CIRCOLARE N° 18280
Relazioni Industriali e Affari Sociali
Alle Organizzazioni Confederate Roma, 23 Febbraio 2005
Contratto part time misto
Facciamo seguito alla nostra circolare n. 18032 del 17 giugno 2004, per informarvi che, a seguito della richiesta di numerose Associazioni, abbiamo predisposto una bozza di contratto per part time misto, che alleghiamo alla presente.
La bozza è accompagnata da una breve nota esplicativa, per guidare la lettura delle opzioni contenute nel testo della bozza di contratto.
Restando a disposizione per ogni ulteriore chiarimento od integrazione si rendesse necessaria od opportuna, porgiamo i migliori saluti.
Il Direttore Strategico Giorgio Usai
CIRCOLARE N° 18032
Relazioni Industriali e Affari Sociali Lavoro e Relazioni Industriali
Alle Organizzazioni Confederate Roma, 17 Giugno 2004
LAVORO A TEMPO PARZIALE - D.LGS. 276/2003 - CIRCOLARE MINISTERALE n. 9/2004
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con circolare n. 9 del 18 marzo 2004 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 30 marzo 2004, n. 75), commenta la riforma della disciplina regolante il part-time introdotta dall'art. 46, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276
Con essa si fornisce una interpretazione della norma che tiene conto tanto dell'esigenza di introdurre forme di coordinamento tra il nuovo part-time e la normativa di riforma dell'orario di lavoro (d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66), quanto della esigenza di favorire una immediata e chiara applicazione delle innovazioni introdotte dalla Riforma del mercato del lavoro.
Mettiamo, pertanto, a disposizione del sistema una nota illustrativa (redatta con la collaborazione del "gruppo di lavoro ad hoc" che con l'occasione ringraziamo per il prezioso contributo di idee e di soluzioni fornitoci) finalizzata a porre in evidenza le novità interpretative che derivano dal menzionato intervento ministeriale.
Cordiali saluti.
Il Direttore di Nucleo
Giorgio Usai
CONFINDUSTRIA
D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 - Lavoro a tempo parziale Circolare ministeriale n. 9/2004
Nota illustrativa
Giugno 2004
Premessa
Con circolare n. 9 del 18 marzo 2004 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 30 marzo 2004, n. 75) il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali commenta la riforma della disciplina regolante il part-time introdotta dall’art. 46, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276
Con essa si fornisce una interpretazione della norma che tiene conto tanto dell’esigenza di introdurre forme di coordinamento tra il nuovo part-time e la normativa di riforma dell’orario di lavoro (d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66), quanto della esigenza di favorire una immediata e chiara applicazione delle innovazioni introdotte dalla Riforma del mercato del lavoro.
Seguendo l’ordine di trattazione adottato dalla circolare ministeriale, con la presente nota illustrativa (redatta con la collaborazione del “gruppo di lavoro ad hoc” che con l’occasione ringraziamo per il prezioso contributo di idee e di soluzioni fornitoci) vengono evidenziate le novità interpretative che ne derivano.
1.- Modalità tipologiche di lavoro part-time
In primo luogo la circolare conferma quanto già espressamente previsto dall’art.
1, comma 4, nel testo quale risulta dal d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 61 con le modifiche apportate dagli artt. 46, comma 1 e 85, comma 2, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (in seguito, per brevità, “testo consolidato”), ovverosia che il nuovo part-time può essere stipulato con riferimento ad ogni ipotesi di contratto a termine disciplinata da:
• il d.lgs. 9 ottobre 2001, n. 368, sulla attuazione della direttiva 1990/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES;
• l’art. 8, l. 23 luglio 1991, n. 223, sulla assunzione con contratto a termine di durata non superiore a dodici mesi di lavoratori in mobilità;
• l’art. 4, d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, sulla sostituzione, con personale assunto a tempo determinato, di lavoratrici o lavoratori in congedo ai sensi del t.u. in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità.
Ed è sempre con riferimento al contratto a termine che il Ministero prevede la compatibilità di tutte le ipotesi normative sopra richiamate tanto con le prestazioni supplementari e straordinarie quanto con le prestazioni rese nell’ambito di clausole flessibili ed elastiche (relative, rispettivamente, alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa ed alla variazione in aumento della durata della stessa).
Tale conclusione veniva invero posta in dubbio dal raffronto dei diversi rinvii normativi contenuti nel testo consolidato e relativi alla disciplina del contratto a termine, i quali conducevano - nell’ambito delle diverse prestazioni sopra richiamate - a risultati interpretativi tra loro diversi.
La mancata uniformità terminologica del testo dimostrava, infatti, che mentre l’art. 3, comma 1, d.lgs. 61/2000, testo consolidato (relativo alle prestazioni supplementari), richiama, sia pure quale unica fonte normativa, l’art. 1, d.lgs. 9 ottobre 2001, n. 368, i commi 5 e 10, stesso articolo, risultavano ancora più sintetici, limitandosi genericamente richiamare il “contratto di lavoro a tempo determinato”, senza accompagnarlo ad alcun riferimento normativo.
Il Ministero si esprime anche a proposito della compatibilità tra il rapporto a tempo parziale ed il contratto di apprendistato o di inserimento.
La tematica era stata invero già affrontata dalla circolare n. 102/86 del 26 agosto 1986, in “Lav.prev.oggi” 1986, 2174, confermata sul punto dalla circolare n.
