Riassunto analitico
L'obesità rappresenta un rilevante problema di salute pubblica, considerata la sua
crescente prevalenza nel mondo, tanto da meritare la definizione di "epidemia". Ad
essa è stato riconosciuto un ruolo nell'aumento del rischio di sviluppare molteplici
quadri morbosi, tra cui malattie metaboliche, malattie cardiovascolari e respiratorie.
L'obesità contribuisce anche allo sviluppo e alla progressione della malattia renale
cronica (chronic kidney disease, CKD), non solo indirettamente, attraverso gli effetti
deleteri operati sulla funzione renale dalla ipertensione arteriosa e dal diabete, che
comunemente si associano a questa condizione, ma anche direttamente, con lo
sviluppo di un quadro istopatologico renale peculiare dell'obesità, definito obesity
related glomerulopathy (ORG), la cui più precoce manifestazione clinica si identifica
con la microalbuminuria. I principali meccanismi fisiopatologici della ORG
consistono in alterazioni dell'emodinamica glomerulare e negli effetti, a livello
glomerulare, di adipochine pro-infiammatorie secrete dal tessuto adiposo, che,
nell'obesità, diventa bersaglio di una flogosi cronica di basso grado. Un rapido
declino della velocità di filtrazione glomerulare (glomerular filtration rate, GFR),
anche qualora non sia tale da superare la soglia per la definizione di CKD (60
ml/min/1.73 m²), è riconosciuto come potente determinante di rischio
pertanto, nella pratica clinica, allo scopo di meglio definire il profilo di rischio renale e cardiovascolare individuale, occorre effettuare un'accurata valutazione della funzione renale. Le formule matematiche usate comunemente per stimare la funzione renale nei soggetti normali dimostrano di essere gravate da alcune limitazioni quando applicate ai pazienti con obesità severa e questo è comprensibile, anche considerando che il peso corporeo è un componente di alcune di queste formule. Ne consegue, quindi, la necessità di valutare l'affidabilità dell'eGFR (GFR stimato) negli individui con obesità severa, attraverso la sua comparazione con il GFR misurato (mGFR). Per rispondere a questa necessità e per fornire una completa caratterizzazione della funzione renale, nonché della sua relazione con l'emodinamica, in soggetti con obesità severa non diabetici, abbiamo reclutato 50 pazienti con obesità patologica (BMI >40 Kg/ m²), afferenti alla sezione di Medicina Metabolica del nostro ospedale negli anni 2013-2014. I criteri di esclusione sono stati: età superiore ai 60 anni, presenza di diabete (escluso mediante OGTT standard), ipertensione arteriosa essenziale o secondaria, qualsiasi malattia infiammatoria sistemica, livelli di creatinina sierica superiori al range di normalità e presenza di micro o macroalbuminuria (esclusa attraverso valutazione su campione da raccolta delle urine delle 24 ore). Abbiamo misurato la velocità di filtrazione glomerulare (mGFR) con la clearance plasmatica dello ioexolo, il flusso plasmatico renale con
vasodilatazione endotelio-dipendente ed indipendente dell'arteria brachiale (FMD) e la velocità dell'onda di polso carotido-femorale (PWV); è stato determinato anche un dettagliato profilo ormonale (cortisolo, ACTH, GH, PTH). Dai risultati dello studio emergono alcune importanti novità, che sono qui riassunte. In primo luogo, possiamo affermare che, tra le formule comunemente usate per stimare il GFR, la CKD-EPI mostra la migliore performance quando confrontata con le misurazioni reali del GFR in individui con obesità patologica e funzione renale conservata, in assenza di comorbidità metaboliche. Inoltre, l'incremento dei livelli di glucosio durante OGTT correla con l'iperfiltrazione glomerulare, e il flusso plasmatico renale ed il diametro longitudinale renale sono determinanti indipendenti di mGFR. Infine, nell'obesità severa si osserva un pattern ormonale caratterizzato da valori relativamente bassi di GH e relativamente alti di PTH, come determinante principale del GFR reale.
Abstract
Obesity is a significant issue in public health, because of its increasing prevalence in the world; indeed, it is named "epidemic". It is recognized to play a role in the increased risk to develop several diseases, i.e. metabolic, cardiovascular and respiratory diseases. Furthermore, obesity plays a relevant role in the development and progression of chronic kidney disease (CKD), both directly, through hypertension and diabetes, generally associated with this condition, and indirectly, through the development of a cluster of renal histopathological lesions typical of obesity, named obesity related glomerulopathy (ORG), whose earlier clinical feature is microalbuminuria. Main pathophysiological mechanisms of ORG are the abnormalities of glomerular hemodynamics and the effects, on the glomerulus, of pro-inflammatory adipokines secreted by adipose tissue, which, in obesity, becomes a target of a chronic low degree inflammation. A fast glomerular filtration rate (GFR) decline, even remaining above the usual threshold defining CKD (60 ml/min/1.73 m²), is recognized as a powerful determinant of an increased cardiovascular (CV)
risk in the general population and in high risk individuals; therefore, an accurate assessment of renal function is strongly recommended in the clinical practice, to better define the individual renal and CV risk profile. Mathematical formulae usually employed to estimate renal function in normal individuals have shown some limitations, when they are used in severely obese individuals; this is somehow
expected, being body weight a component of some of these formulae. Therefore, it is necessary to assess the reliability of estimated GFR (eGFR) in severely obese
individuals, through a comparison between eGFR and measured GFR (mGFR). To
meet this need and to provide a complete characterization of renal function and its
relation with hemodynamics in severely obese non diabetic individuals, we have
recruited 50 patients with morbid obesity (BMI >40 Kg/m²), referring to the section
of Metabolic Medicine in our hospital in the years 2013- 2014. Exclusion criteria
were: age above 60 years, presence of diabetes (excluded by a standard OGTT),
essential hypertension or any systemic inflammatory disease, serum creatinine above
the normal range, presence of micro or macroalbuminuria (excluded by a 24h urine
collection). We measured glomerular filtration rate (mGFR) by iohexol plasma
clearance and renal plasma flow by ¹²³I-ortho-iodo-hippurate, basal and stimulated
vascular renal indices (RRI and DRIN), endothelium-dependent and independent
vasodilation in the brachial artery (FMD) and pulse wave velocity (PWV); a detailed
hormonal profile (cortisol, ACTH, GH, PTH) was also determined. From results of
the present study we can deduce important novelties: a) we can assert that, among
formulae commonly used for estimating GFR, CKD-EPI shows the best performance
when compared to true GFR measurements in morbidly obese individuals with
preserved renal function and no metabolic comorbidities; b) glucose levels
and renal diameter are independent determinants of mGFR; d) in severe obesity, a
hormonal pattern characterized by relatively low GH and relatively high PTH values
PARTE PRIMA
Introduzione
Definizione di obesità
L'obesità è definita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come una
condizione cronica caratterizzata da un eccessivo peso corporeo per accumulo di
tessuto adiposo in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute.
Essa deve quindi essere identificata con l'eccesso di tessuto adiposo e non
semplicemente con l'aumento di peso corporeo, il quale può dipendere anche da altri
fattori, come lo sviluppo muscolare (come accade in individui magri ma molto
muscolosi). Infatti i fattori maggiormente correlati al rischio di morbilità e mortalità
associate a questa condizione sono il grasso corporeo totale e la sua distribuzione.
Come evidenziato dalla definizione dell'OMS, infatti, l'eccesso di tessuto adiposo
influisce negativamente sullo stato di salute, in quanto risulta associato a
complicanze mediche (diabete di tipo 2, ipertensione arteriosa, malattie
cardiovascolari e respiratorie, malattia renale cronica, cancro), psicologiche e, più estensivamente, ad un peggioramento della qualità di vita, determinando un aumento
del 50-100% del rischio di morte (rispetto ai soggetti normopeso) per tutte le cause,
in particolar modo per quelle cardiovascolari. Quindi, da un punto di vista clinico, è
dell'obesità.
