• Non ci sono risultati.

L ennesima Italia, 34 anni fa: tormento & passione, tragedia & criminalità, lacrime & rabbia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "L ennesima Italia, 34 anni fa: tormento & passione, tragedia & criminalità, lacrime & rabbia"

Copied!
5
0
0

Testo completo

(1)

L’ennesima Italia, 34 anni fa: “tormento & passione”, “tragedia & criminalità”, “lacrime &

rabbia”

Servizi di Claudio Beccalossi

  L’area interessata.      

Era una domenica. Il fatidico 23 novembre 1980, alle ore 19.34. In quei brevi ma lunghissimi momenti (della durata di circa 90 secondi) si scatenò un sisma che infierì sulla Campania centrale e sulla Basilicata centro-settentrionale, toccando una magnitudo di 6,9 della “Scala Richter” (assegnando un valore sulla “Scala Richter” o “magnitudo locale ML”, s’intende una misura della cosiddetta magnitudo, una stima dell’energia formata da un terremoto nella posizione della frattura della crosta terrestre, cioè l’ipocentro stando ai criteri indicati dal geofisico statunitense Charles Francis Richter – Hamilton, 26 aprile 1900 – Pasadena, 30 settembre 1985) e del X grado della “Scala Mercalli” (scala che misura l'intensità d’un terremoto in base alle conseguenze prodotte su popolazione, edifici, proprietà).

Questa scala proviene dalla semplice “Scala Rossi-Forel” di 10 gradi e prende il nome dal vulcanologo e sismologo Giuseppe Mercalli – Milano, 21 maggio 1850 – Napoli, 18 marzo 1914.

Venne rivista ed aggiornata nel 1883 e nel 1902, anno in cui lo stesso Mercalli la presentò alla comunità scientifica e nel quale la scala di 10 gradi venne espansa a 12 gradi dal fisico italiano

(2)

Adolfo Cancani. Poi, venne totalmente ridefinita dal geofisico tedesco August Heinrich Sieberg assumendo il nome convenzionale di “Scala Mercalli-Cancani-Sieberg”, con l’acronimo “MCS” e comunemente citata come “Scala Mercalli”.

“Battezzato” subito dalle cronache come “terremoto dell’Irpinia”, ebbe l’ipocentro a circa 30 chilometri di profondità. L’epicentro, a sua volta, fu stabilito tra i comuni campani di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza.

Il ripetersi d’un evento tellurico in Italia interessò un’area di 17mila chilometri quadrati (dall’Irpinia al Vulture, tra le province di Avellino, Salerno e Potenza), provocò 2.914 morti, 8.848 feriti e grosso modo 280mila sfollati. Il solo paese di Laviano ebbe 303 deceduti su circa 1.500 abitanti, un quinto della popolazione. Un bilancio da… guerra!

La mannaia del sisma s’abbatté pesantemente soprattutto su Castelnuovo di Conza, Conza della Campania, Laviano, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Senerchia, Calabritto, Santomenna. 

Danni  e  cedimenti  strutturali  riguardarono costruzioni già insicure e vetuste case in tufo come a Napoli, mentre a Poggioreale collassò (complici forse vecchie anomalie edilizie) un intero palazzo in via Stadera facendo ben 52 morti.

A Balvano, nel Potentino, crollò la chiesa di Santa Maria Assunta decretando la fine di 77 persone che stavano partecipando alla messa, tra cui 66 bambini ed adolescenti. Balvano era già stata drammaticamente funestata dalla “sciagura del treno 8017” (o “disastro di Balvano”) del 3 marzo 1944, considerato il più grave incidente ferroviario d’Italia per numero di vittime (517 deceduti secondo il bilancio ufficiale del verbale della seduta del Consiglio dei ministri del 9 marzo 1944). Gli intossicati ma sopravvissuti alle esalazioni di monossido di carbonio ed acido carbonico (motivo della morte di così tanti viaggiatori abusivi sul treno merci speciale bloccatosi nella galleria delle Armi, tra le stazioni di Balvano-Ricigliano e Bella-Muro) furono una novantina. 

