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CAPITOLO I BREVE STORIA DEL FEMMINISMO OTTO-NOVECENTESCO

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CAPITOLO I

BREVE STORIA DEL FEMMINISMO OTTO-NOVECENTESCO

1.1 I prodromi in terra anglosassone1

La storia delle rivendicazioni femminili affonda le radici in tempi remoti, anche se la costituzione di un movimento organico e operativo è molto più recente. Nel 1622 la francese M.lle

De Gournay scrisse il primo trattato femminista, dal titolo L’eguaglianza tra uomini e donne.2 Le

stesse idee furono portate avanti dal filosofo cartesiano François Poulain de la Barre che nei testi L’uguaglianza dei sessi e L’educazione delle donne, discuteva della necessità di smantellare ogni

tipo di pregiudizio sessista e di permettere a tutti di studiare e di applicarsi in qualsiasi campo.3

Tali ambiziosi propositi furono perseguiti anche oltreoceano: nel 1647 Margaret Brent fece esplicita richiesta di voto nella sua città in Maryland, ma le fu negato. L’ America che conduceva una lotta senza pari alle streghe non era pronta a riconoscere dignità e autonomia al “secondo sesso”, tuttavia tali tentativi erano significativi proprio perché generati in un contesto di avversità. Le vicende politiche che portarono l’America alla rottura con la madrepatria, videro le donne tanto propositive da guidare azioni di boicottaggio delle merci britanniche e da riunirsi per supportare la causa:

Female patriots were especially involved, for instance, in the boycott of tea and other goods which the British government taxed in 1767. Groups of women responded with the enthusiasm, and some even formalised their agreement to abstain from the use of tea. In 1774 a group of 51 North Carolinan women signed an agreement to adhere to the resolutions of the provincial congress on non-importation policies, and to do all in their power to support ‘the public good’. The

1 Gabriella Parca, L’avventurosa storia del femminismo, Milano, Mondadori, 1976. 2

Marie De Gournay, Egalité des Hommes et des Femmes, 1622. 3

François Poulain de la Barre (1647-1726) fu filosofo e scrittore considerato il padre del femminismo per aver

applicato i principi cartesiani all’analisi della situazione della donna. Poullain de la Barre François , De l’égalitè des deux sexes, discours physique et moral ou l’on voit l’importance de se défaire des préjujés, 1673 e De l’éducation des dames pour la conduite de l’esprit dans les sciences et dans les mouers entretiens, 1674; cit. in Maria Corona Corrias, Alle origini del femminismo moderno: il pensiero politico di Poullain de la Barre, Milano, Angeli, 1996.

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2 meeting was derided by the British as the ‘Edenton Ladies Tea Party’- and yet it represented a

serious political initiative by women themselves.4

Con lo scoppio della Guerra di Indipendenza, poi, molte americane non esitarono a schierarsi dall’una o dall’altra parte, contribuendo a raccogliere fondi per la fazione di appartenenza. Questa partecipazione attiva rendeva ancora più controversa la loro posizione, tanto che nel 1780 Esther De Berdt Reed in The Sentiments of an American Woman, rivendica il contributo femminile dato

per la conquista della libertà nazionale.5 La raggiunta indipendenza ebbe conseguenze legali sullo

stato delle mogli, in particolare se sposate con uomini lealisti.6 Nel 1779 la magistratura dello stato

del Massachussetts promise di proteggere le proprietà della moglie se questa avesse deciso di rimanere in terra americana e di giurare fedeltà alla neonata confederazione. Allo stesso modo, però, se avesse deciso di seguire il marito avrebbe sofferto le stesse conseguenze. Di fatto, le si riconosceva un qualche diritto solo a patto che si schierasse dalla parte ‘giusta’. Nello stesso anno, Judith Sargent Murray pubblicò il saggio On the Equality of Sexes, nel quale decostruiva l’idea di una innata inferiorità muliebre; le discrepanze tra i sessi erano determinate in base alla differenza

nel grado di autonomia raggiunta.7 Rifacendosi al lavoro di Antoine Thomas, affermava che le

donne avrebbero dovuto smettere di considerare il matrimonio come il più grande degli obiettivi

per concentrarsi sulle loro potenzialità inespresse.8 La vita coniugale non era da disprezzarsi, ma

doveva essere abbracciata solo dopo una vigile scelta dello sposo. La femmina repubblicana, insomma, poteva essere autonoma e risoluta senza perdere la propria naturale grazia. Per Benjamin Rush l’istruzione femminile non ha uno scopo in sé, ma è finalizzata all’educazione di terzi; la donna-fattrice-educatrice non può scampare all’inevitabilità del suo ruolo riproduttivo. Nei

4

Jane Rendall, The Origins of Modern Feminism: Women in Britain, France and the United States 1780-1860, London, MacMillan, 1985, p.35.

5 Esther Reed De Berdt, The Sentiments of an American Woman, 1780. 6

Coloro che, durante la guerra di indipendenza americana, rimasero fedeli al regno Unito. 7

Judith Sargent Murray, On the Equality of Sexes, 1790. 8 Antoine Thomas (1644-1709) missionario gesuita belga.

