ci auguriamo che riflessioni su alcuni tra i molti eventi che ci hanno colpito in questo periodo possano contribuire a quella lettura critica che si contrappone all’egemonia culturale in cui vorrebbero farci precipitare. Buona lettura e, se condividete, contribuite a diffondere!

Qualcosa da obiettare sull’interruzione di gravidanza a Firenze

written by Luca Benci

Luca Benci, giurista esperto di diritto sanitario e biodiritto, analizza con dati aggiornati la situazione relativa alle interruzioni volontarie di gravidanza a Firenze.

Il numero delle interruzioni di gravidanza a Firenze è, come quasi in tutta Italia, in costante diminuzione: nel 2011 si svolgevano 1890 interruzioni (di cui 1163 all’Azienda sanitaria di Firenze e 727 all’Azienda ospedaliera di Careggi), nel 2012 erano scese a 1674 (di cui 1087 all’Azienda sanitaria e 587 a Careggi) e nel 2013 i dati sono quasi sovrapponibili a quelli dell’anno precedente 1672 (1082 all’azienda sanitaria e 590 a Careggi).

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Ricordiamo che se le interruzioni di gravidanza si sono sostanzialmente dimezzate negli ultimi venti anni è però aumentato il numero dei medici obiettori. Tanto che, come si legge in una pubblicazione dell’Agenzia regionale di sanità, dal 2001 al 2011 in Toscana il tempo di attesa per effettuare l’interruzione volontaria della gravidanza è raddoppiato passando da una a due settimane, e ormai oltre il 51,1%

delle donne effettua l’interruzione dopo l’ottava settimana “con rischi maggiori per la salute delle donne delle donne”.

Anche l’organizzazione delle strutture sanitarie incide su questo dato. A Firenze, l’Azienda sanitaria ha concentrato l’attività di interruzione in un solo presidio, aperto due volte alla settimana; stessa cosa a Careggi. Il tutto per una utenza di un milione di persone. L’aumento dei tempi di attesa è un segnale di negazione dei diritti e, come in questo caso, di potenziale rischio per la salute delle donne.

Obiezione di coscienza, tempi di attesa, concentrazione delle strutture sono alla base del peggioramento degli indici e dell’accesso ai servizi per le donne italiane e migranti.

A Firenze e in Toscana l’applicazione deve migliorare agendo in tutte le sedi possibili: istituzionali ed extra-istituzionali. A livello nazionale, invece, una sola proposta: abolizione dell’obiezione di coscienza.

Per accedere all’articolo integrale, corredato di dati, clicca qui.

Verità e giustizia anche per Davide

written by Ornella De Zordo

Un altro omicidio di Stato si aggiunge al troppo lungo elenco di morti ammazzati da agenti in divisa. Si chiamano Budroni, Cucchi, Uva, Ferrulli, Aldrovandi, Magherini e tanti ancora e sui loro decessi non è ancora stata fatta chiarezza, mentre Acad sta ricostruendo schede dettagliate attingendo a fonti non inquinate.

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Decine di morti ‘accidentali’ per mano dei servitori dello stato, grazie a una legge anacronistica che consente alle forze dell’ordine di usare legittimamente le armi non solo in presenza di violenza o di resistenza, ma quando si tratti di «impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona». E a nulla vale sottolineare che queste morti non sono neppure riconducibili a questi casi, perché sono morti avvenute dietro ai muri di caserme, o per strada con persone già ammanettate. O, come nel caso di Davide Bifolco, ucciso a Napoli mentre si sta rialzando da terra dove era finito perché speronato dalle stesse forze dell’ordine.

La morte di Davide e la reazione non solo dei suoi amici e parenti, ma di tutti gli abitanti del quartiere, richiama quanto è accaduto il 9 agosto a Ferguson, quando Michael Brown, con le mani alzate, è stato ammazzato da un poliziotto. Anche al Rione Traiano la risposta è stata chiara e un semplice presidio si è trasformato in corteo. Anche al Rione Traiano l’uccisione di un ragazzo è collegata alle condizioni di oppressione e degrado che vivono i proletari e sottoproletari.

Deve essere fatta piena luce su quanto accaduto quella notte. Perché non si può morire sparati a 17 anni. Perché verità e giustizia deve essere fatta anche per Davide.

A Eataly Firenze si sciopera – VIDEO

written by Francesca Conti

La Città invisibile racconta lo sciopero dei lavoratori e delle lavoratrici di Eataly tenutosi il 30 e il 31 agosto nella sede di Firenze. Dopo il video potete leggere le

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loro motivazioni.

