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La Santa Casa di Loreto fu traslata dagli Angeli? Vera fede è dire: nulla è impossibile a Dio

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Academic year: 2022

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Crediamo che tutti, più o meno, siano a conoscenza della tradizione relativa al Santuario di Loreto, e più precisamente alla Santa Casa, che è contenuta all’interno del Santuario mariano, che ha la dignità di basilica pontifica minore e che, nelle sue forme attuali, è stato costruito sul sito di una chiesa più antica e più piccola, fra il 1468 e il 1587.

La leggenda vuole che furono gli Angeli a trasportare la casa di Maria Vergine nel 1291 da Nazareth, ormai caduta, come tutta la Palestina, nelle mani dei musulmani, attraverso il Mare Mediterraneo, fino alle rive dell’Adriatico, per essere poi protetta da una cupola e infine da una chiesa ed esposta alla devozione dei fedeli, divenendo in breve uno dei centri cristiani di

pellegrinaggio più famosi d’Europa e dando impulso alle solenni e bellissime Litanie Lauretane, che venivano recitate al termine del Santo Rosario. In effetti, la traslazione della Santa Casa non avvenne in una sola volta, ma in cinque tappe successive, assai ravvicinate nel tempo:

dapprima a Tersatto, oggi un quartiere di Fiume, sul Quarnaro, il 10 maggio 1291; tre anni dopo presso Ancona, ove sorge la chiesa di Santa Maria Liberatrice; dopo nove mesi a Porto

Recanati, presso un boschetto di proprietà una certa Loreta, per cui la chiesetta ivi costruita fu nota come la Madonna di Loreta; otto mesi dopo, sul terreno di due fratelli, i conti Rinaldi Antici, più discosto dal mare per metterla al sicuro dalle incursioni saracene; e infine, nel dicembre 1294, sulla strada che va da Recanati al suo porto, in cima a una modesta collina, il monte

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Prodo, per cui il profilo del santuario con la caratteristica cupola spicca da lontano allo sguardo dei pellegrini che vengono da ogni parte ad ammirare la casa dove Maria ebbe l’annunciazione del concepimento di Gesù ad opera dello Spirito Santo.

La Santa Casa di Loreto fu traslata dagli Angeli?

Da allora, e specialmente dopo che il vescovo Recanati, il forlivese Nicolò Dall’Aste, decise nel

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XV secolo la costruzione di un vasto tempio per accogliere il gran numero di pellegrini, la tradizione della traslazione miracolosa della Santa Casa incontrò i dubbi e le critiche degli scettici, che esplosero particolarmente alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX, dunque in pieno clima di positivismo, scientismo e modernismo, e contando tra le loro file alcuni membri del clero stesso, ai quali pareva disdicevole che dei cattolici “adulti”, come si usa dire

soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, prestassero fede a una storia così inverosimile e, a loro giudizio, così puerile da essere palesemente inventata e frutto di credulità superstiziosa. In quest’opera di demolizione della leggenda si distinse il sacerdote e storico francese Ulysse Chevalier [1841-1923), professore di Storia medievale presso l’Università di Lione, il quale ebbe a dire, appunto, che Loreto era bensì “un miracolo”, ma un miracolo della superstizione,

arrivando ad assumere toni irrispettosi e quasi beffardi nella sua crociata contro tale

“superstizione” ,come del resto nella sua polemica contro l’autenticità della Sacra Sindone di Torino, ponendosi, sul piano dell’archeologia e della ricerca storica, nel solco della teologia del protestante Rudolf Bultmann (1884-1976), fautore di una radicale “demitizzazione” del

cristianesimo (cfr. il nostro articolo Rudolf Bultmann, la religione l’immagine mitica del mondo, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 22/09/07 e su quello dell’Accademia Nuova Italia il 07/12/17).

Ma non solo eruditi come il padre Chevalier, bensì anche molti semplici fedeli, in sintonia con la nuova sensibilità diffusa all’interno della Chiesa, specie a partire dalla seconda metà del

Novecento, hanno sentito come imbarazzante e in qualche modo mortificante identificarsi con credenze del passato sul genere di quella della traslazione miracolosa della Santa Casa di Maria, e, sovente afferrato da una specie di furore anticattolico tanto più pernicioso n quanto non riconosciuto come tale, ma anzi vissuto e presentato come segno di un cattolicesimo più maturo, e si son dati a demolire, uno dopo l’atro, una serie di elementi della tradizione, dopo averli declassati a semplici “miti”, magari in accordo con certe nuove tendenze e certe

impostazioni emerse dai documenti conciliari, come la Nostra aetate, scaturiti da una sorta di timore di offendere le altre religioni e da un complesso d’inferiorità per certi supposti torti commessi nei loro confronti; si veda in proposito quanto abbiamo scritto a suo tempo a

proposito del culto di san Vigilio e di san Simonino nella diocesi di Trento (cfr. il nostro articolo:

Dove vogliono arrivare cattolici come don Iginio Rogger?, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia io 19/01/18).

