Corso di Laurea magistrale in Scienze
Dell’Antichità: Letterature, Storia e
Archeologia
Tesi di Laurea
Prolegomena al Lessifane
Il banchetto di Lessifane:
un’enigmatica critica di Luciano
Relatore
Ch. Prof. Alberto Camerotto
Correlatore
Ch. Prof.ssa Olga Tribulato
Correlatore
Ch. Prof. Stefano Maso
Laureanda
Elena Scarpa
Matricola 820831
Anno Accademico
2012 / 2013
INDICE
Introduzione……….………p. 3 1. Le edizioni dell'opera ……….….…p. 6 2. La struttura del testo ………...….p. 6 3. L'atticismo……….….…p. 11 3.1 L'emergere del dialetto attico……….………...p. 11 3.2 La koinhv……….………..p. 13 3.3 I mutamenti della koinhv bassa....……….p. 14 3.4 La reazione purista.………..…p. 15 4. Le premesse dell'atticismo……….…p. 16 4.1 La filologia alessandrina……….……….…p. 16 4.2 Purismo e arcaismo a Roma. Dionigi di Alicarnasso………….…………..p. 16 4.3 La seconda Sofistica e il rapporto con il potere romano…….……….p. 18 5. Le personalità del mondo atticista………..…p. 19 5.1 Gli autori che aderirono alla moda, tra estremismi e posizioni moderate………...……p. 19 5.2 I Lessicografi……….………...p. 20 6. L'Atticismo linguistico………...p. 22 6.1 Fonologia e morfologia……….………...…p. 22 6.2 Il lessico………...p. 22 7. La degenerazione dell'Atticismo e la satira di Luciano.…...……….p. 24 8. L'atticismo di Luciano………p. 25 8.1 L'atticismo nelle opere di Luciano……….………..p. 26 8.2 La lingua del Lessifane………p. 33 9. I modelli del testo lucianeo tra letteratura simposiale e lessici………..p. 36 COMMENTO………....p. 48 Conclusione………..p. 117 BIBLIOGRAFIA………..p. 123
INTRODUZIONE
A conclusione di un'altra tappa del percorso di studi nell'ambito delle lettere classiche, si è ritenuto importante continuare il lavoro sulla satira di Luciano di Samosata, sul quale gli studi si sono intensificati solo di recente rispetto alla rilevanza e alla produttività che egli ebbe nel II secolo d.C. e poi soprattutto nell'Europa moderna. Il Lessifane è l'opera oggetto di questo studio, nei suoi contenuti, nella sua struttura e con un approfondimento linguistico, legato in particolare al movimento dell'Atticismo.
La Seconda Sofistica è uno dei periodi più interessanti e produttivi per lo studio dell'utilizzo della parola e della relazione tra parole, immagini e sapere che esse veicolano al pubblico. In particolare, la satira di Luciano prende spunto da situazioni della realtà quotidiana e del patrimonio culturale comune alla società dei pepaideumevnoi. Le strategie della satira sono attuate attraverso un gioco sistematico di parodia dei modelli, di autorappresentazione dell'autore e del rapporto con il pubblico: un utilizzo della parola che risulta affascinante e potente per la sua genialità e per il suo apparente disimpegno, ma che, a studiarlo con più attenzione, mostra tutta la sua perizia.
Nel II secolo d.C., inoltre, il movimento dell'Atticismo, che si riproponeva l'imitazione linguistica e stilistica di un canone di oratori di V e IV secolo a.C, muta in una sorta di ossessione per termini desueti, etimologie e attestazioni di vocaboli, per ostentare un sapere che non era in realtà così consistente.
Il Lessifane di Luciano mette in moto la sua satira proprio contro coloro che si servivano della parola curando la forma più che il contenuto. L'opera è molto interessante per i modelli che vengono utilizzati e per i diversi meccanismi di creazione verbale che danno luogo a vere e proprie aberrazioni linguistiche, esposte con grande soddisfazione e naturalezza dal protagonista.
In particolare questa tesi si propone, dopo un approfondimento sulla nascita del movimento atticista, i suoi prodromi culturali e grammaticali, di analizzare il rapporto tra Luciano e l'atticismo e di indagare, attraverso l'analisi di specifici termini, i meccanismi della satira che l'autore fa sui retori ignoranti.
Sono stati selezionati e commentati alcuni termini, individuati principalmente tra quelli del retore protagonista, figura emblematica degli "iperatticisti", appartenenti alla corrente estrema dell'atticismo.
I vocaboli analizzati sono stati ritenuti esemplificativi delle varie modalità di creazione verbale: sono stati oggetto di studio i neologismi composti modellati sul lessico della commedia, della tragedia e dell'epica; la tendenza alla preverbalizzazione, per intensificare o precisare una sfumatura di significato, che mostra in maniera evidente l'intenzione di descrivere qualcosa con precisione maniacale e riunendo in un solo termine quanti più dettagli possibili. Sono stati considerati anche alcuni tecnicismi che appartengono al lessico medico, militare, giuridico e agonistico, e come essi, utilizzati dal protagonista in contesti totalmente inopportuni, producano divertenti ambiguità e hapax di senso.
È stato fatto un confronto di alcune espressioni ed immagini, già utilizzate da Luciano nella sua produzione, con i modelli cui l'autore attinge. Indispensabile per l'analisi linguistica è stato lo studio delle produzioni lessicografiche e grammaticali, contemporanee e successive all'autore, che descrivono il movimento atticista e che hanno permesso di individuare i luoghi in cui si seguono le norme atticiste, ma anche quelli in cui l'autore se ne discosta.
Il lavoro ha incontrato delle difficoltà principalmente dal punto di vista bibliografico: non esiste ancora, infatti, un commento destinato unicamente all'opera, ma essa viene trattata, più o meno approfonditamente, insieme alle altre opere di satira retorica. Fondamentali per lo studio della parte storica e contenutistica della satira di Luciano sono stati i lavori di Jacques Bompaire,
Lucien écrivain. Imitation et création, Paris 1958, Jennifer Hall, Lucian’s Satire, New York 1981 e Tim Whitmarsh, The Second Sophistic, Oxford 2005. In particolare per lo studio della lingua e dell'atticismo di Luciano gli studi più utili sono stati lo storico lavoro di Samuel Chabert, L’atticisme de Lucien, Paris 1897, l'articolo di Jacques Bompaire, "L’atticisme de Lucien", in Alain Billault, Lucien
de Samosate. Actes du colloque international de Lyon organisé au centre d’études romaines et galloromaines les 30 september-1er octobre 1993, Lione 1994, e
l'articolo di Francesca Mestre, "Luciano y las lenguas" in Nuntius Antiquus 8 vol. 2 (2012).
Specifico per la parte grammaticale Roy J. Deferrari, Lucian's Atticism: the
Morphology of the Verb, Princeton 1916, mentre un'analisi lessicale dei neologismi e degli hapax è stata fatta da Michel Casevitz nel suo articolo "La création verbale chez Lucien: le Lexiphanes, Léxiphane et Lucien", anch'esso in Alain Billault, Lucien de Samosate. Actes du colloque international de Lyon
organisé au centre d’études romaines et galloromaines les 30 september-1er octobre 1993, Lione 1994. Analizza l'opera anche Luciana Romeri nella sua tesi
Philosophes entre mots et mets. Plutarque, Lucien et Athénée autour de la table de Platon, Grenoble 2002.
Nell'analisi storica e linguistica dell'atticismo fondamentali sono stati i lavori di Simon Swain, Hellenism and empire: language, classicism, and power in the
Greek world, Oxford 1996 e le raccolte di articoli di Egbert J. Bakker, A
companion to the ancient Greek language, Wiley Blackwell 2010 e la Storia delle
lingue letterarie greche, a c. di Albio Cesare Cassio, Firenze 2008.
Molti sono gli aspetti che potranno essere approfonditi ancora, sia sul piano dei modelli e meccanismi della satira di Luciano in quest'opera, sia nell'analisi della lingua, fattore identitario e vettore comunicativo potentissimo nella produzione lucianea.
1. Le edizioni dell'opera
Il Lexiphanes è un dialogo il cui titolo già presenta l’argomento: dalla radice leg- del verbo levgw «parlare» e la radice -fan del verbo faivnw «mostrare», inoltre lexi- allude al significato di levxi" «linguaggio» ma anche «vocabolo, lezione», infatti, la scelta delle parole e la raffinatezza del discorso sono il centro delle attenzioni di Lessifane. Il vocabolo racchiude in sé tutte le caratteristiche del protagonista del dialogo, della corrente iperatticista cui appartiene e, soprattutto, attraverso l'elemento –fanh", del suo altisonante e pomposo modo di parlare.
