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Sentenza n. 885/2021 pubbl. il 21/12/2021 RG n. 24/2021

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Sentenza n. 885/2021 pubbl. il 21/12/2021 RG n. 24/2021

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE

Sezione Lavoro

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Tommaso Maria Gualano ha pronunciato. la seguente SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 24/2021 promossa da:

V.D. (C.F. xxxxxx), con il patrocinio dell’avv. ROMANI GIAN LUCA e dell’avv. FALCONE ALESSANDRO, elettivamente domiciliato in PIAZZA P. LEOPOLDO 7 FIRENZE presso il difensore avv. ROMANI GIAN LUCA

Parte ricorrente contro

A.M. S.N.C. (C.F. xxxxxx), con il patrocinio dell’avv. BECHI VITTORIO e dell’avv. CHITI STEFANO e dell’avv. BECHI FEDERICA, elettivamente domiciliato in VIA JACOPO NARDI 27 FIRENZE presso il difensore avv. BECHI VITTORIO

Parte resistente a cui è stata riunita la causa civile di I grado iscritta al n. r.g. 29/2021 promossa da

A.M. S.N.C. (C.F. xxxxxx), con il patrocinio dell’avv. BECHI VITTORIO e dell’avv. CHITI STEFANO e dell’avv. BECHI FEDERICA, elettivamente domiciliato in VIA JACOPO NARDI 27 FIRENZE presso il difensore avv. BECHI VITTORIO

Parte ricorrente contro

V.D. (C.F. xxxxxx), con il patrocinio dell’avv. ROMANI GIAN LUCA e dell’avv. FALCONE ALESSANDRO, elettivamente domiciliato in PIAZZA P. LEOPOLDO 7 FIRENZE presso il difensore avv. ROMANI GIAN LUCA

Parte resistente Udienza di discussione: 15 dicembre 2021

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

Con distinti ricorsi, successivamente riuniti, xxxxxx S.n.c. (avente per oggetto attività di autonoleggio da rimessa con conducente) e xxxxxx (dipendente della società dal 12.4.1999 con contratto subordinato a tempo pieno e indeterminato) hanno proposto rispettiva opposizione all’ordinanza ex lege 92/2012 che, definendo la fase sommaria introdotta con ricorso del lavoratore ed accogliendo la domanda in ulteriore subordine svolta dallo stesso, ha accertato l’illegittimità del licenziamento per giusta causa irrogato con lettera del 21.2.2020 e, ravvisata l’insussistenza del cd. requisito dimensionale in capo al datore di lavoro, ha condannato la società, ai sensi dell’art. 8 L. 606/1966, a versare al xxxxxx una indennità risarcitoria pari a 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Il lavoratore ha in questa sede riproposto le domande in tesi già svolte in fase sommaria e non accolte (nullità del licenziamento perché ritorsivo, con conseguente riconoscimento della tutela ex art. 18, commi 1 e 2, L. 300/70; sussistenza del requisito dimensionale ed illegittimità del licenziamento con applicazione della tutela reintegratoria ex art. 18, comma 4, L. 300 – stante l’insussistenza delle condotte contestate – o, comunque, della tutela indennitaria di cui al successivo comma 5, non ricorrendo gli stremi della gusta causa); mentre la società, sostenuta la legittimità dell’atto di recesso irrogato, ha chiesto il rigetto di tutte le domande svolte dal lavoratore.

(2)

Istruite a mezzo prova orale ed a livello documentale (con acquisizione anche del LUL anni 2018 e 2019), le cause riunite sono state rinviate per discussione all’udienza del 15.12.2021, all’esito della quale sono state assunte in decisione ai sensi dell’art. 1, comma 57, L. 92/2012.

