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Art Nomina e revoca dell amministratore giudiziario a cura di Vincenzo Giuseppe Giglio

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752 Direttore responsabile: Antonio Zama

Art. 35 - Nomina e revoca dell’amministratore giudiziario

a cura di Vincenzo Giuseppe Giglio

1. Con il provvedimento con il quale dispone il sequestro previsto dal capo I del titolo II del presente libro il tribunale nomina il giudice delegato alla procedura e un amministratore giudiziario. Qualora la gestione dei beni in stato di sequestro sia particolarmente complessa, anche avuto riguardo al numero dei comuni ove sono situati i beni immobili o i complessi aziendali o alla natura dell’attività aziendale da proseguire o al valore ingente del patrimonio, il tribunale può nominare più amministratori giudiziari. In tal caso il tribunale stabilisce se essi possano operare disgiuntamente. (1)

2. L’amministratore giudiziario è scelto tra gli iscritti nell’Albo nazionale degli amministratori giudiziari secondo criteri di trasparenza che assicurano la rotazione degli incarichi tra gli amministratori, tenuto conto della natura e dell’entità dei beni in stato di sequestro, delle caratteristiche dell’attività aziendale da proseguire e delle specifiche competenze connesse alla gestione. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’interno e con il Ministro dello sviluppo economico, sono individuati criteri di nomina degli amministratori giudiziari e dei coadiutori che tengano conto del numero degli incarichi aziendali in corso, comunque non superiore a tre, con esclusione degli incarichi già in corso quale coadiutore, della natura monocratica o collegiale dell’incarico, della tipologia e del valore dei compendi da amministrare, avuto riguardo anche al numero dei lavoratori, della natura diretta o indiretta della gestione, dell’ubicazione dei beni sul territorio, delle pregresse esperienze professionali specifiche. Con lo stesso decreto sono altresì stabiliti i criteri per l’individuazione degli incarichi per i quali la particolare complessità dell’amministrazione o l’eccezionalità del valore del patrimonio da amministrare determinano il divieto di cumulo. L’amministratore giudiziario è nominato con decreto motivato. All’atto della nomina l’amministratore giudiziario comunica al tribunale se e quali incarichi analoghi egli abbia in corso, anche se conferiti da altra autorità giudiziaria o dall’Agenzia. (5)

2–bis. L’amministratore giudiziario di aziende sequestrate è scelto tra gli iscritti nella sezione di esperti in gestione aziendale dell’Albo nazionale degli amministratori giudiziari. (2)

2–ter. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 41–bis, comma 7, l’amministratore giudiziario di cui ai commi 2 e 2–bis può altresì essere nominato tra il personale dipendente dell’Agenzia, di cui all’articolo 113–bis. In tal caso l’amministratore giudiziario dipendente dell’Agenzia, per lo svolgimento dell’incarico, non ha diritto ad emolumenti aggiuntivi rispetto al trattamento economico in godimento, ad eccezione del rimborso delle spese di cui al comma 9. (2)

(2)

3. Non possono essere nominate le persone nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti, gli affini e le persone con esse conviventi, né le persone condannate a una pena che importi l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o le pene accessorie previste dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o coloro cui sia stata irrogata una misura di prevenzione o nei confronti dei quali sia stato disposto il rinvio a giudizio per i reati di cui all’articolo 4 del presente decreto o per uno dei reati previsti dal libro II, titolo II, capo I, e titolo III, capo I, del codice penale. Non possono altresì essere nominate le persone che abbiano svolto attività lavorativa o professionale in favore del proposto o delle imprese a lui riconducibili. Le stesse persone non possono, altresì, svolgere le funzioni di coadiutore o di diretto collaboratore dell’amministratore giudiziario nell’attività di gestione. Non possono assumere l’ufficio di amministratore giudiziario, né quelli di coadiutore o diretto collaboratore dell’amministratore giudiziario, il coniuge, i parenti fino al quarto grado, gli affini entro il secondo grado, i conviventi o commensali abituali del magistrato che conferisce l’incarico. Non possono altresì assumere l’ufficio di amministratore giudiziario, né quelli di coadiutore o diretto collaboratore dell’amministratore giudiziario, i creditori o debitori del magistrato che conferisce l’incarico, del suo coniuge o dei suoi figli, né le persone legate da uno stabile rapporto di collaborazione professionale con il coniuge o i figli dello stesso magistrato, né i prossimi congiunti, i conviventi, i creditori o debitori del dirigente di cancelleria che assiste lo stesso magistrato. (1)