46/2001 del 30 aprile 2001 (cfr. nostra circolare di commento n. 16661 del 12 giugno 2001), allorquando venne sottoposto al Ministero il problema della conciliabilità del contratto di lavoro a tempo parziale con l’apprendistato e con il contratto di formazione e lavoro.
Relativamente all’apprendistato già nel 1986 il Ministero riteneva che, in via di principio, non vi fossero ragioni di incompatibilità fra i due istituti con l’avvertenza, peraltro, che il carattere di specialità proprio del rapporto di apprendistato, giustificativo di una peculiare disciplina normativa, avrebbe potuto – nelle varie ipotesi – “reagire” nel senso che la riduzione dei tempi di lavoro secondo lo schema del part-time poteva eventualmente collidere con la ratio di fondo della disciplina dell’apprendistato, espressa dalla specifica finalità di garantire al tirocinante una qualificata capacità tecnico-professionale attraverso congrui periodi temporali.
Il Ministero ritenne pertanto che il problema dovesse trovare soluzione secondo il criterio della valutazione caso per caso e, cioè, in riferimento alla necessità di valutare se la durata delle prestazioni lavorative fosse tale da consentire, in rapporto alle peculiari caratteristiche delle singole, articolate esigenze formative, il conseguimento della qualifica professionale.
Stesse conclusioni vennero avanzate dal Ministero in ordine alla compatibilità del rapporto a tempo parziale con il contratto di formazione e lavoro.
La compatibilità tra i due istituti – affermò all’epoca il Ministero del lavoro – dovrà essere anche qui valutata caso per caso (non essendovi in linea di principio inconciliabilità tra gli stessi), in rapporto cioè alla necessità di verificare se la durata delle prestazioni lavorative sia tale da consentire il soddisfacimento dell’esigenza formativa.
Ricorrendo nuovamente al criterio della valutazione “caso per caso”, il Ministero conferma, attraverso la circolare in commento, l’orientamento espresso nel 1986,
estendendone la portata al contratto di inserimento in quanto all’epoca non disciplinato ed affermando che
poiché in linea di principio non si ravvisa una incompatibilità tra il rapporto a tempo parziale ed il contratto di apprendistato o di inserimento, occorrerà comunque valutare se la peculiare articolazione dell’orario part-time non sia di ostacolo al raggiungimento delle finalità – formative ovvero di adattamento delle competenze professionali – tipiche di questi contratti.
2. - I rinvii della riforma normativa alla contrattazione collettiva
Ad eccezione dell’affidamento alla sola contrattazione nazionale della facoltà di prevedere, in relazione a specifiche figure o livelli professionali, modalità particolari di attuazione delle discipline rimesse alla contrattazione collettiva dalla normativa sul part-time, tutti gli ulteriori rinvii sono rivolti – come già nella precedente disciplina – alla contrattazione ai diversi livelli (tanto nazionale, quanto territoriale o aziendale).
Sul punto, l’unica innovazione introdotta dall’art. 1, comma 3, d.lgs. 61/2000, testo consolidato, riguarda i criteri di individuazione dei contratti collettivi aziendali: sono tali quelli “stipulati dalle r.s.a. di cui all’art. 19, l. 300/1970, ovvero dalle r.s.u.”. Rispetto alla precedente disciplina le rappresentanze aziendali non è necessario che siano assistite dai sindacati che hanno negoziato e sottoscritto il contratto collettivo nazionale applicato.
3. - La definizione del “tempo pieno” ed i suoi riflessi sul lavoro supplementare, sul lavoro straordinario e sull’uso della clausola elastica.
Tra le problematiche di maggior interesse trattate nella circolare ministeriale rientra il tema dell’adeguamento delle disposizioni in materia di lavoro a tempo parziale a quelle recentemente dettate in materia di orario di lavoro dal d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66.
Tale aspetto, non adeguatamente trattato dall’art. 46, d.lgs. 276/2003, poneva dubbi circa la possibilità di adottare soluzioni interpretative di coordinamento tra la nuova disciplina del part- time ed il d.lgs. 66/2003, resa ancor più difficile dalla circostanza che permanevano nell’ambito del nuovo part-time profili di incompatibilità con il d.lgs. n. 66/2003 (si veda, ad esempio, il rinvio, nell’ambito della definizione del rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, all’ ”orario normale giornaliero di lavoro”).
In coerenza, invece, con quanto disposto dall’art. 1, comma 2, lett. a), d.lgs. 61/2000, testo consolidato, il quale rinvia, quanto alla definizione di “tempo pieno”, all’orario normale di lavoro di cui all’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 66/2003 o all’eventuale minor orario normale fissato dai contratti collettivi applicati, viene chiarito che
nuovo punto di riferimento per la individuazione del “tempo pieno”, ai fini della determinazione del “tempo parziale”, è l’orario normale di 40 ore settimanali (o l’eventuale minor orario fissato dai contratti collettivi).
3.1. - Part-time prestato nell’ambito di un orario normale settimanale
Quanto sopra sta a significare che d’ora in avanti, relativamente alle ipotesi in cui si prenda a riferimento l’orario normale settimanale (e non il multiperiodale, per il quale v. più avanti):
A. il lavoro supplementare sarà quello svolto oltre l’orario concordato, ex art. 2, comma 2, d.lgs. 61/2000, testo consolidato, in regime di lavoro part-time ed entro il limite dell’orario normale legale settimanale di 40 ore previsto per il lavoro a tempo pieno (ovvero del minor orario normale settimanale individuato dalla contrattazione collettiva).