***

A) Contestazione disciplinare

In data 10.2.2020 il xxxxxx (inquadrato, da ultimo, al livello B3 CCNL xxxxxx con conducente, mansioni di addetto al front office), ha ricevuto lettera di contestazione disciplinare in cui – riprendendo le parole utilizzate nell’ordinanza reclamata – gli è stato addebitato “di: avere omesso di comunicare che il collega xxxxxx intendeva svolgere attività in concorrenza con quella esercitata dalla società resistente, con riferimento ad un cliente di quest’ultima, e che lo stesso si era assentato dal lavoro per malattia in modo strumentale, in difetto di uno stato morboso impeditivo della ripresa del servizio;

avere rivelato al collega xxxxxx informazioni riservate relative alla organizzazione, ai metodi di lavoro ed alle procedure commerciali interne della società datrice di lavoro, al fine di consentigli di svolgere in Italia attività di autonoleggio in concorrenza con quella della società datrice di lavoro; avere favorito il collega xxxxxx nel conferimento degli incarichi e nella gestione de rapporto di lavoro; avere proferito insulti ed offese all’indirizzo dei titolari della società datrice di lavoro; […] In particolare, al lavoratore è stato contestato di avere omesso di comunicare alla società datrice di lavoro che il collega xxxxxx intendeva effettuare un viaggio negli Stati Uniti al fine di verificare la possibilità di intraprendere una collaborazione con un cliente della resistente (essendo, peraltro, il ricorrente a conoscenza della circostanza che il xxxxxx aveva taciuto al datore di lavoro le reali ragioni del viaggio, avendolo giustificato sulla base di motivi familiari), di avere proferito insulti ed offese nei confronti dei soci della società datrice di lavoro (“anche io li ho bloccati sti dementi stalkeratori della mi fava…il xxxxxx a volte pare uno psicopatico… un pazzo”), di avere rivelato al xxxxxx informazioni riservate (ovvero il costo – “sappi che la gente ci va a 100/120 euro… in base a quale cliente lo chiede xxxxxx fa pagare 175/210 euro più IVA 10%” - di un viaggio di noleggio con conducente nella tratta Firenze-Siena), di avere favorito il xxxxxx nella gestione del rapporto di lavoro (non comunicando, inoltre, al datore di lavoro che il xxxxxx si era strumentalmente assentato per malattia, come appurato a seguito di visita fiscale, non avendolo il medico fiscale reperito al domicilio in data 11.01.2020)” (vd.

anche lettera di contestazione in atti).

La contestazione è stata elevata dopo che, in data 1 febbraio 2020, era stato “riscontrato, visionando del tutto casualmente il computer aziendale assegnatoLe per esclusivi motivi di servizio, come sullo schermo di detto computer risultasse aperta una pagina internet collegata al Suo telefono tramite l’applicazione WhatsApp, nella quale era visibile una conversazione messaggistica intercorsa tra Lei e xxxxxx” nel periodo 2.10.2019 - 27.1.2019, di cui nella lettera di contestazioni erano riportati ampi stralci, con indicazione del giorno e dell’ora di ciascuno (vd. ancora lettera d contestazione).

In essa il datore di lavoro ha evidenziato come i fatti contestati, da una parte, si fossero concretati in

“insulti ed offese” nei confronti dei titolari e, dall’altra, avessero integrato condotte contrarie agli interessi del datore di lavoro, violative dell’obbligo di fedeltà e potenzialmente idonee ad arrecargli danno1.

B) Utilizzabilità/Inutilizzabilità della chat WhatsApp ai fini della addebitabilità delle condotte contestate

La prima questione da affrontare attiene all’utilizzabilità o meno della menzionata chat ai fini della contestazione addebitata al xxxxxx e dell’irrogazione del relativo licenziamento.

Invero, aderendo alle difese sul punto svolte dal xxxxxx, l’ordinanza opposta ha accolto la domanda (subordinata) del lavoratore proprio sul presupposto che la chat in questione, in quanto chiusa, privata e non utilizzabile da terzi, fosse coperta dalla tutela di cui all’art. 15 Cost. in tema di inviolabilità della libertà e della segretezza della corrispondenza, con conseguente inutilizzabilità degli stralci di essa posti a base della contestazione e, poi, del licenziamento irrogato, perché abusivamente acquisiti da parte del datore di lavoro, che aveva visionato tutta la corrispondenza, anche quella non visibile dallo schermo e risalente nel tempo.