Alcuni lavoratori del punto vendita fiorentino di Eataly hanno scioperato, sostenuti dai Cobas, e hanno invitato i potenziali clienti a boicottare la catena di gastronomie di Oscar Farinetti, amico e grande sostenitore di Renzi. Numerosi i motivi dello sciopero, ma il principale è il mancato rinnovo del contratto a quasi metà dei 120 lavoratori che erano impiegati nel dicembre 2013 al momento dell’apertura, tra l’altro il 90% del personale ha contratti a termine tramite agenzie interinali.

Lo sciopero, il primo in Italia all’interno della catena Eataly, non ha lasciato indifferenti i vertici dell’azienda preoccupati più per il danno di immagine che per le condizioni del lavoratori, dopo che la notizia dello sciopero aveva trovato spazio in tutti gli organi di informazione.

Francesco Farinetti, figlio del patron Oscar, è subito arrivato a Firenze e ha firmato un accordo con la sola CGIL con l’annunciata stabilizzazione di 50 lavoratori a gennaio 2015 che si aggiungerebbero ai 22 attualmente a tempo determinato. Tra numeri che si inseguono e che non tornano e un accordo che ancora non è visionabile per intero ma soltanto annunciato dai sindacalisti CGIL, l’unica sicurezza è una gestione della forza lavoro a dir poco approssimativa: è Natale si assume un sacco di gente e poi vediamo come va, che sia stato uno spot per l’amico Renzi? In questo caso il favore è stato restituito abbondantemente con tanto product placement da parte del premier in favore di Eataly.

Chiaramente non tutto deve essere stato brillantemente risolto come la stampa fiorentina aveva già sancito, dato che ieri è sceso Oscar Farinetti in persona e ha di fatto cancellato l’idea del figlio Francesco del manifesto antisciopero, che tante polemiche aveva suscitato, già sottoscritto da una parte dei lavoratori e che richiedeva una presa di posizione firmata e pubblica contro lo sciopero, quindi di fatto contro i colleghi che avevano scioperato.

Una pacca sulla spalla dal padre e anche l’ad torna ad essere un “ragazzo” come vengono chiamati i lavoratori all’interno della catena Eataly. Noi eravamo presenti il 30 e abbiamo ascoltato le voci dei dipendenti di Eataly e dei Cobas che

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li hanno aiutati a promuovere lo sciopero.

[youtube]71mbfqEUwNM[/youtube]

Di seguito il testo di convocazione dello sciopero

Abbiamo deciso di scrivere queste righe, da dipendenti di Eataly, conseguentemente alla notizia del nostro “licenziamento”, o, più formalmente, al non rinnovo del contratto. Andando con ordine, vorremmo cominciare sottolineando tre punti molto forti tratti dal Manifesto dell’Armonia di Eataly:

2. il primo modo per stare in armonia con le persone è saper ascoltare cercando spunti per cambiare o migliorare le proprie idee.

7. il denaro può allontanare dall’armonia. Bisogna avere sempre ben presente che il denaro è un mezzo e non un fine. Deve essere meritato.

9. l’armonia con le cose si ottiene ben sapendo che le cose sono di gran lunga meno importanti delle persone. Molto importante è invece la natura. Il primo modo per esserne in armonia è rispettarla.

Frasi semplici alla comprensione: le persone sono importanti, vanno sapute ascoltare, il denaro non è che un mezzo. Lasciando per ultimo il tema “monetario”

ci chiediamo se le parole, queste parole, abbiano un senso. Eataly Firenze non ha mai conosciuto un’assemblea aziendale, mai e sotto nessuna forma. L’ultima volta che siamo stati tutte e tutti nella stessa stanza è stato il primo giorno di lavoro.

Ricordiamo come siamo stati informati, tra una nozione di sicurezza antincendio e una di normative Haccp, del fatto che, appena possibile, avremmo avuto anche la possibilità di darci una rappresentanza sindacale. Ma se non sono previste assemblee aziendali, figuriamoci assemblee sindacali!

Eppure, di motivi per riunirci, l’azienda ne avrebbe in quantità: informarci dei cambiamenti in atto, renderci partecipi delle scelte riguardarti il personale, comunicarci anche sinteticamente il progetto dell’azienda… Non è normale infatti che un azienda, un’azienda fiorente ed in piena espansione, conti all’inaugurazione oltre 120 dipendenti e che, a meno di un anno dall’apertura, ne conti la metà. Su questo drastico taglio nessuna spiegazione è stata data a noi lavoratori. Né sui motivi per cui si debba venire a sapere dei turni settimanali con sole 24 ore di preavviso, né su tanti altri cambiamenti che si sono susseguiti da

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quel 14 Dicembre 2013 ad oggi.