Il principio del nome parlante che spesso accompagna i protagonisti delle opere lucianee1, entra in azione anche nel Lexiphanes, «le beau parleur»2, «l’ostentatore di paroloni», «l’espositore di discorsi», «Word-flaunter»3. Diverse sono state le edizioni del testo: edizione Oxford Classical Texts del 1980 a cura di M.D. MacLeod (Vol. III), A. M. Harmon per la Loeb Classical Library nel 1962 (Vol. V), C. Iacobitz prima per la Teubner nel 1966. Tra gli italiani la Utet nel 1976 (Vol II) a cura di V. Longo e infine D. Fusaro e L. Settembrini per la Bompiani nel 2007. Sebbene la tradizione del testo non presenti nel complesso particolari problemi, gli studiosi hanno scelto, in alcune occasioni, lezioni diverse della tradizione che, come vedremo, sono interessanti dal punto di vista semantico e morfologico della parola, sebbene non alterino in maniera definitiva il significato complessivo della frase.
2. La struttura del testo
Il testo, in forma dialogica, vede coinvolti due personaggi: il primo è Lessifane, pedante retore, ambizioso al punto tale da volersi confrontare con il modello di Platone: egli si cimenta nell’ajntisumposiavzein e scrive quindi un Simposio in competizione con quello di Platone. Licino è il suo interlocutore: figura dal ruolo socratico e alter ego abituale di Luciano. Egli viene travolto dal fiume in piena
1 L’uso dei nomi parlanti in Luciano è frequente: Parresiade nel Timone è il campione della
parrhesia, la libertà di parola; Megapente è il tiranno «dai grandi mali» del Cataplus.
2 Bompaire 1958, p. 702.
delle parole desuete e scorrette dell’amico, tanto da dubitare seriamente della sua salute. Sopraggiunge al momento opportuno il medico Sopoli, per purgare Lessifane dai paroloni incomprensibili che ha ingurgitato.
Si propone qui, per un orientamento, una sintesi del testo che tenta di riprodurre anche il problema linguistico di Lessifane.
[1] Licino, vedendo Lessifane con un libro, scherzosamente lo deride per l’inusualità del fatto e lo interroga sull’argomento dello scritto. Viene prontamente illuminato da Lessifane: è un Simposio, scritto da Lessifane in competizione con il Simposio di Platone. Divertito, senz’altro pronto a canzonare l’amico per lo stile pomposo, Licino chiede a Lessifane di leggergliene un pezzo. [2] Dopo essersi fatto debitamente pregare, Lessifane comincia, ed è subito evidente la sua follia linguistica4:
Il testo esordisce con Callicle, il quale con altisonanti termini annuncia che è pervenuto l’attimo di ungere i corpi (crivesqai to; hJliokaev") e, dopo essersi lavati, desinare (ajtrositei'n). Dopo aver comandato al suo servitore il necessario perché ciò avvenga, Callicle incalza anche Lessifane. Quest’ultimo anela da gran tempo a disinsudiciarsi (trivpalai loutiw'), infatti, giunge da un meriggio di fatiche: molto ha cavalcato ed ha scavato la fossa per suo padre dai di lui mezzadri coadiuvato (suntumbwruchvsa"), per questo si è arrecato in su li palmi delle bruciature (kauvmata) ed ha setacciato minuziosamente il suolo per procacciarsi piante aromatiche come lenimento. Ed infine, si è scorticato l’osso sacro (ejdavrhn to;n o[rron) rincasando alla sua magione, cavalcando il suo destriero. [3] Lessifane ricerca il suo servitore, Atticione, che testé rientra caricato di vettovaglie. Il servitore, previa copiosa lamentazione per gl’innumerevoli andirivieni cui il padrone lo costrinse, si informa sul pranzo del dì addietro ed è reso informato che Lessifane si era
4 Quella che segue è la parafrasi del Simposio di Lessifane, nella quale ho tentato di rendere in
italiano quella discrepanza di registro con il linguaggio corrente, contemporaneo all’autore, che emerge dal testo greco. È questo anacronismo di linguaggio a creare un effetto sapiente e contemporaneamente comico, per cui ho ritenuto importante mettere in risalto, per quanto l’italiano consenta, questa differenza.
ritirato in campagna invece che condursi a casa di Onomacrito. [4] Poscia Lessifane risolve di andare a ungersi a secco (xhraloifevw), con Filino, Onomacrito ed Ellanico seguitanti, i quali serbano timor di dover spartire il bagno con gente poco raccomandabile. Ellanico, vieppiù, lamenta un bruciore agli occhi (skardamuktw' kai; ajrtivtakruv" eijmi) e urge di un oftalmologo (devomai ojfqalmosovfou). [5] Tutti alla palestra giunti e le pratiche sportive terminate, si concedono alcuni una sauna, altri una nuotata. Al rientro dalla palestra, mentre Lessifane si pettina (ejxuovmhn th;n kefalh;n th'≥ ojdontwth'≥ xuvstra), i suoi compagni allestiscono il desinare e, presentatasi l’opportuna situazione, [6] accomodansi sui triclini perché avvio prendesse un fastoso banchetto di prelibate carni, pesci dagli altisonanti nomi e focacce accompagnate da salse d’ogni genere, cibi esotici e improbabili pietanze, tra le quali un gallo stonato (ajlektruw;n ajpw≥dov") e un pesce parassita (ijcqu"; paravsito"). [7] Stipano la credenza scodelle, boccali e le coppe per il vino, delle più svariate fogge e provenienze. [8] Coppe che fuor di dubbio non rimangono inutilizzate, infatti, ringioiti dal nettare di Bacco, i commensali si ungono d’olio e si fanno sopraffare da inebrianti melodie e dallo spettacolo di una danzatrice. [8] Quand’ecco irrompere nella stanza l’attaccabrighe (oJ dikodivfh") Megalonimo, l’orefice (oJ crusotevktwn) Cherea e il pugile (oJ wjtokavtaxi") Eudemo, dal bagno rientranti. Interrogati sulla cagion del ritardo non desistono dal giustificarsi: l’orefice forgiò un dono per la figlia e l’attaccabrighe cercò in ogni qual modo di presenziare a un processo. [10] Tuttavia, nel tentativo, s’imbattè nel processo di Dinia, perseguito per aver nominato gli iniziati dal nome sacro dei Misteri Eleusini. Lessifane s’informa sulla sorte di Dinia, opportunista screanzato e ubriacone (a[nqrwpo" tw'n aujtolhkuvqwn kai; tw'n aujtokabdavlwn), cui il giudice non risparmia la gogna. [11] Da ultimo Eudemo illustra del suo ritardo la ragione: era stato vocato da Damasia, addì indietro noto atleta, che in procinto di baldanzar lo sposalizio della figlia viene a conoscenza che suo figlio Dione tentò d’appendersi per il collo, ma fu salvato da Eudemo, il quale aveva sciolto il cappio e attuato una fantasiosa manovra per far riprendere i sensi al ragazzo.
[12] Eudemone, confermata a Lessifane la moralità affatto immacolata del ragazzo in questione, menziona che Damasia e la moglie si recarono al tempio di Artemide, dove per la vita del figlio supplicarono e ottennero la grazia, che ricompensarono tosto donando archi e frecce alla dea. [13] Megalonimo allora alletta tutti al bere, profittando del vino insieme ad altre leccornie, informando però il proprio ragazzetto che abbondi di acqua nel miscelarlo, perché già si palesano i sintomi primi dell’ubriachezza. [14] Il vino la ciarla caldeggia (ouj ga;r a[kairon dhvpoqen ejnoinofluvein), secondo Megalonimo, e ancor più se ad esercitarla è il fior fiore dell’atticismo (th'" ajttikivsew" a[kron), rincara Lessifane. Perora Callicle: è ciarlando che si affina il potente strumento della parola (ejreschlei'n ajllhvlou" sucavni" lavlh" qhgavnh givnetai). Fuori dal coro è la voce di Eudemo, che si diletterebbe più volentieri di musica, ma che tempestivamente viene attaccato da Lessifane: [15] la sua lingua è un bastimento che ha lasciato il porto per soccorrere e depurare con l’arcaismo (wJ" arcaiologhvsw) l’altrui gergo. Ma se alcuno gettasse le ancore mentre essa veloce scivola sospinta da un vento propizio sull'alte onde (ejmpepneumatwmevnou tou' ajkativou , eujforou'savn te kai; ajkrohumatou'san), sarebbe di certo per malevolenza. Eudemo rintuzza a Lessifane che è senz’altro libero di navigare, ma lui dalla terraferma osserverà il vascello sorseggiando del gradito vino.