Di conseguenza lo svolgimento di lavoro supplementare (circoscritto dall’art. 3, comma 1, d.lgs. 61/2000, testo consolidato, al part-time orizzontale) sarà inevitabilmente consentito – come pure chiarito nella circolare ministeriale - anche nell’ambito del part-time verticale e misto (in quanto, tra l’altro, neppure espressamente vietato dall’art. 3, comma 1, d.lgs. 61/2000, testo consolidato) e fino a concorrenza dell’orario normale settimanale di tipo legale o contrattuale.
Esempio - Part-time verticale di complessive 24 ore settimanali, distribuite su tre giorni e prestate nell’ambito di una settimana di 40 ore di orario normale: la prestazione supplementare - da rendersi nelle giornate nelle quali è prevista la prestazione lavorativa - non potrà complessivamente superare le 16 ore.
Sulla necessità di individuare, nell’ambito del rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, l’orario “normale giornaliero” di lavoro ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. c), d.lgs. 61/2000, testo consolidato, è la circolare stessa che interviene precisando che per l’individuazione di quest’ultimo la contrattazione collettiva ben potrà dettare, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, testo consolidato, una definizione specifica di tale orario che - poste le premesse sulle quali è articolata la sopraccennata vigente disciplina dell’orario di lavoro - avrà ovviamente valore ai soli fini del lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale;
B. le prestazioni che eccedono l’orario normale legale settimanale di 40 ore (ovvero il minor orario settimanale definito contrattualmente) saranno considerate lavoro straordinario avendo quest’ultimo perso ogni riferimento, ai fini della relativa individuazione, alle
“giornate di attività lavorativa” (cfr. art. 3, comma 5, d.lgs. 61/2000, testo consolidato).
Il venir meno del predetto richiamo comporta, infatti, che lavoro straordinario è quello risultante dalla definizione adottata dall’art. 5, l. n. 66/2003 ed indirettamente recepita dall’art. 3, comma 5, d.lgs. 61/2000, testo consolidato.
Appare evidente che, di fronte a tali letture interpretative, il posto lasciato alle clausole elastiche (ammesse solo nel part-time verticale e misto) sarà residuale e comunque anch’esso subordinato - come già il lavoro supplementare - al mancato raggiungimento, attraverso la prestazione part- time, del tempo pieno settimanale.
Le convenienze che il datore di lavoro potrà ricavare dal ricorso alle clausole elastiche (soggette a “specifiche compensazioni”), piuttosto che al lavoro supplementare (non soggetto, nei limiti quantitativi fissati dalla contrattazione collettiva, a forme compensative), saranno vieppiù determinate dalla circostanza che la clausola elastica – come pure sottolineato dal Ministero – determina un
incremento “definitivo” (anche se non “permanente” che può ovviamente essere delimitato nel tempo e potrebbe anche essere solo eventuale) della quantità della prestazione, a differenza del supplementare ove si verifica un aumento
“temporaneo” della prestazione, riferito ad ogni singola giornata nella quale viene richiesta una prestazione aggiuntiva.
3.2. – Part-time prestato nell’ambito del c.d. orario multiperiodale
Le considerazioni sopra espresse valgono anche con riferimento ad un contratto part-time prestato in regime di c.d. orario multiperiodale, ovverosia svolto nell’ambito di un orario normale che, ex art. 3, comma 2, d.lgs. 66/2003, venga riferito dalla contrattazione collettiva alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno. In tale ipotesi, pertanto, il:
• lavoro supplementare sarà quello svolto oltre l’orario convenuto - ex art. 2, comma 2, testo consolidato – nell’ambito del periodo plurisettimanale di riferimento calcolato secondo la programmazione fissata per il “multiperiodale” dal contratto collettivo ed individuato entro il limite medio delle 40 ore settimanali, ovvero entro il minor limite fissato dalla contrattazione collettiva;
Esempio – Part-time verticale di sei giorni, distribuiti su un periodo di due settimane, della durata complessiva di 48 ore prestate nell’ambito di un orario normale “multiperiodale” di 40 ore medie settimanali: la prestazione supplementare non potrà superare le 32 ore.
• lavoro straordinario sarà quello eccedente il limite medio delle 40 ore settimanali, calcolato quest’ultimo secondo i criteri di cui al punto precedente.
4. - Forma e contenuto del contratto a tempo parziale
Viene confermato l’obbligo, ex art. 2, comma 2, d.lgs. 61/2000, testo consolidato, di richiamare puntualmente nel contratto di lavoro a tempo parziale la durata della prestazione e la collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno: tale prescrizione può essere derogata solo ove datore di lavoro e lavoratore introducano nel contratto di lavoro a tempo parziale una clausola di tipo flessibile o di tipo elastico.
La circolare ricorda anche l’avvenuta abrogazione dell’obbligo di inviare, alla Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio, copia del contratto di lavoro a tempo parziale entro trenta giorni dalla sua stipulazione (cfr. art. 85, comma 2, d.lgs. 276/2003), precisando che
occorrerà comunque rispettare l’obbligo generale di comunicare l’assunzione entro cinque giorni dalla stessa (ex art. 9bis, comma 2, d.lgs.
n. 510 del 1996, convertito dalla legge n. 608 del 1996).