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3 saggi “Of the Modes of Education Proper in a Republic” e “Thoughts upon Female Education, Accomodated to the Present State of Society, Manners and Government of the United States of America” spiega come:

to qualify our women for this purpose, they should not only be instructed in the usual branches of female education, but they should be taught the principles of liberty and government; and the

obligations of patriotism should be inculcated upon them.9

Nonostante il permanere di evidenti ostacoli ideologici, le americane godevano di una libertà nettamente maggiore rispetto alle loro sorelle europee soprattutto per quanto riguarda la scelta del partner e il controllo delle nascite. In Europa, dopo la ventata libertaria della Rivoluzione francese e i furori giacobini del Terrore, era stato ristabilito lo status quo. La repressione reazionaria non impedì, tuttavia, a Mary Wollstonecraft di pubblicare La rivendicazione dei diritti della donna nel 1792.10 Il testo, antesignano del pensiero femminista, presentava le donne come esseri umani e perciò parificati all’uomo nei diritti naturali e universali, scardinando tutti quei preconcetti che le avevano rese un soggetto degno solo di pietà o desiderio sessuale. La necessità di dedicarsi agli studi, all’approfondimento delle proprie passioni, ai viaggi e alla formazione di sé come individuo sono solo alcune delle prescrizioni che la filosofa vorrebbe applicare al suo sesso. La reazione conservatrice dall’Europa giunse in terra americana e vanificò le conquiste dovute al piglio libertario della confederazione. Se si poteva accettare l’idea che una giovane volesse studiare (con tutti i limiti del caso, ovviamente), le richieste della Rivendicazione risultavano ancora inaccettabili. Benjamin Silliman si scagliò contro la pensatrice inglese, asserendo che la parità condurrebbe all’abolizione di qualsiasi virtù morale e al ritorno ad una condizione di pre-civilizzazione. La statura etica del genere femminile non doveva essere in alcun modo compromessa perché essa guidava le giovani menti. Per quanto sia positivo il riconoscimento della

9

Jane Rendall, op .cit , p. 39.

(4)

4 figura materna come prima insegnante (sul modello di Pestalozzi e Froebel), questa identità donna = madre si rivelerà una delle più difficili da scardinare nel corso dei secoli.11 Si diffusero testi sull’istruzione casalinga, come The Mother at Home (Rev. J.S.C Abbott, 1830), Domestic Education (Rev. Humphrey, 1840), Fireside Education (Samuel Goodrich, 1838), The Female Student, or Lectures to Young Ladies on Female Education (Almira Phelps, 1836) e Mother’s Book

(Lydia Child, 1831).12 I precetti pedagogici europei si fusero con il substrato culturale locale e,

seppur con decenni di ritardo, si sedimentarono nella cultura americana, riconoscendo il ruolo formativo della madre: “is not the character of the future men of our republic, to depend on the

mothers we are now educating?”.13 L’educazione divenne un valore nazionale, il mezzo attraverso

il quale forgiare gli uomini del domani e perciò si diffusero seminari dove le ragazze della classe media erano istruite appositamente per lo scopo. Una ristretta cerchia di giovani fortunate fu preparata a una realtà lavorativa extradomestica che rappresentava un primo importante passo

verso l’autonomia.14 La conseguenza più evidente fu l’incremento del numero delle insegnanti, che

passò dal 56% al 78% dal 1834 al 1860. Anche il grado di alfabetizzazione si innalzò rapidamente, tanto da superare quello dell’Inghilterra per lo stesso lasso di tempo. L’allargamento progressivo della sfera femminile fu una delle prime cause della nascita del movimento e delle sue rivendicazioni. Nacquero una miriade di associazioni e organizzazioni, tutte interessate a portare avanti un singolo aspetto della lotta e per questo in competizione tra di loro. Tanto in Europa

11

Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827) fu filosofo e pedagogista svizzero, autore di celebri testi tra cui Leonardo e Gertrude, Il metodo e Il libro delle madri. Pestalozzi non crede nell’innata bontà dell’uomo, per questo l’educazione deve seguire il fanciullo sin dai suoi primi passi e indirizzarlo al perfezionamento morale. L’ambiente educativo e l’affettività familiare sono due fattori determinanti per la corretta formazione del fanciullo.

Friedrich Wilhelm August Frobel (1782-1857) pedagogista tedesco, fu il padre dei kindergarten. Al bambino si riconosce il diritto al gioco e all’interazione con i coetanei in un ambiente stimolante e sereno.

12

Jane Rendall, op.cit, pp.66-68, pp.118-122. 13

Ibidem, p.120. 14

“The best known of these were the school of Catherine Fiske, at Keene, New Hampshire, founded in 1814, Troy Seminary established by Emma Willard in 1821, The Adams Academy, Derry, New Hampshire, run by Zilpah Grant, George Emerson’s School at Boston, dating from 1823, the Ipswich Female Seminary run from 1828 by Zilpah Grant and Mary Lyon, Catherine Beecher’s school at Hartford, Connecticut from 1823 and Mary Lyon’s Mount Holyoke College, opened in 1837”. Ibidem, p.126.

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5 quanto in America non fu facile organizzare un unico movimento che parlasse per tutte, ci si riuscì solo nella seconda metà dell’Ottocento. Una volta raccolte tutte le voci e tutte le opinioni, si decise di perseguire per primi tre obiettivi imprescindibili: istruzione, lavoro (migliorare le condizioni e le paghe) e famiglia (rapporto moglie-marito-figli). Il diritto di voto e l’abbattimento della doppia morale sono obiettivi che si aggiungono ai primi tre e che a questi sono legati. Senza la libertà d’accesso all’istruzione, senza l’autonomia economica e senza equità all’interno del nucleo familiare non possono realizzarsi gli obiettivi “secondi”.