1 E’ scritto che il xxxxxx ha “[…]contravvenuto agli obblighi derivanti dal ruolo fiduciario assegnatoLe dai titolari di questa società attraverso il Suo comportamento omissivo verso il Suo datore di lavoro e collusivo nei confronti di xxxxxx, verso il quale nel conferimento degli incarichi e nella gestione del rapporto di lavoro ha manifestato azioni improntate al favoritismo e non a quelle diligenza, buona fede, correttezza e trasparenza che imponeva il ruolo affidatoLe” (cfr., pag. 6 lettera di contestazione).

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Per contro, il datore di lavoro ha ribadito in questa sede le ragioni a sostegno della lecita (e non abusiva) acquisizione dell’intero contenuto della chat, per non essersi esso introdotto volontariamente, ma per averne presa visione in maniera del tutto casuale, fortuita ed incidentale quando uno dei soci, avvicinatosi al pc per motivi di lavoro, ha visto sul relativo schermo la chat in questione; e ciò perché:

a) la chat era stata lasciata aperta, accessibile e visualizzabile da tutti, con il pc dello schermo rimasto acceso;

b) contrariamente a quanto riferito nell’ordinanza opposta, al momento della visione di essa da parte del socio non vi era più il collegamento con lo smartphone del xxxxxx (che non era presente sul luogo di lavoro), essendo quindi la chat rimasta “offline” senza che fosse possibile individuare a chi essa si riferisse;

c) vi era un utilizzo promiscuo dei vari pc aziendali, non assegnati individualmente, essendo pacifico che, dei 6 computer aziendali, tre fossero assegnati ai tre soci, uno all’impiegata amministrativa, un altro al xxxxxx e il sesto utilizzato a turno da uno dei soci, ma che “in caso di necessità ogni operatore poteva accedere al pc degli altri” (come allegato dallo stesso lavoratore fin dalla fase sommaria);

d) essendo rimasto accesso il pc aziendale, poteva essere visionata tutta la chat (in quanto documento unico), a prescindere dalla parte di essa che era immediatamente visibile sullo schermo in quel momento;

e) era da escludere – come pure sostenuto dal lavoratore – che la visione della chat fosse stata conseguenza di controlli distanza, basati sull’uso di programmi informatici volti a controllare l’attività del dipendente in modo occulto.

Gli assunti della società non possono essere condivisi.

Dato per provato (perché affermato da entrambe le parti) che ciascuno dei tre soci, il xxxxxx e l’impiegata amministrativa avessero l’assegnazione di un pc e che il sesto computer aziendale fosse a disposizione del socio che, a turno con gli altri (e, quindi, non anche col xxxxxx), era reperibile h24, si rileva che la chat in questione non è stata trovata su quest’ultimo pc (su cui, come detto, giravano a turno solo i soci e non anche il xxxxxx), ma su quello assegnato (solo) al xxxxxx, come espressamente riportato nella lettera di contestazione (“[…]visionando del tutto casualmente il computer aziendale assegnatoLe per esclusivi motivi di servizio”).

E’ quindi contraria a tale indicazione la (diversa) allegazione (violativa del principio di immutabilità della contestazione) sostenuta in giudizio dalla società, secondo cui la chat sarebbe stata rinvenuta

“presso uno dei computer aziendali che xxxxxx aveva presumibilmente utilizzato per motivi di servizio”

(pag. 11 opposizione), allegazione per di più generica per non avere il datore di lavoro specificato a quale dei sei pc aziendali essa si riferirebbe.

E’ sì vero che entrambe le parti hanno poi affermato che “in caso di necessità, ognuno dei citati operatori [cioè, il xxxxxx, l’impiegata amministrativa e i tre soci] poteva accedere ai personal computer utilizzati dagli altri” (come dedotto dal lavoratore sin dal ricorso sommario e confermato dal datore di lavoro, che ha richiamato siffatte allegazioni: vd. punti 23 e 24, pag. 11, del ricorso in opposizione), ma ciò non significa – come ritenuto dalla società – che nella sostanza i pc non fossero assegnati individualmente e fossero utilizzati in modo promiscuo (punti 25 e 27 del ricorso in opposizione), dal momento che colui che non era assegnatario di un pc poteva usare quest’ultimo (solo) in caso di necessità e che ciascuno di essi aveva un proprio computer assegnato.