[16] E’ a questo punto che Licino, interrompe la lettura del Simposio composto da Lessifane: anche senza vino ha la nausea (mequvw kai; nautiw'), rintronato (peribombouvmeno") da tutti quei paroloni forbiti che spera di vomitare al più presto. Seppure all’inizio lo fanno sorridere perché inusitati e tutti uguali, in seguito ascoltando Lessifane destreggiarsi in un labirinto di parole giunge alla conclusione che l’amico, per parlare così, soffre di una grava malattia (nosou'nta novson th;n megivsthn), la pazzia. [17] Licino paragona i distorti neologismi coniati da Lessifane a disgrazie colte dalla melma che si abbattono su di lui e per questo deduce che Lessifane non abbia mai incontrato alcuno che pratichi la libertà di parola. Se così fosse, infatti, avrebbe potuto essere guarito dalla sua “idrolessia” invece che compiacersene. [18] Quand’ecco sopraggiungere il
medico Sopoli e Licino, conoscendo la fama di costui nel guarire i matti, non perde l’occasione di esporgli il caso dell’amico Lessifane, affetto da accesso di chiacchiera (lhvrw≥ dev nu'n kai; xevnh≥ peri; th;n fwnh;n novsw≥ xunovnta) e prossimo al collasso totale se non s’interviene tempestivamente. [19] Lessifane controbatte prontamente: lui non è punto bisognoso d’esser medicato, lo è Licino in persona, predicante il riposo del favellar (glwttargivan hJmi'n ejpibavllei), alla maniera di Pitagora quand’imponeva agli aspiranti allievi il tempo di cinque rivoluzioni della terra in silenzio per ambir d’entrare nella sua scola. Lessifane non anela tosto d’amalgamarsi con Licino e Sopoli, pertanto se n’andrà in cerca del compagno Clinia per sollazzarsi, poi che costui dispone di consorte indisponibile (a[bato" kai; ajnhvroto"). [20] Su richiesta di Sopoli, Licino descrive i sintomi della malattia dell’amico: riesumazione di parole arcaiche che stravolgono la lingua (diastrevfwn th;n glw'ttan), accostate con grande cura. Sopoli ha giusto a disposizione il rimedio: una medicina (favrmakon) che induce il vomito aiuterà Lessifane a svuotarsi di tutte le parole strane che ha ingurgitato. Ma Lessifane teme: che codesto medicamento sarà poscia cagione di sconvolgimento? (devdoika gou'n mh; pw'ma gevnoitov moi tou'to tw'n lovgwn to; povma). Ma Licino lo incalza e Lessifane alla fine cede e avverte ribollir lo ventre suo simil a demone urlante dal ventre (ejggastrivmuqovn tina e[oika pepwkevnai). [21] La medicina sortisce il suo effetto e Sopoli enumera tutti gli arcaismi di cui Lessifane si libera: forseché, purtuttavia, poscia, allorquando (ajmhgevph kai; lw'/ste kai; dhvpouqen kai; sunece;" to; a[tta), ma mancano ancora il dappresso, il dinoccolarsi e l’imperpetrarsi (oujdevpw to; i[ktar ejmhvmeka" oujde; to; skordina'sqai oujde; to; teutavzesqai). Molte ancora ne mancano, tanto che Sopoli si augura escano non solo da davanti, ma anche da dietro. Quando la purga è completa, Lessifane viene affidato a Licino perché lo rieduchi. [22] Il consiglio che viene dato per ottenere la fama dal pubblico è semplice: disdegnare il vecchiume e apprendere invece dai poeti, dagli oratori, dagli storiografi, dai comici e dai tragici. Da questo canone Lessifane dovrà cogliere i fiori più belli e non cercare, al contrario, di imitare la forma senza curare il contenuto. [23] Per evitare la derisione dovrà impegnarsi nell’apprendere, ed eviterà così di essere conosciuto solo per il suo iperatticismo,
più oscuro ancora di una lingua barbara. Licino palesa i precetti del buon ornato: fuggire i modelli dei Sofisti per emulare i grandi maestri dell’antichità, raffinare la forma e la parola dopo averne però plasmato la sostanza, perseguire grazia e chiarezza della prosa; [24] non vi sia nessuna vanità né superbia rispetto alle opere altrui. Ma, soprattutto, bisogna curare il pensiero prima delle parole stesse e non viceversa, perché non è poi così lieve l’errore di rivestire di bello un pensiero da poco, così come cercare di sostanziare un bel vocabolo con un pensiero che non gli si addice affatto e che risulta in quel modo del tutto incongruente nel discorso. Questo modus loquendi stupisce l’ignorante, ma fa ridere il colto. [25] Lessifane risulta ridicolo usando sempre e solo le forme più arcaiche, commettendo errori improbabili anche per un bambino che ha da poco cominciato a studiar grammatica: citwvnion è la veste della donna e non dell’uomo, doulavria sono le serve donne e non i maschi; non sono risparmiati nemmeno strafalcioni grammaticali nelle declinazioni verbali. L’oscurità della prosa di Lessifane è degna di essere paragonata con i più oscuri e incomprensibili testi. Per disintossicarsi Lessifane deve pertanto seguire con perseveranza i precetti elargiti da Licino, il quale, assolto il dovere di avvertire l’amico, conclude con un ultimo ammonimento: chi peggiora la sua fama, pianga se stesso.
3. L'atticismo
Il Lessifane rientra, insieme per esempio al Maestro di Retorica, al Solecista e allo Pseudologista, tra le opere in cui il bersaglio della satira di Luciano è la cattiva retorica e coloro che ne fanno uso. In particolare, nel Lessifane Luciano si scaglia contro gli iperatticisti: retori che, all'interno della corrente atticista, desideravano procurarsi fama e gloria dando spettacolo con una lingua che pretendeva di essere erudita e formale rifacendosi al dialetto attico, ma che non aveva di base il sapere necessario per esserlo veramente.
3.1 L'emergere del dialetto attico
Con il termine "atticismo" s’intende descrivere quel fenomeno culturale, linguistico e sociale che interessò l’élite di pepaideumevnoi della Seconda
Sofistica e che si proponeva di tendere quando più possibile al modello linguistico dell’Atene classica. L’élite greca di età romana applicò la propria competenza retorica nel «re-establishing the style and ultimately the language of the best Attic writers»5, spinta sostanziata dal culto della paideiva e che, iniziata nel I secolo d.C., ha in realtà le sue radici molti secoli prima.
Nel V e IV secolo a.C. Atene aveva conquistato un predominio non soltanto politico (la fondazione della Lega navale delio-attica nel 478/477 a.C. è senz'altro un evento cardine della centralità politica di Atene) ma anche culturale e la diffusione del dialetto attico in tutta la Grecia continentale, le isole e l’Asia Minore non fu che il naturale risultato questa egemonia politica e culturale. Attraverso il diffondersi della burocrazia necessaria per gestire le alleanze e gli equilibri di potere, viaggiava parallelamente anche il dialetto attico. Tuttavia, il dominio di quest’ultimo non inibì lo scambio interdialettale, specialmente in campo artistico-letterario dove si erano ormai standardizzate le corrispondenze tra dialetto e genere poetico e letterario. Fu con lo ionico che il dialetto di Atene ebbe maggiori contatti: già alla fine del V secolo a.C. si era verificato un processo di contaminazione e omogeneizzazione dei due dialetti, che aveva dato vita a una forma di greco comune. Fu proprio questa forma a consolidarsi e diffondersi con il dominio di Alessandro Magno e i successivi regni ellenistici, una forma parlata e comune a tutti, come del resto già si evince dal suo nome: la koinhv, una varietà di greco con caratteri linguistici di base attici, ma con influenze ioniche6.
5 Horrocks 1997, p. 80.
6 Per maggiori approfondimenti sulla koinhv vd. A. Meillet, Aperçu d’une histoire de la langue
grecque, Paris 1935, pp. 179-247; D. Pieraccioni, Morfologia storica della lingua greca, Firenze 1954; A. Thumb, Handbuch der griechischen Dialekte, Carl Winter 1959; López Eire, "Del àtico a la Koiné", Emerita 49 (1981), pp. 377-392; G. Horrocks, Greek: a history of the language and its
speakers, London – New York 1997; A history of Ancient Greek: from the beginnings to late
antiquity a c. di A.F. Christidis, Cambridge 2001, pp. 342-345, 610-631; Storia delle lingue
letterarie greche, a c. di A. C. Cassio, Firenze 2008; S. Kaczko, "La koinhv", in Storia delle lingue
letterarie greche, a c. di A. C. Cassio, Firenze 2008, pp. 357-393; L. Kim, “The Literary Heritage as Language” in E.J. Bakker, A companion to the ancient Greek language, Wiley Blackwell 2010, pp. 468-482.
3.2 La koinhv
In epoca ellenistica, si affermò quindi una lingua letteraria e d’élite: essa era frutto di un atteggiamento tendente al purismo attico, una «varietà di attico depurata da alcuni tratti avvertiti come troppo locali»7 ed in tal modo venne col tempo a crearsi una sorta di diglossia formata da un «high dialect (elite Atticizing Koinhv) […] more prestigious and esthetically superior than the low (popular colloquial Koinhv)»8. La koinhv alta era utilizzata principalmente nelle iscrizioni e nei documenti ufficiali dell'impero, mentre quella bassa era riservata ai documenti privati e differenziò il greco scritto, alto, ufficiale e destinato all'élite, dal greco parlato e scritto ma con modificazioni che erano sentite come scorrette dai parlanti dell'élite.