1.2 Il diritto di voto

Fu proprio negli Stati Uniti che vide la luce la prima organizzazione femminile, che si occupava

della condizione degli schiavi di colore e delle donne.15 Date le affinità tra le due condizioni, le

rivendicazioni di eguaglianza valide per un caso si potevano adattare anche all’altro. Nonostante la loro pretesa di progressismo, gli abolizionisti non vedevano di buon occhio la partecipazione femminile alla causa. Di qui il paradosso: si lottava per dare a tutti i cittadini eguali diritti, ma se ne escludeva, di fatto, almeno la metà; si permetteva alle donne di partecipare ai congressi, ma non di prendere la parola o firmare un documento qualsiasi. A fronte di ciò, nel 1848 a Seneca Falls si aprì la prima riunione che chiedeva esplicitamente il suffragio femminile. Elizabeth Stanton aprì il consesso con parole piene di consapevolezza:

Non avrei mai osato parlare di fronte a voi, se non sentissi che è venuto il momento di portare davanti al grande pubblico la questione delle donne; se non credessi che è proprio alla donna che spetta questo compito, perché solo la donna può capire l’altezza, la profondità, i limiti della sua

umiliazione.16

15

Gabriella Parca, op. cit, pp. 16-28. 16Ibidem, p.18.

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6 La Dichiarazione dei Principi, scaturita dall’esperienza di Seneca Falls, rappresenta una tappa importante per questa rivoluzione culturale. A partire dal 1850 e per i successivi dieci anni, si tenne a Worcester il Congresso nazionale per i diritti femminili, a testimonianza del fatto che era stata ormai compresa la necessità di una associazione forte e coesa. La stampa, salvo quella abolizionista, non fu generosa ma si riuscì comunque a diffondere le idee tramite opuscoli e riviste che raggiunsero anche gli angoli più remoti della periferia americana. Un fattore determinante nella diffusione delle idee fu il sempre maggiore impiego femminile nella grande industria. Il fatto stesso di uscire dall’ambiente domestico e di confrontarsi con gli uomini sul piano del lavoro, condusse le donne a riflettere sulle palesi ingiustizie subite fino ad allora. Le proposte maggiormente sentite dalla massa erano quelle riguardanti la paga e la tutela dei figli, ma come farle valere se non si poteva esprimere il proprio pensiero politico? Nel 1854 le due fondatrici del movimento, Elizabeth Stanton e Miss Anthony, mobilitarono una raccolta di firme da presentare al congresso di Albany, dove erano riuniti tutti i legislatori: nel giro di poche settimane furono raccolte seimila firme che permisero a Stanton di prendere parola e far presente le richieste dell’organizzazione. Anche se queste non furono accolte, l’azione ebbe molti consensi e incoraggiamenti. Nel 1860 Stanton fu nuovamente ricevuta ad Albany e riuscì a strappare qualche parziale riconoscimento come il diritto di proprietà su beni e guadagni, la tutela dei figli in caso di divorzio e la possibilità di ereditare dal marito. Allo scoppio della guerra di Secessione nel 1861, nacque la Woman’s National Loyal League, che si mise a servizio della causa nordista. Il movimento femminista si era sviluppato solo nel nord, in congiunzione con quello abolizionista per cui la scelta di schierarsi a fianco dell’Unione era perfettamente coerente. Alla fine del conflitto non ci furono riconoscimenti, solo gli uomini di colore ottennero i diritti politici. La reazione fu molto dura, ci fu una scissione netta dagli ex alleati. Stanton e Miss Anthony fondarono un giornale dal nome evocativo, The Revolution, e organizzarono un convegno da cui scaturì la

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7 National Woman Suffrage Association. Nel frattempo nel Sud molte cose stavano cambiando dopo il 1865: ad un’economia agricola di stampo latifondista si andava sostituendo l’industria e, così come era già successo al nord, le donne cominciarono a impiegarvisi. Il lavoro dette loro coscienza dello stato di profonda iniquità nel quale versavano e le convinse ad attivarsi per cambiare qualcosa. La strategia adottata dal movimento era quella della lotta aperta e della manifestazione per ottenere la maggiore visibilità possibile. Nel 1876 intervennero alla Centennial Exposition di Philadelphia e, quando fu loro negata la possibilità di leggere una dichiarazione, Miss Anthony si ingegnò per interrompere il comitato d’onore, prendere la parola e diffondere volantini. Anche la via legislativa non fu lasciata intentata: per venti anni fu riproposto “l’emendamento Anthony” in favore della partecipazione femminile alla vita politica. La prima vittoria giunse nel 1869, quando lo stato del Wyoming concesse il diritto di voto e si guadagnò il soprannome di Equality State. Il 1893 è l’anno del Colorado, seguito dall’Idaho e dallo Utah. Negli stessi anni proposero referendum popolari sull’argomento ma non si ebbero risultati fino al 1910 con l’esito positivo nello stato di Washington, seguito dalla California nel 1917. La lotta continuò con i picchetti fuori dalla Casa Bianca fino a che il famoso “emendamento Anthony” non fu approvato nel 1918. Ci vollero altri due anni per l’approvazione al senato, ma nel 1920 la Costituzione americana finalmente aprì le porte alle donne. Negli Stati Uniti la lotta delle femministe si svolse in un contesto di sostanziale parificazione giuridica degli uomini bianchi (le discriminazioni per censo erano state eliminate già negli anni Venti dell’Ottocento) e di formale equiparazione degli uomini di colore. In Europa il quadro era diverso: gli uomini non si erano visti riconosciuti i loro diritti e ancora vigevano discriminazioni legate al patrimonio. I due sessi stavano lottando contemporaneamente per gli stessi obiettivi e, in generale, le donne ottennero il riconoscimento dei diritti politici solo dopo che erano state abbattute tutte le barriere sociali per gli uomini. Le difficoltà del movimento femminile furono inasprite dai risultati delle prime elezioni a suffragio