4. L’amministratore giudiziario chiede al giudice delegato di essere autorizzato, ove necessario, a farsi coadiuvare, sotto la sua responsabilità, da tecnici o da altri soggetti qualificati. Ove la complessità della gestione lo richieda, anche successivamente al sequestro, l’amministratore giudiziario organizza, sotto la sua responsabilità, un proprio ufficio di coadiuzione, la cui composizione e il cui assetto interno devono essere comunicati al giudice delegato indicando altresì se e quali incarichi analoghi abbiano in corso i coadiutori, assicurando la presenza, nel caso in cui si tratti dei beni di cui all’articolo 10 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, di uno dei soggetti indicati nell’articolo 9–bis del medesimo codice. Il giudice delegato ne autorizza l’istituzione tenuto conto della natura dei beni e delle aziende in stato di sequestro e degli oneri che ne conseguono. (1)

4–bis. Non possono assumere l’ufficio di amministratore giudiziario, né quello di suo coadiutore, coloro i quali sono legati da rapporto di coniugio, unione civile o convivenza di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, parentela entro il terzo grado o affinità entro il secondo grado con magistrati addetti all’ufficio giudiziario al quale appartiene il magistrato che conferisce l’incarico, nonché coloro i quali hanno con tali magistrati un rapporto di assidua frequentazione. Si intende per frequentazione assidua quella derivante da una relazione sentimentale o da un rapporto di amicizia stabilmente protrattosi nel tempo e connotato da reciproca confidenza, nonché il rapporto di frequentazione tra commensali abituali. (4)

5. L’amministratore giudiziario riveste la qualifica di pubblico ufficiale e deve adempiere con diligenza ai compiti del proprio ufficio. Egli ha il compito di provvedere alla gestione, alla custodia e alla conservazione dei beni sequestrati anche nel corso degli eventuali giudizi di impugnazione, sotto la direzione del giudice delegato, al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi. (1) 6. L’amministratore giudiziario deve segnalare al giudice delegato l’esistenza di altri beni che potrebbero formare oggetto di sequestro di cui sia venuto a conoscenza nel corso della sua gestione.

7. In caso di grave irregolarità o di incapacità il tribunale, su proposta del giudice delegato, dell’Agenzia o d’ufficio, può disporre in ogni tempo la revoca dell’amministratore giudiziario, previa audizione dello stesso. Nei confronti dei coadiutori dell’Agenzia la revoca è disposta dalla medesima Agenzia.

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8. L’amministratore giudiziario che, anche nel corso della procedura, cessa dal suo incarico, deve rendere il conto della gestione ai sensi dell’articolo 43. (3)

9. Nel caso di trasferimento fuori della residenza, all’amministratore giudiziario spetta il trattamento previsto dalle disposizioni vigenti per i dirigenti di seconda fascia dello Stato.

(1) Comma così sostituito dall’ art. 13, comma 1, lett. a), L. 161/2017, che ha sostituito gli originari commi 1, 2, 3, 4 e 5 con gli attuali commi 1, 2, 2–bis, 2–ter, 3, 4 e 5.

(2) Comma inserito dall’ art. 13, comma 1, lett. a), L. 161/2017, che ha sostituito gli originari commi 1, 2, 3, 4 e 5 con gli attuali commi 1, 2, 2–bis, 2–ter, 3, 4 e 5.

(3) Comma così sostituito dall’ art. 13, comma 1, lett. b), L. 161/2017.

(4) Comma inserito dall’ art. 1, comma 1, lett. a), D. LGS. 54/2018, a decorrere dal 25 giugno 2018.

(5) Il presente comma è stato così modificato dall’ art. 36, comma 1, DL 113/2018, convertito, con modificazioni, dalla L. 132/2018.