Metodi di quantificazione del grasso corporeo
Esistono diversi metodi disponibili per quantificare l'obesità1:
•
antropometria o plicometria: misura lo spessore delle pliche cutanee (grasso sottocutaneo) in quattro sedi diverse (bicipite, tricipite, zona sottoscapolare esoprailiaca). Si tratta di un metodo semplice, ma poco accurato
•
bioimpedenziometria (Bioelectrical Impedance Analysis, BIA): misura indirettamente la massa grassa, in base al principio secondo cui essa è un peggiorconduttore di corrente rispetto alla massa magra. La quantificazione del grasso
corporeo si ottiene misurando la resistenza al passaggio di una corrente debole (impedenza) applicata alle estremità del corpo. Sebbene presenti basso costo e facilità di esecuzione, è poco accurata nell'obesità grave
•
dual-photon-X ray absorptiometry (DEXA, assorbimento a doppio fotone): consente, attraverso una minima irradiazione, una misura diretta e accurata di massagrassa e massa magra. Non è in grado, tuttavia, di distinguere il grasso viscerale da
quello sottocutaneo. Altro svantaggio è rappresentato dal costo elevato. Non
utilizzabile in ambito clinico
grasso viscerale e sottocutaneo. Presenta alcuni svantaggi, quali l'esposizione del
paziente alle radiazioni ionizzanti e l'elevato costo. Per questi motivi il suo utilizzo è
riservato a precisi scopi di ricerca clinica
•
risonanza magnetica (RM): consente la quantificazione, a livello addominale, del grasso viscerale e sottocutaneo. Non comporta rischi, ma presenta tempi maggiori diesecuzione rispetto a quelli necessari per la TC. È molto costosa. Non viene
comunemente utilizzata in ambito clinico
•
Indice di Massa Corporea o body mass index (BMI), che si ottiene dal rapporto fra peso (espresso in Kg) ed il quadrato dell'altezza (espressa in metri) (Kg/m²). In baseai valori di BMI, l'OMS ha diversificato il sovrappeso dalle forme conclamate di
Classificazione
BMI (kg/m²)
Sottopeso <18.50 Normopeso 18.50-24.99 Sovrappeso 25.00-29.99 Obesità ≥30.00 Obesità di classe I 30.00-34.99 Obesità di classe II 35.00-39.99 Obesità di classe III ≥ 40.00Tabella 1. Classificazione internazionale di sottopeso, sovrappeso ed obesità, in base al BMI. Tratta e
modificata da World Health Organization. Body mass index classification. Http:// apps.who.int/bmi/index.jsp?introPage=intro_3.html (accesso 11 Ottobre 2015).
I valori di BMI sono età-dipendenti: quelli citati si riferiscono alla popolazione
adulta di età superiore ai 18 anni. Essi sono inoltre uguali nei due sessi, anche se, a
parità di BMI, le donne hanno più grasso corporeo degli uomini. Non essendo una
misura diretta di adiposità, questo indice presenta alcuni limiti. Infatti, poiché è calcolato in base al peso corporeo, il BMI può sovrastimare il grasso corporeo nei
soggetti con ipertrofia muscolare come gli atleti e, d'altra parte, sottostimarlo negli
grado di distinguere tra massa grassa e massa magra2. Nonostante ciò, il BMI rappresenta il metodo più utilizzato in ambito clinico per valutare il grado di
sovrappeso o obesità, soprattutto perché ben correla con il rischio di morbilità e
mortalità; inoltre numerosi studi epidemiologici suggeriscono come la morbilità per
tutte le cause, metaboliche e cardiovascolari, inizi ad aumentare già per valori di
BMI uguali o superiori a 25 Kg/m². Quindi, sebbene la condizione associata ad un
BMI compreso tra 25 e 30 Kg/m² non soddisfi il criterio diagnostico per la
definizione di obesità propriamente detta, necessita comunque di attenzione dal
punto di vista clinico, in particolare qualora siano presenti anche fattori di rischio su
cui l'adiposità influisce, quali ipertensione arteriosa e ridotta tolleranza al glucosio. Se è nota l'associazione tra obesità e incremento di morbilità e mortalità, altrettanto
noto è anche che l'entità di questo rischio differisce a seconda della distribuzione del tessuto adiposo nell'organismo3. Possiamo infatti distinguere un'obesità addominale o viscerale o androide (caratterizzata da una distribuzione del tessuto adiposo a
livello addominale-viscerale) e un'obesità gluteo-femorale o periferica o ginoide
(caratterizzata invece da una localizzazione del grasso a livello gluteo-femorale).
L'obesità viscerale è associata ad un rischio maggiore di sviluppare malattie
cardiovascolari, diabete, ipertensione e cancro. Tale incremento del rischio dipende
verosimilmente da una maggiore attività lipolitica degli adipociti viscerali, con
lipidi al fegato, con rilevanti effetti negativi sul metabolismo. Diventa dunque
fondamentale, nel corso della valutazione clinica, affrontare anche questo aspetto e
ciò è possibile attraverso la misurazione della circonferenza della vita, espressione
indiretta della quantità di grasso addominale. Essa viene misurata sulla linea
ombelicale al di sopra della cresta iliaca. La International Diabetes Federation ha stabilito dei valori soglia, al di sopra dei quali aumenta il rischio di diabete e malattie
cardiovascolari, differenziandoli poi ulteriormente in base ai diversi gruppi etnici: per gli Europei, la circonferenza vita è 94 cm negli uomini, 80 cm nelle donne. In
questo modo possiamo parlare di obesità viscerale in presenza di una circonferenza
vita ≥ 102 cm negli uomini e ≥ 88 cm nella donna. È chiaro allora che, in accordo
con i criteri stabiliti nel 1998 dal National Institute of Health di Bethesda (USA), che
ha classificato il rischio legato all'obesità sia in base al BMI che in base alla
circonferenza vita, anche la stessa condizione di sovrappeso (BMI tra 25 e 30 Kg/m²)
o l'obesità moderata (BMI tra 30 e 35 Kg/m²) possono comportare un rischio elevato
di morbilità e di mortalità, qualora coesista un'obesità viscerale, specialmente se sono
presenti anche altre comorbidità quali ad esempio diabete, ipertensione arteriosa, iperlipidemia.
Epidemiologia
Gli effetti negativi dell'obesità sullo stato di salute hanno contribuito negli anni a
rendere questa condizione un rilevante problema di salute pubblica. Se consideriamo
anche il fatto che la sua prevalenza è in progressivo aumento a livello mondiale, sia
nei paesi occidentali, industrializzati, che in quelli a rapido sviluppo
come la Cina, non solo nei soggetti adulti, ma in tutte le fasce d'età, risulta evidente
quanto sia adeguato il termine di "epidemia" con cui viene a volte definita l'obesità
(Figura 1; Figura 2).
Figura 1. Prevalenza dell'obesità (standardizzata per età) negli uomini di età
kg/m²); OMS 2014.
Gli effetti negativi dell'obesità sullo stato di salute hanno contribuito negli anni a
rendere questa condizione un rilevante problema di salute pubblica. Se consideriamo
anche il fatto che la sua prevalenza è in progressivo aumento a livello mondiale, sia
industrializzati, che in quelli a rapido sviluppo
e la Cina, non solo nei soggetti adulti, ma in tutte le fasce d'età, risulta evidente
quanto sia adeguato il termine di "epidemia" con cui viene a volte definita l'obesità
Prevalenza dell'obesità (standardizzata per età) negli uomini di età ≥ 18 anni (BMI
Gli effetti negativi dell'obesità sullo stato di salute hanno contribuito negli anni a
rendere questa condizione un rilevante problema di salute pubblica. Se consideriamo
anche il fatto che la sua prevalenza è in progressivo aumento a livello mondiale, sia
industrializzati, che in quelli a rapido sviluppo economico e la Cina, non solo nei soggetti adulti, ma in tutte le fasce d'età, risulta evidente
quanto sia adeguato il termine di "epidemia" con cui viene a volte definita l'obesità
Figura 2. Prevalenza dell'obesità (standardizzata per età) nelle donne di età ≥ 18 anni (BMI ≥30
kg/m²); OMS 2014.