Tale obbligo dovrà essere adempiuto “contestualmente alla assunzione” a far data dall’entrata in vigore - subordinata all’emanazione del decreto interministeriale di cui all’art. 4bis, comma 7, d.lgs. n. 181 del 21 aprile 2000 - della nuova formulazione dell’art. 9bis come modificato dall’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 297 del 2003.
5. – Lavoro supplementare – L’efficacia delle clausole contrattuali e individuali preesistenti alla riforma del part-time
Come sopra anticipato, il coordinamento tra la nuova disciplina del part-time e la normativa sull’orario di lavoro porta a ritenere che il lavoro supplementare possa svolgersi anche in regime di lavoro part-time di tipo verticale o misto. In proposito il Ministero torna sul punto per specificare che,
posto il tenore della disciplina di legge, alla contrattazione collettiva
“rimane affidata” la regolamentazione del lavoro supplementare svolto nell’ambito del lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale (cfr. art. 3, commi 1 e 2, d.lgs. 61/2000, testo consolidato).
Ne consegue che per la regolamentazione del lavoro supplementare svolto nell’ambito di un part-time verticale o misto, potrà direttamente intervenire il contratto individuale e potrà farlo senza – a nostro avviso - l’obbligo del rispetto di tutte le indicazioni contenute nell’art. 3, comma 2, d.lgs. 61/2000, testo consolidato (in quanto riferite alla disciplina contrattuale collettiva), ovverosia senza l’obbligo di richiamare il numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili, le causali nonchè le conseguenze del superamento delle ore di lavoro supplementare consentite, ove previste.
Quanto invece al lavoro supplementare svolto nell’ambito di un part-time orizzontale, resta confermato che gli accordi individuali potranno intervenire solo in assenza di regolamentazione collettiva.
Una delle novità introdotte dall’art. 3, comma 2, d.lgs. 61/2000, testo consolidato, è il mancato richiamo (presente invece nella previgente disciplina) ai contratti collettivi “che il datore effettivamente applichi”. Ciò porta a ritenere – afferma il Ministero – che
ove il datore di lavoro applichi un contratto che non regolamenta il lavoro supplementare svolto in ipotesi di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, può mutuare la regolamentazione da quella contenuta in un contratto diverso.
In tal caso occorre, tuttavia, che il contratto individuale di lavoro indichi espressamente quale sia il contratto collettivo cui si intende far riferimento, ciò al fine di rendere edotto il lavoratore della disciplina contrattuale cui è assoggettato.
Sempre la nuova formulazione dell’ art. 3, comma 2, d.lgs. 61/2000, testo consolidato, non vincola più le parti del contratto collettivo ad individuare
unicamente causali di tipo oggettivo di ricorso al lavoro supplementare. Possono essere, pertanto, previste anche causali di tipo soggettivo.
In assenza di indicazioni ministeriali, le “causali soggettive” possono – a nostro avviso - essere riconducibili a situazioni soggettive del lavoratore come, ad esempio, quelle derivanti dall’appartenenza a specifiche figure o livelli professionali ovvero derivanti dalla presenza di determinati requisiti di anzianità lavorativa. In tali circostanze il previsto requisito soggettivo è da solo idoneo a consentire la richiesta di lavoro supplementare, senza che sia in tal caso necessario il concorso di causali oggettive (arg. Cass. 6 settembre 2003, n.
13044, pronunciatasi in tema di stipula di contratti a termine con ricorso a requisiti soggettivi dei lavoratori).
Sempre in ipotesi di superamento dei limiti posti al lavoro supplementare prestato in ambito di part-time orizzontale, la circolare precisa che la locuzione
“conseguenze del superamento” deve essere interpretata nel senso che tali conseguenze possono essere di natura direttamente retributiva ma possono anche assicurare compensazioni diverse quali, ad esempio, i riposi compensativi.
La circolare rammenta inoltre che, nell’ambito della semplificazione normativa introdotta sul part-time dalla Riforma Biagi, è stato abrogato il comma 6, dell’art.
3, della disciplina previgente, il quale prevedeva, in caso di superamento dei limiti posti dal contratto collettivo al lavoro supplementare e in assenza di specifica previsione del contratto stesso, una maggiorazione del 50 per cento sulla retribuzione oraria globale di fatto, nonché la previsione legale che attribuiva alla contrattazione collettiva la facoltà di regolamentare il consolidamento dell’orario di lavoro svolto in via non meramente occasionale.
Circa le conseguenze derivanti dal “rifiuto” opposto dal lavoratore allo svolgimento di prestazioni supplementari, la circolare intanto conferma quanto già espressamente previsto dalla norma, ovverosia che in presenza di regolamentazione collettiva (a seguito della quale non è richiesto il consenso alla prestazione), l’eventuale rifiuto del lavoratore non può integrare (come già sotto la previgente disciplina) gli estremi del giustificato motivo di licenziamento. Ma, aggiunge il Ministero,
il venir meno nella norma (cfr. art. 3, comma 3, d.lgs. 61/2000, testo consolidato) del divieto ad adottare sanzioni disciplinari deve essere interpretato nel senso che l’illegittimo rifiuto a rendere la prestazione supplementare può acquisire rilevanza disciplinare,
dovendo, a nostro avviso, intendere per “illegittimo” il rifiuto ingiustificato.
