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Parte seconda LA CATENA AUDIOVISIVA: I NUOVI MODELLI PRODUTTIVI 2.1 Produrre un film

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Parte seconda

LA CATENA AUDIOVISIVA: I NUOVI MODELLI PRODUTTIVI

2.1 Produrre un film

2.1.1. Modelli

Quando guardiamo un film spesso tendiamo ad attribuire tutto il merito ad attori e regista, dimenticando i tanti altri professionisti che hanno contribuito al successo di una pellicola. Questo requisito è fondamentale per comprendere meglio gli equilibri che si costruiscono attraverso anni di collaborazione tra i vari reparti coinvolti.

Ciò introduce la tematica di approfonidmento di questo paragrafo.

Il gioco di squadra, ossia l'irrinunciabile necessità di poter contare sulla totalità del gruppo, sulla sinergia che tra le varie professioni occorre nasca, al fine di non dover contare esclusivamente sulle qualità dei singoli, ma su una forza lavoro collettiva. Questo requisito agevola le operazioni in tutte le fasi di lavoro e non solo sul set come spesso sentiamo dire; una tra le fasi più delicate è proprio quella di ideazione ed elaborazione del soggetto (e poi delle versioni successive del testo quali trattamento e sceneggiatura), momento in cui si delineano i primi equlibri tra il regista e il produttore. Da questo confronto sarà possibile delineare l'utile tecnico necessario (attrezzature e risorse umane) e il

budget, evitando, così, spiacevoli imposizioni (limiti di costi e spese di

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produttore studiano il percorso che li accompegnerà professionalemente per un periodo che oscilla tra gli 8 e – nel peggiore dei casi- i 36 mesi; ci sono opere cinematografiche che richiedono un lavoro costante e a lungo termine, risultato non solo di manovre produttive, talvolta delicate e articolate, ma anche di esigenze stilistiche.

E' durante la fase di scrittura che, continuando, il produttore avvia le numerose trattative che lo impegneranno nei mesi successivi e che lo condurranno all'ottenimento dei servizi necessari alla definizione del piano finanziario. Se gerarchicamente il regista si interfaccia esclusivamente con il produttore, per quest'ultimo la trama relazionale è molto più fitta e articolata; ragion per cui adottare anche una buona strategia nella conduzione delle trattative con le singole professioni, consente l'ampliamento dello staff e la buona condotta delle finanze a disposizione.

Sempre conducendo un'attenta analisi dei requisiti filmici e narrativi, il produttore e gli autori elaborano una dettagliata scaletta, il corrispettivo di un buon vademecum attraverso cui si compie un primo lavoro di ordine e messa a fuoco, per prevenire eventuali lacune e/o mancanze di organicità nella descrizione narrativa; nel caso di un film documentario la scaletta si pone ancora più necessaria per controllare gli imprevisti cui, per natura di genere, si andrà incontro. La scaletta è -ovviamente- sintetica e fornisce una visione generale delle operazioni, delle risorse e dei bisogni cui si potrebbe andare incontro durante la preparazione, l'elaborazione delle riprese e la post-produzione. I dettagli sono lasciati alla stesura successiva del così detto trattamento1, il quale consente di

1 Nel cinema il trattamento è uno dei passaggi intermedi tra il soggetto e la sceneggiatura e consiste nell'approfondire e ampliare in una forma narrativa simile al racconto il soggetto iniziale; è il materiale che poi lavorato dagli sceneggiatori diventerà la sceneggiatura finale. Pamela Douglas definisce il trattamento come una composizione scritta in prosa che include le scene nell'ordine in cui accadono, come anche il tono, lo stile e le descrizioni di personaggi e luoghi. La presenza dei dialoghi non è d'obbligo ma in tante occasioni, come accade nella letteratura, servono a comprendere meglio una situazione o personaggio.

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fissare, ancor più dettagliatamente, i requisiti necessari alla buona riuscita dell'opera.

Ma c'è un dato fondamentale affinché si prospetti una buona conduzione di un progetto filmico: il carattere del regista. Questo deve necesariamente essere compatibile con quello del produttore, poiché la sottile linea che separa la professione dalla vita personale, nel mondo cinematografico e nell'arte in senso più ampio, è labile, talvolta inesistente.

A tal proposito, riconducendoci alle attitudini dell'autore, il concetto di regia cinematografica non è di facile definizione. Possiamo operare una prima distinzione tra:

1. regia come coordinamento-supervisione del lavoro della troupe; 2. regia come controllo dei segni cinematografici.

A volte il primo aspetto risulta prioritario, come nel caso, soprattutto, delle produzioni seriali fondate su logiche di lavorazione industriale, ma non è il nostro caso specifico; altre volte, invece, centrale è il controllo dei segni, soprattutto quando si vuole utilizzare un linguaggio personale, meno convenzionale.

Se in un film si vuol far capire che un personaggio fa di mestiere il regista, il modo più rapido ed efficace consiste nel mostrarlo a fianco di una cinepresa mentre impartisce in modo esagitato e con l'aiuto di un megafono ordini come “azione, motore e stop”. L'affermazione di Truffaut in Effetto notte, secondo la quale un regista è un uomo al quale vengono poste in continuazione domande su tutto, è perfetta per identificare l'uomo verso il quale converge tutto il lavoro del set. Un buon regista è colui il quale è in grado di finalizzare i mezzi a disposizione per raggiungere un obiettivo comunicativo ed espressivo;

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non sempre un ricco budget è garanzia di un buon film e viceversa. Questa regola ribadisce il concetto di cui sopra, strettamente correlato alla sinergia che tra le due figure cardine intercorre (produttore e regista appunto).

Quando si decide di dirigere un film non basta scegliere un metodo di regia, decidere se girare in pianosequenza oppure utilizzare il decoupage classico, ma è importante, magari all'interno di una tecnica particolare, sviluppare uno stile personale. Questo aspetto deve interessare molto il produttore poiché ad egli verrà ricondotta l'elaborazione dell'apparato produttivo; sono diverse le domande a cui può e deve far fronte il team di produzione: quali macchine da presa prediligono il regista ed il suo direttore della fotografia? Quali strumenti occorrono per la post-produzione e per quanto tempo? Si ricorre spesso all'utilizzo di effetti digitali? Come e quali operazioni possono essere svolte in laboratori specializzati?

Declinando queste riflessioni sul film documentario, vanno prese in cosiderazione altrettante varianti : quanto è incline il regista all'improvvisazione e/o a seguire che le azioni dei protagonisti si svolgano in modo del tutto naturale? Cosa comporta questo in termini di risorse tecniche e umane? E molte altre domande necessarie in virtù della particolare scrupolosità con cui è consigliabile esercitare questa professione.

Da ciò ne scaturiscono schede tecniche dettagliate ed elaborate su modelli appropriati; documenti che consentono di rispettare ogni accordo, stilistico e tecnico, intercorso tra il regista (ed il suo staff) ed il produttore.

Lo stile di un regista condiziona fortemente il carattere cinematografico del produttore e della sua azienda; lo stesso progetto dato in mano a cento registi diversi darà origine a cento film diversi e quindi ad

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altrettanti modi diversi di girare. E' importante, dunque, conoscere le diverse forme della regia, indagare il modo con cui queste forme contribuiranno all'immagine dell'azienda e alla potenza espressiva del film, al fine di avere consapevolezza della centralità degli interventi necessari.

