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9. Oyelite: la “tobermorite 10 Å” naturale?

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9. Oyelite: la “tobermorite 10 Å” naturale?

Nei capitoli precedenti è stato affrontato lo studio delle fasi a 14, 11 e 9 Å del gruppo della tobermorite; come detto nel capitolo 5, in letteratura vengono descritte anche “tobermoriti” con periodicità basale di 10 e 12 Å, identificate con le specie mineralogiche oyelite e tacharanite. Poiché è stata osservata la comparsa di una “tobermorite 10 Å” quale prodotto di disidratazione di una tobermorite “anomala” proveniente dalla N’Chwaning II mine (Repubblica Sudafricana), risulta di interesse verificare le relazioni fra la fase sintetica e la “tobermorite 10 Å” naturale. La prima località in cui fu osservato un silicato idrato di calcio con tale periodicità basale fu Crestmore (Heller & Taylor, 1956; Murdoch, 1961), seguita dalla Hatrurim Formation (Gross, 1977). Kusachi

et al. (1980) descrissero una tobermorite 10 Å negli skarn a spurrite e gehlenite di Fuka (Okayama

Prefecture, Giappone); nel 1982 l’allora Commission on New Minerals and Mineral Names dell’International Mineralogical Association approvò questa fase come nuovo minerale denominandola oyelite, Ca5BSi4O14(OH)·6H2

Nel corso di questa tesi di dottorato sono stati studiati alcuni campioni di oyelite provenienti da Fuka (Okayama Prefecture, Giappone) e dalla N’Chwaning II mine (Repubblica Sudafricana) (tab. 9.1).

O (Kusachi et al., 1984). Questa specie fu studiata contemporaneamente dagli autori giapponesi, su campioni provenienti appunto da Fuka, e da Carpenter, Ito & Taylor, su esemplari raccolti a Crestmore. All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, importanti campioni di oyelite furono raccolti nelle miniere manganesifere del Kalahari (Repubblica Sudafricana) e, in particolare, nella N’Chwaning II mine (Von Bezing et al., 1991). Infine Marincea et al. (2001) hanno descritto la presenza di una fase a 10 Å all’interno di vene idrotermali tardive che tagliano gli skarn a spurrite, tilleyite e gehlenite della Cornet Hill (Apuseni Mountains, Romania).

Lo scopo principale del lavoro era rappresentato dalla risoluzione della struttura di questo minerale, al fine di coglierne le relazioni sia con la tobermorite 10 Å sintetica che con le altre fasi del gruppo

Tab. 9.1 – Ca mpioni di tober morite “ano mala” studiati.

Provenienza Descrizione Tecniche analitiche

Fuka (Okaya ma Prefecture,

Giappo ne) Venetta fibro sa bianca XRPD, analisi chi miche EDS.

N’Chwaning II mine

(Kalahari Manganese Field, Rep ubblica Sudafricana)

Aggregati raggiati di cristalli tab ulari inco lori con calcite e bultfonteinite

XRPD, SC-XRD, co mportamento termico ex situ, spettro scopia micro -Raman, analisi TG-DSC, analisi chimiche EDS.

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della tobermorite; purtroppo non è stato possibile, ad oggi, raccogliere dati di intensità da cristallo singolo di qualità sufficiente per raggiungere questo fine. Pertanto sono stati raccolti ulteriori dati attraverso l’impiego di altre metodologie, al fine di poter comunque istituire un confronto fra l’oyelite e la tobermorite 10 Å prodotta durante il riscaldamento della tobermorite “anomala” della N’ Chwaning II mine (Repubblica Sudafricana).

9.1 Oyelite – Fuka (Okayama Prefecture, Giappone)

Kusachi et al. (1980) hanno descritto la presenza di una tobermorite 10 Å, poi approvata come nuovo minerale con il nome di oyelite (Kusachi et al., 1984), negli skarn a spurrite e gehlenite di Fuka. In particolare l’oyelite forma una vena di spessore compreso fra 1 e 3 cm incassata negli skarn a spurrite di un affioramento noto con il toponimo Dorogiwa-roto; all’oyelite si associano bultfonteinite, scawtite e xonotlite.