Per di più, essendo la chat stata rinvenuta sul pc del xxxxxx, non può dirsi nemmeno che fosse sconosciuta la persona a cui essa si riferisse; anzi, premessa l’irrilevanza del fatto che i soci (e non anche i dipendenti) avrebbero usato l’applicazione WhatsApp anche per ragioni di lavoro, è incontestato che nella chat fosse raffigurata la foto del profilo utente del xxxxxx e, quindi, era immediatamente percepibile che essa non fosse di pertinenza della persona che vi stava avendo accesso.

Si deve quindi ritenere che l’accesso alla chat da parte del datore di lavoro sia stato abusivo (cioè avvenuto senza il consenso espresso o tacito dell’interessato), nel momento in cui il socio in questione, acquista necessariamente consapevolezza di essere di fronte ad una conversazione WhatsApp di terzi (e non propria) e preso atto che tale conversazione – pur su pc aziendale – era riferita ad un account personale e non di lavoro (circostanza pacifica), non si sia astenuto dall’accedervi ed abbia, al contrario, visionato tutte le conversazioni della chat (sia quelle visibili dalla schermata, sia quelle pregresse).

Né può ritenersi che il solo fatto che la chat fosse rimasta non chiusa ed offline sullo schermo, in assenza di perdurante collegamento con il telefono del xxxxxx (secondo quanto precisato dalla società in replica a quanto riportato nell’ordinanza reclamata), potesse essere inteso quale indice inequivoco di

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una rinuncia alla riservatezza e/o di una autorizzazione implicita dell’interessato all’accesso da parte di terzi, potendo ciò ragionevolmente dipendere da mera dimenticanza ed essendo la chat – come già detto – collegata ad una utenza personale e non aziendale.

Pertanto, se anche casuale e fortuita sia stata la scoperta della chat (a seguito dell’utilizzo per necessità di lavoro, da parte del socio, del pc assegnato al xxxxxx), altrettanto non può dirsi la successiva condotta di integrale lettura delle conversazioni che in essa erano contenute.

Tali conclusioni trovano conforto nella giurisprudenza di legittimità in materia e già richiamata nell’ordinanza opposta, secondo cui i messaggi presenti nella chat private, in quanto destinati a raggiungere una cerchia di persone determinate mediante l’utilizzo di uno strumento che presenta i caratteri della riservatezza della comunicazione, devono essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa ed inviolabile, con riferimento alla quale vi è un interesse contrario alla divulgazione, anche colposa, dei fatti e delle notizie; con la conseguenza che, non solo mancano i presupposti per individuare eventuali condotte diffamatorie (che postulano che le comunicazioni siano destinate alla divulgazione nell’ambiente sociale), ma si impone anche l’esigenza di assicurare la tutela della libertà e delle segretezza delle comunicazioni stesse ai sensi dell’art. 15 Cost e degli artt. 617 e 617 c.p., che ne precludono l’accesso agli estranei e la rivelazione e l’utilizzabilità in qualsiasi forma, salve le eccezioni fondate su atto motivato dell’autorità giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge (Cass., 21965/2018).

Al contrario, non possono essere utilmente richiamate le sentenze in atti della Corte di Appello di Venezia (nn. 258/2019 e 439/2019), le cui vicende sono state diverse da quella attuale, non avendo in quelle il datore effettuato alcun accesso alle conversazioni della chat, il cui contenuto era stato al medesimo reso noto da un partecipante alla stessa.