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La vera fede è dire: nulla è impossibile a Dio...

Così ha riassunto i termini della questione lo storico dei frati minori cappuccini, Pietro Vittorino Regni, nel suo ricco volume Loreto e i Cappuccini. Storia, devozione e servizio della Santa Casa (Loreto, Congregazione Universale della Santa Casa, 1995, pp. 277-283):

A prescindere dal presupposto fideistico tendente a spiegare il “fenomeno” Loreto col ricorso a fattori soprannaturali, si può dire che le acquisizioni da essi conseguite [cioè dai cosiddetti

“difensori” dell’autenticità della tradizione] sul piano della critica storica rimangono tuttora valide, e che dall’accesa controversia Chevalier e i suoi sostenitori siano usciti completamente

depennati. Si resta perplessi, pertanto, nel constatare come la loro opinione riesca tuttora a far testo negli ambienti cosiddetti colti del nostro tempo. Si assiste così allo spettacolo – a dir vero poco scientifico – di storici della Chiesa come Carlo Bihlmeyer e Hermann Tuecle e di grandi dizionari enciclopedici, quali il “Dictionnaire d’Archeologie chretienne et de la Liturgie”,

l’”Enciclopedia Italiana Treccani” e l’”Enciclopedia cattolica”, che si sono fossilizzati sulle posizioni chevalieriane, senza alcun discernimento critico sulla loro validità obiettiva.

Da alcuni anni a questa parte sono sorti vari tentativi volti a rispolverare la questione lauretana e a trarla dal vicolo cieco nel quale s’era impantanata durante le polemiche di primo Novecento.

Si cercò d’impostarla su nuove basi, concentrando l’attenzione, più che sul “modo” del trasporto delle sacre reliquie, sull’oggetto stesso del culti loretano. Lasciando da parte la prodigiosità del’avvenimento, si cercò di stabilire la realtà storica del fatto, avanzando l’ipotesi di un trasporto dei resti della casa nazzarena con mezzi umani.

La rivista del santuario fece sua l’ipotesi, segnalando ai lettori un particolare che, stranamente, non fu rilevato dagli studiosi di stria loretana. Si tratta del fatto sorprendente che nei documenti letterari più antichi non si parla di voli di angeli, bensì di un semplice trasporto delle sante reliquie sulle acque del mare, sotto la vigile protezione dei celesti messaggeri.

Con due lavori accurati e ben documentati, l’attuale direttore della CU [Congregazione Universale della Santa Casa], Giuseppe Santarelli, ritiene di aver circostanziato i fatti e individuato gli autori del misterioso trafugamento del materiale della Santa Casa. Essi

apparterrebbero alla famiglia Angeli, discendente della nota dinastia imperiale di Bisanzio che regnò dal 1185 al 1204. In particolare il merito di aver asportato, conservato e collocato le

“sante pietre” in seno alla Chiesa andrebbe attribuito a “despota” (signore) dell’Epiro, Niceforo I Angeli-Comneno. (…)

Non possiamo chiudere questa carrellata attraverso gli studiosi di storia loretana senza ricordare l’attuale archivista della Santa Casa, p. Floriano Grimaldi. (…)

Sorvolando su altre opere, saggi e articoli vari, tra cui “Loreto nell’arte” – pregevole anche per le sue splendide riproduzioni artistiche – e “L’antica spezieria della S. Casa di Loreto”, opera in collaborazione, che porta a conoscenza dei lettori la preziosa collezione di ceramiche di detta spezieria ora sistemata nel Museo del palazzo apostolico, concludiamo il rapido excursus sulla quarantennale attività creativa del p. Grimaldi con la segnalazione del suo lavoro conclusivo che ha per titolo: “La historia della chiesa di Santa Maria de Loreto”.

È lavoro conclusivo, perché rappresenta un tentativo di sintesi storico-critica della tradizione loretana quale ci appare, nella sua formulazione definitiva, attraverso la relazione di Pier

Giorgio de’ Tolomei, dalla sua terra d’origine detto il Teramano, dalla quale, appunto, il libro del Grimaldi prende a prestito il titolo.

Secondo l’autore, tale relazione nella quale si coagula, per così dire, tutto ciò che «la memoria popolare tramandava sulle origini miracolose della chiesa di Santa Maria di Loreto», è da ritenersi come documento “fondante”. Nel suo libro - che vuol essere una specie di analisi e di approfondimento scientifico del documento del Teramano -. Il Grimaldi studia l’origine, lo sviluppo e le manifestazioni caratteristiche della “tradizione devota”, mettendone in evidenza i coefficienti fondamentali nella molteplicità dei miracoli operati dalla Vergine loretana e nel legame ideale che unisce il sacro sacello al santuario dell’Incarnazione del Verbo.