Il campione studiato è rappresentato da una sezione sottile effettuata su una vena di oyelite; quest’ultima ha uno spessore di ~ 1 mm. L’oyelite forma aggregati fibrosi costituiti da cristalli appiattiti, sub-millimetrici, aventi lucentezza sericea (fig. 9.1).

L’identificazione è stata condotta mediante diffrattogramma di polveri con camera Gandolfi; la tabella 9.2 riporta il diffrattogramma dell’oyelite di Fuka studiata in questo lavoro di tesi, a confronto con i campioni di oyelite descritti in letteratura da Kusachi et al. (1980) e Heller & Taylor (1956) e con l’oyelite della N’Chwaning II mine studiata nel corso di questa tesi. Le analisi chimiche semi-quantitative in modalità EDS hanno mostrato solo Ca e Si quali elementi con Z > 9; il rapporto Ca/Si vale 1.23, in accordo con il valore della formula ideale, pari a 1.2. A causa della modesta quantità di materiale disponibile e della difficoltà di estrarre cristalli singoli da questo campione, il suo studio è stato abbandonato.

Fig. 9.1 – Oyelite, vena formata da cristalli fibrosi bianchi. Fuka,

(3)

221

9.2 Oyelite – N’Chwaning II mine (Repubblica Sudafricana)

La prima descrizione di oyelite nelle mineralizzazioni a manganese del Kalahari Manganese Field si deve a Von Bezing et al. (1991). Negli ultimi venti anni il mondo mineralogico è entrato in contatto

Tab. 9.2 – Diffrattogrammi di polvere di ca mpioni di oyelite

Fuka (questa tesi) NCIIM (questa tesi) Fuka (Kusachi et al., 1980) Crestmore (Heller & Taylor, 1956)

dhkl Ihkl dhkl Ihkl dhkl Ihkl dhkl Ihkl hkl 10.3 vs 10.2 s 10.23 100 10 vs 002 5.92 3 012 5.62 3 200 5.12 4 004 4.92 m 4.91 mw 4.92 6 4.92 mw 202 3.775 mw 3.776 mw 3.784 10 3.78 mw 204 3.405 mw 3.405 m 3.411 25 3.34 mw 006 3.301 w 3.316 1 311 3.044 mw 3.044 m 3.069 6 3.05 vs 220 2.910 s 2.912 vs 2.917 60 2.93 s 222 206 2.803 mw 2.806 m 2.813 6 2.80 s 400 2.644 w 2.561 w 2.562 mw 2.558 15 2.53 w 008 2.464 w 2.462 mw 2.464 4 2.44 vw 404 2.326 w 2.324 mw 2.327 7 2.31 vw 208 2.275 vw 2.170 w 2.167 2 2.21 w 422 232 406 2.096 w 2.047 mw 2.045 m 2.046 13 2.05 mw 00 424 10 1.964 w 1.870 w 1.873 mw 1.872 2 426 1.806 w 1.814 2 1.83 s 040 1.759 w 1.762 w 1.682 w 1.677 mw 1.640 w 1.640 m

NCIIM = N’Chwaning II mine. Le intensità sono stimate visivamente: vs = molto forte; s = forte; m = medio; mw = medio-debole; w = debole; vw = molto debole. L’indicizzazione dei riflessi dell’oyelite è basata sulla cella a 11.25, b 7.25, c 20.46 Å (Kusachi et al., 1984).

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222 con gli stupendi campioni di specie rare e ben cristallizzate provenienti da questo grande deposito sudafricano. L’oyelite è stata raccolta in aggregati globulari bianchi di dimensioni centimetriche o in candidi aggregati raggiati formati da pacchetti di cristalli tabulari di dimensioni sub-millimetriche (fig. 9.2). Tipicamente l’oyelite si associa a calcite, bultfonteinite ed inesite.