Né, sotto altro profilo, sono pertinenti al caso di specie i principi espressi da Cass., 25732/2021, richiamata da ultimo dalla parte xxxxxx: tale pronuncia ha trattato il tema della legittimità dei cd.

controlli difensivi alla luce della nuova formulazione dell’art. 4 L. 300/19702, quando invece è stata la stessa parte Autonoleggio Molli ad escludere che nel caso di specie si sia trattato di una forma di controllo a distanza dell’attività lavorativa del xxxxxx effettuata attraverso l’utilizzo di strumenti informatici; ad ogni modo, nel caso di specie il rinvenimento e il controllo della conversazione WhatsApp sono avvenuti in assenza di una situazione di sospetto da parte del datore di lavoro circa la commissione di illeciti da parte del lavoratore, al di fuori quindi dell’area del controllo legittimo: la citata sentenza ha infatti rilevato che, anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 4 cit., “[…]il controllo “fine a sé stesso”, eventualmente diretto ad accertare inadempimenti del lavoratore che attengano alla effettuazione della prestazione, continua ad essere vietato” e che solo quando il controllo sia legittimo “ […]le informazioni raccolte in esito ad esso possano essere utilizzate dal datore di lavoro per contestare al lavoratore ogni sorta di inadempimento contrattuale” (punto 26 della motivazione).

In conclusione, le conversazioni allegate alla lettera di contestazioni sono inutilizzabili ai fini della contestazione e del conseguente provvedimento di recesso.

C) Ritorsività del licenziamento

È da escludere che il licenziamento, pur illegittimo per le ragioni di cui sopra, sia nullo per motivo unico illecito e determinante, rappresentato da una volontà di rappresaglia datoriale rispetto ad una condotta lecita del lavoratore.

Al riguardo, è sufficiente richiamare le condivisibili argomentazioni contenute nell’ordinanza opposta e, quindi, rilevare che il lavoratore non ha allegato alcun motivo di ritorsività diverso da quello costituito dalla reazione datoriale alla conoscenza della chat3, profilo che evidentemente attiene allo stesso fatto

2 Questa la massima della sentenza:

“In tema di cd. sistemi difensivi, sono consentiti i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto; non ricorrendo le condizioni suddette la verifica della utilizzabilità a fini disciplinari dei dati raccolti dal datore di lavoro andrà condotta alla stregua dell'art. 4 st.lav. novellato, in particolare dei suoi commi 2 e 3”.

Nello stesso senso, successivamente vd. anche Cass., 34092/2021.

3 Gli “indici” di ritorsività allegati e ribaditi dal lavoratore in questa sede ruotano tutti attorno ai fatti oggetto di contestazione:

a) l’aver posto il datore di lavoro, a base del licenziamento, una conversazione chat inutilizzabile;

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contestato ed alle ragioni di legittimità o meno dello stesso (mentre la ritorsività richiede la dimostrazione di un quid pluris, pena la sua inammissibile identificazione con le stesse ragioni di illegittimità del recesso).

D) Requisito dimensionale

In atti sono stati depositati i LUL anni 2018, 2019 e 2020 della xxxxxx, coprenti un intervallo temporale maggiore rispetto a quello interessato dalla fase sommaria (docc. 1 e 4 fasc. xxxxxx).

Tale deposito è stato accompagnato da dichiarazioni di professionisti (docc. 1 e 5 fasc. xxxxxx), con cui è stata riportata la media degli occupati come risultate dai LUL aziendali, media pari:

- nel periodo 1.1.2019-31.12.2019: 11,47 unità per gli operai e 1,80 unità per gli impiegati;

- nel periodo 1.1.2020 – 30.8.2020: 5,15 unità per gli operai e 0,95 unità per gli impiegati;

- nel complessivo periodo febbraio 2018 – gennaio 2020: 14,14 unità.

Parte xxxxxx ha contestato l’attendibilità e la completezza dei dati ricavati dai LUL depositati, in quanto in essi non si rinvengono i nominativi di alcuni autisti che avrebbero prestato la loro attività per la xxxxxx nel periodo in considerazione (febbraio 2018-gennaio 2020).

Chiarito che i tabulati utilizzabili per verificare la suddetta contestazione sono solo quelli relativi al periodo gennaio 2019 – febbraio 2020 (prodotti dalla parte xxxxxx in questo giudizio di opposizione come doc. 6 allegato alla memoria difensiva RG 29/2021) e non anche quelli relativi all’anno 2018 ed oggetto di (tardiva) richiesta di acquisizione formulata all’udienza del 17.3.2021 (vd. ordinanza del 15.7.2021), può dirsi anzitutto provato che i tabulati sub doc. 6 cit. corrispondano ai turni predisposti giornalmente dalla xxxxxx per l’organizzazione dei turni di lavoro degli autisti ed esposti in bacheca all’interno degli spazi utilizzati dagli autisti ed inviati a questi ultimi - per praticità e in maniera informale - anche sulla chat privata di WhatsApp denominata xxxxxx Staff (vd. le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale da xxxxxx i, legale rappresentante della xxxxxx S.n.c.).