Quanto sopra comporterà che l’impresa potrà adottare tutti i provvedimenti disciplinari previsti dal contratto collettivo di riferimento ad esclusione di quelli
“che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro”.
Sul rapporto tra contrattazione collettiva e accordo individuale, la circolare ribadisce quanto espresso dalla norma, ovverosia che, in mancanza di
contrattazione collettiva, il lavoro supplementare è comunque ammesso previo consenso del lavoratore. Tale consenso, aggiunge il Ministero, può essere reso per fatti concludenti e può essere preventivamente acquisito, ad esempio all’inizio del turno, della settimana, ovvero del mese.
Il rifiuto del part-timer a svolgere la prestazione supplementare, nonostante l’impegno assunto con accordo individuale o per fatti concludenti, non può, anche in tale circostanza (“in nessun caso” recita infatti l’art. 3, comma 3, d.lgs. 61/2000, testo consolidato), integrare gli estremi del giustificato motivo di licenziamento e non può neppure costituire – precisa il Ministero – fatto disciplinarmente rilevante.
Coerentemente con quanto fin qui descritto, siamo dell’avviso che, in assenza di regolamentazione collettiva e previo accordo individuale, il lavoro supplementare è ammesso senza limiti, fermo restando quello del tempo pieno, atteso che l’accordo individuale non è anch’esso tenuto – come già la contrattazione collettiva – ad individuare i limiti di ricorso al lavoro supplementare, il quale potrà essere prestato secondo le diverse intese intervenute a livello individuale.
In proposito, rammenta la circolare che è stato abrogato il limite massimo del 10 per cento, della durata dell’orario part-time concordato, posto al lavoro supplementare (cfr. art. 3, comma 2, ultimo periodo e 4, ultimo periodo, disciplina previgente).
Resta tuttavia confermata dalla nuova disciplina la facoltà per la contrattazione collettiva di introdurre una percentuale di maggiorazione per il lavoro supplementare, calcolata sulla retribuzione oraria globale di fatto.
Quanto alla efficacia delle clausole contrattuali che, in virtù della previgente disciplina di legge, regolano il lavoro supplementare, la circolare interviene a favore di una interpretazione che comporta la automatica caducazione delle clausole collettive incompatibili con la nuova disciplina di legge ovvero stipulate sul presupposto o, comunque, in applicazione della allora vigente norma legale, con conseguente, immediata applicazione da parte della contrattazione stessa delle modifiche introdotte dal d.lgs. 276/2003 relativamente al lavoro supplementare.
Per il Ministero, infatti,
“in considerazione della espressa abrogazione della disciplina transitoria introdotta dall’art. 3, comma 15, d.lgs. n. 61 del 2000, decadono tutte le clausole dei contratti collettivi (nazionali, territoriali o aziendali) vigenti alla entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003 e incompatibili con la nuova disciplina di legge, ovvero stipulate sul presupposto o, comunque, in applicazione della norma legale coeva.”
Alla luce di quanto sopra si dovranno pertanto ritenere decadute e, dunque, inefficaci, le clausole collettive regolanti:
• il c.d. “diritto al consolidamento” del lavoro supplementare svolto in via meramente non occasionale (v. art. 3, comma 6, ultimo periodo d.lgs.
61/2000);
potranno essere, invece, rinegoziate le clausole collettive regolanti:
• il numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili, nonchè le causali in relazione alle quali si consente di richiedere lo svolgimento di lavoro supplementare (v. art. 3, comma 2, d.lgs. 61/2000, testo consolidato);
• la maggiorazione economica dovuta in ipotesi di superamento delle ore di lavoro supplementare fissate dai contratti stessi (v. art. 3, comma 6, d.lgs.
61/2000)
A seguito di quanto sopra, aggiunge il Ministero,
“verranno meno anche le clausole dei contratti individuali apposte in applicazione della disciplina collettiva oramai caducata”.
L’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 2077 c.c. impedisce, a nostro avviso, di tener altresì conto – ai fini della eventuale conservazione della efficacia degli accordi individuali – delle condizioni di miglior favore disposte a favore del lavoratore nei predetti accordi.
A conclusione di quanto sopra, è opportuno sottolineare che la posizione ministeriale espressa in ordine alla efficacia degli accordi collettivi e individuali riguarda unicamente la disciplina del lavoro supplementare.
Ciò tuttavia non esclude che debbano, comunque, ritenersi caducate le discipline contrattuali regolanti, in base alla previgente disciplina:
• il periodo di preavviso per lo svolgimento di prestazioni lavorative nell’ambito di clausole flessibili (cfr. le modifiche introdotte dall’art. 3, comma 8, d.lgs. 61/2000, testo consolidato);
• il c.d. “diritto di denuncia o di ripensamento” del patto regolante la clausola flessibile (abrogato dall’art. 3, comma 10, d.lgs. 61/2000, testo consolidato);
• il c.d “diritto di precedenza” disposto, a favore dei lavoratori part-time, in caso di assunzione di personale a tempo pieno (cfr. modifiche introdotte dall’art. 5, comma 2, d.lgs. 61/2000, testo consolidato).
Tale impostazione deriva tanto dal fatto che tali clausole, in quanto introdotte in base ad un obbligo di legge ora venuto meno, debbono esse stesse ritenersi caducate, quanto dalla circostanza che ove il legislatore del d.lgs. 276 del 2003 ha voluto conservare l’efficacia di clausole contrattuali introdotte in base ad obblighi normativi preesistenti, lo ha fatto espressamente (cfr. art. 86, comma 3).