Rassegna di giurisprudenza Il giudice delegato

Il D. Lgs. 159/2011 attribuisce al GD e all’amministratore giudiziario, in collaborazione tra loro, la gestione e l’amministrazione dei sequestrati, nell’arco di tempo compreso tra l’imposizione del sequestro e la decisione definitiva di confisca.

L’art. 35 del decreto attribuisce all’amministratore giudiziario “il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all’amministrazione dei beni sequestrati nel corso dell’intero procedimento, anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi”, nel rispetto delle indicazioni provenienti dal GD, al quale l’art. 40 comma 1, attribuisce il compito di impartire “le direttive generali dei beni sequestrati, anche tenuto conto degli indirizzi e delle linee guida adottati dal consiglio direttivo dell’Agenzia”, ossia dell’ANBSC prevista dallo stesso testo legislativo; mentre il comma 4 riconosce ad ogni soggetto interessato la possibilità di reclamare, davanti al GD, gli atti dell’amministratore giudiziario adottati “in violazione del presente decreto”.

L’art. 41, comma 4, in tema di gestione di aziende sequestrate, precisa poi che “i rapporti giuridici connessi all’amministrazione dell’azienda sono regolati dalle norme del codice civile, ove non espressamente altrimenti disposto”. Invece, l’art. 40, comma 2, attribuisce alla competenza del GD, nei confronti della persona sottoposta alla procedura e della sua famiglia, i provvedimenti di cui all’art. 47 LF, riguardanti diritti personali.

Nel suo tradizionale ambito civilistico, il GD alle procedure concorsuali è ordinariamente dotato di una sua competenza funzionale esclusiva – su cui il tribunale può intervenire nel procedimento del reclamo al collegio ex art. 26 LF – la cu violazione rende illegittimi i provvedimenti adottati, per esempio: per l’accertamento di un credito nei confronti del fallimento (Sez. 3 civile, 24156/2018; Sez. 3, 1115/2014 ); per la formazione e verificazione dello stato passivo, (Sez. 1, 6502/2004); per le questioni relative al giusto compenso per il locatore nel caso di contratto di locazione stipulato dal conduttore fallito ( Sez. 1, 6237/1991); per l’adozione di misure cautelari nei confronti di amministratori e sindaci della società fallita, contro i quali abbia autorizzato la proposizione dell’Azione di responsabilità da parte del curatore (Sez. 1, 12192/1991).

(4)

Nel procedimento di prevenzione, i provvedimenti adottati dal GD, stante il principio di tassatività delle impugnazioni ex art. 568 CPP, non sono impugnabili perché manca al riguardo un’espressa previsione.

Fanno eccezione i provvedimenti indicati dall’art. 47 LF – adottabili dal GD nei confronti della persona sottoposta alla procedura e della sua famiglia ex art. 40, comma 2, – che possono essere oggetto di opposizione davanti al tribunale in composizione collegiale mediante incidente di esecuzione ( Sez. 5, 57130/2018), mentre l’ordinanza collegiale emessa all’esito di tale opposizione può essere impugnata mediante ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 666, comma 6, CPP (Sez. 5, 13832/2018).

L’ordinaria inoppugnabilità dei provvedimenti adottati dal GD nel procedimento di prevenzione conferma che quest’organo è dotato di una sua autonoma sfera di competenza funzionale, non derogabile se non per espressa previsione normativa e nelle forme normative previste.

Questo assetto sistematico verrebbe meno se si ammettesse che gli stessi provvedimenti di competenza del GD possano essere adottati dal tribunale fallimentare prima ancora che quest’organo sia investito, nelle forme procedurali legislativamente fissate, del potere di provvedere.

L’incompetenza funzionale – assimilabile a quella per materia – lede la ripartizione delle attribuzioni giurisdizionali in relazione allo sviluppo del processo e si riflette sulla idoneità specifica dell’organo all’adozione di un determinato provvedimento. Essa, pur non avendo trovato un’esplicita previsione neppure nel nuovo codice di procedura penale, proprio perché connaturata alla costruzione normativa delle attribuzioni del giudice e allo sviluppo del rapporto processuale, è desumibile dal sistema e la mancanza di competenza funzionale da parte del giudice che lo ha emesso rende viziato da nullità assoluta il provvedimento adottato (SU, 14/1995) (Sez. 6, 38264/2019).