Per indicare il metodo migliore è opportuno richiamare alle strategie di un famoso samurai giapponese, Musashi Miyamoto, vissuto dal 1584 al 1645. Prima di morire, Musashi registrò la propria filosofia in un breve trattato, Il libro dei Cinque Anelli, da cui è tratto il principio indicato di seguito. Uno degli obiettivi di Musashi, quando percorreva il paese in lungo e in largo affrontando altri samurai in duelli e combattimenti dimostrativi, era quello di osservare e imparare i diversi stili di combattimento degli avversari. Più familiarità acquisiva con la varietà di tecniche usate da altri, minori erano le sue possibilità di imbattersi in uno stile che non avesse incontrato in precedenza o che non sapesse sconfiggere. Negli anni di osservazione del comportamento di diversi samurai in addestramento e nei suoi scontri con dozzine di essi, l’illustre guerriero scoprì che praticamente tutti seguivano una forma precisa nella loro tecnica di combattimento, e questo risultava evidente dal modo in cui posizionavano e spostavano i piedi, e da come brandivano e usavano le spade. Questi individui erano palesemente condizionati a livello mentale e fisico nel seguire, con precisione, gli stili che avevano appreso. Il maestro capì che questa era una debolezza notevole, poiché lasciava i guerrieri vulnerabili di fronte ad avversari che ne individuavano lo stile di combattimento e e capaci dunque di neutralizzarli.

Dallo stile, perciò, riprendendo quanto accennato prima, si delineano le fondamenta del progetto: la troupe, le professioni che contribuiscono all'originalità dell'opera d'arte, ognuna di esse determinante per adesione

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e per la definizione del tratto distintivo. In passato il cinema era arte di pochi (se non di singoli) mestieranti; la fine della dimensione artigianale del cinema sancisce anche la fine del “cineasta tuttofare”, che produce, scrive, gira e monta da sé i propri film. La figura del regista emerge dunque nel momento in cui ciascuna di queste attività dà vita ad una vera e propria mansione professionale, da affidare ad uno “specialista”, ovvero qualcuno dotato di una certa esperienza nel settore, o quantomeno disposto a farsene una. La ripartizione del lavoro genera la suddivisione in ruoli, e questa a sua volta richiede la presenza di un supervisore-coordinatore, responsabile del progetto-film nella sua totalità: il regista, appunto2.

Ed è il caso di dirlo, dalla definizione della squadra con cui andrà a lavorare il regista, scaturiscono i primi grandi confliti con il produttore. La storia del cinema è contrassegnata di eterni ed infuocati conflitti tra produttori e registi. Nel momento in cui il cinema diventa industria, i grandi studi controllano tutta la filiera produttiva e ostacolano l'autonomia creativa al fine di determinare (a tavolino) il successo commerciale del prodotto film. Non a caso la storia del cinema italiano è costellata, a sua volta, di autori/registi che fondano Società di produzioni autonome ed indipendenti dai regimi commerciali della distribuzione in sala e dalle tendenze home-video e televisive. Tendenza questa oggi molto diffusa.

Per poter avere misura di quanto accade nel lungo iter produttivo, potrebbe tornare utile qualche aneddoto riguardante il grande Cinema americano e le sue “paradossali” regole: lavorare ad Hollywood negli anni del boom cinematorgrafico significa sottostare al potere economico come si evince dalla dichiarazione, datata 1920, del regista francese Maurice Tourneur: considerato che “fare un film è un affare 2 Gandini Leonardo, Il cinema americano attraverso i film, Carocci Roma 2011, p. 38

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commerciale, è come produrre sapone”, è necessario decidere se “fare film brutti, stupidi, infantili e inutili, che fanno un sacco di soldi, e rendono tutti ricchi, o film buoni, che in pratica vanno perduti. Nessuno li vuole vedere”3. Tourneur nel 1926, a causa della forte influenza delle

politiche della MGM, per cui stava girando un film tratto da un racconto di Jules Verne, lascia definitivamente Hollywood. Molto contrastato fu anche il rapporto tra Eric Von Stroheim e Hollywood, in particolar modo con il produttore Irving Thalberg a cui la salute economica della Universal (e della MGM poi) stava senz'altro più a cuore del valore artistico e dell'integrità del suo cinema. Per queste ragioni Thalberg è sempre stato considerato dagli storici il prototipo del produttore-cerbero, insensibile alle ragioni dell'arte, che non si fa scupolo di tarpare le ali alla creatività di qualsiasi regista, nel momento in cui questi non sa adattarsi ai limiti di tempo e di spesa dettati dallo studio. Ma Thalberg è semplicemente colui che, tra i produttori, persegue con maggiore determinazione e coerenza una linea di condotta volta a ridimensionare il ruolo della regia, delimitandone con precisione le competenze, e inserendole all'interno di un sistema secondo cui tutto ciò che avviene sul set necessiti comunque di un'ulteriore supervisione da parte dello studio; una supervisione che si esprime essenzialmente attraverso il controllo delle fasi precedenti e posteriori alle riprese, la sceneggiatura e il montaggio. La sua strategia si rivelerà vincente, e altererà profondamente, nel corso degli anni Venti, le mansioni del regista.

Il primo effetto di questo processo è appunto l'emarginazione del cineasta abituato ad essere l'unico, indiscusso artefice del proprio film4.

E' luogo comune ritenere che le scelte economiche sono prioritarie rispetto a quelle espressive al punto tale da lasciare nelle mani del produttore la supervisione (il controllo) delle fasi lavorative e la scelta 3 Ivi p. 32

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del cast tecnico e artistico. Questo è sicuramente lo status produttivo del Cinema di Hollywood (allora come oggi); non possiamo escludere, però, che questo accada anche in Italia e nelle piccole realtà. Basti immaginare un produttore che sia anche regista (o che lo sia stato); egli sicuramente compierà azioni di intromissione, di controllo dell'opera non solo da un punto di vista tecnico ma oltremodo artistico, convinto di essere in possesso delle conoscenze atte al conseguimento dell'obiettivo produttivo.

Al produttore interessa essenzialmente che il suo film sia gradito al pubblico o che trovi adeguati spazi di diffusione, e dunque che gli incassi siano in linea con le previsioni. I casi di conflittualità fra regista e produttore attraversano, in pratica, tutta la storia del cinema. Al di là delle singole scelte, il produttore vorrebbe sempre che il regista del “suo” film fosse rapido ed efficiente e per questa ragione non ne tollera nemmeno i momenti di stasi creativa, che rappresentano ai suoi occhi solo una perdita di tempo e di denaro. Lo spiega molto bene Fellini, in

Otto e mezzo (1963), dove la figura del regista, Guido (alter-ego dello

stesso cineasta romagnolo), è continuamente afflitta da un produttore autoritario e impaziente.

Alla qualità professionale del produttore, inoltre, è affidata la delicata supervisione del rapporto tra regia e sceneggiatura, laddove le due figure non coincidano o ad esse si vadano aggiungendo collaboratori ulteriori. Partendo da un semplice presupposto: base di partenza di un buon film è il testo. Autore di questo testo può essere lo stesso regista o uno sceneggiatore di professione. E ritorniamo al prinicipio di questo paragrafo. Chi sia l'autore o meno, poco importa al produttore, sempre che non si creino ulteriori variazioni al budget (ma è bene precisare una volta per tutte che un buon produttore fa gli interessi del film, rischiando e investendo laddove richiesto). Il rapporto che viene a crearsi tra

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regia/regista e sceneggiatore/sceneggiatura, inoltre, dipende da molti fattori che toccano sia la sfera comunicativa che quella economico-industriale, dunque. In questa fase il lavoro parallelo condotto dallo staff di produzione risulta essere uno stimolo decisivo alla buona riuscita della scrittura e quindi al lancio successivo del progetto da sviluppare. Che siano manovre di ricerca finanziamenti pubblici, privati o operazioni di raccolta fondi dal basso, eventi di promozione e adesione di investor, è importante che il viaggio sia stimolante e che porti alla stesura di una sceneggiatura vincente.

2.1.2. Stili

Come si orienta dunque il produttore tra le molteplici modalità di racconto di cui dispone un regista? E nel caso specifico del documentario?