Eppure siamo persone, e dovremmo, secondo la filosofia dell’azienda, essere importanti. Di gran lunga più importanti delle cose. E meno importanti delle cose, ci verrebbe da dedurre, sono i soldi… in fondo, sono solo un mezzo. Però la realtà non sta affatto così: noi siamo solo soldi, numeri, voci di spesa. Nessuno ci ha mai considerato davvero persone, ma ingranaggi da inserire nel “modello Eataly”, un modello basato sulla grande distribuzione di prodotti alimentari, una macchina in crescita che non può incepparsi sugli individui.

Ed è qui che arriva il discorso monetario. Eataly prevede nuove aperture a Piacenza, Verona e Trieste. E poi Londra, Mosca, San Paolo… insomma, parrebbe che quel che si dice sulla nostra azienda sia vero. Perché si parla di Eataly come di un’azienda modello, che cresce mediamente nel fatturato di oltre il 33%, un’azienda “che vince tutte le sfide”, per citare i giornali. Ma vogliamo proprio prendere le parole rilasciate dal nostro datore di lavoro, Oscar Farinetti: “Eataly fattura in Italia 100 milioni di Euro. Prevediamo di arrivare a 200 milioni nel 2014.” L’ottimismo è il profumo della vita!

Ma allora perché il negozio di Firenze è aperto meno di un anno fa con più di 120 dipendenti, ora ne conta solo una sessantina? Perché si sta contraendo sempre di più il personale, costringendo talvolta a turni estenuanti i colleghi che si trovano a dover coprire il lavoro (che non manca!) dei dipendenti espulsi, mentre in altri reparti non si concede un’ora di straordinario neanche a chi la richiede?

Solo nell’ultimo mese accanto al nome di oltre 13 dipendenti è stato scritto

“OUT”. 13 persone sono state lasciate, senza troppi fronzoli, senza lavoro.

Abbiamo il diritto di sapere in che direzione va la nostra azienda, ce lo abbiamo in quanto dipendenti, ma ancora di più ce lo abbiamo se vediamo negato il nostro diritto di lavorare. Purtroppo alle continue richieste l’azienda ha sempre risposto freddamente e duramente, rifiutandosi non solo di convocare un’assemblea aperta a tutte e tutti i dipendenti così da avere risposte sul nostro futuro e, magari, potere anche dire la nostra, ma per di più la notizia del mancato rinnovo ci è stata fatta pervenire tramite i responsabili di reparto.

Quale serietà dimostra la dirigenza di Eataly rifiutandosi di incontrare i dipendenti che decide di licenziare? Per tutto ciò abbiamo deciso di convocare uno sciopero per le giornate di Sabato e Domenica 30 e 31 Agosto, per richiedere

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il ripristino delle condizioni di una sana relazione tra azienda e lavoratori, tramite una rappresentanza sindacale che possa evidenziare le numerose problematiche riguardanti le condizioni di lavoro e l’organizzazione dei turni, e soprattutto per difendere il diritto ad un lavoro che sia dignitoso.

La legge Lupi e il diritto alla casa cancellato, anche a Firenze

written by Maurizio De Zordo

Con una puntualità degna di miglior causa arriva, nell’agosto fiorentino, la fredda applicazione del feroce articolo 5 della

“legge Lupi”, quello che nega la possibilità di avere la residenza e gli allacci di acqua, luce e gas nelle case occupate. Così con un imponente quanto ridicolo spiegamento di forze è stata staccata la luce all’ex albergo Concorde, in via Baracca, vuoto da anni e occupato da alcuni mesi da numerose famiglie senza un alloggio. Gli occupanti, ai quali va tutta la nostra solidarietà, hanno a lungo chiesto di poter fare un regolare contratto, ma Enel non ha voluto senza l’autorizzazione del Comune e questo l’ha negata.

Quindi nonostante il completo inutilizzo della struttura, la presenza di numerosi bambini, il numero crescente di famiglie a cui di fatto viene negata dall’onnipotente mercato ogni possibilità di accesso ad un alloggio, l’aumento drammatico del numero di sfratti, si intende procedere in maniera cieca e burocratica al “ripristino della legalità”: per noi è illegale costringere centinaia di persone a non avere un tetto, lasciare che la rendita dei grandi patrimoni immobiliari sia la sola guida dell’uso della città, e butti per la strada famiglie intere. Molte volte, nella storia anche recente, l’obbediente applicazione di leggi infami ha prodotto tragedie e mostruosità, ma non ha mai sollevato nessuno dalle proprie responsabilità.