L’Ufficio del Commissario Straordinario accertò che dei 679 comuni delle 8 province (Avellino, Benevento, Caserta, Foggia, Matera, Napoli, Potenza, Salerno) implicate nell’evento tellurico, ben 506 (ovverossia, il 74% del totale) subirono danni. Più nello specifico, le 3 province più devastate furono Avellino (con 103 comuni), Salerno (con 66) e Potenza (con 45).

Nella fascia epicentrale, 36 comuni contarono circa 20mila abitazioni irrimediabilmente perdute o non più utilizzabili. Le zone non epicentrali (244 comuni delle province di Avellino, Benevento, Caserta, Foggia, Matera, Napoli, Potenza e Salerno) ebbero 50mila alloggi con livelli di rovina da gravissimo a medio-grave. Altri 30mila case, infine, se la cavarono con danni lievi.

L’impennata di crolli, morti e feriti non fu aggravato solo dallo stato fatiscente degli abitati messi già a dura prova con i precedenti terremoti del 1930 e del 1962, ma pure dal ritardo nelle operazioni di soccorso che poterono effettivamente raggiungere tutte le zone funestate ben 5 giorni dopo.

Gli aiuti internazionali non si limitarono alla concessione di generosi finanziamenti, molti dei quali finirono nelle “mani adunche” di burocrati politicanti, di intrallazzatori in giacca e cravatta e di cosche camorristiche in costante “aspettativa” della tragedia di turno per specularvi sopra, come dimostrarono le inchieste giudiziarie delle varie e scandalose Irpiniagate.

Oltre a dare 70 milioni di dollari, gli Stati Uniti inviarono 136 uomini con 6 elicotteri della Compagnia paracadutisti del 509° Battaglione; la Germania Ovest concesse 32 milioni di dollari, 1 ospedale da campo con 90 sanitari, 650 uomini e 3 elicotteri del 240° Battaglione Genio pionieri, 1 gruppo di specialisti della Croce Rossa,  47 volontari-elettricisti,  1 team di salvataggio ed 1 di depurazione, oltre a 16 cani da salvataggio con guide; l’Arabia Saudita elargì 10 milioni di dollari; l’Iraq 3 milioni di dollari; l’Algeria 500mila dollari; il

(3)

Belgio predispose 1 nucleo sanitario di 10 uomini ed un’ambulanza; la Francia contribuì con équipes di ricerca dei sopravvissuti formate da 291 uomini con cani da valanga, 59 militari medici ed esperti nel soccorso, 12 ambulanze ed 1 elicottero ambulanza con personale medico;

l’Austria allestì 1 ospedale militare da campo con 130 sanitari; la Jugoslavia incaricò 12 squadre di ricerca con elettrosonde composte da 41 addetti; la Svizzera prese parte con 14 squadre cinofile e 2 elicotteri speciali per soccorso.

INEDITE ANGOSCE

L’esperienza personale - Note e foto che riemergono dallo “scrittoio della memoria”

Seguendo il mio solito “istinto umanitario” (talvolta fallace) e sulla falsariga della mia precedente esperienza di volontariato nei momenti post terremoto del Friuli, nel maggio 1976, circa una settimana dopo il sisma del 23 novembre 1980 decisi di partire “in solitaria”, per dare quanto potevo nelle opere di soccorso che i media descrivevano alquanto confusionarie.

Raggiunsi in treno Avellino con un bagaglio spartano e col mio “fedele” sacco a pelo e mi presentai presso la Federazione Provinciale del Partito Comunista Italiano, che stava

organizzando squadre ed azioni di soccorso e dove qualcuno m’aveva indirizzato, per offrirmi come volontario per le zone terremotate. In attesa della partenza, dormii per terra in uno di quei locali, raggomitolato nel mio sacco a pelo e con lo zaino che m’ero portato appresso come cuscino.