Una tassonomia delle forme del documentario – poetica, descrittiva, partecipativa, osservativa, riflessiva, rappresentativa – è stata compiuta da Bill Nichols5 ed è a questa che è utile far riferimento in questo

contesto. E' possibile, attraverso questa suddivisione categorica di massima, orientarsi su quelle che sono le modalità principali di lavorazione della materia documentaristica, attraverso cui, da un lato il regista può fare ricerca secondo i propri modelli stilistici, dall'altro il produttore può orientare la sua attività e la gestione del film. Queste 5 Bill Nichols (born 1942) is an American film critic and theoretician best known for his

pioneering work as founder of the contemporary study of documentary film. His 1991 book, Representing Reality: Issues and Concepts in Documentary, applied modern film theory to the study of documentary film for the first time. It has been followed by scores of books by others and by additional books and essays by Nichols. The first volume of his two-volume anthology Movies and Methods (1976, 1985) helped to establish film studies as an academic discipline. Bill Nichols is Professor in the Cinema Department at San Francisco State University and Chair of the Documentary Film Institute advisory board.

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direttive creano una struttura semirigida entro la quale lavorare, oltre che predisporre le convenzioni che un dato film può adottare, forniscono, infine, delle precise aspettative che gli spettatori vogliono vedere mantenute. Non possono essere copiate, ma possono essere emulate dagli altri registi che, con altre voci, intendano rappresentare degli aspetti del mondo dalla loro particolare prospettiva6.

E' bene precisare che non si può far riferimento ad una tecnica di regia migliore delle altre per rappresentare, osservare, criticare, descrivere aspetti della vita, fenomeni naturali ecc. Ogni tecnica ha determinate funzioni e specificità ed è conforme al rapporto che si intende creare tra macchina da ripresa e situazione indagata.

Un aspetto che sicuramente interessa lo studio che stiamo conducendo è la modalità poetica. In linea con le istanze dei movimenti artistici di avanguardia con cui ha legami molto stretti, il documentario poetico utilizza una strategia comunicativa che va contro la logica della verosimiglianza spazio-temporale7. In questa ottica si predilige la logica

dell’impressione e del punto di vista personale e soggettivo alla rappresentazione di carattere informativo. Spezzare il tempo e lo spazio in prospettive multiple, negare coerenza a personalità dall’inconscio instabile e rifiutarsi di fornire soluzioni a problemi insormontabili significava mantenere comunque un senso di onestà, anche nel caso di opere d’arte che generavano perplessità o ambiguità8. Questo aspetto

-per certi versi- “anarchico” e libero, pone il produttore nella scomoda posizione di dover amalgamare, adattare la materia astratta e sperimentale in un prodotto che trovi il giusto spazio distributivo; non si fa riferimento solo all'aspetto meramente economico, di vendita e incassi, ma anche al contesto artistico attraverso cui poter accreditare 6 Nichols Bill, Introduzione al documentario, Il Castoro, 2006, p. 106

7 Ivi, p. 100 8 Ivi, p. 111

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l'opera e di conseguenza il comparto professionale che lo ha realizzato. Guidare, dunque, le idee stravaganti, visionarie, geniali e non, in un percorso che abbia un fine distinto, cui poter ambire e attraverso cui conseguire il successo prestabilito.

Il documentario descrittivo, al contrario, è fondato su una logica argomentativa e informativa, gli elementi audio-visivi sono tenuti insieme da una struttura scolastica e talvolta retorica. Il commento fuori campo, spesso per voce di uno speaker professionista, viene privileggiato a discapito dei molteplici elementi audiovisivi che completano la struttura narrativa, attribuendo al racconto un senso quasi divino, come suggerisce lo stesso Bill Nichols. E' evidente che il prodotto finale avrà più possibilità di inserirsi nei palinsesti delle tv generaliste o di divulagzione di settore poiché risponde ai requisiti imposti dalle direttive di genere broadcasting degli ultimi 30 anni. La rete pubblica inglese BBC, ad esempio, ne è un'importante ed autorevole esempio, produttrice di documentari divulgativi. Per far riferimento invece al documentario poetico, di creazione o d'autore precedentemente descritto, si può far riferimento al canale culturale franco-tedesco Arte, principale referente produttivo in Europa.

Analoga per carattere distributivo si aggiunge, alle già descritte, la

modalità di osservazione. Questa tecnica considera centrale il processo

di analisi, di osservazione prioritaria rispetto alla costruzione formale e alla logica descrittiva. Il fine nell'essere fedeli allo spirito di osservazione si riversa inesorabilmete anche nella fase di postproduzione (oltremodo che durante le riprese), portando alla creazione di film privi di commento fuori campo, di musica aggiunta o di effetti digitali

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ulteriori, senza intertitoli e talvolta perfino senza interviste9. Osservare

dunque il mondo dall'esterno, senza interventi soggettivi conferisce allo spettatore un ruolo attivo nella costruzione del senso. Molti lavori che rientrano in questa categoria non rifuggono da una certa ambiguità.

L’atto sottinteso di essere presenti ad un evento, ma esserne testimoni audiovisivi passivi, “come se il regista fosse soltanto una mosca sul

muro”10, genera ulteriori e ancor più interessanti riflessioni dialettiche

sulla reale influenza del fattore umano; dibattito controverso e per sua stessa natura impossibile da decrittare, che attribuisce al genere un senso diffuso di mistero e inquietudine.

La modalità partecipativa, invece, sottolinea ed evidenzia la presenza

del regista e l’alterazione della realtà proprio in virtù di questo fattore. Il regista si scopre, si sveste dei panni di osservatore e diventa una pedina fondamentale della ricerca, un attore sociale (quasi) come gli altri (il “quasi”dipende dal fatto che il regista ha il controllo della cinepresa e, con essa, anche un certo grado di ipotetico potere e controllo sugli eventi11). Attraverso questo approccio è possibile pertanto assistere ad

uno sviluppo narrativo che permette di scrutare il mondo attraverso una rappresentazione del tutto soggettiva, partecipata (la partecipazione richiede un lavoro sul campo che richiede, nonostante il coinvolgimento personale, di mantenere un certo distacco). Da un punto di vista strutturale e figurativo in questi lavori si sottolinea la presenza dell’autore e si svela il suo ruolo: di volta in volta investigatore, ricercatore, accusatore, complice, provocatore. La produzione è consapevole di tutto ciò; nitidamente si delinea, in questo modo, il fragile terreno cui si muove l'opera, mostrando la duplice veste del 9 Ivi, p. 116

10 Ivi, p. 118 11 Ivi, p. 123

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regista-attore. Questo stile di regia enfatizza la verità di un incontro, piuttosto che di una verità assoluta o innegabile, aspetto molto seducente e in voga tra il pubblico generalista.

Ed in fine la Videointervista, oggetto di controversie e riflesso di una mutazione di stile in corso ormai da anni in cui video-giornalismo e documentazione cinematografica si incontrano.

“La mia televisione? Una telecamera davanti un volto che abbia qualcosa da raccontare. Tutto il resto è superfluo.”

Enzo Biagi

L’intervista è attualmente la modalità di ripresa più utilizzata negli audiovisivi a carattere documentaristico. Si prenda ad esempio Shoah (Claude Lanzmann, Francia, 1985), una serie di testimonianze di sopravvissuti alla Shoah che il regista ha raccolto dopo anni di ricerca in 14 paesi; un altro affascinante e famoso progetto è Survivors of the

Shoah Visual History Foundation, universalmente noto come Shoah Fondation, nato nel 1994 sulla scia del film Schindler’s list di Steven

Spielberg, che ha localizzato un nuemro consistente di sopravvissuti allo sterminio nazista al fine di conservarne le preziose testimonianze.