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8 universale maschile: la presa di potere da parte di tiranni come Napoleone III sembrava dare ragione agli avversari del suffragio universale. John Stuart Mill aveva già previsto che la causa femminile sarebbe stata messa in secondo piano come testimoniano le sue parole:

Associare le due questioni, significa in pratica sospendere la lotta per l’uguaglianza delle donne, dato che il suffragio universale verrà senz’altro discusso solo come un diritto dei lavoratori, e quando infine si giungerà alla vittoria, sicuramente ci si accorderà su un compromesso, per cui gli operai otterranno il voto, ma le donne no; quindi la lotta per i diritti delle donne andrà ricominciata da capo; per di più i lavoratori non saranno più fuori dalla barriera ma dentro, e

quindi anche i loro egoistici interessi saranno contro la nostra causa anziché dalla nostra parte.17

In Inghilterra si fa risalire al 1832 la prima richiesta di voto, quando la ricca proprietaria terriera Mary Smith ne presentò esplicita domanda motivandola con il celebre motto “No taxation without representation”. Il tentativo di Smith non ebbe successo e, anzi, gli uomini continuarono a giudicare in base a vecchi luoghi comuni e a pregiudizi. James Mill in un articolo nell’ Enciclopedia Britannica sosteneva che non fosse necessario che le donne esprimessero opinioni politiche, dal momento che le loro idee necessariamente coincidevano con quelle di mariti, padri, fratelli, figli. In risposta fu pubblicato Appeal of one Half the Human Race, Women, against the Pretensions of the other Half, Men testo che il figlio di Mill, John Stuart MIll, prese come punto di partenza per

contraddire le posizioni del padre.18 Egli divenne, infatti, uno dei più accaniti sostenitori della

parità tra i sessi a livello giuridico. Nel 1851 il conte di Carlisle dette manforte a lui e al gruppo di donne organizzatesi intorno alla figura di Barbara Leigh Smith, presentando alla Camera dei Lord un ordine del giorno sul suffragio femminile. La mozione non ebbe successo né allora né quindici anni dopo quando J.S Mill presentò una petizione firmata da mille e cinquecento persone. Si optò, allora, per la strategia della gradualità, chiedendo il voto amministrativo, che fu concesso nel 1869. Il deputato che aveva presentato il disegno di legge vittorioso, Jacob Bright, decise di

17

John Stuart Mill in Robson John M. (ed.), 1981-1991: Collected Works, vol. xvii, p.1728. 18

William Thompson,Appeal of one Half the Human Race, Woman, against the Pretensions of the other Half, Men, 1825.

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9 presentarne un altro per estendere il suffragio femminile alle elezioni politiche, ma non ottenne il risultato sperato. Nonostante l’insuccesso e la forte opposizione di una larga fascia della società, l’opinione pubblica stava cominciando a confrontarsi con la questione, segno che questa non poteva più essere ignorata. L’ampia diffusione di idee (coadiuvata da un testo fondamentale del

pensiero milliano, The Subjection of Women)19 portò a graduali conquiste come il voto per i

consigli di assistenza pubblica. Queste vittorie di Pirro non convinsero l’area più radicale del movimento, che nel 1903 si riunì a Manchester e fondò la Women’s Social and Political Union, guidata da Emmeline Pankhurst. Partendo dall’idea che i vecchi metodi non avrebbero condotto al risultato sperato, la Pankhust guidò le suffragette verso una nuova fase, quella della lotta violenta. Azioni di disturbo, manifestazioni in piazza, picchetti e scioperi sono i nuovi mezzi volti ad attirare l’attenzione della società e dei politici. I poliziotti rispondono con fermezza, sbattono in galera le dimostranti, ma questo non fa altro che spostare l’opinione pubblica dalla loro parte, soprattutto quando subiscono violenze e maltrattamenti. Scritte sui muri, striscioni, slogan, comizi e sedute del Parlamento interrotte: con questi mezzi le attiviste riuscirono a farsi finalmente ascoltare. La fermissima opposizione femminista contro i liberali fu sostenuta anche dalla stampa laburista, che aveva tutto l’interesse a screditare gli avversari. Quando trapelò la notizia che in carcere si procedeva all’alimentazione forzata delle detenute (una pratica disumana che debilita il corpo e la mente), la stampa di sinistra ne approfittò per fare il maggior schiamazzo possibile e scatenare una generale ondata di indignazione. Gli uomini non furono gli unici nemici della causa: alcune donne fondarono la Women’s National Anti-Suffrage League (1908-1918), sostenendo che la partecipazione attiva alla vita pubblica avrebbe nociuto alla loro condizione, esponendole alla corruzione della società. Le risposte non si fecero attendere, Israel Zangwill così si espresse:

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10 Ci sono in Cina delle donne che sono felici di avere le dita dei piedi mutilate, e in Turchia delle donne che sono soddisfatte di avere un quarto di marito. Forse che questo autorizzerebbe le signore cinesi o turche a far retrocedere le loro sorelle, che sono giunte ad un grado superiore di evoluzione e che hanno dei piedi normali e un marito tutto per sé? D’altronde il voto non è obbligatorio: chi non vorrà esercitare il suo diritto avrà tutta la libertà di restare a casa, a

rammendare o a leggere The Lady.20

Tale lega reazionaria di fatto ebbe conseguenze positive, causò una adesione maggiore e rese più coeso il fronte interno. Il periodo, però, non era dei più facili: le contestazioni continuavano e le risposte della polizia si facevano sempre più dure, tanto che due suffragette rimasero uccise il 18 novembre del 1910, passato alla storia come il Black Friday. La risposta fu violenta: vagoni ed edifici incendiati, vetrine rotte, cassette delle posta distrutte e manifestazioni tutt’altro che pacifiche. Le carceri si riempivano (e svuotavano) di attiviste alle prese con lo sciopero della fame e della sete. L’atmosfera si fece sempre più tesa e ci fu la prima “martire”: nel 1913 la giovane Emily Davidson si gettò tra le zampe dei cavalli in corsa restandone schiacciata. La morte della ragazza inquietò la folla e si arrivò a parlare di fanatismo del movimento. Insomma, si approfittò di un atto doloroso e personale per screditare una causa che solo pochi anni prima aveva avuto due vittime ufficiali durante il Black Friday. Per riacquistare popolarità, Christabel Pankhurst (figlia di Emmeline) organizzò i funerali della giovane come una vera parata composta e solenne, che voleva ribadire la forza del movimento e delle idee che rappresentava. Il contributo di Emmeline Pankhurst fu fondamentale: grazie ad azioni sempre più eclatanti, le donne guadagnarono spazio sui giornali e seppero mantenere alto il livello di attenzione intorno a loro. La “primula rossa” del femminismo, così chiamata per le sue numerose e rocambolesche evasioni, riuscì anche a scappare negli Stati Uniti grazie all’aiuto dell’allora Presidente Wilson, che pagò la cauzione. Al suo ritorno in madrepatria, subì un nuovo arresto, ma l’inizio del primo conflitto mondiale permise a lei e a molte altre carcerate di tornare in libertà, per occupare i posti lasciati vacanti

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11 dagli uomini chiamati alle armi. Il grandissimo supporto dato dalle donne alla patria non mancò di un riconoscimento: nel 1917 fu varata una legge che concesse il voto alle donne con almeno trenta anni, diritto che nel 1928 fu esteso a tutte le maggiorenni. Nello stesso anno, Emmeline Pankhust muore. La storia dei vari movimenti euro-americani si snoda per più di mezzo secolo, dagli ultimi decenni dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento. Ovunque, negli stati europei e nella sconfinata America, si formarono una miriade di associazioni che seppero convergere in un’ unica organizzazione nazionale perché mosse dallo stesso scopo. Tutti questi movimenti, pur con le loro differenze e le loro tempistiche diverse nel raggiungimento dei risultati, sono accomunate da tre caratteristiche principali:

1. La domanda dei diritti politici non fu immediata, perché si riteneva che fosse di primaria importanza garantire una eguaglianza sostanziale nel lavoro e nella famiglia. Si cominciò a discutere di una parità giuridica dei sessi, quando si vide la possibilità di poterla ottenere seriamente. Il popolo stava chiedendo a gran voce il suffragio universale e le donne si inserirono in questo frangente asserendo che non sarebbe stato universale se avesse escluso almeno metà della popolazione. In America, ad esempio, i due grandi esclusi dal voto seppero spalleggiarsi contro l’egemonia del maschio bianco;

2. le richieste sempre più pressanti delle femministe portarono a una reazione opposta a quella desiderata, ovvero la progressiva mascolinizzazione delle istituzioni. Per secoli gli uomini avevano detenuto ogni tipo di potere e tale evidenza non era mai stata formalmente esplicitata fino a che le donne non avevano cominciato ad avanzare pretese; 3. il movimento per il suffragio passò dall’essere nazionale (legato, cioè, alle particolari

dinamiche della nazione di appartenenza) all’essere transnazionale. Le rivendicazioni femminili non furono più portate avanti dalle varie politiche nazionali ma dai contatti internazionali tra le attiviste.

1.3 I diritti delle madri21

Se gli uomini si sono visti riconosciuti i loro diritti in maniera graduale, le donne hanno dovuto combattere per essere parificate contemporaneamente sul piano sociale, politico e civile. Il solo riconoscimento del diritto di voto, infatti, non avrebbe potuto annullare tutte le disuguaglianze

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12 divenute ormai consuetudini comportamentali. Si generò una nuova querelle des sexes a proposito delle leggi che avrebbero dovuto tutelare lavoratori e lavoratrici. Due erano gli obiettivi che si stavano perseguendo: da una parte, garantire una rete sociale per entrambi i sessi nei casi di inabilità al lavoro, dall’altra, la tutela della maternità. Il primo punto riguardava la diffusione su larga scala di un sistema assicurativo valido in caso di vecchiaia e invalidità; il secondo punto si riferiva a quelle leggi che andarono progressivamente limitando l’impiego femminile. Misure come la riduzione delle ore lavorative e la proibizione del lavoro notturno e di quello pesante furono accolte in maniera controversa; i padroni asserirono che ciò avrebbe fatto alzare il costo della manodopera, un certo ramo del femminismo si mostrò contrario perché tali provvedimenti si basavano sul principio della debolezza femminile, non mettendo in risalto la gravosità del lavoro domestico ed extradomestico. Il movimento operaio, sostenuto dai sindacati cattolici, era favorevole a questa parziale esclusione, perché ciò avrebbe comportato più lavoro maschile. Si puntava, inoltre, al riconoscimento di un salario familiare che permettesse all’uomo di mantenere da solo i congiunti, mentre la moglie si occupava della casa e dei figli. Le femministe si espressero in maniera diversa riguardo all’ occupazione industriale a seconda che la considerassero un ulteriore peso sulle spalle delle donne o un mezzo di emancipazione e parificazione. In ogni caso, salvo il lavoro notturno e quello in miniera, in tutti gli altri campi le lavoratrici continuarono a sostenere turni massacranti e condizioni durissime, a cui si aggiungeva il fardello della casa. L’intento di tutelare le madri mise d’accordo tutte le anime del fronte femminista e intorno al 1900, queste richieste si concretizzarono in un grande movimento internazionale. Il servizio reso alla famiglia e alla società non poteva considerarsi naturale, ma anzi, doveva essere riconosciuto, valorizzato e retribuito; concretizzandosi in un sostegno economico che rendesse la donna autonoma dal padrone e dal marito. A proposte parziali che si annullavano all’entrata in vigore della misura successiva, il movimento rispose con la richiesta di una tutela completa che