La tab. 9.2 riporta il diffrattogramma di polveri dell’oyelite sudafricana raccolto con camera Gandolfi; le analisi chimiche EDS mostrano un rapporto Ca/Si di ~1.3, in accordo con la formula teorica di questa specie.

Utilizzando questi campioni, si è tentato uno studio dell’oyelite con tecniche di cristallo singolo. Un cristallo tabulare è stato utilizzato per raccogliere un fotogramma di cristallo oscillante; nonostante le piccolissime dimensioni, che hanno richiesto un lungo tempo di esposizione, il cristallo utilizzato risultò multiplo e pertanto non adatto a proseguire le indagini. L’unico dato ottenibile in questa fase riguardava la periodicità lungo l’asse di allungamento del cristallo che corrispondeva a circa 3.6 Å, ossia la metà della periodicità lungo b. Per ovviare alle ridottissime dimensioni dei cristalli singoli (apprezzabili anche nella fig. 9.2c) si è ricorsi alla luce di sincrotrone quale sorgente di radiazioni X per poter raccogliere dati di intensità. Tuttavia,

Fig. 9.2 – Oyelite, N’Chwaning II mine (Kalahari

Manganese Field, Repubblica Sudafrican). Aggregati raggiati bianchi con calcite, fino a 2 mm di diametro (a-b); morfologia dei cristalli di oyelite riprese in BSE (c).

(5)

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nonostante le numerose raccolte e prove effettuate, non è stato possibile ottenere dati di qualità tale da consentire la risoluzione strutturale. Il principale problema è legato alla natura multipla dei cristalli di oyelite che impediva la corretta indicizzazione dei frames raccolti. Soltanto un cristallo ha consentito di indicizzare i riflessi sulla base di una cella monoclina, con parametri a 11.22, b 7.30, c 23.34 Å, β 118.9 °; non è stato tuttavia possibile scalare le intensità dei riflessi fra i vari

frames raccolti. Tutti gli altri cristalli studiati mostravano sempre evidenze di una loro natura

multipla. Il software DENZO (Otwinowski & Minor, 1997), utilizzato per integrare le intensità osservate nei vari frames raccolti presso il laboratorio Elettra di Basovizza (Trieste), non ha una versatilità tale da consentire la selezione dei riflessi di un singolo individuo fra quelli presenti. Per questo motivo, si è tentato di raccogliere i dati di intensità con un diffrattometro Oxford Xcalibur S dotato di rivelatore areale CCD che consentiva di trattare i dati con il software CrysAlisPro, il quale invece permette di selezionare i contributi dei singoli individui. Tuttavia, impiegando una radiazione convenzionale (MoKα) e dovendo necessariamente utilizzare cristalli di piccole dimensioni per minimizzare la problematica legata alla natura multipla dei cristalli, la qualità dei dati ottenuti è stata scarsa. I riflessi furono indicizzati sulla base di una cella triclina con parametri a 5.578(7), b 3.596(4), c 20.46(2) Å, α 89.55(9)°, β 90.86(9)°, γ 89.52(9)°. La cella trovata corrisponde probabilmente alla cella di famiglia, con a = ar/2, b = br/2, c = cr, dove il pedice indica la cella

reale. Gli angoli sono tutti vicini a 90° e, considerando la scarsa qualità dei dati, la cella di famiglia potrebbe essere ortorombica. Il tentativo di risoluzione strutturale nel gruppo spaziale P1 sembra portare alla individuazione di frammenti della struttura di questo minerale, rappresentati da strati di poliedri calcio a coordinazione VII ai quali si legano tetraedri silicatici. Il basso numero di riflessi raccolti (315 riflessi osservati) e l’alto valore del fattore Rint dei dati (21%) non ha purtroppo

consentito di risolvere la struttura di questo borosilicato. Secondo Taylor (in Maeshima et al., 2003), l’oyelite presenterebbe una struttura simile a quella della tobermorite, con i tetraedri di

bridging assenti o sostituti da gruppi BO4; la presenza di B a sostituire Si nei tetraedri potrebbe

essere la causa dell’accorciamento del parametro b (~ 7.25-7.30 Å) rispetto a quanto misurato per le tobermoriti.