Incompatibilità con i ruoli di amministratore giudiziario, ausiliario e collaboratore

L’art. 35, comma 3, sancisce l’estromissione dalla carica di amministratore dell’ente, dei proposti e dei loro stretti congiunti dalla gestione della società in sequestro, oltre che dei soggetti che con questi abbiano collaborato (non possono essere nominate le persone nei confronti nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti, gli affini e le persone con esse conviventi, né le persone condannate con una pena che importi l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici ufficio colora cui sia stata irrogata una misura di prevenzione.

Le stesse persone non possono, altresì, svolgere le funzioni di ausiliario o di collaboratore dell’amministratore giudiziario). Il tenore della norma fa, dunque, propendere per la sussistenza di una presunzione di incompatibilità dei soggetti legati da stretti vincoli parentali o conviventi con il proposto a svolgere, non solo il ruolo di amministratore giudiziario, ma anche quello di ausiliario o collaboratore dell’amministratore stesso.

La norma risulta ispirata, dunque, all’esigenza di evitare conflitti d’interesse o situazioni di incompatibilità, anche potenziali, riferite al professionista nominato, riguardanti aspetti personali e patrimoniali, fissando significativi limiti, su generali requisiti dell’amministratore da prescegliere, puntando sull’esclusione di ogni contiguità di questo rispetto al proposto, all’amministratore di diritto e a persone che con questi abbiano collaborato (Sez. 5, 40446/2019).

Funzioni e poteri dell’amministratore giudiziario

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L’amministratore giudiziario nominato in una procedura di prevenzione, per espressa disposizione di legge, ha il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all’amministrazione dei beni sequestrati [...], anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi (cfr. art. 2–sexies, comma 8, L. 575/1965, e successive modifiche. Tale compito, inoltre, in quanto svolto da un pubblico ufficiale, sotto lo stretto controllo del GD, deve innanzitutto assicurare la legalità della gestione.

È dunque incontestabile la sua legittimazione a proporre querela, relativamente ai fatti commessi duranti la vigenza dell’amministrazione.

Del resto, ai sensi dell’art. 2–novies L. 575/1965 “dopo la confisca, l’amministratore di cui all’articolo 2–sexies, se confermato, prosegue la propria attività sotto la direzione dell’Agenzia”. In sostanza, dopo la confisca definitiva, ex lege l’ANBSC può continuare ad avvalersi dell’amministratore giudiziario nominato dal giudice, sino alla finale destinazione dei beni dallo stesso gestiti, con lo scopo di continuare a curare, sotto le direttive dell’ANBSC gli adempimenti propedeutici a garantire la destinazione dei beni, con la qualifica di “coadiutore”.

Peraltro è stato affermato in sede di legittimità, sebbene con riferimento al rappresentante legale della società, che la presentazione della querela costituisce certamente atto funzionale al raggiungimento degli scopi della società e che per essa non necessita specifico ed apposito mandato, in quanto gli amministratori possono, ai sensi dell’art. 2384 CC, compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, salve le limitazioni che risultano dalla legge o dall’atto costitutivo; con la conseguenza che è rilevante, a tal fine, non già la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, ma la verifica in concreto dei poteri e della facoltà conferite all’amministratore di una società di capitali ( Sez. 5, 40446/2019).

La questione giuridica sottoposta dalla difesa del ricorrente può essere riassunta nei seguenti termini: “ se nel corso del procedimento di prevenzione sia legittima l’imposizione al proposto che ne sia il proprietario del pagamento di un canone di locazione relativo alla casa destinata ad abitazione familiare sottoposta a sequestro ai fini di definitiva confisca”.

Le norme che regolano la materia sono: – l’art. 40, comma 2, che così dispone: “Il giudice delegato può adottare, nei confronti della persona sottoposta alla procedura e della sua famiglia, i provvedimenti indicati nell’articolo 47 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, quando ricorrano le condizioni ivi previste.

