I
INDICE
CAPITOLO I
Finalità rieducativa della pena ed importanza delle attività trattamentali
1.1 Panoramica generale sulla funzione rieducativa 1
1.2 Interpretazione della Corte Costituzionale dell'articolo 27, 3° costituzione e teoria polifunzionale della pena 4
1.3 Riflessioni attuali sulla rieducazione 16
1.4 Cenni storici sull'evoluzione del carcere 22
1.5 Il trattamento penitenziario 27
1.5.1 I destinatari del trattamento penitenziario 36
CAPITOLO II
Elementi del trattamento: la cultura come chiave di una ritrovata socialità 2.1 Gli strumenti di cui si avvale il trattamento rieducativo 412.1.1 L'istruzione 45
2.1.2 La religione 48
2.1.3 Le attività culturali, ricreative, sportive 48
2.1.4 I contatti con il mondo esterno 49
2.1.5 I rapporti con la famiglia 51
2.1.6 Il lavoro 52
2.2 Gli Stati Generali dell'esecuzione penale 58
II
CAPITOLO III
L’espansione delle pratiche teatrali nel contesto carcerario italiano e prospettive future
3.1 Teatro e Carcere 70
3.2 Origini del teatro all’interno degli istituti penitenziari italiani 78 3.3 Il motore propulsivo delle esperienze artistico- rieducative in Itaoolin Italia: la Toscana 83
3.4 Il carcere di Volterra e la Compagnia della Fortezza 86
3.5 Lo stato attuale dell’attività teatrale negli istituti penitenziari italuititaliani e le proposte d’intervento del tavolo 9 (stati generali eseetsesecuzione penale) 97
CAPITOLO IV
Esperienze teatrali nelle altre carceri europee: Francia e Germania. 4.1 Il sistema penitenziario francese 1054.2 La pratica teatrale nelle carceri francesi 108
4.2.1 Il nesso tra cultura e giustizia 111
4.2.2 Il metodo di lavoro e il fine 113
4.2.3 Progetti europei ed internazionali 122
4.3 Il sistema penitenziario tedesco 124
4.4 L’attività teatrale nelle prigioni tedesche 128
4.4.1 Il metodo di lavoro 133
III
BIBLIOGRAFIA
143IV
INTRODUZIONE
Il presupposto irrinunciabile da cui si deve partire quando si parla di pena privativa della libertà personale e della sua funzione è cristallizzato all’interno dell’Art. 27, 3°comma Costituzione: << le
pene devono tendere alla rieducazione del condannato>>.
Nonostante la forza dirompente di queste parole, inizialmente, non era chiaro il fine cui dovesse tendere la pena detentiva; ecco che la giurisprudenza costituzionale, per sciogliere tale dilemma, diede vita alla teoria polifunzionale della pena. Essa rappresenta la concezione secondo la quale le sanzioni penali tendono contemporaneamente a scopi: afflittivo - retributivi, general- e special- preventivi, nonché di reintegrazione dell’ordine giuridico. La finalità rieducativa è, però, l’unica espressamente consacrata nella Carta Costituzionale ed è capace di evitare il rischio di strumentalizzare l’individuo per fini generali di politica criminale o di difesa sociale.
Non si può parlare di rieducazione e di funzione rieducativa della pena senza parlare di carcere e del trattamento penitenziario. Proprio per questo motivo nel primo capitolo è presente un excursus sull’evoluzione storica delle carceri che ha portato ad una nuova concezione del trattamento penitenziario previsto per i detenuti. Una data epocale, in questo cammino storico, è il 26 luglio del 1975. Con la legge sull’ordinamento penitenziario n.354 del’75 il Legislatore italiano ha realizzato un progetto di riforma in campo penitenziario, capace di dare attuazione al mandato costituzionale. A tal proposito, grande attenzione viene riservata al trattamento penitenziario e alla rieducazione dei detenuti. L’Art. 15 ord. penit. individua specificatamente quali sono gli elementi di cui si deve
V
avvalere il trattamento penitenziario: istruzione, lavoro, religione, attività culturali, ricreative e sportive, cercando di agevolare gli opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia. Tra le varie attività culturali che vengono realizzate all’interno dei penitenziari - e che hanno come fine la risocializzazione del detenuto - una tra tutte ha colpito la mia attenzione tanto da essere il baricentro del mio lavoro di tesi: la pratica teatrale realizzata presso le carceri.