Secondo le stime del Global Burden of Disease Study, nel 2013 la popolazione
sovrappeso od obesa nel mondo ammontava al 36% tra gli uomini e al 37% tra le
donne. Globalmente questa epidemia coinvolge sia i paesi sviluppati che quelli in via
di sviluppo, sia uomini che donne, e non risparmia la popolazione pediatrica, sebbene
sussistano differenze di prevalenza tra regioni o paesi4. Se consideriamo che l'obesità è associata ad ipertensione arteriosa, diabete di tipo 2 e dislipidemia, i classici fattori
di rischio per lo sviluppo delle malattie cardiovascolari, risulta chiaro come la
crescente prevalenza dell'obesità conduca anche ad un parallelo incremento della
prevalenza delle malattie cardiovascolari stesse. Una importante review5
ha
analizzato l'andamento della prevalenza di sovrappeso ed obesità in ogni paese
Mediterraneo orientale, Sud Est Asiatico, Pacifico occidentale ed Europa) (Figura
3), attraverso la raccolta di dati tratti, nel mese di luglio 2014, dal Global Health Observatory Data Repository dell'OMS. Per le analisi, i ricercatori si sono serviti dei
dati disponibili più recenti (2008). Sono state preferite stime standardizzate in base
all'età, in modo tale che fosse possibile un corretto confronto tra paesi e regioni. È
stato esaminato anche il trend a 10 anni (2000-2009) del BMI medio in 24 paesi
selezionati (4 da ciascuna regione) appositamente dai ricercatori, in virtù del fatto
che essi costituiscono i paesi con popolazione più numerosa in ciascuna regione. Da
questo lavoro è emerso che, in accordo con le stime dell'OMS, più di un terzo
(34.5%) degli adulti nel mondo, di età ≥ 20 anni, era sovrappeso od obeso nel 2008,
con una lieve preponderanza nella popolazione femminile (35.1%) rispetto a quella
maschile (33.8%). Questi valori, tuttavia, mostrano una evidente variabilità, quando
vengano analizzati separatamente per le 6 regioni designate dall'OMS. Infatti, in
America, Europa e Mediterraneo orientale si osserva la più alta proporzione di adulti
sovrappeso/obesi, rispettivamente del 61.1%, 54.8% e 46%. In Europa (a differenza
di quanto si osserva nel resto del mondo) la prevalenza di sovrappeso/obesità sembra
riguardare maggiormente i maschi rispetto alle femmine. Per quanto riguarda le
stime di prevalenza concernenti esclusivamente l'obesità, nel 2008
approssimativamente il 12% della popolazione mondiale adulta era obesa. Le tre
Mediterraneo orientale, con prevalenza rispettivamente del 26.7%, 21.9% e 18.7%.
Dall'analisi del trend di incremento del BMI medio nel periodo 2000-2009 è emerso
come questo indice antropometrico tendesse ad aumentare in quasi tutti i paesi. Nei
paesi con più basso o medio reddito, le donne tendevano a mostrare valori di BMI
medio maggiori rispetto a quelli degli uomini; osservazioni opposte sono emerse nei
paesi a reddito elevato.
Figura 3. Grafici a barre che mostrano la prevalenza di sovrappeso/obesità (BMI ≥25 kg/m²), A) ed
obesità (BMI ≥30 kg/m²), B) tra adulti di età ≥20 anni nelle 6 regioni dell'OMS del mondo nel 2008. Blu: uomini; rosso: donne; verde: totale. Tutte le stime sono standardizzate per l'età. Tratta da Yatsuya H, Li Y, Hilawe EH, Ota A, Wang C, Chiang C, et al. Global trend in overweight and obesity and its association with cardiovascular disease incidence.Circ J. 2014; 78(12): 2807-18.
Etiopatogenesi
L'obesità è una patologia multifattoriale che origina dallo squilibrio tra l'apporto
calorico e la spesa energetica. Se questo rappresenta il meccanismo fisiopatologico
comune, in base all'etiologia l'obesità può essere classificata in due forme: primaria e
secondaria.
Mentre l'obesità secondaria è rara e consegue fondamentalmente a preesistenti patologie endocrinologiche (quali ipercortisolismo, deficit di GH, traumi o lesioni
della regione ipotalamica, insulinoma), molto più frequente è sicuramente l'obesità
primaria. Quest'ultima, a sua volta, comprende innanzi tutto una esigua percentuale
di casi riconducibili ad alterazioni di specifici geni che presiedono alla regolazione
dell'introito di cibo e della spesa energetica (come i geni che codificano per leptina,
recettore della leptina, proopiomelanocortina, pro-ormone-convertasi) e in cui
l'obesità, peraltro moderata o severa, rappresenta solo una delle manifestazioni,
poiché fa parte di sindromi complesse che insorgono durante l'infanzia e che
comprendono anche ipogonadismo, polidattilia, ritardo mentale etc (fra queste
ricordiamo la sindrome di Prader-Willi e la sindrome di
Laurence-Moon-Biedl-Bardet). La maggior parte di casi con obesità primaria, quindi la forma più comune
in assoluto di obesità, è invece poligenica, in quanto alla sua insorgenza
nell'apporto di cibo. Occorre tuttavia precisare che la rilevanza dell'effetto di tali geni
sulla etiologia dell'obesità deve essere considerata in termini di predisposizione genetica; perché la malattia si manifesti clinicamente è indispensabile anche il
contributo di diversi fattori ambientali.
La predisposizione genetica all'obesità è stata spiegata con la teoria del genotipo
risparmiatore6, secondo cui, nel corso dell'evoluzione della specie umana, sarebbero stati avvantaggiati i soggetti in grado di accumulare tessuto adiposo e con un
dispendio energetico minore, aspetti che fossero quindi in grado di permettere loro la
sopravvivenza in periodi di carestia. Tale predisposizione genetica è associata ad una
serie di polimorfismi di alcuni geni, tra cui ad esempio ADRB3, che codifica per il
recettore β3 adrenergico, espresso nel tessuto adiposo bruno e coinvolto, in risposta
alla stimolazione adrenergica e noradrenergica, nella regolazione della termogenesi e
della lipolisi e, in ultima analisi, del dispendio energetico.