A livello linguistico, pertanto, la koinhv presentava alcuni tratti caratteristici del dialetto attico: sul piano fonologico, per esempio, [a:] dopo [e], [i] ed [r] (p. es. pravssw e non prhvssw) e contrazioni che si verificavano nel dialetto attico ma non nello ionico ([eo] > [ou] p.es. neanivou e non neanivew). Ma non mancano influenze ioniche come -ss- in luogo di -tt- (p.es. fulavssw e non fulavttw). Sul piano morfologico eredità del dialetto attico sono i genitivi in -ew" del temi in -i- ed -eu- (come povli"), ma anche l'eliminazione della declinazione attica per cui si afferma, per esempio laov" invece dell'attico lewv". Più in generale, la forza del livellamento analogico opera molto sulla varietà del sistema verbale: negli aoristi cappatici la desinenza -k si estende anche al plurale (ejqhvkamen invece di e[qemen) e nei verbi irregolari le forme tendono ad omologarsi (i[smen, prima persona di oi\da diventa oi[damen). La tendenza alla semplificazione opera molto nel settore della morfosintassi, per cui si assiste ad una progressiva affermazione della struttura preposizionale per il complemento in luogo del caso semplice (p. es. diav e genitivo in sostituzione del dativo semplice). Tra le modificazioni più importanti che avvengono nel sistema verbale, non come stretta eredità del dialetto attico ma come frutto del livellamento analogico, si verificano la progressiva scomparsa dell'ottativo e del perfetto, l'assimilazione delle desinenze dell'aoristo tematico
7 Kaczko 2008, p. 357.
con quelle dell'aoristo sigmatico e una spiccata preferenza per una costruzione perifrastica del futuro9.
3.3 I mutamenti della koinhv bassa
In particolare la koinhv bassa subisce delle semplificazioni che non si riscontrano invece in quella alta: la differenza quantitativa delle vocali scompare e l'oscillazione grafica nelle forme dei dittonghi, come [ai] al posto di [ɛ:] e [u] invece di [oi] (p. es. sai ed uijkiva invece delle forme attestate in periodo classico se ed oijkiva), si stabilizza determinandone l'evoluzione definitiva10. Sul piano morfologico si diffonde l'accusativo plurale in -e" invece che in -a" (p.es. qugatevre"); nella sintassi verbale il perfetto scompare, assimilato progressivamente con l'aoristo e si afferma l'utilizzo sempre maggiore di i{na con il congiuntivo per esprimere la proposizione consecutiva in luogo di quella finale.
La definitiva egemonia romana sul mondo greco in tarda età repubblicana innescò quei contatti politici e culturali che ebbero fondamentali ripercussioni sul piano linguistico: la classe dirigente romana includeva nella sua educazione il greco e per questo un grandissimo numero di retori greci cominciò ad affluire a Roma. Di contro, il contatto con la lingua romana influenzò la koinhv greca: sul piano fonologico comincia a verificarsi quella perdita dell'opposizione di quantità delle vocali, che sarà poi definitiva solo nei secoli successivi. Sulla scia di quella tendenza alla semplificazione che già aveva causato numerose modificazioni, il dativo perse molte delle sue funzioni, per esempio, venne spesso sostituito da metav e genitivo nel suo valore strumentale. Databile all'età romana, è l'assimilazione della diatesi media a quella passiva nel sistema verbale e in quello morfosintattico si afferma l'utilizzo di forme perifrastiche, ad esempio i{na con il congiuntivo dove il greco classico avrebbe utilizzato una proposizione infinitiva ed e[cw con infinito in luogo del futuro. Che questi cambiamenti siano stati indotti dal contatto con il latino è una questione complessa difficilmente dimostrabile e che rimane tutt'ora insoluta, è tuttavia ipotizzabile che il contatto con la lingua
9 Vd. Horrocks 1997, pp. 35, 88-91; 2001, pp. 621. 10 Per ulteriori esempi vd. Kaczko 2008, p. 361.
romana abbia accellerato dei mutamenti che già si erano verificati internamente all lingua greca 11.
Sotto il dominio romano il termine koinhv indicava pertanto un greco che non era più l'attico di V secolo a.C.12, ma una varietà di base attica, con influenze ioniche, che aveva subito innovazioni e semplificazioni consistenti, utilizzato nei documenti ufficiali e compreso da tutte le amministrazioni decentrate. Come il dialetto attico aveva progressivamente perso la sua supremazia, così anche la classe dirigente greca aveva ceduto l'egemonia politica, ma non culturale, a quella romana. Fu la consapevolezza del prestigio della cultura greca a innescare nell'élite una reazione purista: come ben evidenzia S. Swain, l’atticismo non fu una linea netta di confine tra strati sociali, tra educated/non educated della congerie greca, bensì una differenziazione interna alla stessa élite e un’attitudine di ritorno al purismo della lingua di Atene. “It was the expression of a certain sort of consciousness, a distinction to do with the maintenance of cultural superiority”13.
3.4 La reazione purista
S’innescò la ricerca radicale di un purismo che ebbe immediato riflesso nella lingua e in cui l'atticismo ha le sue premesse: venne preso a modello il dialetto attico di V secolo, lingua per eccellenza dell’élite greca dell’Atene classica. La koinhv non era lo strumento adatto per far emergere la superiorità intellettuale che era propria dell'élite, invece, il dialetto attico avrebbe riportato in auge il prestigio delle classi colte. Un purismo stilistico e linguistico che si poteva ottenere con un assiduo studio degli autori classici, imitandone lo stile. Allo sforzo continuo di atticizzare la lingua si accostò pertanto un grande studio della grammatica e del
11 Kaczko 2008, p. 365.
12 Con il susseguirsi degli eventi storici e sociali si accumulò una stratificazione di significati del
termine koinhv. Relativamente al suo contesto di utilizzo Vd Swain 1996, p. 19. «koinhv is used nowadays in a variety of meanings. For the Hellenistic period it describes both literary and non- literary prose […] under the Roman empire is even more confusing. Here koinhv can refer to anything that is not in atticizing Greek. […] In antiquity itself koinhv often in fact indicated the ideal language of the educated class. […] In the second sophistic period […]koinhv Greek became for many a sign of intellectual inadequacy […]».
lessico attico, appannaggio solamente di coloro che detenevano la paideiva e con questa potevano distinguersi: lo scopo era quello di differenziare il greco dell'élite dal greco parlato e dei documenti privati comune a tutto l'impero.
4. Le premesse dell'atticismo
4.1 La filologia alessandrina
La filologia alessandrina che era fiorita nei secoli precedenti fornì un notevole contributo alla riscoperta dell'attico: Aristofane di Bisanzio e Cratete di Mallo, sono il punto di partenza di quell'interesse filologico, diventerà centrale in seguito. Aristofane fu autore di preziosi scholia ad Omero e inventore di segni diacritici, scrisse delle brevi introduzioni (uJpoqevsei") di molte tragedie. Il suo interesse linguistico è evidente dalle Levxei" (modello e fonte per i lessici successivi, come le Levxei" tw'n devka rJhtovrwn di Arpocrazione e la Sofistikh; proparaskeuhv di Frinico) che indagano le scelte lessicali degli autori antichi, organizzando gli elenchi di parole secondo categorie, come per esempio neologismi e termini con radici comuni.
Cratete di Mallo, filosofo stoico ed erudito della corte di Eumene II di Pergamo, dedica un intero trattato al dialetto attico (Peri; ajttikh'" dialevktou). A Cratete si attribuisce anche l'importante ruolo di maestro che introdusse a Roma gli studi grammaticali14.
4.2 Purismo e arcaismo a Roma. Dionigi di Alicarnasso
A Roma, i veri pionieri dello stile atticista furono preceduti da Cecilio di Calatte e, soprattutto, Dionigi di Alicarnasso, i quali nel dedicarsi agli studi di retorica individuarono nella sobrietà ed eleganza attica le qualità adatte alla prosa attica. Il grande interesse grammaticale che si risveglia nella Seconda Sofistica ha qui i suoi prodromi: Sugli oratori antichi di Dionigi e il Lexicon di Cecilio certo spostarono il focus degli oratori verso il dialetto attico, ma erano lo stile e la prosa
14 Suet. De Gramm. 1 Primus igitur, quantum opinamur, studium grammaticae in urbem intulit
ad essere al centro delle opere trattatistiche, non ancora la grammatica e fu «l’antica ed autoctona Attica Musa»15 di Dionigi di Alicarnasso a fornire i modelli da seguire: Lisia, Isocrate, Demostene, Eschine e tutti gli oratori che si esprimevano onorando lo stile attico.