Nel caso previsto dal secondo comma del citato articolo 47, il beneficiario provvede a sue cure alle spese e agli oneri inerenti l’unità immobiliare ed è esclusa ogni azione di regresso”; – l’art. 47, comma 2, LF che così dispone: “La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività”; – l’art.

35, comma 5, che così dispone: “L’amministratore giudiziario riveste la qualifica di pubblico ufficiale e deve adempiere con diligenza ai compiti del proprio ufficio.

Egli ha il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione e all’amministrazione dei beni sequestrati nel corso dell’intero procedimento, anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi”.

Si ritiene, a fronte dell’esistenza di più orientamenti in conflitto, di aderire a quello argomentato nella sentenza n. 51458/2013 della quale appare doveroso riportare i condivisibili passi salienti.

(6)

Dalla lettura del testo della L. Fall., art. 47, si evince che le “condizioni” richieste perché il giudice della prevenzione “possa”, discrezionalmente, adottare, nei confronti del proposto (o dei terzi intestatari dei beni per suo conto, attesa l’identità di ratio) o il provvedimento di concessione di un “sussidio”

alimentare o l’autorizzazione ad abitare nella casa in sequestro sono costituite, rispettivamente, dalla mancanza dei mezzi di sussistenza, nel primo caso, e dalla “necessità” abitativa, nel secondo.

È utile rammentare che la più recente giurisprudenza di legittimità sviluppatasi sulla concessione del sussidio alimentare al fallito ha escluso che costui vanti un “diritto soggettivo agli alimenti”, essendone rimessa la concessione alla decisione discrezionale del giudice del merito, anche in ordine alla relativa entità e durata nel tempo, con provvedimento inidoneo a pregiudicare definitivamente ed irreversibilmente la posizione dell’interessato (la relativa istanza è legittimamente reiterabile), e sempre che sussistano le seguenti condizioni: che al fallito vengano a mancare i mezzi di sussistenza; che nella massa attiva vi siano disponibilità economiche sufficienti per far fronte al pagamento del sussidio; che sulla richiesta del fallito venga sentito il comitato dei creditori.

Concorre, inoltre, ad escludere la configurabilità di un “diritto soggettivo” del fallito agli alimenti l’espressione utilizzata “può concedere”, invero diversa da quella dell’art. 433 CC, che sancisce il diritto agli alimenti di chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento.

Giurisprudenza, dottrina e prassi accreditano, dunque, un’interpretazione dell’art. 47 LF, nel senso di subordinare la concessione del sussidio alimentare e dell’autorizzazione ad abitare la casa di proprietà, oltre che a un provvedimento di natura discrezionale, a condizioni e limiti nei termini sopra precisati.

Tali condizioni e limiti, salvo adattamento alla specificità della procedura di prevenzione, devono essere – com’è ovvio, atteso il richiamo normativo espresso – tenuti presenti dal GD chiamato ad adottare nei confronti del proposto i provvedimenti di cui all’art. 40, comma 2.

Se è vero, da un lato, che l’esplicito raccordo voluto dal legislatore tra la norma di prevenzione e quella fallimentare sottende una indubbia relazione analogica tra la posizione del “proposto” e quella del

“fallito”, è altrettanto vero, dall’altro, che detta relazione appare pienamente giustificata solo nel caso in cui al primo con il sequestro di prevenzione vengano sottratti tutti i beni, cosicché la sua situazione si trovi realmente a coincidere con quella del “fallito” espropriato del suo patrimonio.

Non può dimenticarsi, infatti, a giustificare l’esclusione di una automatica e rigida analogia (si potrebbe parlare di analogia “temperata”) tra le due figure, che, a differenza del fallito, il proposto viene privato solo di quei beni che siano riconducibili ad una provenienza illecita e che, quindi, può, in ipotesi, conservare nel suo possesso tutti i beni per i quali tale provenienza non sia stata dimostrata.