Il ruolo dei geni è avvalorato da numerose osservazioni: esiste una maggiore
frequenza di questa condizione all'interno di individui appartenenti allo stesso gruppo
familiare; i figli adottivi assomigliano ai genitori biologici più che a quelli adottivi per quanto riguarda l'obesità; gemelli monozigoti hanno BMI molto simili, non solo qualora siano stati cresciuti insieme, ma anche separatamente; inoltre i BMI di
gemelli monozigoti sono molto più fortemente correlati tra loro di quanto non lo
simile a quella dell'altezza, anche se generalmente non si tratta di una ereditarietà di
tipo mendeliano. Possiamo quindi dedurne che il ruolo dei geni è indiscusso, e
sembra influire sia sull'apporto che sul dispendio energetico; tuttavia è sufficiente a
spiegare la complessa etiopatogenesi dell'obesità, e sul substrato genetico specifico
di ciascun individuo devono innestarsi i fattori ambientali. Il ruolo di questi ultimi
emerge da una serie di osservazioni: innanzi tutto, il così breve periodo di tempo
durante il quale recentemente abbiamo assistito all'incremento della prevalenza
dell'obesità negli USA non sarebbe sufficiente a consentire delle modificazioni del
patrimonio genetico; inoltre anche soggetti geneticamente predisposti non sviluppano
obesità in condizioni di carestia. Tra i fattori ambientali sono importanti l'eccessivo
apporto di nutrienti, ma anche la composizione della dieta (diete ricche in grassi e
carboidrati semplici), la ridotta attività fisica, e, conseguentemente, il ridotto
dispendio energetico. Sono importanti anche i fattori culturali-etnici: nei paesi
industrializzati l'obesità prevale nei soggetti con basso livello socio-economico,
Figura 4. Quadro d'insieme che prende in esame l'etiopatogenesi dell'obesità ed i suoi effetti
sull'organismo, in particolare sul rene. Tratta da Stenvinkel P, Zoccali C, Ikizler TA. Obesity in CKD--what should nephrologists know? Journal of the American Society of Nephrology : JASN. 2013;
Complicanze
renali
L'obesità e il sovrappeso sono associati ad un incremento del rischio di sviluppare
malattie metaboliche (diabete di tipo 2), malattie cardiovascolari (malattia
coronarica, vasculopatia cerebrale e insufficienza cardiaca congestizia), ipertensione
arteriosa, malattie respiratorie (sindrome delle apnee ostruttive del sonno)8, malattie epatobiliari (steatosi epatica non alcolica, litiasi biliare), patologie osteoarticolari
(gonartrosi), alcune forme di cancro (cancro colorettale ed endometriale) ed end
stage renal disease (ESRD, definita come condizione in cui si presenta la necessità di
effettuare il trapianto renale o la terapia dialitica di mantenimento).9,10
È nota da tempo l'associazione dell'obesità con il diabete e l'ipertensione. Infatti adulti con obesità patologica presentano un rischio sei volte maggiore, rispetto ai loro
pari magri, di sviluppare diabete. L'eccesso di peso è responsabile del 65-75 % dei
casi di ipertensione arteriosa, che, peraltro, negli adulti obesi, risulta essere anche più
difficilmente gestibile dal punto di vista terapeutico, in quanto l'attivazione del
sistema nervoso simpatico e del sistema renina-angiotensina, nonché l'espansione di
volume, che si associano a questa condizione, rendono questi pazienti più resistenti
ai farmaci anti-ipertensivi. Anche la sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS) può contribuire allo sviluppo dell'ipertensione arteriosa e/o alla resistenza al
Se consideriamo che diabete e ipertensione arteriosa sono le due maggiori cause di
ESRD, risulta chiaro come, in ultima analisi, l'obesità possa rappresentare il
principale fattore di rischio modificabile di malattia renale11.
Se è ormai accertato il ruolo dell'obesità nel promuovere la malattia renale cronica indirettamente, tramite lo sviluppo di ipertensione arteriosa e diabete di tipo 2, è interessante notare come numerosi studi abbiano evidenziato l'importanza
dell'obesità anche come fattore di rischio indipendente per lo sviluppo e la
progressione della malattia renale cronica (chronic kidney disease, CKD)10,12.
Infatti è stato osservato come l'obesità possa sia condurre ad un aggravamento delle
malattie renali primitive (ad esempio la nefropatia da IgA) sia determinare essa
stessa una nefropatia caratteristica, che solitamente si manifesta clinicamente con
proteinuria9.
L'insufficienza renale cronica (IRC) consiste nella perdita permanente e progressiva
della funzione renale, con conseguente incapacità, da parte dei reni, di garantire tutte
le loro funzioni, quali regolazione dell'equilibrio acido-base e del bilancio idrico ed
elettrolitico, escrezione di soluti tossici, produzione di ormoni (renina, eritropoietina)
e attivazione della vitamina D. Questa condizione è l'esito finale di un complesso
processo fisiopatologico dalla molteplice etiologia, caratterizzato dalla riduzione di
numero e funzione dei nefroni. Se il GFR in un soggetto giovane in condizioni
possiamo parlare di IRC in presenza di una riduzione, da almeno 3 mesi, del GFR, a
meno di 60 ml/min/1.73 m², come definito dalle linee guida della Kidney Disease
Outcomes Quality Initiative (KDOQI), della National Kidney Foundation. Con il
termine di malattia renale cronica (chronic kidney disease, CKD) si intende invece
ogni condizione patologica renale della durata ≥ 3 mesi, definita da anomalie
strutturali o funzionali dei reni (presenza di marcatori di danno renale come
l'albuminuria; lesioni istopatologiche renali o reperti patologici all'imaging),
associate o meno a riduzione della velocità di filtrazione glomerulare a meno di 60
ml/min/1.73 m².
Quindi l'IRC fa parte del quadro ben più ampio della CKD, che è stata classificata in
Stadio
Descrizione
GFR
(ml/min/1.73 m²)1
Danno renale con GFRnormale o aumentato
≥90
2
Danno renale con lieveriduzione del GFR
60-89
3
Riduzione moderata delGFR
30-59
4
Riduzione severa del GFR 15-295
Insufficienza renale <15 (o dialisi)Tabella 2. Classificazione della IRC secondo le linee guida della National Kidney Foundation.
National Kidney Foundation (2002) K/DOQI clinical practice guidelines for chronic kidney disease: evaluation, classification, and stratification. Am J Kidney Dis 39:S1–266.
Obesity-related glomerulopathy (ORG)
Una delle prime osservazioni sull'associazione tra obesità e malattia renale risale al
1923: in uno studio in cui venivano valutati 1000 pazienti obesi, Preble scoprì che
410 di questi pazienti presentavano albuminuria in assenza di nefrite.
Successivamente, Weisinger et al.13, nel 1974, descrissero per la prima volta l'associazione tra obesità massiva e sindrome nefrosica in 4 pazienti, nei quali si
assisteva ad una riduzione della proteinuria in seguito a calo ponderale indotto da restrizione calorica.
Queste osservazioni, insieme all'evidenza istopatologica di una glomerulopatia
mesangiale nei campioni bioptici di 2 di tali pazienti, hanno dato impulso agli studi
sull'associazione tra obesità massiva e sviluppo di glomerulomegalia e
glomerulosclerosi focale segmentale (GSFS). Queste ultime rappresentano le lesioni
istopatologiche renali tipicamente associate all'obesità e definite complessivamente
obesity-related glomerulopathy (ORG). Gli studi da cui sono emerse queste osservazioni erano gravati però da alcune limitazioni, in quanto si trattava
prevalentemente di case report o di analisi bioptiche effettuate su pochi campioni.
Per rispondere alla necessità di colmare la carenza di dati riguardo alla prevalenza
complessiva, alle caratteristiche clinico-patologiche e alla storia naturale della ORG
biopsia-documentata, è stato condotto un importante studio retrospettivo14 sui dati relativi a 6818 biopsie renali (provenienti da pazienti obesi) afferenti, nel periodo
gennaio 1986-aprile 2000, al Renal Pathology Laboratory of Columbia Presbyterian
Medical Center negli USA. Sono stati inclusi nello studio solamente i casi
rispondenti a specifici requisiti. In primo luogo l'ORG è stata definita
morfologicamente come 1) GSFS obesità-associata con glomerulomegalia (O-FSGS)
o come 2) glomerulomegalia obesità-associata in assenza di GSFS (O-GM). Sono
state accuratamente escluse le biopsie renali provenienti da pazienti obesi con altre
patologie che potessero causare GSFS secondaria (infezione da HIV, abuso di eroina
mostrassero lesioni riconducibili a glomerulopatie primarie o secondarie definite,
incluse nefropatia diabetica e nefrosclerosi ipertensiva. In ultima analisi, nell’ambito
delle 6818 biopsie, sono stati selezionati 71 casi che soddisfacevano i requisiti
necessari allo studio, anche in termini di disponibilità di informazioni cliniche. Sono
state infatti esaminate le cartelle cliniche di questi pazienti, prendendo in considerazione età, sesso, razza e caratteristiche cliniche e di laboratorio al momento
della biopsia renale; è stato inoltre calcolato il BMI al momento della biopsia. Allo
scopo di definire più accuratamente lo spettro delle caratteristiche cliniche e patologiche della ORG, una coorte di pazienti con ORG è stata confrontata con 50 controlli affetti da GSFS idiopatica (I-FSGS). I risultati dello studio sono meritevoli
di approfondimento. In primo luogo, l'incremento di 10 volte nell'incidenza bioptica
di ORG nel periodo analizzato di 15 anni riflette l'aumento di prevalenza dell'obesità
negli USA e negli altri paesi industrializzati, soprattutto se consideriamo che nel periodo suddetto non sono cambiate sensibilmente le indicazioni alla biopsia renale
(proteinuria in range nefrosico, con o senza insufficienza renale). Mentre gli studi
precedenti sulla ORG riguardavano solamente pazienti con obesità massiva, questo
studio ha mostrato come anche in pazienti con obesità di classe I e II (che
costituivano il 46% del gruppo studiato) possa svilupparsi ORG, che è clinicamente e
morfologicamente indistinguibile da quella presente nell'obesità patologica (obesità
È stata osservata un'incidenza significativamente più alta di ORG nei pazienti
Caucasici rispetto a quanto osservato nei controlli I-FSGS. Questo può essere spiegato sia con la presenza di fattori di rischio geneticamente determinati sia con le
condizioni socio-economiche dei pazienti obesi che si rivolgono al nefrologo. Da
questo studio è anche emerso che i pazienti con ORG hanno una più bassa incidenza
di proteinuria in range nefrosico, ipoalbuminemia ed edema rispetto ai pazienti con
I-FSGS. I rilievi istopatologici predominanti osservati alla biopsia renale sono stati
glomerulomegalia e glomerulosclerosi focale segmentale secondaria, che precedono
l'insufficienza renale franca. L'ORG si caratterizza per una minore presenza di
sclerosi segmentale, meno distruzione podocitaria e maggiore presenza di
glomerulomegalia, quando confrontata con la glomerulosclerosi idiopatica.