Egli elabora la dottrina dell'imitazione: è essenziale apprendere dai più grandi modelli attici, come Lisia per gli oratori (Dion. Lys. 2) e Tucidide per gli storiografi, sebbene più difficile da imitare a causa del carattere spesso oscuro e difficile della sua prosa (Dion. Thuc. 24). Si deve a Dionigi l'idea di formare un canone di modelli (indiscutibilmente classici) utili a chi volesse intraprendere la strada della cultura. Wiater16 preferisce riferirsi all’atteggiamento di Dionigi con il termine "classicismo" più che "atticismo", assumendo gli strumenti di analisi di teorie antropologiche17, considerando l'atteggiamento dell'autore come volto all'imitazione dello stile degli autori attici, senza tuttavia il grande interesse grammaticale che sarà invece caratteristico dell’atticismo della Seconda Sofistica. A mio avviso, il punto di vista potrebbe essere differente: Dionigi fu centrale nel risvegliare lo studio del dialetto attico, sebbene non radicalmente incentrato sulla grammatica come avverrà invece più tardi: dimostrazione ne è il Peri; sunqevsew" ojnomavtwn, che rileva l'importanza della disposizione più che della scelta delle parole18 .
Il fine ultimo era quello di fornire le linee guida di una prosa attica agli oratori romani che volessero cimentarvisi, sullo sfondo ideologico di una Roma politicamente dominante ma culturalmente allieva della Grecia. L’atticismo cui si volge Dionigi è ideologico e politicamente strumentalizzato, che parte dalla retorica e dalla lingua, in quanto primo e imprescindibile pilastro della cultura scolastica nella classe dirigente19.
15 Dion. Halic. De Antiq Orat. 1,28 hJ me;n ≠Attikh; mou'sa kai; ajrcaiva kai; aujtovcqwn. 16Wiater 2011, p. 3; Bompaire 1994, p. 71.
17 Vd. C. Geertz, The Interpretation of cultures, New York, 1973.
18 Dion. Halic. De Comp. Verb. 2. ïH suvnqesi" e[sti mevn, w{sper kai; aujto; dhloi' tou[noma,
poiav ti" qevsi" par≠ a[llhla tw'n tou' lovgou morivwn, a} dh; kai; stoicei'av tine" th'" levxew" kalou'sin.
19 Per un maggiore approfondimento su Dionigi di Alicarnasso vd. M. Fox, "History and Rethoric
4.3 La seconda Sofistica e il rapporto con il potere romano
Con la seconda Sofistica, l’atticismo divenne radicale: il rapporto con il potere romano incrementò nei Greci la necessità di rafforzare la loro identità e riaffermare l’eJllhnikovn, che, come aveva insegnato Erodoto, passava per riti ed usanze comuni e, naturalmente, per una lingua comune. La sistematicità della purezza linguistica non era più soltanto lo specchio di una nostalgia per la cultura classica ma divenne un atteggiamento dell’élite, «a state of mind inculcated by the education system and reinforced by the practice and prejudices of the aristocracy»20 e la dimostrazione di un’abilità retorica superiore, supportata dall’ostentazione della paideiva, simbolo di uno status sociale elevato cui doveva corrispondere un'altrettanto elevata proprietà lessicale. Pertanto l’ajttikivzein venne coltivato come pratica per conferire a tutta la cultura contemporanea quella patina arcaica dell’antico splendore ateniese: i modelli della produzione letteraria, sulla scia dell’idealizzazione del passato, non potevano che essere Tucidide, Platone, Senofonte, Isocrate, Lisia e Demostene. Si risale a paradigmi linguistici di cinque secoli prima.
L’insistenza teorica con cui gli autori della Seconda Sofistica hanno approfondito l’atticismo non deve indurre a considerare questa produzione come una pedissequa e non ragionata imitazione del dialetto attico di V secolo, risultato di un fedele adempimento a rigide prescrizioni di purezza. A partire da Dione di Prusa e in seguito Elio Aristide, Erode Attico, Favorino di Arles, Massimo di Tiro, Arriano, Appiano, Flavio Filostrato, e, naturalmente, la satira di Luciano, iniziano a circolare nella letteratura, per imitazione o per critica, termini attici che trovano il loro spazio tra dialoghi filosofici, satira e declamazioni. Ognuno di questi autori aderisce in misura diversa al movimento dell'atticismo, seguendo in maniera più o meno rigorosa le norme linguistiche dell'attico di V secolo.
and the First Greek Historians", AJPh, 116 (1995), pp. 279-302; G. Calvani Mariotti, "Le citazioni nel De compositione verborum e la tradizione scoliografica", SCO, 45 (1995). pp. 162-190.
5. Le personalità del mondo atticista
5.1 Gli autori che aderirono alla moda, tra estremismi e posizioni moderate
Ciascuno di questi autori elaborò personalmente lingua e modelli secondo un diverso grado. Tra gli scrittori che aderiscono alla moda, in particolare Elio Aristide testimonia un atticismo pervaso da un irremovibile rigore puristico. Purtroppo non sono giunti che scholia del periodo bizantino, che mostrano però come egli ritenesse il dialetto attico un paravdeigma da seguire.
Le opere di Dione di Prusa e dell'allievo Favorino, come anche Erode Attico (sebbene l'attribuzione dell'unico scritto pervenutoci, Sulla Costituzione, abbia suscitato dei dubbi), non furono incentrate su temi prettamente linguistici ma risentirono dell'influenza atticista, curando la chiarezza e la scelta dei vocaboli, ispirandosi a modelli come Platone e Senofonte.
Altri autori furono importanti per descrivere il movimento atticista, pur non aderendo in maniera rigorosa ad esso. Luciano non si esime dal canzonare gli eccessi linguistici, veri e propri strafalcioni, che da esso derivavano. Per sgretolare quell’idea dell’atticismo come «monolithic phaenomenon»21 fu significativo il ruolo dello storico Arriano, noto per aver scritto in dialetto ionico e attico senza tuttavia ripudiare totalmente il lessico della koinhv: per la sua inclinazione linguistica vale bene la definizione di Kim che lo vede come «more concerned with sidestepping accusations of vulgarism than with actually recreating Classical Attic»22.
Altrettanto emblematico di un greco letterario di alto livello ma non atticizzante fu Galeno: medico e filosofo, perfettamente educato dal padre secondo i canoni, padroneggiava il greco comune, ma anche lo ionico, prerequisito imprescindibile per chi intraprendeva la strada della medicina ippocratica. Conosceva il latino ed era perciò sensibile alla questione del purismo, dei solecismi e barbarismi all’interno della lingua23.
21 Kim 2010, p.481.
22 Kim 2010, p.479.
23 Per uno studio più approfondito vd. V. Boudon-Millot, Galien de Pergame. Un médicin grec à
Sebbene consapevole della necessità di una prosa raffinata, non tradisce la vocazione alla safhvneia, garante della comprensione dei testi da parte del lettore. In quanto medico, filosofo e responsabile della tassonomia delle proprie opere, utilizza una lingua meno virtuosistica, pur potendoselo permettere, ma altrettanto sapiente. Il conflittuale rapporto con gli autori atticisti affonda le sue radici nella pratica atticista di ornare, “elitarizzare” e risemanticizzare il greco, pratica che in qualche modo distorce e rende perciò incomprensibile il greco. Un vettore di forza opposta alla safhvneia perseguita da Galeno, il quale tuttavia polemizza non contro l’atticismo in sé quanto più con l’opportunità del suo estendersi indistintamente ad ogni campo: non era adatta per scritti di materia medica una lingua incentrata sull’esposizione di vocaboli comprensibili a pochi e di virtuosismi, tanto più se per il desiderio di arcaizzare si finiva per stravolgere totalmente il significato di una parola.