Negli esempi riportati è evidente come la macchina da presa registri le testimonianze nella maniera meno invasiva possibile, affidando alle parole e ai sentimenti liberi e spontanei dei protagonisti invitati a raccontare la propria storia, tutto l'assetto narrativo ed espressivo. Le parole e i racconti dei protagonisti sono orchestrati in un grande verbo diretto al cuore del pubblico, senza artifici, manipolazioni o retorica. Questo è quanto accade nel film in esame per questo studio, La Memoria

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dei partigiani protagonisti e nel rapporto con la loro spontaneità; a loro il regista ha chiesto di mostrarsi senza filtri, senza condizionamenti o forzature. Le riflessioni a riguardo sono state molte, oggetto di approfonditi confronti con la produzione. Interferire con la loro voce, con la loro messa in scena avrebbe infranto quella magia che solo i protagonisti, nella loro unicità, hanno donato al racconto. Intervenire, inoltre, in fase di montaggio per salvaguardare questo modello, ha fatto si che le scene in cui il regista comparisse (per puro caso o per necessità) fossero montate in maniera tale da isolarne la presenza in quadro o nel discorso filmico elaborato. Un risultato che rende giustizia alle testimonianze e alla forza che risiede esclusivamente nelle loro parole, senza interferenza alcuna.

Il regista, ad ogni modo, è stato parte attiva del clima venutosi a creare, poiché stimolo costante per l'approfondimento dei temi e degli episodi trattati con i protagonisti. Durante le fasi di ripresa si sono alternatee interviste brevi (dette news interview), funzionali alla raccolta di informazioni e momenti di dialogo più lunghi e articolati (feature

interview) atti all'approfondimento di tematiche ampie, con lo scopo di

far emergere la personalità dell'intervistato. Formulando le domande in modo aperto, il regista ha ottenuto dai partigiani risposte lunghe e articolate e ne ha stimolato a fondo la memoria con suggerimenti, mostrando fotografie, filmati d'epoca o altri materiali. Siamo stati testimoni, dunque, di straordinari momenti di sincerità, emozione e talvolta rabbia, dettati dalla modalità di coinvolgimento e approfondimento delle vite dei protagonisti posti d'innanzi ad un modello del tutto nuovo, a detta loro, di raccontare la Resistenza ed i suoi valori memoriali.

E' chiaro che per il produttore preservare questa spontaneità ha un costo: l'archiviazione di tutto il materiale audiovideo, per un buon 80% frutto di

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una casualità, comporta un impegno economico non di poco conto. Come vedremo nel paragrafo 3 di questo capitolo, il sistema di salvataggio di Cloud Computing, si è rivelata essere la soluzione migliore a fronte di una problematica: la necessità di preservare la spontaneità delle scene girate e gestire con snellezza le operazioni di archiviazione.

Il documentario La Memoria degli Ultimi, oltre alla videointervista, attinge, per le nuemrose sequenze montate con i filmati dell'Istituto Luce, anche alla modalità cosiddetta Video d’archivio. Accanto alle forme documentaristiche viste sinora ne esistono, difatti, altre – definite film di montaggio o a base di archivio – in cui il senso è creato con l'accostamento di materiali visivi e sonori pre-esistenti provenienti da contesti diversi (archivi storici, mediateche pubbliche e private, ecc...). Si è trattato, nel caso de La Memoria degli Ultimi, di costruire inserti audiovisivi all'interno delle sequenze dei capitoli del film, attraverso composizioni che affidano la costruzione del senso alle specificità dei linguaggi dei materiali utilizzati: immagini cinematografiche e televisive, registrazioni sonore, ritagli di giornali, fotografie, dipinti ecc. Le combinazioni possibili possono essere molteplici, soprattutto se supportate da rielaborazioni in graphic computer o graphic motion. Il montaggio, in questo contesto, diventa così una sorta di grande “gioco combinatorio” che, confrontando e giustapponendo il contenuto, la storia e la forma delle immagini, perviene a costruire un senso, che può essere esasperato e cristallizzato così come simbolico e allegorico12. Una

problematica ulteriore per la produzione si presenta quando, utilizzando il repertorio sia cinematografico che televisivo, si è di fronte a delle scelte economiche ed artistiche: è necessario uniformare la fotografia, attraverso l'intervento di software specifici per fotoritocco o colorazione, 12 Cassani Diego, Manuale del montaggio. Tecnica dell'editing nella comunicazione

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così da conferire all'insieme del materiale utilizzato - originale e non, di epoche diverse e con un diverso grado di conservazione, in bianco e nero e a colori, ecc - lo stesso tono fotografico, raggiungendo così un'uniformità stilistica. Non si tratta di interventi molto complessi, ma tali da fare la differenza in termini di professionalità e resa finale (oltre che di costi ovviamente). L'eterogeneità è un fattore determinante per la potenza espressiva di un audiovisivo. Inoltre occorre, per l'attendibilità delle fonti adottate, essere in grado di valutare il grado di autenticità dei materiali: come ricorda Pierre Sorlin è molto complesso far riferimento a documenti 'obiettivi', non solo perché ogni singolo evento è letto ed interpretato dall’autore, ma anche perché “documentari e cinegiornali, prodotti dai governi o dai ceti dirigenti che detengono i mezzi di produzione e di diffusione, fanno vedere gli eventi o i fatti sociali che corrispondono agli interessi di circoli ristretti”13. Alcune volte i materiali

di archivio possono essere utilizzati in una logica “antologica”: sequenze integrali vengono estrapolate nella loro interezza ed autonomia semantica e unite per affinità tematica in antologie.

13 Pierre Sorlin, L'immagine e l'evento. L'uso storico delle fonti audiovisive,

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2.2 Il gioco di squadra

Le professioni e la gestione di nuove tecnologie

Delineato il campo di azione semantico e l'approccio stilistico cui la produzione andrà incontro con un determinato regista, sono oggetto di ulteriori e delicate analisi, nonché aspetti determinanti per la buona riuscita di un percorso produttivo: la storia e il team che andrà a raccontarla.

Come già accennato, la prima fase della produzione coincide con la fase di stesura della sceneggiatura. Il contenuto narrativo del film (la trama) è messo per iscritto. Solitamente questo momento è indicato come “fase letteraria della produzione”. La sceneggiatura non ha però un valore letterario autonomo; essa consente di formulare un preventivo economico. Sulla base dei primi requsiti forniti dal soggetto, sia esso di

fiction o documentaristico, si delinea una prima riflessione sulle qualità

della troupe necessaria. Spesso chi scrive la storia continua a lavorare anche in fase di riprese, ma ciò non incide sull'analisi della troupe cinematografica che sarà, ad ogni modo, composta da numerosi reparti, la maggior parte dei quali già attivi in pre-produzione e coinvolti fino alla fine.

Il testo “soggetto”, dunque, che mantiene una forma ti tipo letterario e non contiene ancora specifiche tecniche ed operative, viene sottoposto poi al successivo trattamento. E' possibile effettuare questa operazione anche tramite il web; con google docs la condivisione di testi, con specifiche impostazioni (condivisone con utenti specifici, tutelando i contenuti onde evitarne una diffusione fuori controllo) snellisce talune operazioni che interessano reparti dislocati. C'è una notevole differenza con il semplice invio di materiali tramite mail. Innanzitutto, come già

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affrontato nel primo capitolo, è di straordinario impatto, la possibilità di condividere, attraverso questa piattaforma, eventuali modifiche o notifiche in tempo reale, consentendo, in tal modo, un intervento di carattere “collettivo”; ciò che è possibile fare seduti ad un tavolo di lavoro, viene simulato con Google Drive. E' posssibile (ed è destinato a divenire prassi) condurre contemporaneamente una conversazione attraverso Skype e procedere ad uno scambio (questa volta PeerToPeer

-P2P) di files atti alla finalizzazione del testo trattamento. Questo è

quanto accade durante la lavorazione de La Memoria degli Ultimi, senza considerare l'intenso lavoro di preparazione effettuato direttamente con le sezioni provinciali delle ANPI al fine di condividere i documenti e le biografie dei partigiani protagonisti.