Descrive inoltre i segni manifestativi di tale tradizione, ben visibili nella vasta produzione storiografica sull’argomento, nel formarsi dell’eccezionale patrimonio artistico e iconografico di soggetto loretano, nonché nel movimento peregrinatorio e nel moltiplicarsi dei doni votivi che nel corso dei secoli arricchirono il tesoro della Santa Casa, e, infine, nelle preziose lampade votive che, con la loro tremula fiammella, sembrano indicare l’anelito che dall’umanità orante si leva verso la Vergine madre, dispensatrice della divina grazia.

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Se i cattolici hanno tanti problemi ad ammettere la possibile origine soprannaturale di un culto mariano che razza di fede è la loro?

Potremmo semplificare al massimo la questione e porre, francamente e forse un po’ rudemente, la semplice domanda: i cattolici credono ancora nel miracolo? Non in questo o quel miracolo, ma nella possibilità del miracolo? Oppure, come Voltaire, credono che il miracolo, in quanto sospensione delle leggi di natura, è sia logicamente che materialmente impossibile, poiché le leggi di natura non ammettono sospensione o deroga alcuna, in nessun caso? Tuttavia,

semplificare equivale il più delle volte a deformare, e quindi lasciamo perdere le semplificazioni e chiediamoci piuttosto: da quando i cattolici hanno smesso di ritenere i miracoli talmente eccezionali, da dover essere circoscritti entro un angusto perimetro, e contati avaramente uno per uno, in modo da sfrondare ed escludere tutta una serie di fatti che la tradizione ha bensì tramandato e la pietà popolare ha circondato di una calda venerazione, ma che oggi, dal punto di vista dell’uomo moderno, appaiono decisamente inattuali, per non dire inaccettabili? E la risposta – sappiamo di essere ripetitivi, per quelli che ci seguono da un certo tempo – è: a partire dallo “spirito” nuovo che si è messo a soffiare, in maniera piuttosto sospetta (ricordate?, nientemeno che una “seconda Pentecoste”!), a partire dal Concilio Vaticano II; meglio ancora:

da quando la coerenza ha smesso di essere una virtù, e molti, troppi cattolici si son messi a fare a gara con lo spirito del mondo per “aggiornarsi”, ovviamene a suon di dialogo, inclusione, discernimento e misericordia, e ripudiando il peccato supremo (dice Bergoglio) del clericalismo, fino al punto di smarrire le proprie radici, rinnegare la propria identità e domandare scusa a destra e a sinistra di essere quel che erano sempre stati, e anche con una certa sacrosanta fierezza, beninteso fino al 1965: tanto che lo scrittore Léon Bloy soleva dire: Mi dispiace per voi, ma se non siete nella Chiesa cattolica, siete nell’errore. A partire da quell’evento, ciò che prima era vero è diventato a dir poco discutibile; ciò che era assolutamente certo, incerto; e ciò che era giusto e doveroso gridare dai tetti, è divenuto a stento lecito sussurrarlo a mezza bocca.

Misteri della “seconda Pentecoste” e dello “spirito dei tempi nuovi”.

I cattolici credono ancora nel miracolo? Non in questo o quel miracolo, ma nella possibilità del miracolo?

E veniamo al fatto specifico di cui stavamo discutendo. Se si vuole, è possibile trovare delle spiegazioni più che naturali per la traslazione, o trasferimento, della Santa Casa da Nazareth a Loreto. Si può pensare, semplicemente, ad un trasporto di essa, pietra su pietra, a bordo delle navi degli ultimi crociati, prima che tutta la Terra Santa cadesse nelle mani degli infedeli.

Oppure si può tirare in ballo la dinastia bizantina degli Angeli, la quale, come è noto, ha regnato a Costantinopoli e, dopo la quarta crociata, in alcune regioni periferiche dell’impero, come l’Epiro, proprio nel periodo di tempo in cui ebbe luogo la portentosa traslazione. In questo caso, gli Angeli dei quali parla la tradizione non sarebbero da identificare con i puri spiriti della Luce, ma semplicemente con i membri della famiglia regnante bizantina (l’ultimo imperatore di essa fu Isacco II Angelo, che fu travolto dai Crociati nel 1204). In fin dei conti, le cronache antiche parlano degli Angeli e narrano di un viaggio sul mare, ma non specificano se fu un evento di carattere soprannaturale, per cui questa sembra essere la spiegazione più logica e naturale.

Resta però un problema. Se i cattolici hanno così tanti problemi ad ammettere la possibile origine soprannaturale di un determinato culto mariano; se sono così timorosi di apparire attardati, superstiziosi e oscurantisti agli occhi del mondo moderno; se la loro principale preoccupazione sembra essere quella di allontanare da sé il sospetto di essere creduloni e antiscientifici, e la paura di vedersi messi alla gogna dalla cultura scientista oggi imperante: che razza di fede è la loro? Si rendono conto che la fede, in quanto tale, è fede nel soprannaturale;

e che per credere nei fatti naturali non c’è bisogno di essere dei credenti, ma basta e avanza un Piero Angela o un Piergiorgio Odifreddi? La vera fede è dire: nulla è impossibile a Dio...

 Francesco Lamendola

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