A escludere, sotto altro profilo, un’analogia piena tra le due posizioni, soccorrono ragioni di carattere sistematico che implicano l’inserimento dell’art. 40, comma 2 in un corpo normativo, quello che disciplina le misure di prevenzione di carattere patrimoniale, il cui obiettivo finale è la restituzione alla collettività, attraverso la loro destinazione a scopi di utilità sociale, dei beni di provenienza delittuosa confiscati (obiettivo tutt’affatto diverso, all’evidenza, dalla tutela delle ragioni dei creditori che caratterizza la procedura fallimentare) e che, in attesa del provvedimento di confisca (art. 20), prevede il ricorso allo strumento provvisorio del sequestro di prevenzione (ordinario, anticipato o urgente: artt. 20, 21 e 22) che, per un verso, assicura l’immissione in possesso e l’apprensione dei beni da parte dello Stato (anche attraverso lo sgombero forzato previsto, per i beni immobili, dall’art. 21), e, per altro verso, demanda allo Stato medesimo, attraverso la collaborazione del GD con l’amministratore giudiziario, di provvedere “alla custodia, alla conservazione e all’amministrazione dei beni sequestrati ... anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi” (art. 35, comma 5).

(7)

Funzionale alla evocata ottica di incremento della redditività dei beni è, senza dubbio, l’imposizione di un canone di locazione o di un’indennità di occupazione nei confronti del proposto o del terzo intestatario formale dell’immobile soggetto a sequestro di prevenzione.

Orbene, poiché come si è sopra evidenziato non sussiste un rapporto analogico pieno tra la figura del proposto e quella del fallito e poiché la massima coincidenza tra le due figure si verifica solamente nel caso in cui al proposto per una misura di prevenzione (o al terzo intestatario per conto del proposto) vengano sottratti con il sequestro tutti i beni, così come accade al fallito alla data di dichiarazione di fallimento, è solo in questo caso, dunque, in cui la situazione del proposto è sovrapponibile a quella del fallito e la relazione analogica è completa, che il GD alla procedura di prevenzione, in base al combinato disposto di cui all’art, art. 40, comma 2, e art. 47 LF, potrà valutare l’applicabilità, sino alla definizione del procedimento, di uno dei provvedimenti di favore previsti dall’art. 47, autorizzando il proposto o il terzo intestatario del bene ad abitare l’immobile in sequestro, senza corrispondere alcun corrispettivo all’amministratore giudiziario, una volta preso atto dell’indisponibilità, da parte del soggetto interessato, di altri immobili di proprietà da destinare ad abitazione o di risorse economico–finanziarie adeguate a risolvere il problema abitativo, (requisito della “necessità” abitativa previsto dall’art. 47, comma 2).

Viceversa, nel caso in cui il proposto/terzo intestatario non si trovi in condizioni di emergenza abitativa, in quanto disponga di redditi adeguati o di altri immobili di proprietà, dovrà escludersi l’assimilabilità della sua situazione a quella del fallito e, dunque, l’applicabilità dei provvedimenti di cui all’art. 47, con la conseguente legittima possibilità – giustificata dal fine normativamente previsto di incrementare la redditività dei beni in sequestro (art. 35, comma 5) – di imporre nei suoi confronti, per continuare ad abitare nel bene in sequestro, un canone di locazione ovvero, se tale soluzione si ritenga inopportuna per la incompatibilità della qualità del proposto con quella di un ordinario fruitore del bene, una congrua indennità di occupazione, che abbia la funzione di compensare medio tempore per la durata della indisponibilità del bene il pregiudizio derivante dal suo mancato godimento. (Sez. 2, 27809/2015).

Il coadiutore

Non vi è dubbio alcuno circa il fatto che – come testualmente affermato nel corpo dell’art. 42 – le spese per i compensi spettanti all’amministratore giudiziario, così come quelle sostenute (dall’amministratore giudiziario) per i coadiutori, in caso di restituzione alla parte privata del bene già oggetto di sequestro vadano poste a carico dello Stato.

Ciò deriva dal generale principio per cui l’avvenuto spossessamento del privato – con gestione giudiziaria del bene sequestrato – non può e non deve determinare, in caso di restituzione del bene, pesi sul diritto di proprietà che non siano giustificati dallo stesso andamento della gestione.