5.2 I Lessicografi
La cultura dell’impressionare il pubblico tramite la parola aveva portato all’elaborazione e alla raffinazione sempre maggiore di strategie retoriche che conferissero al discorso quel sapore erudito di una cultura elitaria, e quindi la questione della lingua si fece ancora più centrale. L’abisso temporale e gli avvenimenti storico-politici che separavano il II secolo d.C. dall’età classica avevano ricoperto con un notevole strato di polvere l’attico di V secolo, che, pur essendo alcune sue forme entrate a far parte della koinhv, si era amalgamato con forme barbare e forme più comuni e necessitava quindi di essere rispolverato. Chiunque volesse purificare la lingua secondo i canoni, doveva senz’altro documentarsi sulle regole grammaticali dell’attico classico, mediante la letteratura e i lessici a disposizione: purtroppo perduti (ma ricostruibili grazie a frammenti, soprattutto da Eustazio e Fozio) furono i lavori dei lessicografi Elio Dioniso e Pausania Atticista, che nel II sec. d.C. scrissero rispettivamente gli jAttika; ojnovmata e l' jAttikw'n ojnomavtwn sunagwghv e che avevano la loro fonte
Cambridge, 2009; V. Nutton, “Galen and Medical Autobiography,” PCPhS 18 (1972), pp. 50- 62 e
principalmente in Aristofane di Bisanzio. I trattati grammaticali di Apollonio Discolo e del figlio Erodiano in età imperiale, pur non essendo dedicati specificatamente allo studio del dialetto attico, furono importanti per lo sviluppo della grammatica come disciplina. Arpocrazione redige le Levxei" tw'n devka rJhtovrwn come anche Moeris, che nelle sue jAttikai; levxei" usa come criterio distintivo di analisi delle parole il loro uso o meno da parte degli autori attici. Rappresentative di un atticismo veramente estremo sono la Praeparatio
Sophistica (pervenutaci solo come epitome), ma soprattutto l'Ecloga. Quest'ultima in particolare, infatti, è utile perché fornisce indicazioni non solo in merito al lessico attico o non attico, ma anche della koinhv (che usa p. es. dusiv invece del duale duoi'n) e prescrive quali forme sono da utilizzare acostandole a quelle che invece vanno evitate. In alcuni casi l'intransigenza è tale da condannare anche forme che invece erano state utilizzate da autori attici: ad esempio sconsiglia l'uso di scavzw e katascavzw in ambito medico Ec. 125 Katascavsai: ijatroi; me;n touvtw/ crwvmenoi e[cousin ajpologivan wJ" o[nto" para; toi'" ajrcaivoi" tou' e[scwn kai; e[scazon µkai; ejkevntoun‰: ajlla; katanuvxai hJmei'" levgomen), ma è attestato in Senofonte (Xen. Hell. 5.4.58 Surakovsiov" ti" ijatro;" scavzei th;n para; tw'/ sfurw'/ flevba aujtou') e Ippocrate (Hippocr. Aff. Int. 39.7 Tou'ton, oJkovtan ou{tw" e[ch/, scavsai aujtou' tou;" ajgkw'na" kai; ajfairevein tou' ai{mato"). Interessante è l’Onomasticon di Polluce, pervenutoci solo come epitome, che si differenzia per la sua struttura: infatti, non segue un ordine alfabetico, come era consuetudine, ma procede per argomenti, elencando termini appartenenti allo stesso campo semantico e non mancando di fornire dettagli sul loro uso.
Gli autori che aderirono all'atticismo, i lessicografi che lo descrissero e coloro che lo criticarono, ci permettono di tracciare alcune linee guida sui caratteri linguistici della moda atticista.
6. L'Atticismo linguistico
6.1 Fonologia e morfologia
La retorica atticista reintrodusse la fonologia e la morfologia attica (per esempio, l’uso di -tt- invece di -ss- e di -rr- invece di -rs-) recuperò l’uso del caso duale da tempo abbandonato e la declinazione, appunto, attica che voleva newv~ invece di naov~; il dativo rientrò in possesso di tutte le funzioni che la koinhv aveva sostituito con costrutti preposizionali. Per quello che riguarda la morfologia verbale, venne ripristinato l'ottativo, scomparso nella koinhv, e l'uso della diatesi media, lì dove la koinhv aveva invece eliminato ogni ambiguità decidendo per una forma o attiva o passiva del verbo. L’uso del presente storico e forme standard della koinhv come givnomai e iJstavnw vennero accantonate per i ben più antichi givgnomai e i{sthmi: si verificò in sostanza un «increase in usage of forms and constructions that had declined, but never disappeared from literary language»24.
6.2 Il lessico
Fu nel lessico, tuttavia, che maggiormente che gli atticisti concentrarono la tensione puristica: la pratica dell’etimologia permetteva di riscoprire le radici di ogni vocabolo (cf. Ath. 480b, elencando le coppe si illustrano le derivazioni etimologiche dei nomi). Vennero riportate in auge forme della lingua che nel tempo erano state progressivamente sostituite da altre, per esempio, Frinico consiglia di usare e[domai e katevdomai invece di favgomai sentito come barbaro25.
Il lessico risultò essere il campo di battagli in cui sfoggiare la propria conoscenza e competenza: di ogni termine veniva indagata l'etimologia, le attestazioni e le sfumature di significato che esso poteva assumere. Emblematico di questo atteggiamento sono le discussioni, per esempio, nei Deipnosofisti di Ateneo, nelle quali vengono destinate lunghe sezioni all'analisi di un singolo
24 Kim 2010, p. 471.
vocabolo. Dissertando sull’opportunità o meno dell’utilizzo di alcuni vocaboli, si operò una scrematura in base ai modelli degli antichi, quasi a voler redigere un corretto vocabolario dell’attico.
È con intento prescrittivo che Frinico raccoglie nella Praeparatio Sophistica e, soprattutto, nell'Ecloga una collezione di termini attici o appartenenti alla koinhv, illustrando quali sono ammessi e quali invece vanno evitati. Per esempio, in Ecl. 4 Frinico suggerisce di utilizzare non uJpovdeigma, ma paravdeigma, infatti, il primo era stato utilizzato da Erodoto, ma da nessun autore attico. Sempre nell'Ecloga Frinico dice di non usare ejparivsteron «a sinistra» ma skaiovn (Ec. 227 ≠Eparivsteron ouj crh; levgein, ajlla; skaiovn), il primo infatti era un aggettivo nato dalla tendenza ai costrutti preposizionali che si era affermata nella koinhv e che aveva sostituito progressivamente l'utilizzo di skaiovn con ejp'ajristerav.
Nel confrontarsi con questi elenchi non bisogna cadere nell’errore di considerarli come assoluti, e di vedere l’atticismo come una semplice messa in atto di divieti di un termine piuttosto che di un altro. Il desiderio di sviscerare la storia di un vocabolo nel suo etimo e nel suo contesto di utilizzo, nella frequenza con cui ricorreva nei testi antichi, se Senofonte l’aveva usato una volta o Tucidide quattro, erano riflessi di una passione filologica che aveva avuto le sue radici nella filologia alessandrina, cui Frinico attinge. Ancora una volta non era il lessico della koinhv ad essere preso in considerazione, ma quello della retorica erudita, al fine di esprimersi in maniera ancora più esclusiva.
L'attenzione all'utilizzo dei termini divenne radicale a tal punto da degenerare e si affermò così una pratica estrema di quella che era stata una moda atticista: diventava occasione di discussione ogni aspetto del termine in sé, la forma, il significato e quando servirsene. Emblematica è la neanche troppo velata ironia con cui Ateneo presenta tra i sofisti a banchetto Ulpiano di Tiro, affamato più che del cibo, dell’attestazione della parola che lo descrive:
Athen. 1.2.25 […] e[scen o[noma tou' kurivou diashmovteron Keitouvkeito". ou|to" oJ ajnh;r novmon ei\cen Ãi[dion¤ mhdeno;" ajpotrwvgein pri;n eijpei'n ¯kei'tai h] ouj kei'taiɯ oi|on eij kei'tai w{ra ejpi; tou' th'" hJmevra" morivou, Ãeij oJ mevquso" ejpi; ajndrov",¤ eij hJ mhvtra kei'tai ejpi; tou' ejdwdivmou brwvmato", eij suvagro" kei'tai to; suvnqeton.
[…] aveva un soprannome, Keitoukeitos, più noto del suo nome proprio. Quest’uomo aveva come peculiare abitudine di non toccare cibo prima di aver chiesto “Si trova o non si trova?”: domandava per esempio se negli scrittori si trovasse hora per indicare la parte del giorno, méthysos detto di un uomo, métra nel senso di un cibo buono da mangiare, il composto syagros nel senso di “cinghiale”.
