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Che la qualità della tolleranza si sviluppi in voi

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Academic year: 2022

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Che la qualità della tolleranza si sviluppi in voi

di S.N. Goenka

Il termine pali pāramitā significa qualità da sviluppare sino alla perfezione. Ci sono dieci buone qualità mentali il cui totale compimento o maturazione realizza la promessa di buddhità (‘risveglio’) di un bodhisatta, un essere destinato a diventare un Buddha. Esse ci a conseguire la liberazione finale.

Tra le dieci perfezioni, è di particolare importanza la tolleranza o sopportazione, khanti pāramī. Essere in grado di sostenere le più dure vicissitudini dell’esistenza con tolleranza e calma obiettività, sopportare un evento doloroso ed intollerabile o la perdita di qualcuno che è vicino e caro con mente calma e quieta, in altre parole, essere capace di mantenere equanimità interiore fino al livello più profondo ed in ogni momento: questo significa ottemperare all’istanza della qualità della tolleranza.

Il bodhisatta che portò a compimento le sue qualità e divenne un Sammā Sambuddha (‘Completamente Illuminato’) dal nome di Gotama il Buddha, era riuscito a far maturare la qualità della tolleranza nelle sue vite precedenti.

Perdita di un figlio

Nel corso d’innumerevoli vite, il bodhisatta nacque una volta come un brahmano di Varanasi.

Diventato adulto divenne capo di una famiglia composta da sua moglie, una figlia, un giovane figlio con sua moglie ed una giovane serva. La famiglia era felice. Egli provvedeva alla famiglia coltivando col competente aiuto di suo figlio.

Un giorno era in campagna ad arare il campo e come sempre suo figlio raccoglieva i detriti dell’aratura per bruciarli. All’improvviso un cobra mortale emerse dal cumulo di detriti e morse il giovane. Il figlio perse i sensi col diffondersi del veleno. Il bodhisatta vide il figlio cadere e corse al suo fianco ma in quel momento stava già esalando l’ultimo respiro. Fece un vano tentativo di rianimare suo figlio. Non riuscendovi prese il cadavere di suo figlio e lo adagiò sotto un albero coprendolo gentilmente con un tessuto. Con calma riprese ad arare il campo senza dolore né afflizione.

Dopo un po’ vide un contadino avviarsi al paese vicino in cui viveva. Il bodhisatta gli chiese di portare un messaggio a sua moglie, ovvero che la giovane serva che portava ogni giorno due merende, quel giorno ne dovesse portare solo una. Gli chiese inoltre di dire a tutta la famiglia di venire al campo con dei fiori, indossando vestiti freschi e puliti. Sentendo questo la moglie capì che il figlio forse era morto ma non scoppiò in lacrime né nessun altro membro della famiglia cominciò a piangere. Calmi e composti si incamminarono verso il campo.

Un bodhisatta continua di vita in vita a vivere una vita di Dhamma e si impegna a far maturare una o più qualità. A dire il vero essi non vivono da soli la vita di Dhamma ma incoraggiano ed ispirano amici e parenti a vivere una vita di Dhamma. In una delle vite future un bodhisatta si sobbarcherà il difficile compito di portare un numero incalcolabile di persone sul sentiero della totale liberazione non appena egli diventa un Buddha. Perciò nel corso d’innumerevoli vite come bodhisatta, matura in lui anche l’arte di fornire agli altri istruzioni conformi al Dhamma.

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Era suo costume guidare ed incoraggiare i membri della famiglia a condurre una vita integra di puro Dhamma anche nell’assolvere ai loro compiti mondani di laici. Ispirava inoltre gli altri col suo esempio, vivendo una vita ideale di Dhamma. Istruiva sempre la famiglia a condurre una vita di moralità e a fare donazioni secondo le loro capacità con menti compassionevoli e felici. Inoltre li incoraggiava ad impegnarsi costantemente per la purificazione mentale, disciplinando la mente e sviluppando la consapevolezza del sorgere e del passare: l’eterna verità dell’impermanenza.

Di volta in volta, li incoraggiava anche a rafforzare la consapevolezza dell’incombenza della morte e a comprendere l’immutabile legge di natura secondo la quale quando si nasce si deve morire. Il bodhisatta era completamente maturato nella consapevolezza della morte ed aveva aiutato i membri della famiglia a comprendere questa verità dell’esistenza allo stesso modo.