9.2.1 Analisi termo-gravimetrica e comportamento termico ex situ

L’analisi termo-gravimetrica è stata condotta macinando un aggregato globulare di oyelite, andando a verificare la presenza di eventuali altre fasi attraverso l’osservazione al microscopio stereoscopico e l’esecuzione di un diffrattogramma di polveri con diffrattometro Bragg-Brentano. L’unico riflesso osservato, non attribuibile all’oyelite cade a ~ 3.03 Å; questo riflesso, peraltro di debole intensità,

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potrebbe corrispondere al riflesso più intenso della calcite. Dunque una piccola percentuale di calcite potrebbe essere presente nel campione studiato.

L’analisi termo-gravimetrica è stata condotta da temperatura ambiente fino a 1000°C, con le medesime condizioni sperimentali già descritte durante lo studio dei campioni di tobermorite. La fig. 9.3 mostra le curve TG e DSC osservate.

Fig. 9.3 – Analisi termo-gravimetrica dell’oyelite della N’Chwaning II mine (Repubblica Sudafricana).

A differenza delle curve TG e DSC osservate per i campioni di tobermorite, quelle dell’oyelite risultano molto complesse. La curva DSC mostra tre principali processi, due di carattere endotermico ed uno esotermico. Il primo si verifica attorno a 180°C; ad esso corrisponde, nella curva TG, una perdita di peso di ~ 1 wt.%; attorno a 340°C si verifica il secondo e più importante processo endotermico, al quale è associata una perdita di peso di circa 2.5 wt.%. Fra questa temperatura e 600°C, il campione perde un ulteriore ~ 10 wt.%. In questo intervallo di temperatura si ha osserva anche un debolissimo processo endotermico attorno a 415°C. Al di sopra dei 600°C, il campione perde un restante ~ 2.5 wt.%. A 800°C la curva DSC presenta un picco esotermico; il diffrattogramma di polvere eseguito sul prodotto finale di questo studio mostra che l’oyelite si è trasformata in wollastonite. Il processo esotermico a 800°C può quindi essere interpretato come la trasformazione dell’oyelite (o di un suo prodotto di alta temperatura) in wollastonite. Kusachi et al. (1980), in un lavoro di descrizione della tobermorite 10 Å in lingua giapponese, riportano la perdita in peso dell’oyelite a varie temperature. La perdita totale, a 1000°C, risulta pari a 17.4 wt.%; essi attribuiscono 0.7 wt.% all’acqua adsorbita sulla superficie dei cristalli e 16.7 wt.% a H2O

(7)

225

Tab. 9.3 – Prodotti del risca lda mento di crista lli di oyelite

T (°C) Fase

225 o yelite

375 o yelite 9 Å

450 o yelite 9 Å

1000 wollasto nite

con quelli dell’oyelite giapponese; la perdita di peso totale è ~ 16 wt.%. Mentre la perdita fra 600°C e 1000°C per l’oyelite giapponese e quella sudafricana è simile (3.1 wt.% per il campione di Kusachi et al., 1980; 2.6 wt.% per il campione sudafricano), sussistono alcune differenze per quanto riguarda l’andamento della perdita di peso entro i 400°C. Infatti, nonostante che la perdita totale sia simile (14.3 wt.% contro 13.5 wt.%), si ha una differenza importante nei primi 200°C. Kusachi et al. (1980) riportano una perdita in peso di 7.9 wt.% entro 200°C; entro tale temperatura, il campione sudafricano perde invece soltanto ~ 2.5 wt.%. Questa discrepanza potrebbe tuttavia essere legata a differenti condizioni sperimentali.