Altra importante acquisizione riguarda il decorso dell'ORG, che meno
frequentemente va incontro a progressione verso l'ESRD. L'osservazione che la
glomerulomegalia era più frequente nel gruppo ORG rispetto al gruppo I-FSGS
(100% versus 10%, rispettivamente) denota anche l'importanza del meccanismo
patogenetico della iperfiltrazione alla base dell'ORG. I dati a disposizione hanno
anche consentito di ipotizzare che ORG possa manifestarsi unicamente con
glomerulomegalia, in assenza di GSFS: questo spiegherebbe i casi di obesità massiva
e proteinuria nefrosica con biopsia renale apparentemente normale. Questo induce a
funzionali capaci di condurre ad ipertrofia glomerulare, e non necessiti pertanto dello
sviluppo di GSFS per manifestarsi. Degno di nota, anche se è possibile che casi con
O-GM evolvano in O-FSGS, nessun paziente del gruppo con O-GM è andato
incontro, nel corso del follow-up, a progressione verso ESRD.
Il 45% dei casi ORG mostrava inoltre alcuni reperti simili a quelli delle fasi precoci
della nefropatia diabetica (ispessimento focale della membrana basale glomerulare o
sclerosi mesangiale focale), senza peraltro che tali reperti rispondessero ai criteri
morfologici richiesti per la diagnosi di nefropatia diabetica (sclerosi mesangiale diffusa ed ispessimento della membrana basale glomerulare), ad indicare che
verosimilmente una nefropatia diabetica "occulta" è comune nei pazienti obesi, in
virtù di una maggiore prevalenza, in questa condizione, di alterata tolleranza al glucosio, iperinsulinemia ed iperlipidemia. Kambham et al14 hanno inoltre osservato come sia possibile che anche nella popolazione obesa si sviluppi una GSFS
idiopatica e che non tutti gli individui obesi sviluppano necessariamente ORG, ad
indicare che quest'ultima condizione non protegge dallo sviluppo di GSFS idiopatica.
Altra acquisizione da menzionare è la risposta positiva al calo ponderale in termini di
proteinuria, a sottolineare come la terapia di prima linea in questi pazienti sia quella
volta a risolvere la condizione che rappresenta il primum movens da cui origina
questa glomerulopatia: l'obesità.
studi più recenti, ad esempio in una coorte Cinese (dallo 0.62% nel 2002 all'1% nel
2006).15
Molti altri studi hanno sottolineato il ruolo dell'obesità come fattore di rischio sia per lo sviluppo che per la progressione di CKD, anche tra etnie diverse e senza
differenze significative di genere, con un trend di incremento anche nella
popolazione pediatrica16.
Lo studio di popolazione condotto da Fox et al., nella popolazione di Framingham,
ha seguito, per una media di 18.5 anni, 2738 individui senza evidenza di CKD
all'inizio dello studio: un BMI elevato (> 30 Kg/m²) era associato ad un aumento del
rischio di sviluppare malattia renale del 23% 17.
In uno studio di coorte retrospettivo che prendeva in considerazione 320,252 adulti
negli USA18 è stato osservato come il rischio di ESRD tendesse ad incrementare in modo progressivo in relazione a crescenti valori di BMI in un follow up di 25 anni.
In un grosso studio, quello dell'Hypertension Detection and Follow-up Program,19 i ricercatori hanno valutato 5897 adulti ipertesi, in assenza di malattia renale all'inizio
dello studio. In questi pazienti, sottoposti ad un follow-up di 5 anni, l'incidenza di
CKD al quinto anno è risultata del 28% nel gruppo di soggetti con BMI normale, 31% nel gruppo dei sovrappeso (BMI= 25-30 Kg/m²) e 34% nel gruppo degli obesi (BMI >30 Kg/m²), dopo aggiustamento per età, sesso, razza e presenza di diabete, a
per CKD.
Da un altro studio20 è inoltre emerso che, mentre il tasso di progressione della CKD
nei soggetti obesi non differiva significativamente da quello osservato negli individui
normopeso, la frequenza di tale progressione era significativamente maggiore nel
gruppo degli obesi. Le lesioni istopatologiche dell'obesità si sono manifestate
indipendentemente dall'etiologia della CKD, poiché i campioni bioptici di pazienti
affetti da nefropatia da IgA, malattia delle membrane sottili e nefrosclerosi benigna,
mostravano maggiore glomerulomegalia ed ispessimento della membrana basale se
appartenevano a pazienti obesi.
Alcuni ricercatori hanno inoltre notato che la riduzione della funzione renale sembra
essere associata anche all'obesità centrale, come dimostrano i dati dello studio Prevention of Renal and Vascular End stage Disease Intervention Trial (PREVEND
IT): pazienti con distribuzione centrale del grasso erano a rischio di diminuzione del GFR e di sviluppo di microalbuminuria, anche in presenza di normale BMI21.
Patogenesi dell'ORG
La fisiopatologia dell'ORG non è stata ancora completamente chiarita, ma si
ipotizza7 che sia riconducibile a molteplici meccanismi, quali alterazioni emodinamiche renali (iperfiltrazione e ipertrofia glomerulare), attivazione del
sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA), insulino-resistenza, stress ossidativo, iperlipidemia ed uno stato di flogosi cronica di basso grado a carico del tessuto adiposo.
Alterazioni emodinamiche renali - L'obesità comporta un'accresciuta richiesta
metabolica per l'organismo, a cui il rene deve rispondere con un incremento della
velocità di filtrazione glomerulare (GFR). Poiché il numero di nefroni per ciascun
rene (da 225,000 a 900,000 nefroni) è stabilito alla nascita e non può aumentare
parallelamente all'acquisto di peso, ne consegue un maggior carico di lavoro per ciascun nefrone, che può essere sostenuto solamente attraverso un aumento del GFR
di singolo nefrone. Si assiste quindi allo sviluppo di iperfiltrazione glomerulare, con
ipertrofia compensatoria del glomerulo e del rene, che si esprimono
morfologicamente con una delle caratteristiche dell'ORG, la glomerulomegalia, che
tende ad aumentare parallelamente con l'incremento del peso corporeo.22 L'iperfiltrazione, pur essendo un meccanismo compensatorio, diventa essa stessa
foriera di danno renale, poiché conduce alla GSFS secondaria.12,11
Infatti, in modelli animali12 di malattia renale, ovvero nefrectomia monolaterale o nefrectomia subtotale, l'iperfiltrazione è associata a cambiamenti maladattativi dei
glomeruli (aumento della matrice mesangiale, sclerosi segmentale, capillari dilatati
con danno a carico delle cellule endoteliali e dei podociti), che si diffondono poi al
Occorre precisare che nell'uomo cambiamenti maladattativi, che conducano alla
progressione del danno renale fino all'ESRD, si verificano solamente in caso di
perdita di almeno l'80% di tessuto renale. Infatti condizioni caratterizzate da iperfiltrazione, quali la gravidanza e il monorene congenito o secondario a traumi
non sono associate al declino della funzione renale, ad indicare come esista una
massa critica di nefroni, perduta la quale i nefroni rimanenti diventano incapaci di sostenere adeguatamente la funzione renale.23
L'iniziale risposta adattativa che si osserva nei nefroni residui e conduce all'ipertrofia
glomerulare e all'iperfiltrazione è riconducibile all'azione dell'angiotensina II, che, da
un lato, promuove lo sviluppo di ipertensione glomerulare inducendo una
vasocostrizione dell'arteriola efferente glomerulare, dall'altro è responsabile
dell'attivazione di una serie di processi infiammatori e fibrogenici che, in ultima
analisi, concorrono alla progressione del danno renale. L'angiotensina II infatti
aumenta la porosità della barriera glomerulare alle proteine, con conseguente
sviluppo di proteinuria; stimola il rilascio di aldosterone, di fattori fibrogenici (come
il TGF-β) e di fattori chemiotattici per i macrofagi; promuove la proliferazione delle cellule mesangiali e, attraverso il rilascio dell'inibitore dell'attivatore del
plasminogeno tipo 1 (PAI-1), riduce il rimodellamento della matrice intercellulare, a cui consegue accumulo di collagene, glomerulosclerosi e fibrosi tubulo-interstiziale.