Nella pre-produzione di un film il percorso più comune è il seguente: mentre il produttore elabora un piano finanziario per individuare le fonti di finanziamento, l’aiuto regista e l’organizzatore sottopongono la sceneggiatura a un’operazione di spoglio. La lettura della sceneggiatura, dunque, come mezzo organizzativo. Ciò consente di stilare: da un lato un preventivo di massima delle spese, dall’altro un piano di lavorazione (un calendario dei tempi e dei luoghi delle riprese). Questa un'estrema sintesi di un percorso, nel suo dettaglio, in realtà, risulta ben più articolato. La condivisione dei primi documenti di produzioni, atti alla messa a fuoco collettiva del progetto in corso, è una buona prassi; attraverso l'upload dei documenti sulla piattaforma google, nell'apposito settore google

docs sarà possibile non solo lavorare con il proprio team in estrema

libertà e autonomia, ma permettere ai responsabili dei vari reparti di aggiornare schede tecniche, valutare i costi e i noleggi, in una logica di piena consapevolezza e sinergia.

Indubbiamente ogni scelta incide su quella successiva. Le fasi successive, di fatto, si articolano in attività di pre-produzione

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(organizzazione risorse, calendario riprese, amministrazione legale, definizione accordi con fornitori audio-video, ecc...) e attività da set (trasferte, gestione locations, riprese e coordinamento staff

artistico/tecnico, archiviazione e catalogazione “giornalieri”, ecc...). La scelta della troupe (che soddisfi non solo esigenze ma anche “priorità” e talvolta capricci del regista) ha conseguenze, dunque, anche sui disbrighi tecnici e la loro gestione. Quindi poter contare su collaboratori in linea con le politiche produttive, feviterà il crearsi di incomprensioni o peggio ancora rallentamenti durante le fasi di preparazione e lavorazione.

Indubbiamente la fase più delicata per un produttore è quella in cui si elabora, nel dettaglio, il piano di lavorazione, un documento articolato che deve far fronte alle innumerevoli esigenze tecniche -e non solo- dei reparti. Una tabella di marcia, dunque, a cui i vari responsabili di aree faranno riferimento nella fase transitoria da un lavoro prettamente di ufficio e di progettazione ad uno su campo. La redazione finale di questo documento è il risultato di numerosi passaggi, elaborazioni, correzioni e notifiche; gli interventi dei vari collaboratori, sotto l'attenta ed indispensabile supervisione del produttore, sintetizzano l'intesa attività prevista nel periodo di preparazione. Attraverso il Cloud Storage,

pertanto, è possibile catalogare ed approfondire i numerosi dati necessari al fine di effettuare una corretta valutazione preventiva dei costi di produzione; una buona catalogazione, previa sostituzione e aggiornamento costante dei dati, con relativi update, il monitoraggio delle date di aggiornamento files e il backup delle informazioni più sensibili, consentirà operazioni di coordinamento più rapide e controllate, garantendo la qualità dei servizi in fase di attivazione.

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E' fondamentale per un producer, dunque, definire al meglio le catene dei compiti, delle competenze e delle responsabilità nei reparti di riferimento, al fine di ottimizzare al meglio le soluzioni comuni e le interconnessioni tecnice che -inevitabilmente- si verranno a creare tra i vari gruppi.

Le caratteristiche tecniche e umane dei collaboratori e la gestione dei reparti al loro interno, risultano essere, talvolta, gli elementi determinaneti per la definizione della squadra ufficiale, poiché rappresentano la chiave per l'estrazione delle esigenze tecniche e produttive dalla sceneggiatura, dalla fase di scrittura all'elaborato finale. In fin dei conti se i collaboratori hanno un’idea chiara sulla meta, possono comprendere meglio in che modo ottimizzare il loro contributo ed essere, pertanto, molto più motivati a diventare attori proattivi lungo il cammino, desiderosi di supportarsi l’un l’altro (poiché responsabilizzati). Si rivela necessario, quindi, assicurarsi che ognuno abbia chiaro l’obiettivo del team e comprenda quale sia il cammino necessario da intraprendere per raggiungerlo. In una logica di condivisione, oltre tutto, si può suddividere ed articolare il lavoro in svariati modi; il conflitto, tuttavia, non deve necessariamente essere visto come motivo di dispiacere o sintomo di malessere collettivo ma come ulteriore stimolo affinché il produttore o un suo delegato organizzativo lavori alla definizione di un clima di fiducia e di rispetto in cui potersi confrontare liberamente, argomentare le proprie idee e manifestare il proprio dissenso. La cultura del team deve essere votata ad accogliere favorevolmente nuove idee e proposte, incoraggiare dibattiti costruttivi, e sempre governata da un senso di cooperazione e fiducia reciproca, nel rispetto dei ruoli stabiliti.

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In un articolo apparso su Management Today, la psicologa Sarah Lewis14

consiglia di stimolare il team a riconoscere e valorizzare i propri punti di forza. “Più siamo in grado di mettere le persone nelle condizioni di esprimere appieno i propri punti di forza nel lavoro, più queste sapranno auto-motivarsi,” sostiene. Attraverso questa analisi è possibile individuare le aree di intervento ottimali affinché i collaboratori possano lavorare al meglio. Nel cinema, come in qualsiasi altro settore, le persone desiderano affermarsi ed eccellere: offrire loro quindi le opportunità per farlo, accresce il grado di creatività e operosità del gruppo.

E' evidente che nel corso del tempo, ogni cinematografia ha stabilito una propria “modalità di produzione”, definendo, attraverso il coordinamento dei molteplici fattori progettuali, lo stretto e quanto mai determinante rapporto che intercorre tra struttura testuale e capacità economico-sociale. Non esiste pertanto un modo universale di fare cinema in Italia. Non esistono strategie predisposte che consentono di sfruttare i nuovi potenzi mezzi tecnologici o le svariate attività di gestione risorse umane ed economiche. Per ogni periodo storico-sociale corrisponde un verosimile sistema produttivo che ne rappresenta pregi e difetti; non va però perso di vista il grande potere che i nuovi media e la tecnologia (mobile e cloud) rappresentano per le piccole, medie e grandi (poche) imprese cinematgrafiche.

E' bene a tal proposito effettuare un breve approfondimento su una realtà che, attualmente in Italia, rappresenta l'eccellenza cinematografica, 14 Sarah Lewis is an author, curator and historian based in New York City. She received her

B.A. from Harvard University, where she was a member of Phi Beta Kappa and a Rhodes Scholar finalist. Awarded a Marshall Scholarship for graduate study in England, she received her M.Phil at Oxford University in economic and social history and her M.A. at the Courtauld Institute of Art. In March 2014, she will submit her doctoral dissertation, under contract with Harvard University Press, in completion of her PhD degree in the History of Art at Yale University. Entitled Black Sea, Black Atlantic: Frederick Douglass, The Circassian Beauties, and American Racial Formation in the Wake of the Civil War, the project received support from the Ford Foundation, the Beinecke Rare Book & Manuscript Library, and the Gilder Lehrman Center for the Study of Slavery, Resistance, & Abolition.

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esempio di management vincente su scala internazionale, sempre secondo la logica di definizione di un team e di impostazione dei parametri lavorativi stimolanti e vincenti.

Stiamo ovviamnete parlando della FANDANGO. L'azienda, fondata nel 1989 da Domenico Procacci, inizia come produzione cinematografica e si estende nel corso degli anni ad editoria (1998), musica (2001), web tv, radio web, distribuzione cinematografica (2000), gestione di Café letterari e sale cinematografiche.

Il panorama produttivo italiano si è andato modificando, come più volte ribadito in questo contesto, modellando le proprie tendenze verso una produzione di carattere più commerciale e generalista, puntando sull'acquisto dei canali televisivi. L'avvento delle televisione private poi -e qui parliamo di storia dei media italiani- ha ulteriormente minacciato alla radice il rapporto finanziamnto-qualità; la proporzione è semplice e fin troppo preoccupante: ad un incontrollabile mutamento delle abitudini di consumo si associa una crisi profonda dei contenuti.