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13 prevedesse un congedo obbligatorio retribuito (dalle ultime settimane prima del parto alle prime tre settimane dopo) e una assicurazione specifica per tutte le madri a prescindere dal fatto che lavorassero o meno. Ci vollero molti sforzi per convincere i legislatori che le risorse destinate alle genitrici non erano un investimento a tempo perduto, ma una forma di tutela della nazione stessa.

1.4 Casa: regno e prigione

Le donne a un certo punto della loro storia scesero in piazza chiedendo a gran voce che le si ascoltasse. Considerato che per secoli era stata concessa loro la sola sfera domestica, tale evento ebbe la risonanza di una vera e propria rivoluzione. Rompendo questo binomio, si scardinarono i principi fallaci su cui si era fondata sino ad allora la vita comune. La separazione delle sfere in base al sesso (ambito pubblico: uomo; ambito privato: donna) permetteva all’uomo di perseguire scopi e ambizioni senza rinunciare al calore della famiglia. Il regno della sposa imponeva doveri e mansioni tutt’altro che semplici e assumeva diverso significato a seconda delle classi sociali: rifugio e luogo di lavoro per quelle più basse, sede di riti sociali e comfort privato per quelle più alte. Ho annoverato il lavoro domestico solo per le classi più povere ma, di fatto, a tutti i livelli si rendeva indispensabile l’opera femminile nel ménage familiare. La gestione della casa denotava lo status della famiglia, perciò la donna doveva occuparsene minuziosamente in modo da esprimere il decoro di chi la abitava. Nacque nei primi decenni dell’Ottocento lo stereotipo della sposa borghese: angelo del focolare encomiabile, che sa come gestire parenti, amici e servitù con compostezza e grazia. La signora era identificata con la cura degli arredi e delle stoviglie, con l’efficienza dei servi e con i ricevimenti riusciti. Il circo degli obblighi sociali di rappresentanza si basava spesso su una recita delle apparenze: tanto più questa commedia mascherava la realtà,

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14 tanto più alto era il valore della padrona di casa. A questo proposito, Emma Goldman così si esprime in “Femminismo e Anarchia”:

E poi c’è la casa. Che terribile feticcio è questa! Come succhia la vera linfa vitale della donna questa moderna prigione dalle sbarre d’oro. Il suo aspetto scintillante rende la donna cieca davanti al prezzo da pagare come moglie, madre e donna di casa. Nonostante ciò, la donna rimane

tenacemente attaccata alla casa, il potere che la mantiene in servitù. 22

L’ostentata purezza della donna borghese serviva alla sua classe sociale per mantenere in piedi il paradosso della double standard morality. La presunta santità delle mogli nuoceva gravemente alla loro emancipazione, dato che promuoveva lo stereotipo della domestic saint, a cui era negata un’ individualità sessuale. Alla casalinga sono indirizzati tutta una serie di manuali volti a spiegarle come svolgere al meglio la missione che le era stata affidata, favorendo, così, il processo di

identificazione con la casa, che a sua volta incarnava la morale e le virtù dei suoi abitanti.23 Se

l’abitazione era il teatro della vita borghese, alla moglie spettava la “regia” e la “sceneggiatura” dello spettacolo. La bellezza degli arredi, l’ordine delle stanze, la qualità del cibo offerto e della conversazione potevano rendere una donna la regina del suo circolo. Non di rado, la fortuna di molti mariti era basata sul successo in società delle consorti. Nel 1875 Lorenz Von Stein nello scritto Die Frau auf dem Gebiete der Nationalokonomie (La donna nell’economia nazionale) elogiava il lavoro domestico come indispensabile affinchè l’uomo potesse dedicarsi a pieno al

proprio lavoro.24 Trovare un pasto caldo, panni puliti e un ambiente affettuoso, insomma,

22

Emma Goldman, Anarchism and other Essays, New York, Mother Earth Publishing Association, 1910, p.72. Attivista anarchica russa, Goldman (1869-1940) si trasferisce negli Stati Uniti nel 1874; ha modo di interessarsi subito di tematiche a lei care, come i diritti dei lavoratori, la liberazione della donna e l’educazione sessuale.

23

John Henry Walsh , A Manual of Domestic Economy, 1853; Edwin Hubbel Chapin, Duties of Young Women, 1848; Cotesworth Pinckney, The Lady’s Token, 1848; Maria J. McIntosh, Woman in America: Her Work and Her Reward, 1850; George Washington Burnap, The Sphere and Duties of Woman, 1848; William Andrus Alcott, The Young Wife or the Duties of Woman in the Marriage Relation, 1837; William Thayer, Life at the Fireside, 1857; Margaret Coxe, The Young Lady’s Companion, 1838; cit. in Jane Rendall, op. cit, p. 212.