Quando i quattro membri della famiglia arrivarono al campo, videro quel che temevano. Ma nessuno di loro pianse o si lamentò nel vedere il cadavere del giovane. Con tranquillità e con calma cominciarono a raccogliere la legna per la cremazione. Insieme adagiarono gentilmente il corpo del loro profondamente amato sulla pira funeraria e con affetto la decorarono di fiori fragranti. Dopo aver appiccato il fuoco alla pira si sederono intorno in quieta contemplazione.

Un uomo che guardava da lontano fu molto sorpreso della compostezza della famiglia. Si avvicinò e chiese:

“State cremando un animale?”

“No, è un uomo morto che stiamo cremando” – replicò il bodhisatta.

“Oh, allora è forse il tuo nemico?” – domandò lo sconosciuto.

“No, era il mio unico figlio.”

“Non eri in buoni rapporti con lui?”

“Mio figlio mi era assai caro” – rispose il bodhisatta agricoltore.

“Allora perché non piangi per la perdita del tuo figlio così affezionato?” – chiese con incredulità lo sconosciuto.

“È andato, quel che è successo è irreversibile. Come un serpente abbandona la spoglia e se ne va, così anche mio figlio ha abbandonato il suo corpo e se ne è andato. Che ne guadagnerò piangendo? Non ritornerà mai.”

Lo sconosciuto pose la stessa domanda alla madre del giovane dicendo: “Il cuore di un padre può essere duro come una roccia ma tu l’hai portato in grembo per nove mesi e nutrito del tuo latte. Il cuore di una madre è molto delicato, perciò come mai neanche tu stai piangendo alla perdita del tuo unico figlio?”

Lo sconosciuto pose delle domande simili alla moglie del morto.

“Tu invero hai perso tutto in questa giovane età. Eppure non piangi?”

Allora chiese alla sorella: “Spesso la sorella ama profondamente il proprio fratello. Com’è possibile che non piangi alla perdita del tuo unico fratello?”

Allora disse alla giovane serva: “Certamente il defunto deve essersi comportato duramente nei tuoi confronti e dunque non ti addolora la sua morte.”

La giovane serva replicò: “Egli era il figlio dolce e dalla voce carezzevole della casa, molto amato da tutti. Si comportava con gentilezza ed affabilità con tutti. Era un buon uomo.”

“E pur tuttavia non piange nessuno?”

Lo sconosciuto era alquanto perplesso.

Notando la sua confusione, tutti i membri della famiglia fecero eco esprimendo lo stesso parere, e cioè che non avrebbero guadagnato nulla nel piangere e lamentarsi. Era arrivata

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senza invito ed era partita all’improvviso senza avvisare nessuno: la morte è una certezza. Tutti gli esseri nascono in accordo al loro karma e in accordo al loro karma muoiono.

“Yathā gato tathā gato, tattha kā paridevanā?”

“Come venne, così se ne andò: dunque, perchè lamentarsi?” (Therīgāthā 130).

In questo modo, il bodhisatta s’impegnava per accrescere la sua qulità della tolleranza e sopportazione. E fu inoltre strumento affinché i suoi cari ed amati accrescessero la propria.

Perdita di una cara moglie

In un’altra delle vite del bodhisatta, sua moglie, una giovane e bellissima donna, si ammalò e morì. Vedendo giacere morta una donna così amabile, la gente intorno provò tanta miseria e tristezza ma lui restò calmo ed equilibrato pur vedendo la sua giovane moglie molto amata giacere morta. Spesso in una situazione del genere, il marito impazzisce dal dolore, non mangia, non beve e non è capace di svolgere le sue mansioni quotidiane e non fa altro che aggirarsi intorno al luogo della cremazione piangendo e lamentandosi.

Ma il bodhisatta mantenne totale compostezza. Richiestogli come mai potesse mostrare simile contegno, rispose:

“Tutto ciò che è composto prima o poi si decompone. Tutti devono morire, questa è legge ineludibile. Anche mia moglie è morta in conformità a questa stessa legge. Quand’ella era in vita era mia moglie e si occupava di me e io mi prendevo cura di lei. Ora dopo la morte è nata in qualche altro stato come tutti. Ora dov’è il legame tra noi? Piangere non aiuta né lei né me.”

In questo modo potè sviluppare la tolleranza in quella vita.