Nonostante ciò la gestione aziendale di Procacci ha mantenuto fede alle logiche di qualità, preservando la formazione di professionisti che negli anni hanno saputo assicurare competenza e innovazione tecnico-stilistica..

Approfondendo la tematica legata al rapporto finanziamento-qualità, nonostante la leadership di Cecchi Gori, MEDUSA e delle Majors americane, che hanno profondamente segnato l'economia cinematografica nel ventennio '80-'90, in Italia -e sottolineamo ancora una volta questo concetto cardine- un considerevole numero di medio/piccole realtà produttive ha saputo ritagliarsi uno spazio dignitoso, baluardo di qualità e ricerca. Tra queste, di fatto, la FANDANGO rappresenta una delle più interessanti, dagli anni Novanta ad oggi,

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assicurandosi un posto nel panorama delle Società di eccellenza nostrane.

Nel 2001 il Prof. Domenico De Masi15, docente di Sociologia del Lavoro

presso l’Università “La Sapienza” di Roma, compie un approfondimento sul fenomeno FANDANGO, consapevole della forza che in essa racchiude. La ricerca del gruppo “Man on the moon” permette di mettere a fuoco un concetto quanto mai singolare e alla base di un processo di crescita e potenziamento culturale: la rilevanza del lavoro creativo nella comunicazione. Il modello FANDANGO ha riscosso enorme successo non per i suoi fini e obiettivi ma per il fattore umano su cui Procacci ha saputo investire; ciascuno, all’interno di questa factory, determina la creatività della casa di produzione e di conseguenza la qualità dei suoi prodotti, ergo i suoi risultati. Un forte senso di responsabilità operativa pervade la produzione e la distribuzione cinematografica, così come l’editoria e le edizioni musicali; ogni elemento riflette le istanze del

brand FANDANGO. Ogni linguaggio, ogni comunicazione adottata dal team rispecchia perfettamente i valori fondanti. Motivo per cui, il

modello FANDANGO si è posto come prototipo da imitare (talvolta una chimera) poiché ha dimostrato di essere una casa capace di creare una realtà di successo in Italia e nel mondo, al di fuori delle logiche commerciali, differenziandosi per l'originalità dei suoi schemi e per i suoi progetti produttivi.

Se consideriamo la complessità della gestione di una produzione cinematografica, a partire dai costi fissi -ad esempio- che non possono essere recuperati (detti sunk cost), possiamo farci un'idea dell'influenza 15 Domenico De Masi ha contribuito a elaborare e diffondere il paradigma post-industriale,

basato sull'idea che, a partire dalla metà Novecento, l'azione congiunta del progresso tecnologico, dello sviluppo organizzativo, della globalizzazione, dei mass media e della scolarizzazione di massa abbia prodotto un tipo nuovo di società centrata sulla produzione di informazioni, servizi, simboli, valori, estetica. Tutto ciò ha determinato nuovi assetti economici, nuove forme di lavoro e di tempo libero, nuovi valori, nuovi soggetti sociali e nuove forme di convivenza.

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che un buon team determina, a sua volta, sullo spirito del produttore. In questo la FANDANGO, in un ciclo di vent'anni, ha saputo distinguersi, anzitutto per la versatilità e peculiarità variegate dei suoi collaboratori, sia per le attività strettamente di carattere aziendale (gestione società, amministrazione, comunicazione, ecc...) sia per le numerose personalità autoriali che hanno girato sotto l'ala di Procacci.

Un altro fattore determinante, che approfondiremo nel paragrafo successivo, è da individuarsi nella costanza con cui, al produttore, è richiesta disposizione di liquidi; questo determina per le imprese italiane, tendenzialmente sotto capitalizzate, come già afforntato in questo contesto, numerose difficoltà, tali da doversi affidare a finanziatori terzi.

Le produzioni cinematografiche rappresentano per il territorio e le aree in cui opera, un motore di economia diretta, indiretta e indotta, in grado di generare guadagni immediati, in termini di spesa da parte della produzione durante la lavorazione del film, e guadagni mediati o indotti, in termini di notorietà, incremento positivo di immagine della destinazione e occupazione.

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2.3 Business planning e preventivi di spesa

Sempre più si delinea, in Italia, un quanto mai preoccupante scenario di instabilità e incoerenza economica in relazione allo sviluppo del settore cinematografico.

Al fine di meglio comprendere le dinamiche che sono strettamente correlate all'attività del producer, in relazione alle risorse economiche e relative conseguenze di carattere gestionale, ritengo sia necessario esplorare le molteplici reazioni del sistema cinematografico alla crisi economica e al taglio dei fondi pubblici; necessaria è, inoltre, l’analisi degli scenari economici, lo stato del mercato del lavoro e le politiche industriali adottate dai grandi player del settore. Come ci si orienta tra banche e Film Commission? In cosa consiste il product placement? Quali sono i benefici e i grandi limiti dei finanziamenti regionali?

Non è un caso che l’analisi del mercato prospetti una realtà produttiva fatta di luci e ombre. Da un lato i dati positivi dei film prodotti dal cinema italiano, in aumento costante negli ultimi 5 anni. Dall'altro l'evidente stasi del finanziamento pubblico: la maggioranza dei film prodotti, oltre il 65%, porta la firma del capitale privato, in netta contrapposizione a quelli prodotti con l’aiuto dei contributi statali (il più delle volte anche meno interessanti sotto molteplici aspetti).

Il Mercato e l’Industria del Cinema in Italia vive delicatissimi equilibri, strettamente connessi ai temi più critici del settore, ai suoi ritardi rispetto ad alcuni campioni stranieri, alle sproporzionate operazioni di botteghino che dovrebbero rilanciare il nostro mercato e ridare lustro e considerazione internazionale al cinema italiano e, invece, manifestano un disarticolato processo di decadimento.

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Non dobbiamo dimenticare che, tra i suoi grandi produttori, il cinema italiano annovera nomi del calibro di Franco Cristaldi, fondatore della Vides16.

“Chiunque produca spettacolo, in qualsiasi forma, ha obblighi precisi: essere capace di promuovere nuove idee; dimostrare credibilità professionale; pilotare un’azienda che è insieme industriale e culturale. La logica industriale spinge verso il prodotto meno rischioso, qual è appunto, apparentemente, quello che ha già avuto un collaudo positivo sul mercato. Ma è un’ottica sbagliata, perché non tiene conto del fatto che oggi la qualità paga moltissimo”.17

E come non citare un altro grande nome della produzione cinematografica italiana, Dino De Laurentis. Nelle sue riflessioni pubbliche non faceva mistero del proprio pragmatismo e del suo pensare in grande:

“Non credo negli estetismi e negli intellettualismi. Credo soltanto ai film che piacciono al pubblico. La mia idea di cinema? La realtà della vita arrotondata ad arte sotto forma di spettacolo. La mia filosofia è sempre stata: grandi storie, grandi script, grandi registi. Ma queste non sono necessariamente caratteristiche della produzione americana... anche qui si possono fare film capaci di girare il mondo”.18

16 La Vides Cinematografica è stata una compagnia di produzione e distribuzione

cinematografica italiana attiva dagli anni cinquanta agli anni ottanta, fondata nel 1946 da Franco Cristaldi. A partire dagli anni ottanta ha assunto il nome di Cristaldifilm. Nel 1996 gli eredi di Franco Cristaldi (deceduto nel 1992), Zeudi Araya e Massimo Cristaldi, hanno acquisito la Lux Film, creando così una delle più importanti library del cinema italiano, composta da più di 240 film.

17 Pensieri tratti da Quando un produttore è anche autore, intervista a cura di Maria Pia Fusco (in «Europacinema 89», Roma, 1989) e dal libro-intervista Le botteghe

dell’immaginarioa cura di Tonino Pinto, Roma, 1986.