La formula chimica dell’oyelite prevede le seguenti percentuali in peso di ossidi (wt.%): SiO2

35.73, CaO 41.69, B2O3 5.18, H2O 17.41. La perdita totale di peso sembra indicare il completo

rilascio delle molecole di H2O ma non la perdita di boro; in effetti anche nella bakerite, un

borosilicato di calcio di formula Ca4B5Si3O15(OH)5, viene osservata soltanto la perdita di H2O e

non di boro (Kusachi et al., 1994; Perchiazzi et al., 2004). Pertanto il boro rimane nel campione; la formazione della wollastonite, testimoniata dal diffrattogramma di polveri raccolto sul prodotto riscaldato a 1000°C, potrebbe quindi essere espressa da una reazione di trasformazione del tipo: Ca5BSi4O14(OH)·6H2O → 4CaSiO3 + Ca[BO2(OH)] + 6H2

Kusachi et al. (1980) hanno studiato anche il comportamento termico ex situ dell’oyelite, effettuando riscaldamenti della durata di 24 h e 48 h e studiandone i prodotti. A 150°C è presente, in quantità subordinata, una fase a 9.3 Å (che chiameremo oyelite 9 Å); quest’ultima diviene più abbondante a 200°C per poi costituire la totalità del campione a temperature di 250° e 300°C.

O.

Nel corso di questo lavoro di tesi sono stati eseguiti tre riscaldamenti di cristalli di oyelite fino a 225°, 375° e 450°C, utilizzando le medesime condizioni sperimentali

dell’analisi termo-gravimetrica, ossia riscaldando il campione a velocità di 10°C/min. Queste temperature sono state scelte per potersi porre immediatamente dopo i due principali picchi endotermici e, nel caso del riscaldamento a 450°C, dopo la debole inflessione endotermica a circa 415°C. Si è ricorsi a temperature più alte anche per ovviare all’utilizzo di cristalli di oyelite piuttosto che di polvere, visto il piccolo quantitativo disponibile. L’identificazione è stata quindi effettuata mediante diffrattogrammi di polvere con camera Gandolfi. La fig. 9.4 e la tab. 9.3 riassumono i risultati dell’esperimento; in particolare la fig. 9.4 mostra i diffrattogrammi dell’oyelite a temperatura ambiente, a 225°C e a 450°C.

(8)

226

Fig. 9.4 – Diffrattogrammi di polvere dell’oyelite a temperatura ambiente, a 225°C e a 450°C.

La tabella 9.4 mette inoltre a confronto i diffrattogrammi della oyelite 9 Å e della tobermorite 9 Å ottenuta per disidratazione della tobermorite “normale” di Vallerano; i due diffrattogrammi sono abbastanza differenti, nonostante la medesima periodicità basale da ~ 9 Å e la posizione del riflesso più intenso (~ 3 Å).

Tab. 9.4 – Diffrattogrammi di polvere di oyelite 9 Å e to ber morite 9 Å

oyelite 9 Å tobermorite 9 Å dhkl Ihkl dhkl Ihkl 9.3 m 9.6 w 6.93 w 4.85 vw 6.20 w 3.579 mw 5.275 w 3.292 w 4.230 w 3.157 w 3.609 w 3.021 s 3.429 w 2.767 m 3.215 w 2.719 m 3.054 s 2.461 vw 2.798 w 2.350 w 2.697 vw 2.165 w 2.493 w 2.055 w 2.305 w 1.955 w 2.109 w 1.828 ms

(9)

227

Fig. 9.5 – Spettri micro-Raman dell’oyelite, raccolti secondo due differenti

orientazioni cristallografiche.