concorre al determinismo della sclerosi glomerulare, in quanto le cellule del tubulo
prossimale diventano incapaci di rimuovere le proteine in eccesso dal filtrato,
permettendo a queste ultime di esercitare i loro effetti deleteri tramite l'attivazione
dei processi infiammatori e fibrotici nel tubulo-interstizio. L'aumento del TGF-β
determina anche ispessimento della membrana basale glomerulare, alimentando la
proteinuria.24
L'alterato profilo emodinamico renale risulta reversibile con il calo ponderale
(specialmente indotto da chirurgia bariatrica), il blocco del sistema
renina-angiotensina-aldosterone o la riduzione dell'introito di sodio, a dimostrazione della
natura funzionale delle alterazioni emodinamiche, sebbene non debba essere
dimenticato il contributo della glomerulomegalia. Biopsie effettuate su reni di
donatori obesi, nei quali era presente un GFR più alto rispetto a controlli non obesi,
hanno mostrato una maggiore area di superficie glomerulare rispetto a quella osservata nei controlli. Questo reperto istologico correlava con il peso corporeo e
l'albuminuria. Anche nei reni dei pazienti riceventi è stato osservato un adattamento
dell'emodinamica renale alle dimensioni corporee dei riceventi.25
L'idea che l'iperfiltrazione rivesta un ruolo nel declino progressivo della funzione
renale nell'obesità è originata principalmente da studi effettuati su animali, nei quali
il flusso glomerulare e la pressione di filtrazione possono essere misurati
di Brenner26 che, negli anni '80, ha dimostrato, con la teoria dell'iperfiltrazione, come nei nefroni rimanenti di ratti sottoposti a nefrectomia subtotale si verificasse
una risposta adattativa volta a preservare il GFR totale nel breve termine e
caratterizzata dallo sviluppo di ipertensione capillare glomerulare ed ipertrofia dei
nefroni residui, finalizzate a garantire un incremento del GFR di singolo nefrone. Nel
lungo termine, tuttavia, tale risposta diventa maladattativa, in quanto conduce ad un
danno a carico del capillare glomerulare, proteinuria e perdita di nefroni, innescando
un circolo vizioso, responsabile del danno renale progressivo.
L'ipotesi di Brenner è stata successivamente avvalorata da Gonzalez et al.27, che hanno osservato che, in pazienti sottoposti a nefrectomia monolaterale, il rischio di
proteinuria e di declino della funzione renale è aumentato negli individui con BMI
maggiore di 27 Kg/m². La prognosi renale nei pazienti obesi sembra quindi essere
dipendente dal numero di nefroni. Infatti ricercatori che hanno studiato la funzione
renale in una serie di soggetti con agenesia renale monolaterale, che non
presentavano glomerulosclerosi focale segmentale (GSFS) nell'unico rene, hanno
osservato un BMI significativamente più alto in coloro che tendevano ad andare
incontro allo sviluppo di proteinuria e compromissione della funzione renale rispetto
a quelli nei quali si manteneva una funzione renale normale.
L'associazione tra obesità e iperfiltrazione è stata indagata da Chagnac et al.28 Questi autori hanno valutato i due determinanti del GFR (Kf, coefficiente di ultrafiltrazione
e ΔP, differenza di pressione idrostatica nel capillare glomerulare versus lo spazio di
Bowman) in due gruppi di soggetti adulti non diabetici: un gruppo di soggetti obesi
(BMI di 35 Kg/m²) ed un gruppo di soggetti non obesi (BMI di 22 Kg/m²), usato
come gruppo di controllo. Poiché sia Kf che ΔP non possono essere misurati
direttamente negli esseri umani, sono stati valutati entrambi i fattori nei 2 gruppi,
sottoponendo i dati disponibili, ovvero GFR, flusso plasmatico renale (RPF),
frazione di filtrazione (FF) e profilo del sieving coefficient dei destrani (ottenuti da
clearance dell'inulina, clearance del PAI, clearance di destrani di vario peso
molecolare, misurate nei 2 gruppi) a modelli teorici, grazie ai quali sono state ottenute le seguenti osservazioni:
−
ΔP, RPF, GFR e FF erano più alti nel gruppo degli obesi rispetto al gruppo di controllo. L'aumento di RPF era da ricondurre ad uno stato di vasodilatazioneprincipalmente o esclusivamente dell'arteriola afferente. GFR era più elevato rispetto
a RPF, con conseguente aumento della frazione di filtrazione.
−
Kf tendeva ad essere più alto nel gruppo degli obesi, ma si trattava di una differenza non statisticamente significativa−
anche se nel range normale, la pressione arteriosa media (MAP, mean arterial pressure) era più alta nel gruppo degli obesi.ipotizzare che il più alto GFR osservato nei pazienti obesi fosse mediato da una più
alta pressione transcapillare glomerulare, a sua volta riconducibile alla trasmissione
(probabilmente dovuta ad un fallimento nel meccanismo fisiologico di
autoregolazione di GFR e di RBF) al capillare glomerulare della pressione arteriosa
aumentata attraverso l'arteriola afferente dilatata.
Da studi30 volti a valutare l'associazione tra emodinamica renale e BMI è emerso come la FF aumenti proporzionalmente al BMI e questo fenomeno abbraccia un
range eterogeneo di valori di BMI, compresi quelli normali. Questa associazione
risulta inoltre indipendente da sesso, età, valori di pressione arteriosa e superficie
corporea (BSA). Esistono inoltre evidenze che mostrano un aumento della FF anche in soggetti con distribuzione centrale del tessuto adiposo, indipendentemente da
sesso, età, valori di pressione arteriosa, BSA e BMI.30
Anche l'insulino-resistenza, comunemente riscontrata nei pazienti obesi, potrebbe
avere un ruolo nell'aumento del gradiente di pressione transcapillare. Infatti, poiché
l'insulina riduce la vasocostrizione dell'arteriola efferente indotta dalla noradrenalina,
effetto che conduce a riduzione del ΔP, l'insulino-resistenza che coinvolga i vasi
glomerulari potrebbe determinare un aumento del ΔP, aumentando la resistenza
arteriolare efferente.14
L'iperfiltrazione consegue quindi ad uno sbilanciamento tra il tono vasomotore
efferente (che va incontro a vasocostrizione).31
Anche l'aumento del diametro glomerulare, che si osserva nell'ipertrofia glomerulare
associata all'obesità, contribuisce al danno renale, in quanto l'aumento del raggio
della parete del capillare glomerulare, in accordo con la legge di La Place (tensione=
pressione x raggio/spessore di parete), determina un incremento deleterio della
tensione di parete del capillare glomerulare. Inoltre, in presenza di aumento del
diametro glomerulare, ogni podocita deve coprire un'area di superficie maggiore.