18 La citazione è il risultato di due dichiarazioni distinte (nell’ordine): Intervista col produttore Dino De Laurentiis di Adelio Ferrero in «Cinespettacolo», (numero 3, marzo

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Non va -altresì- perso di vista un punto importante, necessario per definire meglio l'analisi della “rivoluzione delle produzioni indipendenti” e cioè il ritiro, per un numero considerevole, delle major dal mercato. Una crisi da un lato, una necessaria rinascita dall'altro. Il punto più acuto di criticità traspare in molteplici contesti ricamati in particolare attorno alla perdita di un fatturato delle holding estere (siamo intorno a cifre che sfiorano i 125 milioni di euro). Questo ci aiuta a meglio comprendere come le dinamiche di fatturati economici che regolamentano manovre ed investimenti a titolo istituzionale, dipendano -soprattutto- dalle attività che interessano direttamente le Società di produzione; si è come affievolito il focus -necessario invece- sul centro nevralgico dell'arte cinematografica, ossia sulle sue professioni essenziali. È un fenomeno che, oltre alla crisi endemica del canale home

video e all’evoluzione tecnologica del settore, va fatta risalire anche al

“buco” produttivo cumulato dalle major di Hollywood dopo la crisi finanziaria apertasi nel 2008 negli Stati Uniti. Il riflesso sul nostro paese è, seppur fioco, un punto necessario di rilancio e confronto strutturale di un sistema che è altrimenti destinato al crollo.

Qui va rinforzandosi la dimensione -ampiamente collaudata e radicata nel sistema produttivo- degli indipendenti, pronti a scardinare sistemi polverosi e ripartire da un concetto semplice quanto mai attuale: dal caos un nuovo ordine.

Lo dimostrano le continue novità tecnico/imprenditoriali, molto spesso sottilmente ancorate alla digital creativity e ai nuovi sistemi di condivisione -immediata- delle numerose tecniche di finanziamento “inconsuete” (risultato dello spirito della nuova generazione di imprenditoria cinematografica).

1949, Roma); Colloqui con i produttori italiani: Dino De Laurentiisin «Giornale dello Spettacolo», (numero 16, 12 maggio 2000, Roma).

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Di seguito alcuni dati essenziali estratti da RAPPORTO. Il Mercato e

l'Industria del Cinema in Italia, a cura de “La Fondazione Ente dello

Spettacolo”19.

Conti alla mano è evidente come il sistema, negli ultimi 5 anni, ha subito un ulteriore crollo: Sony Pictures Releasing Italia ha lasciato sul campo attività per quasi 20 milioni di euro (13 dei quali in ambito theatrical) con un passivo di 4 milioni. 20thCentury Fox ha registrato nel complesso minori ricavi per 43 milioni (addirittura 27 in questo caso i milioni in meno ascritti ai proventi delle sale) e ha pure avviato a liquidazione Fox Factory, la sua giovane unità aziendale dedicata alle produzioni cosiddette locali. Universal è la major che si è comportata meglio, con soli 2 milioni di mancati introiti rispetto all'anno precedente;

Warner Bros, al contempo, denuncia una perdita di fatturato pari a 37

milioni di euro; anche Walt Disney ha incrementato di quasi 50 milioni i proventi delle produzioni per il cinema e la televisione, ma quelli generati in Italia dagli studios cinematografici sono dimagriti di oltre 25 milioni.

E' evidente che questi numeri fanno girare la testa se consideriamo il panorama italiano in piena crisi. Esiste un indotto finanziario così profondo da poter contemplare, nonostante queste perdite milionarie, uno spiraglio per le altre categorie. Per quanto vitali siano, le risorse destinate alle nuove produzioni non pesano in misura preponderante sul fabbisogno complessivo del settore, poiché le attività di mercato esigono apporti finanziari a ogni livello, per lo sviluppo sia dei comparti della distribuzione e dell’esercizio sia dei tanti canali di diffusione. Senza dimenticare i segmenti che si affiancano alla produzione filmica – con decine di documentari, centinaia di cortometraggi e opere d’animazione, e le programmazioni collaterali di cine-circoli e cineforum – il volume di 19 RAPPORTO. Il Mercato e l'Industria del Cinema in Italia, a cura di Area Studi

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attività si estende all’organizzazione delle innumerevoli manifestazioni di promozione del prodotto cinematografico programmate ogni anno (ad esempio con oltre 280 tra festival e rassegne) così come alla capacità operativa delle tante strutture e realtà di servizio che supportano l’intera filiera industriale e commerciale del film italiano. Anche per questo, se il cinema nazionale punta a una maggiore competitività e a un’ulteriore crescita, l’attenzione alle risorse finanziarie da investire non va posta sulla sola produzione, bensì rivolta in tutte le direzioni.

Ciò cui vanno (andiamo) incontro le giovani realtà imprenditoriali italiane, talvolta sfuggevoli alla pianificazione statale, è un aumento considerevole del fattore rischio. Mi spiego meglio. Tutti i metodi di valutazione del rischio utilizzati per le imprese industriali e di servizi sono ritenuti tecnicamente inutili quando si parla di aziende di cinema, data la peculiarità del mercato di riferimento: la domanda di prodotti filmici è assolutamente casuale e non concede affidabilità di sorta alle previsioni in termini di diffusione e ricavi.20

Ed è proprio nel tentativo di “coprirsi” almeno in parte da tali rischi che le compagnie cinematografiche, in particolar modo le indipendenti (in assoluto soggette a più rischi), hanno messo in campo alcune strategie di riduzione e ripartizione divenute con il tempo, tratto distintivo e costante della loro politica industriale. Nonostante le scelte di prevenzione pianificate, l’elevato coefficiente di rischiosità -insito nell’industria cinematografica- insiste nel condizionamento del mercato dei capitali e di quanti vi operano quali prestatori di prima istanza, soprattutto nei rami più autonomi e indipendenti. E quando si restringe il novero dei potenziali fornitori di cash, si riducono anche la disponibilità di opzioni

20 Carlo Boschetti, Risorse e strategie d’impresa. Il caso delle imprese cinematografiche, il

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di ricorso al credito, l’entità delle risorse complessive destinate al settore, l’importo dei budget stessi messi al servizio dei cineasti.21

Tutte le attività di cinema, al di là dei contenuti artistici e culturali che le possono connotare, sono attività di business. Il primo dei canali d’alimentazione comune a tutte le iniziative d’impresa è in effetti la disponibilità di risorse autonome, costituite dai valori patrimoniali degli operatori. In carenza di quelle interne, non resta che ricorrere alle cosiddette risorse esterne. A parziale ed eventuale integrazione può concorrere, ad esempio, l’apporto costituito dalle agevolazioni pubbliche e indirizzato a tutti i comparti.

Resta tuttavia sottostante alla cronica “fame di risorse” del cinema il problema di fondo: la generazione di mezzi propri. Il salto di qualità, determinante per la stabilità e la solidità finanziarie dell’industria filmica italiana, in linea con le cinematografie più evolute, rimane in sostanza ancorato alla creazione degli stock di capitale da destinare alla crescita operativa e allo sviluppo di nuovi progetti. E' chiaro che ad ogni imprenditore od operatore finanziario, in relazione a questo obiettivo, risultano cruciali, prima ancora dei contributi esterni, proprio i valori patrimoniali e gli asset societari22. In questa direzione restano tuttavia

ancora molti passi da compiere. Lo dimostra il crescente tratto distintivo delle produzioni indipendenti, il loro far fronte a queste esigenze di

business; risulta, pertanto, naturale escogitare nuovi modelli di spesa

(capitalizzazioni e investimenti, risorse immediate, ecc..), ben oltre la ormai consolidata azione del crowdfunding, che possano innescare il

21 Paolo Boccardelli, Strategie e modelli di business nell’industria del video entertainment,

il Mulino, Bologna 2008, p. 293

22 Asset è un termine inglese traducibile in italiano con il termine cespite, o anche con

attività (reale, materiale o immateriale, oppure finanziaria). Il termine è usato per indicare i valori materiali e immateriali facenti capo ad una proprietà. Nello stato patrimoniale coincidono con le attività.