6. - Clausole flessibili ed elastiche
Fermo quanto anticipato nei paragrafi precedenti in ordine alle clausole flessibili ed elastiche, la nota ministeriale precisa inoltre che
il nuovo periodo di preavviso, individuato dalla disciplina legale in due giorni lavorativi e previsto in ipotesi di richiesta di attivazione delle clausole, può essere fissato - su intervento delle parti - in diversa misura, anche attraverso contratto individuale. Esso tuttavia non può essere eliminato completamente.
Quanto invece alle “specifiche compensazioni” richiamate dall’art. 3, comma 8, d.lgs. 61/2000, testo consolidato, la circolare ministeriale, condividendo una interpretazione tendente a recuperare il criterio di delega contenuto all’art. 3, comma 1, lett. b), della legge 30/2003 e rimasto inattuato, afferma che
l’autonomia collettiva, cui è demandata dalla norma la determinazione della forma e della misura di tali compensazioni, deve comunque prevedere una maggiorazione di carattere retributivo.
Tale principio appare estensibile anche alle pattuizioni individuali previste dall’art.
8, comma 2ter, d.lgs. 61/2000, testo consolidato, in quanto devono tener conto delle disposizioni di legge, ivi incluse quelle relative alle “specifiche compensazioni”.
In proposito si rammenta che – come già nel lavoro supplementare – gli accordi individuali possono intervenire solo in assenza di contrattazione collettiva. Essi, tuttavia, diversamente da quanto disposto in ordine al lavoro supplementare, debbono risultare da atto scritto, contestuale o successivo, al contratto di lavoro part-time. Per questi ultimi aspetti la riforma non ha introdotto modifiche se non nella parte in cui concede al lavoratore di farsi assistere, all’atto della stipula del patto stesso, da un rappresentante sindacale aziendale da lui indicato.
Quanto ai contenuti degli accordi individuali, la circolare ricorda che le parti devono regolamentare condizioni e modalità di accesso alle prestazioni elastiche e flessibili, nonché stabilire la forma e le misure delle relative compensazione. E’
il comma 2ter, dell’art. 8, d.lgs. 61/2000, testo consolidato, ad innovare sulla materia dettando in via indiretta tali indicazioni le quali, peraltro, se violate comportano a favore del lavoratore il diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno (cfr. comma 2bis, art. 8, d.lgs. 61/2000, testo consolidato).
Il rifiuto del prestatore di lavoro di stipulare la clausola flessibile o elastica non integra in ogni caso giustificato motivo di licenziamento, neppure nell’ipotesi in cui - precisa la circolare - esistendo la relativa regolamentazione collettiva, il lavoratore si rifiuti di stipulare il patto (v. art.
3, comma 9, d.lgs. 61/2000, testo consolidato).
Similmente a quanto previsto per il lavoro supplementare, anche per le clausole flessibili ed elastiche la disciplina di legge demanda alla contrattazione collettiva la definizione di alcuni elementi essenziali atti a regolamentare la materia. Essi sono condizioni e modalità di accesso, specifiche compensazioni nonché, limitatamente alle clausole elastiche, i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa.
Poiché in ordine alle predette clausole – come già per il lavoro supplementare - è venuto meno il richiamo al contratto collettivo “applicato”, vale qui quanto già espresso sub paragrafo 5. Anche in questa ipotesi, pertanto – conferma il Ministero – può ritenersi che
il datore di lavoro, il quale applichi un contratto che non regolamenta il lavoro flessibile, possa mutuare la regolamentazione contenuta in un contratto diverso da quello applicato.
In tal caso - prosegue la circolare – occorre tuttavia che il contratto individuale di lavoro indichi espressamente quale sia il contratto collettivo cui si intende far riferimento, ciò al fine di rendere edotto il lavoratore della disciplina contrattuale cui è assoggettato.
Innovando sul testo previgente, l’art. 46, d.lgs. 276/2003 ha abolito la regolamentazione legale del diritto di ripensamento con cui era possibile per il prestatore di lavoro recedere dal patto di flessibilità.
Di rilievo l’affermazione ministeriale in virtù della quale
non integrano ipotesi di clausola flessibile le previsioni dei contratti collettivi che, nel determinare le modalità della prestazione lavorativa a tempo parziale, prevedono che la stessa possa essere programmata con riferimento a turni articolati su fasce orarie prestabilite di modo che, ove tale indicazione sia recepita nel contratto individuale (per relationem), deve essere considerato soddisfatto il requisito della puntuale indicazione della collocazione temporale della prestazione con riferimento al giorno, alla settimana, al mese ed all’anno.
7. – La trasformazione del rapporto
Lasciando immutata la vecchia disciplina, viene conservato il divieto di licenziare per giustificato motivo il lavoratore che rifiuti di trasformare il proprio rapporto a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, e viceversa.
L’atto di convalida avanti la Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio, previsto unicamente in caso di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale, non presuppone, a giudizio della circolare ministeriale, la necessaria presenza del lavoratore e può comunque intervenire in un momento successivo all’accordo di trasformazione (v. art. 5, comma 1, d.lgs. 61/2000, testo consolidato).