Questi adattamenti del podocita all'ipertrofia glomerulare potrebbero portare ad un
distacco dei processi pedicillari dalla membrana basale, con conseguente
proteinuria.11
L'aumentata FF determinerebbe emoconcentrazione nella circolazione
postglomerulare ed incremento della pressione oncotica plasmatica nei capillari
peritubulari, la quale, a sua volta, sarebbe in grado di promuovere il riassorbimento
tubulare prossimale di sodio, con conseguente ritenzione sodica ed ipertensione
arteriosa sistemica.32 L'ipertensione arteriosa potrebbe accentuare la suscettibilità individuale allo sviluppo di danno renale ipertensivo e barotrauma.33
Considerato l'effetto sul riassorbimento tubulare di sodio, una FF maggiore può
predisporre ad un'espansione del volume extracellulare (ECV), soprattutto qualora vi
sia un elevato apporto alimentare di sodio, e, in definitiva, ad ipertensione
corporeo ed ipertensione sodio-sensibile è reversibile con il calo ponderale. Occorre
aggiungere anche che nei soggetti sovrappeso l'espansione di ECV che consegue
all'eccessivo apporto di sale è maggiore di quella che si verifica nei soggetti magri:
questo suffraga l'ipotesi secondo cui anche piccoli cambiamenti nell'emodinamica
renale siano in grado di influenzare l'omeostasi del volume. È molto probabile che,
col tempo, queste alterazioni del profilo emodinamico associate all'eccesso di peso,
possano contribuire allo sviluppo dell'ipertensione sodio-sensibile e del danno renale.
Quindi l'alterato profilo emodinamico renale, nei soggetti sovrappeso e obesi, nonché
in quelli con distribuzione centrale del grasso, ha effetti anche sulla regolazione del
sodio e del volume.31
L'aumento della ritenzione sodica osservato nell'obesità non dipende solo dall'alterata
emodinamica renale, ma anche da un'incrementata attivazione del sistema nervoso
simpatico a livello renale e del sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA).
Infatti il tessuto adiposo possiede tutte le componenti del SRAA, che risulta attivato
a livello del grasso viscerale. Sembra tuttavia che il fattore maggiormente implicato
nella genesi della ritenzione sodica sia un aumento della matrice extracellulare
renale, che comprime l'ansa di Henle, riducendo così il flusso ematico ai vasa recta e
aumentando il riassorbimento di Na a livello dell'ansa. Ne conseguono
vasodilatazione renale, aumento del GFR ed attivazione del SRAA. Anche il tessuto
SRAA. L'effetto finale sarà quindi quello di una ritenzione idro-sodica, in grado di
condurre all'ipertensione arteriosa che si associa comunemente all'obesità.34,35, 36 L'aumentato riassorbimento di NaCl nell'ansa di Henle comporta una riduzione della
concentrazione di Na e Cl alle cellule della macula densa del tubulo distale,
perturbando, in ultima analisi, il feedback tubuloglomerulare, con conseguente
riduzione della vasocostrizione dell'arteriola afferente ed incremento del GFR al fine
di normalizzare il trasporto del soluto al tubulo distale.37
Poiché nella popolazione obesa l'ipertensione arteriosa è molto frequente, si
comprende come accada facilmente che la trasmissione di un'elevata pressione
sistemica al glomerulo possa tradursi non solo in un aumento del GFR, ma anche in
alterazioni strutturali.33
Attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone - Analogamente a quanto
si osserva nelle altre malattie renali caratterizzate da proteinuria, l'attivazione del
sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA) contribuisce alla patogenesi
dell'ORG; a conferma di ciò, la somministrazione di farmaci bloccanti il SRAA
permette di ottenere una nefroprotezione indipendentemente dagli effetti sulla
pressione arteriosa.38
Gli adipociti e i macrofagi infiltranti il tessuto adiposo rappresentano una importante
sede di produzione dei componenti del SRAA. I livelli circolanti di
quella epatica (classicamente considerata la principale sede di produzione di
Angiotensinogeno), aumentano parallelamente con l'aumento del BMI.39
Nella corticale renale di ratti obesi Zucker (modelli animali di obesità trasmessa
ereditariamente, che possiedono il recettore della leptina non funzionante a causa di
una mutazione genica)40 è stata individuata un'elevata espressione del recettore AT1 dell'Angiotensina II, responsabile della vasocostrizione dell'arteriola efferente.41 Ne risulta, in conclusione, una combinazione di fattori che promuovono la
vasocostrizione dell'arteriola efferente, l'aumento della pressione glomerulare, della
FF e la proliferazione cellulare che culminano nel danno renale.
Il recettore AT2 dell'Angiotensina II sembra invece implicato nel mediare
l'attivazione di una risposta infiammatoria a livello del tessuto adiposo.
Gli adipociti hanno un ruolo anche nella stimolazione della secrezione di aldosterone
angiotensina II-indipendente, che ha effetti deleteri sul rene, sia promuovendo l'aumento del GFR che danneggiando i podociti.39
Insulino-resistenza - L'obesità è una condizione in cui si riscontra
insulino-resistenza12 che si osserva, oltre che nel tessuto adiposo, anche nel fegato e nel
muscolo e decorre parallelamente alle variazioni del peso corporeo. I principali
meccanismi molecolari che sono alla base dell'insulino-resistenza sono identificabili
•
iperinsulinemia (conseguente allo stato di resistenza insulinica) cronica, che determina una down-regulation dei recettori insulinici•
liberazione di acidi grassi liberi da parte del tessuto adiposo, i quali interferiscono con l'azione insulinica•
accumulo intracellulare di lipidi•
liberazione, da parte degli adipociti, di peptidi circolanti, tra cui le citochine IL-6 e TNF-α•
alterato bilancio nella secrezione adipocitaria dei vari tipi di adipochine, che influisce negativamente sull'azione insulinica•
stato di flogosi cronica associata all'obesità (di cui è espressione l'infiltrazione macrofagica nel tessuto adiposo).L'insulino-resistenza partecipa alla patogenesi del danno renale, che si associa sia al
diabete tipo 2 (nefropatia diabetica) che all'obesità in assenza di diabete. Il danno
renale riguarda inizialmente i podociti. Queste cellule, che normalmente sono
sensibili all'azione dell'insulina, poiché esprimono tutte le componenti necessarie
alla cascata del segnale insulinico, in topi diabetici perdono questa capacità, molto
probabilmente a causa di un'aumentata fosforilazione di c-jun Kinase (JNK), un
mediatore dell'infiammazione, apoptosi ed insulino-resistenza. L'attivazione di JNK
sopravvivenza cellulare), in risposta a stimoli fisiologici (come l'insulina stessa),
promuovendo quindi la morte cellulare. Quindi un'alterazione della fosforilazione
insulino-dipendente di AKT nel podocita contribuisce a ridurne la sopravvivenza.12,
42,43
Stress ossidativo - Nella patogenesi del danno renale che si osserva nei pazienti
obesi sembra coinvolto anche lo stress ossidativo generato dai radicali liberi prodotti
da enzimi della famiglia della NADPH ossidasi (NOX), la cui attivazione risulta
aumentata sia a livello glomerulare che tubulare, come è stato osservato
principalmente in studi effettuati su animali, tra cui i ratti Zucker. Queste alterazioni
sono associate alla sindrome metabolica, verosimilmente attraverso l'effetto
esercitato dai ridotti livelli di adiponectina che si osservano in questa condizione.12 La sindrome metabolica, di cui l'obesità rappresenta un fattore di rischio, è una
condizione in cui si associano alterazioni del metabolismo glucidico, lipidico e
purinico e dei meccanismi che presiedono al controllo della pressione arteriosa, con
conseguente incremento del rischio di sviluppo di diabete di tipo 2 e di malattie
cardiovascolari.