7. La degenerazione dell'Atticismo e la satira di Luciano.
La degenerazione dell'atticismo è ciò che offre a Luciano spunti per la sua satira: i retori a lui contemporanei non aderiscono più ad un atticismo incentrato sulla riscoperta del dialetto attico e degli autori che l'avevano usato, ma utilizzano termini desueti per dare spettacolo e dimostrare in tal modo di appartenere ad una cerchia ristretta. L’élite retorica si era divisa in scuole di pensiero che riflettevano atteggiamenti diversi nella moda atticista: Erode Attico e i suoi allievi, «étroite et intolérante, plus instruite il est vrai, mais parfois puérile à force d’exagérations»26, un’altra «d’une érudition plus générale et moins profonde, mais d’un abord plus facile et d’une orthodoxie plus libérale». L’intransigenza pedantesca della prima ricopre la superficialità della seconda in una terza corrente, per la quale Luciano fornisce l’etichetta: coniando il vocabolo «iperatticista»27 fa risaltare evidentemente il carattere oltremodo pedante che si concentrava a tal punto sulla
26 Chabert 1887, p. 97.
27 Lex. 25, To; de; pavntwn katagelastovtaton ejkei'nov ejstin, o{ti uJperavttiko" ei\nai ajxiw'n
kai; th;n fwnh;n eij" to; ajrcaiovtaton ajphkribwmevno" toiau'ta e[nia[…]. Il vocabolo era già stato usato da Luciano in Demonax 26, eJni; gou'n ejrwthqevnti uJp≠ aujtou' lovgon tina; kai; uJperattikw'" ajpokriqevnti. Già gli antichi utilizzavano l’aggettivo ajttikov~ con una valenza oppositiva, tutta grammaticale, rispetto agli altri dialetti: Dem. Pro Meg. 2, 2 ei[ ti" aujtw'n ajfevloi to; gignwvskesqai kai; to; th'/ fwnh'/ levgein ≠Attikistiv, pollou;" a]n oi\mai tou;" me;n ≠Arkavda", tou;" de; Lavkwna" aujtw'n ei\nai nomivsai; Plat. Crat. AiJ me;n dh; w|rai ≠Attikisti; wJ" to; palaio;n rJhtevon, ei[per bouvlei to; eijko;" eijdevnai. Si estende al campo stilistico con Demetrio Falero e Dionigi di Alicarnasso (Dem. De Eloc. 177 hJ ga;r ≠Attikh; glw'ssa sunestrammevnon ti e[cei kai; dhmotiko;n kai; tai'" toiauvtai" eujtrapelivai" prevpon; Dion. Halicarn. De Ant. Orat. 1, 28 ). Il composto uJperattikov~ è un neologismo ad opera di Luciano, che verrà in seguito impiegato dai commentatori con forte valenza negativa per indicare la tendenza agli eccessi retorici della seconda sofistica (cf. Fl. Phil. Ep. 2, 1 rJhtovrwn de; a[rista me;n ïHrwvdh" oJ ≠Aqhnai'o" ejpevstellen, uJperattikivzwn de; kai; uJperlalw'n ejkpivptei pollacou' tou' prevponto" ejpistolh'; Phot. Bibl. 85b fiEsti de; th;n fravsin safh;" kai; lampro;" kai; hJduv", kai; levxei crwvmeno" swvfroni, mhvte uJperattikizouvsh/ kai; th;n e[mfuton ejxubrizouvsh/ cavrin tou' sunhvqou"; Suda s. v. Diquvrambo" d 1130 oJ de; ≠Apollwvnio" lovgwn ijdevan ejphvskhsen, ouj th;n diqurambwvdh kai; flegmaivnousan poihtikoi'" ojnovmasin, oujd≠ au\ kateglwttismevnhn kai; uJperattikivzousan).
grammatica di un vocabolo e il suo corretto uso, da tralasciare però il complessivo contenuto.
Sono proprio gli iperatticisti a finire nel mirino della satira, in particolare quella di Luciano: emerge un atticismo come insieme di regole e prescrizioni che ricreasse una lingua pura, che tuttavia restava pur sempre una lingua teorica, un modello di perfezione cui tendere ma, come tutti modelli, mai perfettamente riproducibile. Ed è per questo che la volontà degli iperatticisti di riprodurla, estremizzando all’eccesso la pedanteria e creando nuovi neologismi incomprensibili, risultò grottesca e si impose come degno bersaglio polemico. Gli iperatticisti rovesciarono paradossalmente quelle che erano state «les qualités maitresses de cette langue: [...] la pureté, la proprieté et la clarté»28
8. L'atticismo di Luciano
Per la sua critica a un uso meramente spettacolare della cultura, è probabile che Luciano conoscesse la trattatistica grammaticale a lui precedente, ma anche le opere di autori contemporanei, aderenti o meno alla moda atticista, e delle quali, come ipotizza Bompaire29, si sarebbe anche servito.
Luciano è un grande sostenitore della raffinatezza oratoria: non ama anzi condanna tutti gli eccessi, siano essi linguistici, come nel Lessifane, filosofici, come nell’Ermotimo, o comportamentali come nel Symposium. Troppo controcorrente per una semplice e chiara dichiarazione programmatica dei principi che regolavano il suo modus scribendi, Luciano preferisce disseminare nelle sue opere consigli, eroi, allievi e maestri, dai quali possiamo facilmente desumere qual è lo stile che egli ritiene valido per una buona retorica e qual è il rapporto che egli ha con l’atticismo come lingua e con l’atticismo come corrente di emulazione pedissequa di un’aurea aetas ateniese.
28 Chabert 1887, p.10.
8.1 L'atticismo nelle opere di Luciano
Il tema dell’atticismo è ricorrente nella produzione dell’autore e attraverso differenti strategie egli studia, critica, appoggia e consiglia coloro che in diverse maniere si confrontano con la corrente atticista e la moda di riesumare vocaboli dal canone degli autori di V sec. a.C.
Infatti, Luciano dedica alcune perle della sua satira ai retori che avevano ridotto l'atticismo alla mera pratica di selezionare ed utilizzare parole e costrutti desueti scomparsi dall'uso corrente, desiderosi di indagare più la forma che la sostanza. L'autore inorridisce di fronte all’eccesso di pedanteria, all’eccesso di atticismo e all’ignoranza: in più di un’opera, esplicitamente o implicitamente, si rapporta con la moda atticista, criticando l’atteggiamento iperatticista di coloro che tendono all’idealizzazione della purezza linguistica al punto tale da creare neologismi e ridondanze talmente estremizzate da far risultare il discorso incomprensibile, la cui sola premura è quella di apparire curati e retoricamente eleganti. Sottilmente Luciano critica anche coloro che per atticisti vogliono passare, ostentando un’erudizione solo nel lessico, ma la cui ignoranza viene presto smascherata. Nel Maestro di Retorica, ad esempio, un precettore consiglia l’allievo sulla via più facile da seguire per raggiungere la gloria della retorica, insistendo sull’importanza dell’apparire un buon oratore molto più che dell’esserlo realmente. Luciano offre attraverso le direttive di questo maestro un paradigma negativo del cattivo sapiente, che si appella alla sapienza altrui per giustificare i propri errori, e che possiede una sapienza di riflesso:
Rh. Pr. 17 [An soloikivshó~ de; h] barbarivsh/", e}n e[stw favrmakon hJ ajnaiscuntiva, kai; provceiron eujqu;" o[noma ou[te o[nto" tino;" ou[te genomevnou potev, h] poihtou' h] suggrafevw", o}" ou{tw levgein ejdokivmaze sofo;" ajnh;r kai; th;n fwnh;n eij" to; ajkrovtaton ajphkribwmevno".
Se poi farai solecismi o barbarismi, unico rimedio sia la sfrontatezza: devi aver subito pronto il nome di un poeta o di uno scrittore che non esiste e non è mai esistito, il quale, uomo sapiente e giunto alla conoscenza più perfetta della lingua, ha dato per valido quell’uso.
Con questo passo, Luciano mette bene in evidenza come rientrasse, tra i precetti da seguire per diventare un sofista alla moda, quello di mascherare con
affermazioni false gli errori del discorso, in nome di una presunta cultura così ben esposta che nessun ascoltatore si preoccupasse di verificare la veridicità delle affermazioni di un sofista.
È inevitabile che la garanzia di questo sapere postulato e non provato siano le parole con cui esso viene espresso e Luciano nel Lessifane enfatizza e parodizza questo aspetto dell’esagerazione lessicale tipica degli iperatticisti, un vero «ingenious blend of comic and Platonic material with a riotous parody of outlandish diction»30. Tuttavia, all’interno di una critica feroce velata dall’ironia Luciano mostra una profonda conoscenza di quelle stesse regole da lui criticate. Nel Giudizio delle vocali il Sigma intenta una causa al Tau per averlo defraudato di tutte le parole in cui occorreva il doppio Sigma e che ora invece presentano il doppio Tau. Se Luciano con questo scritto mira a parodizzare la prassi atticista di usare -tt- in luogo di -ss-, affermatasi con la koinhv, è indubbio che per criticare una tale prassi bisognava prima conoscerla. E’ probabile quindi che Luciano conoscesse bene le regole dell’atticismo e che alla fine, per critica o per errore, le abbia usate anche lui.
La retorica di Luciano rifiuta gli eccessi, infatti, nel Giudizio delle vocali sentiamo il Sigma dichiarare:
Iud. Voc. 2 […] kai; parhvkouon e[nia tw'n legomevnwn uJpo; th'" metriovthto", h}n i[ste me fulavssonta prov" te uJma'" kai; ta;" a[lla" sullabav".
[…] e alcune delle cose che si dicevano fingevo di non sentirle, per quel senso della misura che, come sapete, io conservo nei rapporti con voi e con le altre lettere.