Ancora, dal confronto tra le risultanze dei tabulati sub doc. 6 cit. e quelle dei LUL in atti, è possibile osservare quanto segue:

- i nominativi riportati nei tabulati, e che in sede di interrogatorio formale xxxxxx ha affermato essere (o essere stati) dipendenti dell’ xxxxxx, si ritrovano nei LUL in atti (xxxxxx, xxxxxx, xxxxxx, xxxxxx, xxxxxx, xxxxxx, xxxxxx, xxxxxx, xxxxxx, xxxxxx e xxxxxx 4);

- alcuni dei nominativi riportati nei tabulati, e che Paolo Lemmi in sede di interrogatorio formale non ha saputo ricordare se fossero o meno dipendenti dell’ xxxxxx, si rinvengono comunque nei LUL con riferimento a mensilità corrispondenti a quelle che risultano lavorate nei tabulati (xxxxxx, xxxxxx, xxxxxx, xxxxxx, xxxxxx, xxxxxx);

- i nominativi xxxxxx e xxxxxx, presenti nei tabulati (vd. date 4.1.2019, 1.2.2019, 30.3.2019, 3.6.2019, 1.7.2019, 1.8.2019, 2.9.2019, 1.10.2019, 1.11.2019, 3.12.2019, 29.1.2020, 10.2.2020), non si rinvengono in alcuno dei LUL in atti;

- all’interno dei tabulati vi sono nominativi quali xxxxxx (indicato da xxxxxx in interrogatorio formale come dipendente di xxxxxx), xxxxxx e xxxxxx, i quali sono sì riportati nei LUL, ma in periodi diversi da quelli nei quali, in base ai tabulati, i medesimi risultano aver lavorato (xxxxxx è presente solo nel LUL anno 2020, ma - in base ai tabulati - è stato inserito in turni di lavoro il 3.6.2019, il 6.4.2019, l’8.5.2019, il 2.9.2019, l’1.10.2019, l’1.11.2019, il 3.12.2019; xxxxxx è presente nei LUL per i mesi di ottobre 2018 e dicembre 2019, ma è stato inserito nei turni di lavoro del 4.1.2019, 1.2.2019, 30.3.2019, 6.4.2019, 3.6.2019, 5.8.2019. 1.7.2019; xxxxxx è presente nel LUL a dicembre 2019 e gennaio 2020, quando risulta inserito nei tabulati il 4.1.2019, l’1.2.2019, il 30.3.2019, il 6.4.2019, l’8.5.2019, l’1.7.2019).

E’ noto che l’onere di provare l’insussistenza del requisito dimensionale ex art. 18 L. 300/70 è in capo al datore di lavoro, cui compete di fornire la prova inerente la soglia dimensionale dell’impresa, affinché trovi applicazione la disciplina della tutela obbligatoria (tra le tante, Cass., 10445/2009).

Nel caso di specie tale prova non può ritenersi fornita con il deposito dei LUL in atti: anche escludendo gli autisti inseriti nei tabulati e dipendenti di altre società (xxxxxx e xxxxxx: vd deposizioni rese dagli

b) l’ampiezza e la scrupolosità del datore nel controllo sulla corrispondenza del xxxx;

c) la reazione datoriale alle opinioni di xxxxx su alcuni soci contenute nella corrispondenza;

d) l’infondatezza degli addebiti contestati al lavoratore;

e) il fatto che il xxxxx non avesse mai ricevuto in precedenza alcuna contestazione disciplinare;

f) la serrata vicinanza temporale dei fatti che hanno condotto al licenziamento.