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Nelle nostre città, sempre più dominate dalle logiche del neoliberismo, in cui ogni spazio, ogni metro quadrato viene visto – e usato – solo in funzione del profitto, senza alcuna considerazione per diritti, relazioni, qualità della vita, occupare immobili inutilizzati a fini sociali rappresenta solo una legittima difesa nei confronti delle logiche dominanti, e una solo parziale riappropriazione di quello che in anni di deriva neoliberista i grandi poteri economici e immobiliari hanno tolto alla comunità.

Ma il decreto Lupi non è solo l’art. 5, e Maurizio Lupi non è solo responsabile di quello. Uomo forte del potere (e degli affari) di CL in Lombardia, fra gli artefici della distruzione dell’urbanistica in quella regione, fautore dell’urbanistica contrattata, anzi dell’ingresso a pieno titolo degli operatori edilizi e finanziari nell’ambito decisionale relativo al territorio, si sta rendendo responsabile del totale sovvertimento di ogni regola che preservi l’interesse pubblico in campo urbanistico ed edilizio.

Ha presentato una proposta di legge urbanistica da brividi (qui l’articolo di Ilaria Agostini): solo una breve citazione per capire da che parte sta: “Il governo del territorio è regolato in modo che sia assicurato il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata, la sua appartenenza e il suo godimento”.

Non contento, ha legiferato in materia di edilizia sociale, con il DL ormai divenuto Legge 80/2004, che oltre al citato art. 5, prevede ad esempio la possibilità di alienazione di tutto il patrimonio ERP, all’asta e a prezzi di mercato, e se l’assegnatario non acquista deve andare via: si può immaginare un accaparramento di quote consistenti di alloggi ormai “ex ERP” da parte di grandi gruppi immobiliari, migliaia di famiglie costrette a fuoriuscire dal già sofferente sistema delle case popolari: insomma il trionfo di quella proprietà privata, meglio se ricca e potente, che evidentemente è da sempre in cima ai suoi pensieri.

Spacciato come “piano casa” in realtà la legge non prevede nessuna norma che incentivi e potenzi il settore, con sottrazione di risorse nascoste dietro spostamenti di capitoli e impegni degni del gioco delle tre carte: d’altra parte la coerenza non è un optional, o stai da una parte o stai dall’altra. E Lupi abbiamo capito da tempo da che parte sta, insieme ai suoi colleghi – e corresponsabili – ministri, e al capo del governo Matteo Renzi.

E quella parte non è la nostra.

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Taranto: “Polvere d’acciaio” – VIDEO

written by Antonio Fiorentino

A Taranto, nonostante l’acciaieria Ilva sia stata costretta a chiudere alcuni reparti e a ridurre alcune lavorazioni, la diffusione degli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici) è ancora molto alta. In alcuni casi ben al di là dei valori registrati nel recente passato. Ad affermarlo è Alessandro Marescotti dell’associazione ecopacifista Peacelink.

Peacelink da anni si batte per denunciare le drammatiche condizioni di vita dei tarantini, in particolare di quelli del quartiere Tamburi, determinate dalle emissioni di polveri di minerali e di sostanze inquinanti da parte dell’Ilva.

L’associazione si è dotata di un analizzatore mobile di IPA e sta conducendo una martellante campagna di monitoraggio e denuncia di questa pericolosa situazione.

Di IPA si muore, sono cancerogeni, di polveri si ostruiscono i polmoni degli abitanti, ma imprenditori e politici tendono a minimizzare mentre le condizioni di salute dei cittadini, soprattutto bambini e anziani, peggiorano sensibilmente. Ormai l’Ilva di Taranto è una emergenza nazionale, non possiamo ignorarla, è interesse di tutti noi affermare il diritto alla salute e a una vita decente a Taranto e in ogni luogo.

Guarda il video “Taranto: Polvere d’acciaio” di Antonio Fiorentino

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Peacelink “We have a technodream“: PeaceLink ha lanciato dal 2010 il progetto di “monitoraggio dal basso”. A questo link è possibile leggere una breve scheda di presentazione http://www.peacelink.it/zeroipa/

La legge elettorale toscana nell’accordo Pd-Forza Italia

written by Gianni Del Panta

Ore infuocate in casa PD, e non solo lì per la verità, per la tanto attesa approvazione della legge elettorale toscana. Questa dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, giungere nella tarda serata di mercoledì 10 settembre. Tuttavia, proprio il clima rovente e le numerose critiche, sia interne sia esterne, giunte all’accordo raggiunto tra il Partito Democratico e Forza Italia nelle scorse settimane, rende estremamente alta l’incertezza sull’esito finale della discussione. Questo, conseguentemente, ci spinge a tenere distinti due piani. Il primo, quello trattato con queste brevi note, riguarda il patto stretto tra i presunti democratici e Forza Italia. Il secondo, e su questo magari torneremo nei prossimi giorni, coinvolge considerazioni più generali ed approfondite che necessariamente possono essere sviluppate solo a legge approvata.