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motore produttivo: Esistono svariate attività che, contemporaneamente, un producer può condurre (investment stages23):

Finanziamenti privati, detti seed, il seme di una prima fase di raccolta fondi;

 Ricerca sponsor territoriali (a seconda di un progetto spendibili in termini di “territorialità”, quindi facendo leva al campanilismo di alcuni imprenditori locali audaci).

 Sviluppo e progettualità bandi pubblici -agevolazioni previste a carattere comunale, provinciale, regionale, nazionale ed internazionale- che interessino stanziamenti privati di fondazioni e banche oppure siano ministeriali; ancor meglio se elaborati in relazioni a specifici requisiti dei bandi, manifestando un ulteriore capacità di adattare un progetto audiovisivo a seconda delle prerogative del concorso. Questi rientrano nella categoria dei

Finanziamenti ordinari.

Individuazione dei cosiddetti angel capitalist24 desiderosi di investire il loro denaro in start up; le statistiche indicano un rapporto abbastanza alto (1/15) tra la possibilità di farsi finanziare da una società di venture capital25 e quella di ottenere un

investimento da un angel capitalist. Sta dunque al producer 23 Fasi di investimento

24 Un angel investor o business angel è un investitore informale nel capitale di rischio di

imprese. L'aggettivo "informale" contrappone tale figura agli investitori nel capitale di rischio di tipo "formale", ossia coloro che adottano un approccio di analisi formale agli investimenti nell'equity, quali i fondi d'investimento chiusi, più propriamente i fondi di

venture capital e private equity.

25 Il venture capital è l'apporto di capitale di rischio da parte di un investitore per finanziare

l'avvio o la crescita di un'attività in settori ad elevato potenziale di sviluppo. Un fondo di

venture capital investe principalmente in capitale finanziario nelle imprese che sono troppo

rischiose per i mercati dei capitali standard o dei prestiti bancari. Spesso lo stesso nome è dato ai fondi creati appositamente, mentre i soggetti che effettuano queste operazioni sono detti venture capitalist. Nella maggioranza dei casi, i fondi necessari sono erogati da limited

partnership o holding in aziende che per natura della attività e stadio di sviluppo non

risultano finanziabili dai tradizionali intermediari finanziari (come ad esempio le banche). Il

venture capital è dunque una categoria che raggruppa tutte le categorie di investimenti in

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elaborare una strategia vincente affinché un angel capitalist decida di investire i propri capitali nell'idea di business proposta.

 Coinvolgimento diretto dei fornitori e di agenzie di servizi (laboratori, noleggio attrezzature, ..) per far fronte alle spese vive previste dal piano economico.

2.3.1. Le nuove frontiere

Come accennato prima, la manovra del fundraising rappresenta una risorsa a disposizione delle società di produzione; ampiamente approfondita negli anni, studiata, sviscerata e accessibile ad una grande fetta di operatori, non strettamente connessa al mondo della produzione cinematografica (seppur ampiamente sfruttata), conta di molteplici e complesse manovre. Tra queste operazioni il direct marketing che consiste nell'invio di lettere/email ad un fitto elenco di donatori o potenziali tali; stiamo dunque parlando di fundraising online, diffuso in Inghilterra e negli USA, potente grazie alla rete dei social network, quindi al potenziamento dello scambio di nuove idee, opportunità e di processi di innovazione, oltre che alla maggiore confidenza da parte dei suoi utenti con i pagamenti online. Inoltre una delle modalità più diffuse del fundraising online consiste nel creare specifiche piattaforme web per la raccolta dei fondi, connettendo direttamente il benefattore con il beneficiario.

Per non perdersi nella nozionistica è bene precisare che dal fundraising si delineano le molteplici iniziative specifiche, come il crowdfunding, processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio

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denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone e organizzazioni; è una pratica di micro-finanziamento dal basso che mobilita persone e risorse. Il termine trae la propria origine dal crowdsourcing, processo di sviluppo collettivo di un prodotto che, negli ultimi anni, sempre più spesso è stato invocato come una sorta di panacea per tutti i mali e un'àncora di salvezza per le economie colpite dalla crisi finanziaria. Naturalmente questo sistema non può essere realisticamente la panacea di tutti i mali, né può sostituirsi indiscriminatamente ad una società di produzione, ma si manifesta quale opzione valida per chi non voglia trascorrere i pomeriggi davanti ad un telefono che non suona. In America il crowdfunding è una realtà già da molti anni e contribuisce al finanziamento di decine di pilot tv, serie per il web e film per il cinema. Non ultimo Pariah, vincitore tra gli altri anche del prestigioso Sundance

Festival. Si è oramai perso il conto dei progetti cinematografici nati e

portati a termine grazie a questo processo di finanziamento: The Iran

Job (regia di Till Schauder, prodotto da Sara Nodjoumi), Keep the Lights On (regia di Ira Sachs, prodotto da Tiny Dancer Films), Room 237 (regia

di Rodney Ascher, prodotto da Tim Kirk) e Tchoupitoulas (regia di Turner Ross, prodotto da Court 13 Pictures ed Epic Match Media). Per non parlare di Veronica Mars con i suoi 91 mila sostenitori in tutto il mondo, valso al gruppo di produzione la bellezza di 5 milioni e 700 mila dollari raccolti in soli due mesi; la pellicola, diretta dall'ideatore della serie Rob Thomas, con l'aggiunta di qualche piacevole sorpresa attoriale (tra i quali James Franco), è stata distribuita da Warner Bros. Numeri che fanno girare la testa agli scettici e ai vecchi -patetici- tradizionalisti26.

Questi alcuni tra i titoli che hanno letteralmente stravolto il sistema finanziario della grande Hollywood, rendendo possibile un cinema nuovo e l'impiego di nuovi flussi di capitali.

26 Paolo Boccardelli, Strategie e modelli di business nell’industria del video entertainment,

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Corrispondendo al fabbisogno finanziario degli operatori per mantenersi competitivi, le risorse ricavate da iniziative come il crowdfunding ed impiegate nelle nuove produzioni e coproduzioni, finiscono per esprimere e rappresentare soprattutto la vitalità del cinema italiano.

E' possibile, pertanto, proporre un progetto cinematografico e raccogliere collaboratori per indurre uno sviluppo economico; proporsi come professionista per partecipare a un progetto; selezionare sceneggiature, investire piccole e grandi quote per la loro realizzazione, seguire tutte le fasi della produzione post-produzione e distribuzione del film fino alla post-distribuzione; guardare film di qualità, scovare e proporre dei film da distribuire, raccogliendo consensi affinché vengano effettivamente distribuiti. Produzioni dal basso (www.produzionidalbasso.it) è stata la prima piattaforma per le donazioni nel settore cinematografico; esistente dal 2005 e ha al suo attivo diversi progetti passati dal “regno astratto delle idee” a quello della messa in scena. I risultati sono notevoli: film indipendenti che hanno raggiunto budget compresi tra i 20.000 ed i 150.000 euro. Questa piattaforma, a fronte dei suddetti risultati, rappresenta una opportunità concreta per i film maker indipendenti e intraprendenti. La modalità attraverso cui è possibile usufruire di questo innovativo sistema è, come ogni servizio utile e in linea con i tempi, semplice, intuitiva e rapida. Attraverso una “prenotazione” è possibile effettuare il pagamento della propria quota di partecipazione, ma solo ed esclusivamente al raggiungimento della soglia minima prestabilita in partenza, a garanzia della copertura di spese. Questo metodo consente una connessione diretta tra l'utente beneficiario (società di produzioni o singoli filmmakers) e il donatore benefit; non è previsto un sistema di pagamento integrato nel sito, le transazioni avvengono secondo modalità impostate dal proponente e che comunicherà solo ad avvenuto raggiungimento della soglia minima di cui sopra.

Riferimenti

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