9.2.2 Spettroscopia micro-Raman

La spettroscopia micro-Raman è stata applicata anche allo studio dell’oyelite, al fine di tentare di ottenere alcune informazioni strutturali (es. grado di polimerizzazione dei tetraedri silicatici), informazioni che non è stato possibile ottenere attraverso gli studi diffrattometrici. La fig. 9.5 mostra gli spettri micro-Raman raccolti sui cristalli di oyelite, sia parallelamente che ortogonalmente all’allungamento dei cristalli. In fig. 9.5a viene mostrata la regione fra 200 e 1200 cm-1 mentre la fig. 9.5b mostra la regione compresa fra 3000 e 3800 cm-1

2.030

, all’interno della quale cadono vibrazioni dei legami O-H. Risulta molto evidente la forte dipendenza dell’intensità di alcune

bande dall’orientazione cristallografica rispetto al fascio

laser incidente. Si potrebbe ipotizzare pertanto che alcuni moti vibrazionali possano aver luogo

soltanto in particolari direzioni mentre sarebbero impediti o comunque notevolmente affievoliti in altre. Gli spettri micro-Raman dell’oyelite sono caratterizzati dalla presenza di una intensa banda a

vw 1.743 vw

1.940 w 1.655 m

1.615 vw

(10)

228 677 cm-1; a fianco di questa si osserva

un’altra banda, meno intensa, a 718 cm-1. L’intensità di questa banda è minima per orientazioni normali all’allungamento dei cristalli e massima per orientazioni parallele a tale direzione cristallografica. Un’altra banda fortemente influenzata dalla direzione assunta dal cristallo durante la raccolta è quella a 853 cm-1. Fra 300 e 400 cm-1 sono presenti due bande, a 327 e 356 cm-1 mentre fra 400 e 600 cm-1 si hanno numerose bande con quella più intensa a 447 cm-1. Fra 800 e

1200 cm-1, oltre alla banda a 853 cm-1 già citata, sono presenti bande a 912, 983 e 1022 cm-1; l’intensità di quest’ultima è dipendente dall’orientazione del cristallo. L’orientazione influenza in maniera importante anche l’intensità della banda Raman presente nella regione fra 3000 e 3800 cm-1

La tabella 9.5 riporta le frequenze osservate ed un tentativo di interpretazione. Mentre nel caso delle tobermoriti, gli spettri micro-Raman sono stati interpretati sulla base dei lavori di Kirkpatrick et al. (1997) e Garbev et al. (2007), per l’oyelite ci troviamo di fronte ad un ulteriore elemento di difficoltà rappresentato dalla presenza di boro all’interno della struttura, boro che probabilmente va in coordinazione tetraedrica a formare gruppi BO

e legata alla presenza di legami O-H nella struttura dell’oyelite.

4 o BO3

Per cercare di capire quale possa essere il contributo di questo anione complesso allo spettro micro-Raman abbiamo quindi cercato di verificare eventuali similitudini con gli spettri di altri borosilicati di calcio a struttura nota. La tabella 9.6 riporta le fasi contenenti Ca, B, Si e O, oltre, eventualmente, a H. Sul sito web

(OH).

http://rruff.info/ sono disponibili gli spettri Raman di bakerite, danburite, datolite e howlite. Le strutture di bakerite e datolite sono sostanzialmente identiche, tant’è che la prima potrebbe essere considerata una datolite più ricca in boro ed ossidrili (Perchiazzi et al., 2004); in questi minerali, appartenenti al gruppo della gadolinite, si hanno strati di tetraedri paralleli a (100). I tetraedri SiO4 e BO3(OH) si legano fra loro per condivisione di vertici formando anelli a 4 e 8

membri; nella datolite ogni tetraedro SiO4 è legato, mediante condivisione di vertici, a tre tetraedri

centrati dal boro e viceversa (Foit et al., 1973); nella bakerite, invece, la sostituzione Si4++O2- → B3++OH-, porta alla presenza di due siti, uno occupato esclusivamente da boro e l’altro con

Tab. 9.5 – Frequenze osservate (cm-1) negli spettri micro-Raman dell’oyelite fra 200 e 1200 cm-1e loro interpretazione.

frequenza

(cm-1) Interpretazione

327 356

Vibrazioni dei poliedri Ca-O 413 430 447 464 487 553

Deformazioni interne dei tetraedri Si-O (bending dei legami O-Si-O)

677 SB dei tetraedri Q2

718 bending legami O-B-O

853 ?