Iperlipidemia - La dislipidemia è associata allo sviluppo di glomerulosclerosi focale
segmentale idiopatica (I-FSGS), attraverso la deposizione di lipidi a livello
glomerulare e la formazione di foam cells.44 Questo è avvalorato dall'effetto positivo, in termini di proteinuria e livelli di albumina sierica, della LDL-aferesi in pazienti
con I-FSGS steroido-resistente.
Analogamente, la dislipidemia, e la lipotossicità che ne consegue, potrebbero avere
un ruolo anche nella patogenesi della ORG, sebbene i dati a diposizione provengano
soprattutto da studi sugli animali, come i ratti obesi Zucker, nei quali l'uso di farmaci
ipolipemizzanti ha consentito di inibire la progressione della glomerulosclerosi,
senza modificare l'ipertrofia glomerulare.38
Alla base dell'associazione tra dislipidemia e glomerulosclerosi sembra sussistere
un'aumentata espressione renale delle proteine SREBP (sterol regulatory element
binding protein), come evidenziato da Jiang et al nel loro studio su modelli i murini
di obesità indotta da dieta.45 Le SREBP sembrano infatti promuovere il deposito renale di colesterolo e trigliceridi, a cui seguirebbe una risposta infiammatoria e
fibrotica, con conseguente danno renale. Queste osservazioni sono avvalorate dal
riscontro di un raddoppio nell'espressione glomerulare di SREBP-1 in pazienti obesi
con ORG.
L'importanza della lipotossicità nella patogenesi del danno renale è stata confermata
anche dallo studio di Santini et al.46 su cellule mesangiali umane. Queste ultime possiedono, in condizioni fisiologiche, molteplici funzioni, quali quella di supporto
strutturale al glomerulo, mediante la produzione di matrice extracellulare, e di
regolazione del flusso ematico glomerulare e della pressione intracapillare, grazie
proprietà, quali l'attività fagocitaria e la capacità di produrre le specie reattive
dell'ossigeno. In questo studio, cellule mesangiali umane, esposte a LDL, LDL
ossidate e LDL glicate, hanno mostrato un aumento della sintesi dei componenti
della matrice mesangiale, laminina e fibronectina. È stato osservato anche un
incremento nella produzione e nel rilascio di citochine infiammatorie, quali MIF
(macrophage migration inhibitory factor), in grado di condurre a danno renale, e
IL-6. A quest'ultima è stato riconosciuto un ruolo nella stimolazione di proliferazione
mesangiale ed espansione della matrice nelle glomerulonefriti proliferative.
Questi dati dimostrano come l'infiammazione rappresenti un fattore chiave nel danno
renale associato all'iperlipidemia. I lipidi (in particolare le LDL ossidate) depositati a
livello glomerulare, infatti, promuovono la produzione di molecole di adesione e la
migrazione dei monociti nel mesangio, nonché la produzione di citochine
infiammatorie. Nel milieu generato dalle citochine infiammatorie, vengono favorite
la differenziazione dei monociti in macrofagi e la proliferazione delle cellule
mesangiali, oltre a deposizione di matrice extracellulare. Le citochine infiammatorie
prodotte in eccesso potrebbero condurre ad alterazioni delle interazioni tra podociti e
cellule endoteliali, che, a loro volta, provocherebbero microalbuminuria.
A livello dei podociti, le LDL ossidate si rendono responsabili di una redistribuzione
e di una perdita della nefrina, nonché di una riduzione della fosforilazione di AKT,
Da alcuni studi è anche emerso come gli acidi grassi siano in grado di impedire, a
livello podocitario, l'uptake del glucosio stimolato dall'insulina, a dimostrazione del
rilevante ruolo patogenetico dell'insulino-resistenza dei podociti nell'ORG.48
Flogosi cronica a carico del tessuto adiposo - L'alterazione dell'emodinamica
renale nell'obesità ha costituito per molto tempo il principale meccanismo a cui i
ricercatori hanno tradizionalmente attribuito l'ORG. Tuttavia, il pattern di sclerosi
focale osservato nei campioni bioptici non può essere spiegato semplicemente con
tale meccanismo. Studi più recenti hanno evidenziato il ruolo di fattori circolanti
prodotti dal tessuto adiposo alterato, nei pazienti obesi, come fattori chiave nella
patogenesi del danno glomerulare.12
Alle classiche acquisizioni inerenti alle funzioni del tessuto adiposo, quali quella di
deposito di lipidi e di mezzo di isolamento termico, si è aggiunta una rilevante
scoperta che attribuisce a questo tessuto le connotazioni di un vero e proprio organo
endocrino, grazie alla sua capacità di secernere ormoni e peptidi segnale,
complessivamente definiti “adipochine”.7
Esistono due tipi di tessuto adiposo, distinguibili macroscopicamente: il tessuto
adiposo bruno (brown adipose tissue, BAT), poco rappresentato nell'uomo ed il
tessuto adiposo bianco (white adipose tissue, WAT), di gran lunga preponderante.
Il primo, implicato nella termogenesi, è presente soprattutto alla nascita, per poi
attorno ai grossi vasi arteriosi del collo e del mediastino. Al secondo è stata
classicamente attribuita la funzione di deposito di lipidi e di rilascio di composti ad
elevato valore energetico (gli acidi grassi liberi) per rispondere alle richieste
energetiche tra un pasto e l'altro.
Il WAT è a sua volta costituito da tessuto adiposo sottocutaneo periferico (SAT), che
ne rappresenta circa l'80%, e da tessuto adiposo viscerale (VAT), che generalmente
ammonta a meno del 20%.
Dal punto di vista microscopico, a livello del tessuto adiposo, fino al 50% degli
elementi cellulari è rappresentato dagli adipociti; la restante quota è costituita da
preadipociti, fibroblasti e cellule endoteliali dei vasi.
Sebbene il VAT possieda una maggiore attività metabolica, sia SAT che VAT
secernono adipochine49. Le adipochine includono leptina, adiponectina, resistina, chemerina, interleuchina-6 (IL-6), interleuchina-10 (IL-10) tumor necrosis factor-α
(TNF-α), monocyte chemoattractant protein-1 (MCP-1), plasminogen activator
inhibitor-1 e visfatina7. Esse possono attivare molte vie di trasduzione del segnale che sono essenziali per il mantenimento dell'omeostasi energetica e del
metabolismo.50,51 Sono infatti coinvolte nella regolazione dell'appetito e della sazietà,
del metabolismo glucidico e lipidico, della pressione arteriosa e dell'infiammazione.
Nei pazienti obesi si assiste allo sviluppo, a livello del tessuto adiposo, di
pro-infiammatorie. Ad incrementare l'entità della risposta infiammatoria
contribuiscono anche i macrofagi ivi reclutati. Ne conseguono alterazioni strutturali e
funzionali nel tessuto interessato, nonché insulino-resistenza e flogosi a distanza.7 È stata osservata un'importante correlazione tra la disregolazione del profilo
adipochinico, caratteristica dell'obesità, e lo sviluppo di CKD: alle adipochine è
riconosciuto un ruolo nel declino della funzione glomerulare e tubulare. La maggior
parte degli studi, prevalentemente su animali, si è concentrata sulla caratterizzazione
del ruolo della leptina, ma sono emerse acquisizioni anche per quanto riguarda il
ruolo di adiponectina, resistina e visfatina nella fisiopatologia renale
obesità-correlata.24, 52
Leptina - È un peptide di 16 KDa codificato dal gene lep (localizzato sul cromosoma 7) e secreto prevalentemente dal tessuto adiposo bianco; il suo livello sierico è circa
5.5 ng/ml nei soggetti non obesi.53,54 Essendo un piccolo peptide,55 la leptina è escreta principalmente dal rene. L'handling renale della leptina prevede il legame del
peptide filtrato ad un recettore scavenger detto “megalina”, localizzato nelle cellule
del tubulo contorto prossimale. La megalina processa la leptina, i cui livelli nelle
urine risultano pertanto trascurabili, anche per valori sierici elevati, come nell'obesità
(circa 5-10 volte superiori a quelli presenti negli individui non obesi). Degno di nota
è il fatto che l'iperleptinemia si osserva anche nei pazienti con CKD.24, 54