Perdita del fratello maggiore

In un’altra vita ancora il bodhisatta nacque in una prospera casa. A tempo debito i suoi genitori morirono ed il fratello maggiore si fece carico della famiglia, prendendosi cura sia delle persone che degli affari. Sfortunatamente poco dopo questi pure si ammalò e morì. Il bodhisatta affrontò questa tragedia con sopportazione. Sapeva che le lacrime non avrebbero aiutato nessuno ‒ neanche il fratello che era morto ‒ e che queste avrebbero solo peggiorato la situazione. Quando la gente gli chiedeva come potesse restare così calmo e composto con quella simile miseria, egli rispondeva: “La morte è la legge immutabile per tutti gli esseri viventi ed è inevitabile che col tempo il corpo si disintegri. Piangere e lamentarsi non serve a niente.” Così calmò tutti con parole di Dhamma.

Perdita del nonno

Una volta il bodhisatta nacque in una prospera famiglia. Divenuto un giovane uomo gli morì il nonno. Rimase calmo ed equanime in quei momenti difficili ma il padre si inquietò molto e non riusciva a calmarsi. A seguito della cremazione il padre costruì un padiglione per conservare le ceneri del nonno in un’urna. Sedeva lì tribolando continuamente. Il bodhisatta cercava di calmarlo ma non c’era modo di consolarlo. Allora escogitò un piano. Prese un

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giovane toro morto e gli mise dell’erba fresca e dell’acqua di fronte. Quindi cominciò a tribolare supplicando il torello morto di alzarsi e mangiare l’erba. Vedendo questo, in molti tentarono di fargli presente la futilità di quel che faceva, ma il bodhisatta non demordeva. La gente credeva che avesse perso la ragione.

Venuto a sapere della “pazzia” di suo figlio, il padre si inquietò. Non si capacitava del perché un figlio sano e sensato potesse ridursi in una simile insanità. Cercò di spiegargli che non aveva senso tentare di svegliare e nutrire un toro morto, al che il bodhisatta rispose: “Padre, osserva, la testa, la faccia, le gambe, invero tutto il corpo del toro è intatto. Di certo si sveglierà alle mie suppliche. Ad ogni modo tu piangi affinché tuo padre ritorni quando il suo corpo è stato cremato e ne restano solo cenere e qualche osso. Di certo il mio toro ha più probabilità di tornare in vita!”

Questo colse di sorpresa il padre e lo fece tornare in sé.

“Che sto facendo!” ‒ si disse, e smise lacrime e lamenti. In questo modo il bodhisatta rafforzò ancora di più la sua qualità della tolleranza, ed aiutò suo padre a crescere nel Dhamma.

Perdita del padre

In una vita della lunga catena di vite, il bodhisatta nacque come Rāma, il figlio di Dasaratha.

Al comando del padre, lasciò il palazzo e si recò nella foresta con Sītā e Lakkhaṇa. Suo padre, il re, morì poco dopo e suo fratello Bharata partì per la foresta per supplicare suo fratello Rāma a ritornare ad Ayodhya. Quando il bodhisatta Rāma apprese la notizia della morte del padre, non si turbò minimamente. Portò anzi la notizia a Sītā e Lakkhaṇa, con grande delicatezza, al loro ritorno da una sortita per raccogliere fiori e frutti, rendendosi conto che questi, a differenza sua, non avrebbero potuto sopportare il dolore con sopportazione.

E come c’era da aspettarsi, Sītā e Lakkhaṇa si angosciarono enormemente al sentire la notizia ed iniziarono a piangere e lamentarsi, così come facevano anche Bharata e gli abitanti di Ayodhya che l’avevano accompagnato nella foresta. Allora il bodhisatta Rāma, che aveva acquisito tanta tolleranza, proferì parole di saggezza con molta compassione:

“Non potremo riportarlo indietro neanche a piangere fino a prosciugare gli occhi, giacché il pianto mai serve. Colui che piange e fa piangere gli altri procura dolore a sé ed agli altri. Ed inoltre piangere non serve nemmeno a chi è morto e trapassato. Perciò in tali occasioni è cosa saggia sradicare il dolore non appena sorge, proprio come uno che estingue un fuoco non appena comincia a bruciargli la casa.”

Sentendo queste sagge parole la gente smise di piangere. In questo modo il bodhisatta continuò a sviluppare la sua qualità incoraggiando gli altri a fare lo stesso.

Cari meditatori! Nella vita ci si imbatte sempre in qualcosa di non voluto. Ed inoltre si incorre nella perdita di cari o proprietà preziose. Che tutti possano crescere in tolleranza ed imparino dalle inestimabili esperienze del bodhisatta che ci impartiscono lezioni ineguagliabili su come sviluppare la nostra sopportazione e le altre perfezioni.

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Tradotto da un notiziario inglese dalla commissione Comunicazione. Corretto

da Carlo di Chiara e revisionato da Biblioteca Vipassana. 2016

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