In particolare la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che le spese sostenute per gli organi di amministrazione giudiziaria hanno natura di spese giudiziali e pertanto – seguendo la soccombenza – vanno poste a carico dello Stato. In caso di restituzione i costi dell’amministrazione – intesi quale compenso dell’amministratore + spese sostenute da costui per i coadiutori – vanno dunque scorporati e, dopo l’approvazione del rendiconto di gestione, vanno imputati a carico dello Stato.

(8)

In caso in esame tuttavia si caratterizza per una particolare condizione relativa alla posizione del coadiutore, evidenziata dal giudice dell’esecuzione e rappresentata dalla esistenza di un contratto di collaborazione intervenuto tra tale soggetto e l’ente in sequestro, in costanza di procedura. La posizione del coadiutore è prevista e regolamentata dall’art. 35, comma 4.

Si tratta di soggetti dotati di particolari competenze tecniche che l’amministratore giudiziario – in caso di gestioni complesse – può porre al suo servizio, organizzando – sotto la propria responsabilità – un ufficio di coadiuzione. La legge vigente (con nova inseriti dalla L. 161/2017) prevede che detta scelta venga comunicata al giudice procedente con «autorizzazione» da parte del medesimo e prevede un regime di incompatibilità (art. 35, comma 4–bis) anche per i coadiutori.

Appare dunque evidente, al di là della miglior articolazione dell’istituto derivante dalle modifiche normative intervenute nel 2017, che il «coadiutore» è un soggetto che collabora in via diretta con l’amministratore giudiziario al fine di contribuire a realizzare gli scopi del pubblico ufficio di gestione giudiziaria.

La sua retribuzione – nella dimensione normativa – è a carico dell’amministratore giudiziario, sotto forma di spesa sostenuta (e con inserimento della medesima nel conto della gestione ai sensi dell’art. 42, comma 3).

Da ciò deriva che lì dove il soggetto in esame venga «assunto» dalla società in sequestro perde la qualifica di coadiutore dell’amministratore giudiziario, non essendo prevista dalla legge simile modalità operativa (Sez. 1, 42718/2019).

Altre fonti normative

D. Lgs. 14/2010: Istituzione dell’Albo degli amministratori ai sensi dell’art. 2, comma 13, della legge 15 luglio 2009, n. 94.

DM 160 del 19 settembre 2013: Regolamento recante disposizioni in materia di iscrizione nell’Albo degli amministratori giudiziari di cui al decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14, e modalità di sospensione e cancellazione dall’Albo degli amministratori giudiziari e di esercizio del potere di vigilanza da parte del Ministero della giustizia.

DM 26 gennaio 2016: Modalità di tenuta ed accesso all’Albo degli amministratori.

Linee guida, circolari e prassi

FNC, “La riforma del d. lgs. n. 159/2011. Antimafia, corruzione e mezzi di contrasto”, 5 dicembre 2017,

reperibile al link che segue:

https://www.fondazionenazionalecommercialisti.it/system/files/imce/inf–per/informativa–periodica_20171205.pdf CNDCEC, “Linee guida in materia di amministrazione giudiziaria dei beni sequestrati e confiscati

”, ottobre 2015, reperibile al seguente link:

https://www.commercialisti.it/Portal/Documenti/Dettaglio.aspx?id=fb16cd12–3c1c–493f–a46f–dcea39c24929 CNDCEC, “La riforma del codice antimafia: le problematiche applicative e il ruolo del professionista post riforma”, marzo 2018, reperibile al seguente link:

https://www.commercialisti.it/documents/20182/323701/2018.03.05_Riforma+del+codice+antimafia_revisione.pdf ODCEC di Verona, “La gestione dei beni. Gli adempimenti dell’amministratore giudiziario: le

relazioni ex artt. 36 e 41 CAM. Le problematiche applicative”, 17 ottobre 2018, reperibile al seguente link:

https://www.formazionecommercialisti.org/download/00008741–17102018–materiale–avv–damorepdf

(9)

ODCEC di Napoli, “L’amministrazione giudiziaria”, maggio 2018, reperibile al seguente link:

https://www.odcec.napoli.it/media/news/2/1210/attach/download/Quaderno_Totale_–_01.10.18.pdf

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