Per il Ministero
l’atto di convalida in sede amministrativa non è neppure necessario in ipotesi di aumento o diminuzione definitivi della durata della prestazione dedotta in contratto, né tali variazioni impongono obblighi di forma.
Permane invece la necessità, ex art. 4bis, comma 5, d.lgs. n. 181 del 2000, come modificato dall’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 297 del 2002, la cui entrata in vigore è subordinata all’emanazione del decreto interministeriale di cui all’art.
4bis, comma 7, del d.lgs. n. 181 del 21 aprile 2000, di comunicare, entro 5 giorni, ai servizi competenti, la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno (v. sub paragrafo 4).
La nuova disciplina legale del rapporto di lavoro a tempo parziale ha abolito il diritto legale di precedenza per la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno nell’ipotesi di nuove assunzioni a tempo pieno, per mansioni uguali o equivalenti in unità produttive site nello stesso ambito comunale. Tale diritto, però, può essere ora inserito dalle parti nel contratto individuale.
E’ rimasta invece invariata la precedente regolamentazione del diritto di precedenza nel passaggio da tempo pieno a tempo parziale eccezion fatta per il venir meno dell’obbligo legale, da parte del datore di lavoro, di motivare adeguatamente l’eventuale rifiuto a fronte di una specifica richiesta del lavoratore.
8. – Computo dei lavoratori part-time
In base alle modifiche apportate dall’art. 46, d.lgs. 276/2003 all’art. 6, d.lgs.
61/2000, in tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l’accertamento della consistenza dell’organico, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti in proporzione all’orario svolto, rapportato al tempo pieno (principio del pro rata temporis). A tali fini, precisa la norma, l’arrotondamento opera per le frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuati a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno.
Sul punto è stata, pertanto, cancellata dalla disposizione l’eccezione di legge in base alla quale, ai soli fini dell’applicabilità della disciplina di cui al Titolo III, l. n.
300/1970, i lavoratori a tempo parziale si computavano come unità intere, quale che fosse la durata della loro prestazione lavorativa.
L’adozione del principio del pro rata temporis induce il Ministero ad integrare in via interpretativa la disposizione esprimendo l’avviso che
a tali fini occorre considerare anche l’eventuale lavoro supplementare o quello prestato in virtù di clausole elastiche (non anche il lavoro straordinario, in quanto, a nostro avviso, strumento di estensione della durata dell’orario di lavoro praticabile anche nel tempo pieno).
Al riguardo si ritiene utile richiamare l’esempio citato nella circolare ministeriale n.
46/2001 (cfr. nostra circ. n. 16661 del 12 giugno 2001) in base alla quale
i lavoratori a part-time si computano sommando l’orario concordato con ogni singolo lavoratore e raffrontando la somma con l’orario complessivo svolto dai lavoratori a tempo pieno, con arrotondamento all’unità superiore della sola frazione eccedente la somma come innanzi individuata e superiore alla metà dell’orario a tempi pieno; ad esempio, nel caso in cui 3 lavoratori siano assunti con contratto di part-time orizzontale con orari settimanali, rispettivamente di 18, 20 e 24 ore, si procederà nel seguente modo: 18 + 20 + 24 = 62 ore : 40 ore (orario normale) = 1 unità con il resto di 22 ore e poiché 22 ore superano la metà dell’orario normale (40 ore), si computerà - come arrotondamento - una ulteriore unità; nella fattispecie, quindi, i 3 lavoratori part-time determinano 2 unità lavorative ai fini previsti dall’art. 6.
Poiché nella disposizione in esame risulta assente ogni indicazione circa il periodo temporale di riferimento utile ai fini del calcolo in esame, si ritiene di poter suggerire - quale congruo periodo di riferimento - l’adozione di un arco temporale pari ai 12 mesi.
9. – Sanzioni
L’apparato sanzionatorio delineato nell’art. 8, d.lgs. 61/2000, testo consolidato, è rimasto pressochè immutato. Le modifiche introdotte dall’art. 46, d.lgs. 276/2003 interessano unicamente gli adeguamenti dovuti dalla introduzione nel nuovo part- time delle clausole flessibili (cfr. art. 8, comma 2, ultima parte, d.lgs. 61/2000, testo consolidato), nonché la previsione di sanzioni in ipotesi di violazione delle disposizioni regolanti lo svolgimento di prestazioni elastiche e flessibili (cfr. art. 8, commi 2bis e 2ter, d.lgs. 61/2000, testo consolidato).
La circolare ministeriale interviene su tali profili per rendere taluni indispensabili chiarimenti interpretativi, nonchè per aggiungere alcune considerazioni sulle conseguenze derivanti, per gli aspetti in esame, tanto dalla nuova disciplina introdotta sul “diritto di precedenza”, quanto dalla abrogazione dell’obbligo di comunicazione alla Direzione Provinciale del Lavoro dell’assunzione a tempo parziale.
Intanto la circolare interviene precisando che il comma 2bis dell’art. 8, inserito dall’art. 46, comma 1, lett. s), d.lgs. 276 del 2003, deve essere interpretato nel senso che
il risarcimento del danno introdotto in ipotesi di violazione delle previsioni di legge, che disciplinano lo svolgimento di prestazioni elastiche o flessibili (v. art. 3, commi 7, 8 e 9, d.lgs. 61/2000, testo consolidato), vale anche in ipotesi di violazione di previsioni contrattuali, ove esistenti.