912 ?

983 SS dei tetraedri Q2

(11)

229

Fig. 9.6 – Spettri micro-Raman di borosilicati di calcio (bakerite, datolite, danburite), dell’oyelite e della

tobermorite.

occupanza (Si0.75B0.25). Pertanto sarà possibile avere, statisticamente, gruppi di quattro tetraedri

BO3

La danburite appartiene al gruppo omonimo, gruppo che comprende borosilicati ortorombici di calcio (danburite), bario (maleevite) e stronzio (pekovite). La

struttura della danburite fu risolta da Dunbar & Machatschki (1931); essa presenta una impalcatura composta da gruppi disilicato Si

(OH).

2O7 uniti per condivisione dei vertici con gruppi

B2O7

La howlite, Ca .

2SiB5O9(OH)5, presenta una struttura più

complessa, con tetraedri occupati da Si e da B e gruppi BO3

Come già detto, la struttura dell’oyelite non è finora nota. La

periodicità da ~3.6 Å corrisponde a circa la metà della periodicità di catene tipo wollastonite; tale periodicità è leggermente più corta e questo potrebbe essere imputabile alla presenza di un tetraedro occupato da B. La struttura della howlite è quella più differente, comprendendo anche gruppi BO

.

3

Tab. 9.6 – Borosilicati di calcio

. Per tale motivo la fig. 9.6 mostra gli spettri Raman soltanto di bakerite, datolite e danburite, messi a confronto con quelli dell’oyelite e della tobermorite, quest’ultima proveniente dalla N’Chwaning II Minerale Composizione chimica

Bakerite Ca2B2Si1.5B0.5°7.5(OH)2.5

Danburite CaB2(SiO4)2

Datolite CaBSiO4(OH)

Howlite Ca2SiB5O9(OH)5

Okayamalite Ca2B2SiO7

(12)

230

mine (Repubblica Sudafricana; § 7.1.5). Lo spettro dell’oyelite è certamente differente da quello della danburite e presenta pure significative differenze con gli spettri di bakerite e datolite (che ovviamente sono fra loro simili per le relazioni di isomorfismo fra questi due composti). Anche il confronto con lo spettro della tobermorite, mostra alcune significative differenze; in particolare, fra 600 e 750 cm-1, le bande a 620 e 685 cm-1 presenti nello spettro della tobermorite, indicative di siti tetraedrici Q3 e Q2, sono sostituite, nello spettro dell’oyelite, da due bande a 677 cm-1 e 718 cm-1 La banda a 677 cm

.

-1

potrebbe essere legata al bending dei siti Q2 mentre la banda a 718 cm-1 potrebbe essere attribuita al bending dei legami O-B-O; Frost et al. (2007) attribuiscono a questo modo vibrazionale l’intensa banda a 714 cm-1 osservata negli spettri Raman delle axiniti, una serie di borosilicati di calcio, alluminio, ferro, magnesio e/o manganese. Seguendo quanto descritto da questi autori per le axiniti, si può inoltre ipotizzare che la banda a 1022 cm-1 sia attribuibile allo