Al mattino ci avviammo in auto verso Lioni, la nostra destinazione. Era con noi anche un giovane siciliano, non ricordo di quale località, arrivato a sua volta per contribuire. S’era portato appresso anche dei giocattoli che avrebbe voluto regalare a qualche bambino nell’emergenza.

Facemmo sosta anche a Sant’Angelo dei Lombardi (centro che contò 482 morti), dove potei scattare alcune foto. Poi, raggiungemmo Lioni (che pianse le sue 228 vittime) e la tendopoli che era stata allestita per ospitare i senzatetto.

Al mio compagno siciliano ed a me, ci venne data una tenda al margine estremo

dell’”accampamento”, quasi a ridosso del muro di cinta. Pioveva, faceva freddo e l’umidità penetrava nelle ossa. La tenda garantiva solo un povero riparo dalle intemperie e l’interno, in pendenza, presentava perfino un ristagno d’acqua piovana in un angolo. Il mio occasionale amico ed io dovemmo sistemarci con i nostri sacchi a pelo e zaini nella zona più asciutta, cercando di non scivolare in quell’acqua. Fu una notte da incubo, passata pressoché da insonne, non solo per il freddo patito nonostante il sacco a pelo ma pure per alcune scosse avvertite e che tremavano sotto il fondoschiena.

Uscito dalla tenda al mattino, m’accorsi della neve intanto caduta e che il muro al bordo della tendopoli divideva dal… cimitero, al cui esterno stavano accatastate centinaia di bare in attesa d’accogliere i corpi estratti dalle macerie. Venni assegnato ad un magazzino di smistamento di generi alimentari (soprattutto pasta) e di materiale vario (fornelletti a gas, torce elettriche, sussidi d’emergenza). Non volendo infilarmi ancora, per le notti successive, in quell’inospitale

(4)

tenda, preferii adattarmi a dormire in qualche maniera su una catasta di coperte ed indumenti usati e (forse) lavati o sterilizzati.

Usufruivo dei pasti presso la mensa allestita nella tendopoli, in un’atmosfera di partecipazione emotiva ai mille drammi singoli, familiari e sociali partoriti dalla Grande Tragedia del terremoto.

Rimasi giorno e notte vestito con gli stessi abiti che avevo addosso al momento del mio arrivo ad Avellino, berretto di lana alla… Lucio Dalla compreso. A parte gli stivali di gomma e le

mascherine protettive di cui m’avevano dotato per circolare in quell’impasto infernale di fango e detriti, non mi ero mai cambiato (e nemmeno lavato decentemente).

Portando sempre in testa il berretto per ripararmi dalla pioggia o dalla neve e dalla polvere, i capelli (allora ne avevo ancora) s’erano tutti aggrovigliati e non fu facile districarli al mio ritorno a Verona, quando finalmente feci un bagno decente.

Nei pochi momenti liberi dal mio impegno non molto sereno (molti terremotati m’assillavano per avere questo e quello, anche se l’avevano già avuto o non spettava loro) e mentre qualcuno mi sostituiva, vagavo per Lioni con struggente angoscia ed allibita malinconia. Osservavo

sgomento le bare in mezzo al fango, tra camion ed escavatori, destinate a corpi che i soccorritori rinvenivano a fatica e dopo giorni dalle rovine.

Mi davano una lancinante pena le case sventrate, sezionate, con qualche parete rimasta su con i suoi poveri arredi, dall’intimità perduta esposta ad accanito maltempo ed a banali

curiosità.

Erano un flebile sollievo visivo la sfibrante opera dei vigili del fuoco, degli automezzi militari tedeschi al lavoro su cataste di detriti, la teoria di roulottes che avrebbero dovuto risolvere situazioni di provvisoria emergenza e che invece (come i prefabbricati) servirono più del dovuto (e del sopportabile) per elementari decenza e rispetto.