Luciano non fa mistero del criterio che secondo lui bisogna seguire per ottenere una buona prosa: è la metriovth~, ossia la sobrietà e l’eleganza. Non è un caso che sia bersaglio di una satira pungente proprio quel maestro di retorica, identificato dalla critica con tutta probabilità come Giulio Polluce31 che dispensa
30 Anderson 1976, p. 70.
31 A sostegno di questa interpretazione Chabert 1897; Gallavotti 1932, p. 250. Per interpretazioni
contrarie vd. Hall 1981, p. 285; Jones 1972, p. 475; Swain 1996, p. 46. Non si sbilancia Bompaire 1984, p 483.
precetti che travisano la chiarezza e il buon gusto attico. Luciano lo critica, dandogli l'appellativo di rJhvtwr e sofishv", ma facendo di lui un modello da evitare. Per costui è fondamentale l’importanza della krhpi;~ jAttikh;32: il «sandalo attico», metafora che si rifà all'estetica per indicare un ornato raffinato del discorso. Luciano critica questo maestro perché educa l'aspirante retore a servirsi di vocaboli ricercati e ad usarli impropriamente al fine di ottenere una lettura non semplice:
Rh. Pr. 15-16 JAlla; schvmato~ mevn to; prw'ton ejpimelhqh'nai crh; mavlista kai; eujmovrfou th'" ajnabolh'", e[peita pentekaivdeka h] ouj pleivw ge tw'n ei[kosin ≠Attika; ojnovmata ejklevxa" poqe;n […]mevtei de; ajpovrrhta kai; xevna rJhvmata, spaniavki" uJpo; tw'n pavlai eijrhmevna
[…] occorre avere una cura particolare dell’aspetto e di un panneggio del mantello; poi, trascelti da qualche parte e coscienziosamente studiati da circa quindici a venti vocaboli attici […] Poi ancora, raccolte insieme parole disusate e strane, e raramente adoperate dagli antichi […]
Luciano smaschera l’ipocrisia di quegli aspiranti oratori che non amano in sé la forma attica, ma se ne interessano solo in quanto moda del momento che desta l’interesse del pubblico e consente l’accesso alla fama. «C’est ainsi qu’une réaction inintelligente et ignorante pouvait alterér jusque dans ses sources la pure langue qu’on prétendait restaurer»33.
La cura formale esteriore aveva acquisito un’importanza preponderante rispetto a quella dovuta invece alla sostanza e Luciano sottopone a giudizio negativo l’atteggiamento con il quale gli oratori si servivano della forma attica per instradarsi su una più rapida via per il successo:
Rh. Pr. 22 […] hJ tovlma ga;r kai; hJ ajnaiscuntiva kai; yeu'do" provceiron kai; o{rko" ejp≠ a[kroi" ajei; toi'" ceivlesi kai; fqovno" pro;" a{panta" kai; mi'so" kai; blasfhmiva kai; diabolai; piqanaiv, tau'tav se ajoivdimon ejn bracei' kai; perivblepton ajpofanei`. […]
L’ardimento, infatti, la sfrontatezza, la menzogna sotto mano, il giuramento sempre a fior di labbra, l’invidia per tutti, l’odio, il vituperio, le calunnie
32 Rh. Pr. 15 kai; hJ ejsqh;" de; e[stw eujanqh;" h] leukhv, e[rgon th'" Tarantivnh" ejrgasiva", wJ"
diafaivnesqai to; sw'ma, kai; h] krhpi;" ≠Attikh; gunaikeiva.
convincenti sono le cose che ti renderanno in breve un personaggio di spicco celebrato da tutti.
Luciano condanna l’ostentazione della forma senza contenuti, ma non l’atticismo in sé: il conoscere e saper usare la forma attica non è agli occhi di Luciano necessariamente negativo, rientra piuttosto in quell’etichetta che è la paideiva, di cui Luciano dà una sintetica definizione – con funzione ironica – nel
Contro un incolto che compra molti libri:
Ind. 26 JIkanw`~ pepaivdeusai, a{li" soi th'" sofiva". movnon oujk ejp≠ a[krou tou' ceivlou" e[cei" ta; palaia; pavnta. pa'san me;n iJstorivan oi\sqa, pavsa" de; lovgwn tevcna" kai; kavllh aujtw'n kai; kakiva" kai; ojnomavtwn crh'sin tw'n ≠Attikw'n:
Ti sei istruito a sufficienza, di sapere ne hai quanto basta: hai, si può dire, sulla punta delle labbra tutta la letteratura antica, conosci tutta la storia, tutte le arti retoriche, i loro pregi e i loro difetti, l’uso delle voci attiche.
Rimane imprescindibile che una buona paideiva sia fattore fondamentale per ottenere la nomea di buon oratore. Per questo Luciano dissemina, all’interno dello stesso dialogo, i nomi dei grandi modelli che vanno a costituire quel canone da imitare: Demostene, Tucidide, Aristofane e Teofrasto34, poi Omero35, Euripide36, e infine Platone, Antistene, Archiloco, Ipponatte ed Eschine37.
Ind. 28 […] kai; katagelasqhvsh/ pro;" tw'n pepaideumevnwn, oi|" ajpovcrh wjfelei'sqai oujk ejk tou' kavllou" tw'n biblivwn oujd≠ ejk th'" poluteleiva" aujtw'n, ajll≠ ejk th'" fwnh'" kai th`~ gnwvmh~ tw`n gegrafovtwn.
[…] e sarai deriso dalle persone colte, alle quali non basta giovarsi della bellezza né dell’alto costo dei libri, ma della parola e del pensiero di quelli che li hanno scritti.
34 Ind. 4,3. e[ce sullabw;n ta; tou' Dhmosqevnou" o{sa th'/ ceiri; th'/ auJtou' oJ rJhvtwr e[graye, kai;
ta; tou' Qoukudivdou o{sa para; tou' Dhmosqevnou" kai; aujta; ojktavki" metagegrammevna euJrevqh.
35Ind. 7,1. ≠Epei; de; ejn toi'" a[lloi" kai; to;n ‹Omhron ejprivw pollavki".
36 Ind. 19,2. Dhmhvtrio" de; oJ Kuniko;" ijdw;n ejn Korivnqw/ ajpaivdeutovn tina biblivon kavlliston
ajnagignwvskonta <ta;" Bavkca" oi\mai tou' Eujripivdou.
Per Luciano è innegabile l’importanza della forma e la conoscenza degli autori da seguire, tra i quali non mancano i grandi nomi attici (e certo il pedantismo non era una novità, rientrava, anzi, pienamente nell’atteggiamento atticista), ma chi è davvero colto saprà distinguere, e quindi deridere, un vero amante del sapere da un ostentatore di una cultura della moda e dell’apparenza.
Abbiamo già visto come nel Giudizio delle vocali Luciano dia voce all’ironica insofferenza del Sigma per la tendenza attica che ha favorito il Tau38, ma è nel
Maestro di Retorica e nel Contro un incolto che compra molti libri che più s’accende l’astio nei confronti di coloro che si servono dell’attico per colorare di cultura una trasparente ignoranza39: è evidente che, più che avverso all’atticismo in sé, Luciano ha orrore dell’uso improprio che se ne fa.
Infatti, quando nello Pseudologista40 gli viene rivolta la critica di non atticismo, la risposta di Luciano dimostra una profonda conoscenza della lingua in questione41 ed è evidente come l’autore stesso non si rifiuti di usarla. Il casus belli è costituito dal vocabolo ajpofrav~, che si riscontra in Platone e in Lisia42, grandi modelli della prosa attica: perché dunque Luciano riceve un’accusa di non atticismo, visti gli autori cui l’autore si ispira? La risposta si fa più chiara quando si considerano i cambiamenti che si erano verificati in epoca imperiale: infatti ciò che veniva evocato dall’etichetta “atticismo” negli autori contemporanei a Luciano era cambiato. Non si alludeva più alla chiarezza e sobria eleganza dell’ornato prosastico ma si richiedeva una ricerca faticosa di termini desueti o addirittura di neologismi mai attestati prima, che solo pochi avrebbero compreso in virtù di una cultura ricercata.
Luciano, invece, aveva ben chiari che gli eccessi non erano contemplati da quello stile che proprio la corrente atticista intendeva riesumare: nel Pescatore o i
Redivivi43, Luciano loda la bellezza e la chiarezza del linguaggio di Platone, che
38 Iud. Voc. 2; 11;
39 Rh. Pr. 12, 6; 13, 12; 16, 5; 17, 11; 18, 5; 19, 5; 22; 23. Ind. 1; 3, 1; 4, 12. 40 Vd. Billault 1994, p. 118.
41 Pseudol. 15; 16.
42 Plat, Leg. 800d; Lys. Fr. 53
43 Pisc. 22 Suv, w\ Plavtwn. h{ te ga;r megalovnoia qaumasth; kai; hJ kallifwniva deinw'"