Secondo quanto anticipato sub paragrafo 6, la sanzione di cui sopra si applica, a nostro avviso, anche nel caso in cui la violazione della norma derivi da accordi individuali i quali, è bene ricordare, sono anch’essi tenuti – in virtù del rinvio contenuto al comma 2ter, art. 8, d.lgs. 61/2000, testo consolidato - al rispetto delle disposizioni di cui all’art. 3, commi 7, 8, e 9, d.lgs. 61/2000, testo consolidato.
Altra significativa precisazione ministeriale attiene l’applicazione delle previgenti sanzioni relative al “diritto di precedenza”, posto a favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in caso di assunzione di personale a tempo pieno.
Le modifiche introdotte dalla riforma del part-time sulla disciplina sostanziale di tale diritto (non più obbligatorio per legge e rinviato, quanto alla sua eventuale adozione, agli accordi individuali. V. art. 5, comma 2, d.lgs. 61/2000, testo consolidato) ha indotto il Ministero a rivedere in via interpretativa l’ambito di applicazione della relativa sanzione (v. art. 8, comma 3, d.lgs. 61/2000, testo consolidato) per affermarne l’operatività in ipotesi di violazione di contratto individuale che, nell’introdurre il “diritto di precedenza”, abbiano omesso di predeterminare le conseguenze in caso, appunto, di violazione dello stesso.
La circolare si sofferma poi sulle conseguenze derivanti dall’abrogazione dell’obbligo di dare comunicazione alla Direzione Provinciale del Lavoro dell’assunzione a tempo parziale (v. art. 85, comma 2, d.lgs. 267/2003), affermando che deve conseguentemente ritenersi implicitamente abrogata anche la relativa sanzione prevista dall’art. 8, comma 4, testo previgente.
In proposito la circolare dopo aver ricordato che
per le violazioni antecedenti al 24 ottobre 2003 - data di entrata in vigore del d.lgs n. 276 del 2003 - trova applicazione il principio di irretroattività delle leggi che prevedono sanzioni amministrative di cui all’art. 1, l. n. 689 del 1981, conclude affermando che, conseguentemente, anche nel caso di emissione di ordinanza di ingiunzione, avente ad oggetto violazioni anteriori all’entrata in vigore della nuova disciplina, troveranno applicazione le sanzioni riferite alla violazione dell’obbligo di comunicazione alla Direzione Provinciale del Lavoro.
Ampia parte della circolare viene infine dedicata a riassumere gli aspetti sanzionatori non modificati dalla disciplina di riforma del part-time e qui di seguito riportati.
L’art. 8, comma 1, d.lgs. 61/2000, testo consolidato, è rimasto invariato coerentemente con il permanere del requisito della forma scritta esclusivamente a fini probatori.
In difetto di prova, relativamente alla stipulazione del contratto di lavoro come contratto a tempo parziale, il lavoratore potrà chiedere che il rapporto di lavoro sia dichiarato a tempo pieno dalla data in cui la mancanza della forma scritta sia
giudizialmente accertata, fermo restando il diritto alla retribuzione per la prestazione effettivamente resa nel periodo anteriore.
L’art. 46, comma 1, lett. r), d.lgs. 276/2003, ha modificato il secondo comma dell’art. 8, d.lgs. 61/2000, testo consolidato.
La nuova formulazione ribadisce che l’assenza di indicazioni puntuali, relativamente alla collocazione e alla durata della prestazione lavorativa nel contratto a tempo parziale, non comporta la nullità dello stesso.
Nell’ipotesi di mancata o imprecisa indicazione della durata, il lavoratore potrà agire per far dichiarare che il rapporto di lavoro è a tempo pieno dalla data della sentenza. Rimane il diritto alla retribuzione per la prestazione effettivamente eseguita ma il lavoratore ha diritto ad un equo risarcimento per il periodo anteriore alla sentenza.
Nell’ipotesi in cui manchi o sia indeterminata la definizione della collocazione oraria, questa potrà essere definita in giudizio. Come parametro si rinvia alle determinazioni dei contratti collettivi in materia di clausole elastiche o flessibili, in quanto utili a determinare la collocazione della prestazione. In mancanza di ciò dovrà tenersi conto delle responsabilità familiari del lavoratore, della necessità che questi possa avere di integrare il reddito derivante dal rapporto a tempo parziale, mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze organizzative del datore di lavoro.
Anche in questa ipotesi, fermo restando il diritto alla retribuzione per la prestazione effettivamente resa, è previsto un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno, da liquidarsi con valutazione equitativa, per il periodo anteriore alla sentenza. Si preserva la facoltà per le parti di introdurre successivamente clausole elastiche o flessibili.
Le controversie relative alla mancanza della forma scritta, ovvero alla omessa o imprecisa indicazione della collocazione oraria della prestazione o della sua durata, possono essere risolte anche mediante le procedure di conciliazione e di arbitrato previste dai contratti collettivi nazionali stipulati da organizzazioni comparativamente più rappresentative.
10. Lavoratori affetti da patologie oncologiche
In favore dei lavoratori affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa (anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita) l’art. 46, comma 1, lett. t), d.lgs. 276/2003, innova sulla previgente disciplina, introducendo il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale.
La ridotta capacità lavorativa viene accertata da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente.
Il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere nuovamente trasformato in rapporto di lavoro a tempo pieno a richiesta del lavoratore.