Il teatro in carcere è un fenomeno che si è esteso a macchia d’olio sul territorio italiano, a partire dagli anni Ottanta del Novecento; anche se si tratta di un evento che già era conosciuto oltre oceano. Il presente lavoro di ricerca si è basato, inizialmente, sulla regione Toscana e sull’immenso lavoro realizzato da parte della Compagnia della Fortezza, nel carcere di Volterra. Questo perché, tra tutte le regioni, la Toscana è stata quella che si è dimostrata più attiva e partecipe ai progetti di teatro in carcere. La Compagnia della Fortezza, diretta da Armando Punzo, si presenta come esperienza pilota rispetto a tutte le altre, grazie alle svariate conquiste ottenute nel corso degli anni: la più importante è sicuramente quella di aver ottenuto, da parte delle autorità italiane, la possibilità di attribuire una dignità lavorativa all’attività teatrale, facendo sì che i detenuti possano essere remunerati dalla Compagnia stessa. L’importanza del lavoro svolto da Punzo non rimane entro i confini nazionali, ma riveste un ruolo di primordine anche nel panorama europeo. Per giungere a queste conclusioni è stato toccato con mano il polso di altre realtà teatrali nei penitenziari, in altri Paesi europei.
Prima tra tutte l’esperienza Francese, che mostra una forte arretratezza su questo tema rispetto al panorama italiano. La Compagnia teatrale, diretta dal regista Rui Frati, lavora da anni all’interno delle prigioni parigine, ma, a seguito del clima di forte
VI
rigore che si respira sul territorio francese, accentuato dall’allarme suscitato dagli attacchi terroristici di matrice islamica, il lavoro con i detenuti è molto ridotto. Qui i detenuti non hanno possibilità di oltrepassare le mura carcerarie per mettere in scena degli spettacoli teatrali all’interno di teatri cittadini e il tempo dedicato a questo tipo di attività è limitato. A dispetto di ciò, si cerca comunque di sfruttare l’attività teatrale per ottenere un lento cambiamento nei detenuti, grazie anche a particolari tecniche come quella del teatro forum, in cui si riesce a creare un clima surreale di pieno coinvolgimento tra tutti i detenuti (artisti e non) e le guardie del penitenziario.
Tutt’altro discorso può essere fatto per l’esperienza tedesca di teatro in carcere, che rappresenta la via mediana tra il fenomeno del teatro dei reclusi francese e quello italiano. Aufbruch, in Germania, è partita con un progetto teatrale da realizzare in una sola prigione di Berlino; attualmente, invece, è presente in quasi tutte le prigioni della capitale tedesca.
Per comprendere a pieno il senso dell’attività teatrale all’interno delle prigioni, sono emblematiche le affermazioni date dal neuro scienziato Pascal Leone. Egli afferma che la detenzione causa nei reclusi la perdita totale di elasticità mentale, l’irrigidimento della mente fino alla reiterazione maniacale dei gesti e pensieri. Per spiegare la condizione di rigidità mentale, viene adoperata dallo stesso la metafora della collina innevata: immaginando di scendere con una slitta dalla sommità alla base di una collina innevata, più e più volte, si potrà notare che ci sono alcuni percorsi più battuti e altri meno. Sarà difficile evitare certi percorsi, perché essi sono diventati quasi delle tracce obbligate, come se fossero dei binari. Sarà complicato, ma non impossibile poter seguire altri percorsi e per farlo è necessario creare un ostacolo importante capace
VII
d’indurci a cambiare direzione1. L’ostacolo, che nel nostro caso è rappresentato dal teatro, non è da intendere negativamente, al contrario deve apparire come piacevole sorpresa. Il teatro è un fenomeno che ha la forza di essere un ostacolo rispetto all’iter obbligato di abitudini, luoghi comuni imposti dal contesto carcerario.
Per riuscire ad ottenere risultati di un certo spessore sul versante della rieducazione dei detenuti è importante cercare di disapprendere alcuni percorsi per riuscire ad eliminare “la traccia mentale obbligata” e apprenderne altri per poter realizzare una trasformazione della personalità. Questo è ciò che cerca di fare il teatro quando oltrepassa la soglia degli istituti di pena per sprigionare, al loro interno, tutta la sua energia.
1 D
OIDGE, intervista ad Alvaro Pascual-Leone, in Norman Doidge, Il cervello infinito, Milano, Salani, 2007, pag. 224- 227