Mi pare quasi di sentirmi ancora addosso il misto d’umidità, marciume, di decomposizione (erano ancora diversi i cadaveri da recuperare dagli ammassi delle case crollate e che i familiari invitavano a cercare in punti dove presumevano potessero essere) e d’odor di terra, fango, polvere dei detriti rimossi o caricati sugli autocarri che mi s’impresse addosso durante la mia permanenza a Lioni. Paese in ginocchio, quest’ultimo, sferzato prima dalla povertà e

dall’emigrazione, funestato dall’ennesimo sisma e frustrato poi dagli impietosi e corrotti meccanismi della ricostruzione matrigna.

Feci diverse fotografie per mia documentazione e perché la memoria d’uno scatto, che rimane, è migliore di quella dentro, che resta sì ma s’obnubila, muta, si confonde col tempo.

E per non dar adito a dubbi sulla personale scelta d’altruismo (dato che la mamma degli idioti è sempre incinta e di questa progenie ne ho conosciuta a bizzeffe in vita mia), m’ero fatto rilasciare una certificazione scritta sul mio servizio di volontariato da parte d’un preposto (suppongo un “collega” pratico o disponibile all’adempimento di servizi amministrativi) del Comune di Lioni, sistemato per lo svolgimento delle sue mansioni in un’angusta roulotte.

Tornato a Verona in versione… barbonesca, mi ripresi in fretta dalla fatica e dallo stress accumulati e scrissi una sorta di memoriale corredato di foto sui miei trascorsi a Lioni (con qualche particolare di denuncia di sprechi e negligenze e sul comportamento di “certi” volontari per modo di dire) per il settimanale diocesano “Verona Fedele”, apparso il 1° febbraio 1981 con occhiello (o sopratitolo), titolo e “catenaccio” (in… gergo giornalistico) “allineati” al target della testata: “Un’esperienza di volontariato nelle zone terremotate – Fede in Dio per amare ogni uomo che soffre – Quanta vergogna per gli sciacalli vili ed implacabili che speculano sul dolore altrui!”. Altre mie immagini sul dopo terremoto nel paese irpino trovarono spazio sullo stesso giornale anche prima della data di pubblicazione del mio articolo-diario.

(5)

Il grosso del reportage fotografico realizzato, però, rimase in stand-by (ed inedito) da un cassetto all’altro del mio archivio in “movimento disorganizzato” continuo. Fino a quando non è stato impaginato per il numero di marzo 2014 del mensile “L’Altra Cronaca”. 26 foto per

“raccontare” una delle tante tragedie italiane. O drasticamente e semplicemente…

“all’italiana”…

Riferimenti

Documenti correlati

Per le imprese e i titolari di reddito di lavoro autonomo che hanno avviato l’attività in zona franca urbana in data successiva al 31 dicembre 2017, ovvero che si impegnano ad

• la possibilità di deposito di uno Stato di avanzamento lavori straordinario aggiuntivo per la liqui- dazione dei lavori effettuati fino alla data di sospensione dei cantieri a

Caritas Italiana si unisce alla preghiera e all’appello del Santo Padre affinché la guerra si fermi e rilancia l’invito all’Italia e agli altri paesi europei, in accordo con

Essendo uno dei fondatori dei Satyricon, Sigurd Wongraven fa parte della prima generazione del movimento black metal.. Un cantante e compositore che nel brano King ringhia e urla

Con la diocesi di Rieti si sono gemellate le Caritas di Lazio, Lombardia, Basilicata, Toscana e Puglia; con la diocesi di Ascoli Piceno e le altre Diocesi delle Marche si

Ricordiamo come la Presidenza della CEI ha disposto l’immediato stanziamento di 1 milione di euro dai fondi dell’otto per mille per far fronte alle prime urgenze e ai

Sarebbe stato un padre amoroso ma non ha avuto questa opportunità perché lui e sua moglie non hanno avuto bambini, ma questo non gli ha impedito di occuparsi dei bambini degli

Gli autori analizzano la biologia della Volpe (Virlpes vulpes) in relazione all‘epidemiologia deiia rabbia silvestre in Italia; sottolineano la grave carenza di dati nel