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15 contribuisce alla maggiore produttività del lavoratore nell’esercizio della propria mansione. Intellettuali e pensatori furono i primi a prospettare una società diversa, in cui annullare le

differenze di genere, come nel caso del socialismo utopico di Owen, Saint-Simon e Fourier.25

Furono fondate delle comunità guidate dai precetti del pensiero utopico, ma anche in esse si protraeva la sistematica esclusione femminile dal potere decisionale. Il fallimento dei tentativi comunitari era dovuto a una liberazione muliebre incompleta, in cui non era ancora riconosciuta una piena identità sessuale. Solo rompendo con lo stereotipo della “madonna”, si poteva ottenere una parità sostanziale sia dal punto di vista mentale che fisico. Le protofemministe capirono ciò e si impegnarono in campagne per il controllo delle nascite, l’aborto e il divorzio. Il controllo delle nascite divenne un comune argomento di discussione per i progressisti, che vedevano in esso uno strumento di liberazione femminile e di maggiore sostenibilità economica. Con riferimento alle tesi malthusiane, si riteneva necessario un rigido controllo demografico per non creare un eccessivo

impoverimento dell’umanità.26 In linea con quanto era successo con i manuali per la perfetta

padrona di casa, si diffusero volumi indicanti diverse metodologie pratiche per limitare le nascite

nelle fasce più basse della società.27

1.5 Lavoro e Filantropia28

L’Ottocento è il secolo della donna operaia, il cui contributo favorì lo sviluppo dell’industria soprattutto in Inghilterra. Se l’impiego extradomestico rappresentava una novità, di certo non lo

25

Robert Owen (1771-1858), Claude-Henry de Rouvroy conte di Saint-Simon (1760-1825) e Charles Fourier (1772-1837) furono tre esponenti del socialismo utopico, una corrente filosofica che si proponeva di riformare la società secondo i criteri della giustizia e dell’eguaglianza sociale.

26 Thomas Robert Malthus (1766-1834), economista inglese. Le sue teorie sostengono la necessità di uno sviluppo demografico controllato, basato sulla reale disponibilità di risorse economiche.

27

Robert Carlile, Every Woman’s Book; or What is Love?, 1826; Robert Owen Dale, Moral Physiology, 1830; Charles Knowlton, Fruits of Philosophy, or the Private Companion of Young Married People, 1832; John Stuart Mill, Principles of Political Economy, 1848; George Drysdale, Physical, Sexual and Natural Religion, 1856; cit in Jane Rendall, op. cit, p.225.

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16 era il lavoro in sé: le casalinghe avevano sempre contribuito attivamente al ménage familiare aiutando i mariti nei campi, curando l’orto e l’abitazione, svolgendo piccole attività a domicilio come cucire o affittare le camere. Anche laddove non c’era la riscossione di una paga vera e propria, le attività femminili permettevano di innalzare di un poco lo standard di vita. Nemmeno l’occupazione salariata in fabbrica diminuì le discrepanze tra i sessi: le donne erano pagate molto meno e sfruttate per le capacità manuali, la minuta fisicità e l’accondiscendenza. Per giustificare la differenza nella paga si scimmiottava Aristotele, definendo la lavoratrice come un “operaio

incompleto”.29 Nelle miniere inglesi e belghe non era raro trovare ragazze, indurite da uno dei

mestieri più infami e pericolosi, che svolgevano in pantaloni e a torso nudo. Ben presto si animò lo scandalo, alimentato dai primi quadri di Van Gogh e da romanzi come Germinal di Emile Zola (1885) e Happechair di Camille Lemonnier (1886.) Alle donne fu dunque impedito di lavorare sottoterra, non per le spaventose condizioni di lavoro ma per preservare il loro profilo morale. Per le piccolo borghesi c’era la sola via delle mansioni domestiche, declinate nella professione della cameriera o della governante. Queste ultime, una volta assunte, diventavano una suppellettile della casa a cui non si poteva concedere di avere una vita propria. Nella seconda fase dell’industrializzazione, si introdusse il concetto di reddito familiare; si prevedeva perciò un salario più alto per l’uomo che, così, poteva sopperire da solo alle esigenze dei suoi cari. L’operaia torna a essere casalinga, a occuparsi del focolare e dei figli, il cui numero si è sensibilmente ridotto. È la nascita della famiglia nucleare, con i ruoli legati al sesso (questa è una eredità del passato) e un massimo di 3-4 figli, a cui si provvedeva con maggiori attenzioni e cure. Propugnata da economisti, cattolici e sindacati, rappresentava un modo per liberarsi della “concorrenza sleale” femminile in sede lavorativa. Con uno stipendio più alto e un numero minore di bocche da sfamare il tenore di vita migliorò sensibilmente. Le signore borghesi e alto borghesi non entrarono

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17 nel mondo professionale, ma riuscirono comunque a trovare una attività che le emancipasse e permettesse loro di uscire da casa: la beneficienza. Data la situazione disastrosa delle periferie industriali e delle campagne, molte decisero di mettersi all’opera per aiutare le loro sorelle più sfortunate. Nacquero così in pochi anni, in America e in Europa, associazioni che si occupavano di carcerati, di donne sole, di infanzia abbandonata e di malati. Il tradizionale concetto di debolezza muliebre si scontrava con la forza e la determinazione dimostrata dalle attiviste nelle raccolte fondi, nell’organizzazione di campagne di prevenzione e nella sempre maggiore conoscenza delle istituzioni. Anche se le attività di beneficienza non facevano che rimarcare il carattere materno delle donne, esso fu un punto di partenza importante verso un movimento aggregativo tutto al femminile.