stretching dei legami B-O mentre quella a 983 cm-1 sia da attribuire al symmetrical stretching dei siti Q2. Di più incerta attribuzione sono le bande a 853 e 912 cm-1; nella bakerite sono presenti bande a 850 e 924 cm-1. Una ipotesi è che queste due bande siano legate alla presenza di tetraedri occupati da boro nell’oyelite, carattere in comune con la bakerite (e la datolite). Le regioni fra 300 e 600 cm-1 dovrebbero invece comprendere vibrazioni legate alle deformazioni dei poliedri Ca-O e dei tetraedri silicatici. In particolare le frequenze di vibrazione dei poliedri Ca-O sono piuttosto simili a quelle misurate nei campioni di tobermorite e clinotobermorite; nei vari campioni studiati tale regione presenta sempre due bande a frequenze variabili fra 302 e 321 cm-1 per quella a più bassa frequenza e fra 346 e 366 cm-1 per quella a più alta frequenza. I valori osservati nell’oyelite sono rispettivamente di 327 e 356 cm-1, abbastanza simili a quelli delle tobermoriti. Questo dato potrebbe essere in accordo con la presenza di strati di poliedri calcio di tipo tobermoritico.

9.3 Oyelite e tobermorite 10 Å: similitudini e differenze

Nel corso di questo lavoro di tesi è stata descritta la formazione di una tobermorite 10 Å in seguito alla disidratazione della tobermorite “anomala” di N’Chwaning II mine. Poiché in passato l’oyelite è stata descritta come “tobermorite 10 Å” naturale, può risultare interessante istituire un confronto fra le due fasi. Le loro celle di famiglia sono metricamente simili: a 5.58, b 3.60, c 20.46 Å, α 89.6°, β 90.9°, γ 89.5° per l’oyelite, a 5.6, b 3.67, c 20.4 Å per la tobermorite 10 Å. Tuttavia le somiglianze si esauriscono qui. Infatti i diffrattogrammi di polvere di queste due fasi sono abbastanza differenti, sia per quanto riguarda la posizione dei riflessi che la loro intensità (fig. 9.7).

(13)

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Fig. 9.7 – Diffrattogrammi di polvere dell’oyelite e della tobermorite 10 Å.

Importante è pure la differenza chimica: oltre alla presenza di boro nell’oyelite, la differenza sostanziale fra quest’ultima e la fase a 10 Å ottenuta per disidratazione riguarda il rapporto fra calcio e cationi tetraedrici. Esso vale 0.67 nella tobermorite 10 Å e 1 nell’oyelite.

Queste differenze di carattere chimico sono molto probabilmente legate all’assetto strutturale di questi due composti, assetto strutturale che ad oggi è ancora ignoto. I dati spettroscopici (spettroscopia micro-Raman e, per la tobermorite 10 Å, anche 29Si NMR) possono comunque consentire di formulare alcune ipotesi. La tobermorite 10 Å presenta catene silicatiche doppie, come evidenziato dalla presenza, negli spettri raccolti (sia NMR che micro-Raman) di bande legate a siti Q2 e Q3. Lo spettro micro-Raman dell’oyelite, invece, sembra presentare soltanto bande legate a siti Q2

Pertanto, identificare la tobermorite 10 Å con l’oyelite non risulta corretto, sulla base delle conoscenze attuali. L’appartenenza di questo borosilicato al gruppo della tobermorite, benché probabile, va tuttavia ancora ritenuta questionabile.

e dunque nella struttura di questo borosilicato dovrebbero essere presenti catene singole di tipo wollastonite, con uno dei tetraedri occupato da boro.

Figura

Tab. 9.1  – Ca mpioni di tober morite “ano mala”  studiati.
Fig. 9.1 – Oyelite, vena formata da cristalli fibrosi bianchi. Fuka,  Okayama Prefecture, Giappone
Tab. 9.2 – Diffrattogrammi di polvere di ca mpioni di oyelite Fuka  (questa tesi)  NCIIM  (questa tesi)  Fuka  (Kusachi et al., 1980)  Crestmore  (Heller & Taylor, 1956)
Fig. 9.2 –  Oyelite, N’Chwaning II mine (Kalahari  Manganese  Field, Repubblica Sudafrican)
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