4 Quest’ultimo è stato indicato nel verbale di udienza del 2.11.2021, per mero errore materiale, come xxxxx.

(6)

stessi come testi)5e anche non considerando il nominativo (anch’esso presente nei tabulati) di “xxxxxx”

(che xxxxxx ha affermato essere stato dipendente della società xxxxxx, seppur dai LUL risulti essere stato dipendente dell’ xxxxxx nel periodo marzo-novembre 2018), risultano nominativi di autisti che hanno lavorato per la xxxxxx (in quanto inseriti nei turni di lavoro predisposti dalla suddetta società per gestire la propria attività) e dei quali non è stata dimostrata l’esistenza di un rapporto di lavoro con altro datore di lavoro; le discordanze sopra evidenziate tra dati dei tabulati e dei LUL portano quindi a concludere per la inidoneità probatoria dei LUL depositati e, quindi, per la non attendibilità delle medie occupazionali quantificate alla luce di essi, anche considerato che i tabulati esaminati sono relativi proprio al periodo più prossimo rispetto alla data del licenziamento del xxxxxx.

Si ritiene quindi che non sia stata fornita la prova dell’insussistenza del requisito dimensionale.

E) Tutela spettante al xxxxxx

L’illegittimità del recesso, accompagnata alla mancata dimostrazione della insussistenza del requisito dimensionale ex art. 18 L. 300/1970, porta a ricondurre la fattispecie entro i confini della insussistenza del fatto ex art. 18, comma 4, L. 300/70 e determina l’accoglimento della domanda svolta “in ipotesi denegata” dal xxxxxx nel proprio ricorso in opposizione; pertanto, il licenziamento per cui è causa deve essere annullato e xxxxxx S.n.c. deve essere condannata a reintegrare xxxxxx nel posto di lavoro ed a pagare in favore dello stesso un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (essendo maggiore l’intervallo temporale tra la data del recesso e la data della presente sentenza), pari a complessivi € 47.658,96 (non è stata contestata la quantificazione dell’ultima retribuzione globale di fatto per € 3.971,58 proveniente dal xxxxxx o); a tale somma devono aggiungersi gli interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo.

La medesima società deve altresì essere condannata al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo, oltre interessi di legge.

L’ordinanza opposta deve quindi essere riformata.

Le spese di lite di entrambe le fasi seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto del valore indeterminabile della controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale, Sezione Lavoro, visto l’art. 1, comma 57, L. 92/2012, definitivamente decidendo sulle cause riunite indicate in epigrafe, ogni altra eccezione e richiesta disattesa,

1) in riforma della ordinanza opposta di questo Tribunale del 9-10 dicembre 2020, annulla il licenziamento irrogato a xxxxxx con lettera racc.ta a/r del 21.2.2020 e condanna ex art. 18, comma 4, L.

300/70 xxxxxx S.n.c. a reintegrare xxxxxx nel posto di lavoro ed a pagare in favore dello stesso un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, e quindi € 47.658,96, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo; condanna altresì xxxxxx S.n.c. al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo, oltre interessi di legge;

2) condanna xxxxxx S.n.c. al pagamento delle spese di lite, che liquida in € 8.815,00 per compensi, € 518,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali 15%, oltre Iva e Cpa come per legge se dovuti.

Firenze, 21 dicembre 2021

Il Giudice

dott. Tommaso Maria Gualano

Ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196/2003, in caso di diffusione, omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle persone.

5 Al riguardo, del tutto tardive ed inammissibili sono le deduzioni che per la prima volta parte Damato ha introdotto nelle note conclusionali del 1.12.2021 per sostenere l’allegazione di un “frazionamento fittizio di imprese e/o unico centro di imputazione del rapporto di lavoro” tra la Autonoleggio Molli e l’Autonoleggio Mirannalti di Mirannalti C. & C. S.n.c. (di cui gli autisti Parrini e Casano sono stati dipendenti), in precedenza mai dedotto (al pari degli asseriti distacchi irregolari di personale, anch’essi per la prima volta fatti valere con la predetta memoria).

Né può ritenersi che tali allegazioni siano state tempestive perché legate a circostanze fattuali emerse solo a seguito dell’audizione dei testi, cristallizzandosi il thema dedicedum e probandum già al momento del deposito degli atti introduttivi delle parti.

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