1.6 True Woman vs New Woman

Il culto dell’ambiente casalingo portò alla pubblicazione di moltissimi testi di economia domestica e al rafforzamento dello stereotipo dell’angelo del focolare. Tale modello, che risale alla poesia “The Angel in the House” di Coventry Patmore (1855), si collega al concetto di dignità della padrona di casa, come vestale dei costumi morali e religiosi. Questa immagine era rafforzata dagli studi di anatomia e ginecologia che, rompendo con la tradizione aristotelica, non consideravano la donna come inferiore all’uomo ma diversa. È chiaro come questa nuova chiave di lettura abbia avallato la separazione delle sfere, tipica del credo borghese del Diciannovesimo secolo e il suo passaggio dal one-model-sex al two-model-sex. Il cambiamento non apportò nessuna modifica sostanziale al grado di autonomia delle donne che, anzi, ora dovevano rispettare un preciso codice comportamentale. Il modello della santa borghese o True Woman, faceva convergere virtù come purezza, pietà e remissività ritenute tipicamente femminili. Intorno al 1880 un modello di donna

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18 più emancipata e istruita cominciò a farsi largo, pur con tutte le difficoltà del caso: era nata la New Woman. La reazione non fu favorevole: stampa, politici e opinione pubblica si schierarono contro questo nuovo esemplare che continuò ad avanzare costantemente. Il processo di transizione non fu semplice e incontrò le resistenze delle true women, quelle che credevano di perdere il loro status di angelo della casa. Molti dei testi di economia domestica sopracitati erano opera di scrittrici sinceramente convinte di ritrarre l’unico ruolo possibile per il “secondo sesso” e di aiutare con la loro opera le giovani spose a interiorizzarlo. L’utilizzo della voce doveva essere controllato e parsimonioso, perché niente era considerato indecoroso quanto una signora che non sapesse tenere a freno la lingua. La comunicazione è un ambito maschile, alle donne si concedeva di assecondare le decisioni maritali e di condurre innocue conversazioni in società. La libertà di esprimere un giudizio era messa in relazione alla libertà sessuale, dato che prendere la parola in pubblico era considerato un comportamento immodesto e sfacciato. La dimensione domestica e il silenzio imposto erano dunque strettamente legati, sì che alterando un elemento dell’equazione tutto il quadro sarebbe cambiato. A testimoniare il cambiamento in atto c’è il World’s Congress of Representative Women, tenutosi a Chicago dal 12 al 23 maggio 1893. Donne provenienti da contesti diversi, con idee non sempre facili da far collimare, seppero unirsi per chiedere a gran voce che fosse loro riconosciuta la possibilità di partecipare sul serio alla vita attiva delle loro comunità. Il suffragio, la famiglia, il diritto coniugale e il lavoro erano le questioni che stavano maggiormente a cuore alle convenute. Il passaggio da oggetto a soggetto, possibile solo attraverso una indipendenza economica, era lo scopo finale per cui tutte si stavano battendo, ognuna nel proprio campo. Uno degli aspetti delle New Woman che spaventava maggiormente l’opinione pubblica era la loro sessualità, che non contribuiva di certo allo stereotipo dell’ angelo domestico. Di fatto, la lavoratrice rivendicava per se stessa la libertà di spendere il proprio guadagno, di scegliere un compagno che sapesse rispettarla e di vivere l’intimità con la stessa indulgenza

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19 riservata da sempre agli uomini. La stampa identificava la libertà sessuale con la promiscuità e la deriva dei costumi, quando invece si trattava di un adeguamento di standard tra i due sessi. Le grandi possibilità riservate da sempre agli uomini, compresa una certa impulsività erotica giustificata dall’opinione pubblica, erano il segno tangibile del loro potere; parificare i due sessi da questo punto di vista sembrava un’eresia. Ma a dispetto delle critiche, la conseguenza non fu la tanto temuta deriva dei costumi, quanto una maggiore consapevolezza del corpo e delle responsabilità che esso implica. Le donne impararono a gestire questa nuova libertà nel segno del controllo delle nascite, ovvero di una maternità scelta e non imposta dall’alto come una punizione biblica. Il birth control era praticato anche dalle coppie, segno che una nuova concezione di famiglia stava diffondendosi, parallelamente alle idee femministe. L’affermazione della Donna Nuova si deve anche e soprattutto ai conflitti mondiali che, richiamando alle armi tutti gli uomini utili, resero necessario l’impiego muliebre in tutti i campi. Oltre ai classici ambiti femminili, fecero la loro apparizione nell’industria, sul campo di battaglia (come crocerossine) e negli uffici. Alla fine dei conflitti, i reduci ripresero i loro posti, ma le donne ormai avevano inaugurato una nuova era, ed erano presenti anche nei Parlamenti. La New Woman studiava o lavorava, vestiva in maniera comoda ma femminile, portava capelli corti e non considerava il sesso come una prerogativa maschile. Questa immagine, un po’ garçonne un po’ vamp, non sempre poggiava su delle convinzioni e ciò fu aspramente criticato dalle femministe che non volevano perdere le conquiste

appena ottenute.30

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