Muovendo dal piano generale a quello particolare possiamo evidenziare che:

a) il Partito Democratico, nonostante governi in coalizione con una larga maggioranza di centro-sinistra, ha individuato come principale referente per l’approvazione della nuova legge elettorale, svelando così per l’ennesima volta la sua putrescenza politica, la rinata Forza Italia;

b) la riduzione del numero dei consiglieri da 55 a 40, peraltro già approvata nel 2012 sulla spinta del popolare desiderio di contenere i costi della politica, riduce automaticamente il grado di rappresentatività del Consiglio, allargando la

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distanza tra questo e la cittadinanza;

c) il premio di maggioranza rimane l’elemento cardine della legge, con la prevedibile conseguenza di una vasta distorsione dell’esito della consultazione elettorale;

d) vengono fissate tre soglie di sbarramento (10% per la coalizione e 3% per i partiti che ne fanno parte; 5% per le forze non coalizzate) al posto di quella unica attuale (4%), evidenziando così la chiara volontà di incentivare l’aggregazione attorno alle principali forze partitiche;

e) la possibilità, facoltativa e dipendente dalla volontà dei vari attori partitici, di presentare liste bloccate, oltre a mancare, quantomeno parzialmente, la ripetuta promessa del governatore Enrico Rossi di reintrodurre il voto di preferenza, contiene gravi ed evidenti vizi di incostituzionalità.

In estrema sintesi quindi, caro Partito (sedicente) Democratico, fare peggio di così era veramente difficile… Partendo da simili premesse vedremo quale sarà il testo definitivo.

Un agosto a Parigi, a scuola dai movimenti sociali

written by Roberto Spini

Parigi 2014. Università di Attac

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Di ritorno da Parigi, dove si è tenuta dal 19 al 23 agosto l’Università estiva dei movimenti sociali organizzata dalla rete degli Attac di Europa, tante sensazioni restano addosso. Intanto l’impressione di essere stati testimoni di una grande occasione di incontro: oltre duemila partecipanti registrati dall’organizzazione, arrivati da 44 paesi. Partecipanti in modo attivo, non solo spettatori, nella natura dell’università estiva di Attac, dove non si ascolta semplicemente ma ci si confronta, si portano esperienze e proposte dai propri territori (e comunque anche solamente imparare ad ascoltare gli altri fa sempre bene, come sostiene il comandante ex Marcos ora Galeano).

L’università estiva è stata ospitata nelle strutture dell’Université Paris VII – Diderot Les Grands Moulins, un luogo molto particolare, dalle atmosfere per niente parigine visto che fa parte di un’area di nuova edificazione, che comprende anche la nuova biblioteca nazionale intitolata a Mitterand, quattro edifici fatti a forma di libro aperto che chiudono agli angoli una parte centrale in cui genialmente è stata inserita una fitta foresta che potrebbe essere un pezzo di Amazzonia. Sembra che ogni presidente francese lasci prima di scomparire l’indicazione di una grande opera nazionale che rammenti la sua figura (basti pensare al Beaubourg di Pompidou). Vengono i brividi a pensare che indicazioni potranno dare gli ultimi visto lo spessore.

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A sentire alla fine i francesi di Attac, è stato un momento importante per rinnovare le lotte e le resistenze, per aprire degli “altri possibili”. In effetti vista la partecipazione massiccia, questo incontro è stato un vero successo, che dimostra come sia ancora viva la dinamica di quello che in altri tempi avremmo definito il movimento altermondialista. Nel programma di questi cinque giorni di incontri, c’erano nove grandi forum – dibattiti, 150 seminari e workshop, una trentina di attività esterne e di serate culturali.

Questa Università estiva è stata l’occasione di scambi e dibattiti intorno a diversi temi di attualità: molto sentite dai locali le mobilitazioni contro il progetto di accordo transatlantico (TTIP, che i francesi in modo più vellutato chiamato Tafta con l’accento sull’ultima a), le politiche di austerità nell’Unione europea, le lotte e le alternative di fronte al cambiamento climatico. Ma anche i conflitti in Ucraina,

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