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 contesto urbano e esposizione all’atmosfera inquinante delle attività antropiche.

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(1)

1. INTRODUZIONE

Questo lavoro di tesi si inserisce all’interno di un progetto europeo, incentrato sulla conservazione e restauro di monumenti architettonici a base lapidea di interesse storico-artistico. L’obiettivo del progetto NANO-CATHEDRAL, acronimo di “Nanomaterials for conservation of European architectural heritage developed by research on characteristic lithotypes”, è lo sviluppo di nuovi materiali, nuove tecnologie e procedure applicative innovative per la conservazione di monumenti e cattedrali sia di carattere storico che contemporaneo, facendo particolare attenzione a preservare le caratteristiche strutturali, chimico-fisiche e cromatiche del materiale originario. L'Europa ha una significativa diversità culturale e ambientale ed un immenso patrimonio architettonico del quale le cattedrali sono rappresentative. Dal punto di vista della conservazione, queste strutture architettoniche sono sottoposte a fenomeni di alterazione differenti legati essenzialmente a tre fattori principali quali:

 varietà di materiali lapidei utilizzati per la loro costruzione;

 posizione geografica e conseguente esposizione macroclimatica;

 contesto urbano e esposizione all’atmosfera inquinante delle attività antropiche.

All’interno di questo progetto sono state prese in considerazione cinque cattedrali risalenti all’età medievale e un’opera di età contemporanea, considerate come rappresentative della diversità del patrimonio culturale europeo e delle condizioni di esposizione. Per la zona del sud Europa e del bacino del mediterraneo sono state selezionate la Cattedrale di Pisa, nel centro Italia, e la Cattedrale di Santa Maria a Vitoria, situata nel nord della Spagna. Per la zona dell’Europa centrale sono state scelte la Cattedrale di San Bavone a Gent, la Cattedrale dei Santi Pietro e Maria a Colonia e la Cattedrale di Santo Stefano a Vienna. Per la zone del nord Europa la scelta è ricaduta sul teatro dell’Opera di Oslo, struttura contemporanea costruita interamente con marmo bianco di Carrara.

L'approccio multidisciplinare del progetto è evidenziato dalla presenza di studiosi

ed esperti nel campo della geologia e scienza dei materiali, di istituzioni legate

alla gestione e preservazione delle cattedrali, di imprese specializzate nella

formulazione di prodotti per il restauro architettonico e di produttori di materiali

(2)

inorganici nanoparticellari consolidanti. L’approccio multidisciplinare, unito all’inserimento di partner industriali direttamente coinvolti nei processi di applicazione su pietra è indirizzato verso una scalabilità del processo di sintesi di nuovi prodotti protettivi e/o consolidanti di natura nanoparticellare produzione e che possa tener conto anche delle esigenze dell’industria.

1.1 Il consolidamento del materiale lapideo

Il consolidamento è un’azione che si rende necessaria quando il danno causato dal degrado è tale da richiedere il ripristino della stabilità strutturale del materiale

1

. La necessità del consolidamento è legata: alla perdita di coesione del materiale, che non si trova più nell’originaria condizione di stabilità a causa principalmente della perdita di adesione tra le particelle. Mentre la prima interessa il materiale a livello macro strutturale

2

, la seconda sottintende un intervento alla microstruttura. La perdita di coesione è riconducibile: da una parte ai processi di deformazione meccanica innescati da variazioni termiche e igrometriche (cicli di gelo-disgelo) succedutesi nel tempo, dall’altra è ai fenomeni di degradazione chimica e fisica promossi dalle precipitazioni meteoriche, dal vento, dagli inquinanti o da altre cause ambientali e antropiche che, modificando la natura di alcune sostanze cementanti o leganti alle quali era dovuta la coesione iniziale del materiale per effetto della parziale solubilizzazione, o causando semplicemente la corrosione, portano alla modifica fisica e chimica della struttura porosa del materiale lapideo, naturale o artificiale. L’obiettivo primario di un trattamento di consolidamento è quindi ristabilire un grado sufficiente di coesione tra le particelle e una efficace adesione dello strato superficiale alterato alla parte del substrato sana e integra; in questo modo si conferisce nuovamente una compattezza prossima a quella del materiale non degradato. È fondamentale cercare di eliminare le differenze fisico-meccaniche esistenti tra la parte esterna più degradata e la parte interna meglio conservata, in modo da riportare omogeneità e continuità nel materiale evitando di creare discontinuità che possano causare tensioni interne al materiale.

I prodotti consolidanti, sia di natura organica sia inorganica, sono sostanze liquide

capaci, una volta penetrati nella porosità della pietra, di passare allo stato solido

generando film adesivi e/o strutture reticolate o particellari aderenti alla superficie

(3)

dei pori e in grado di restituire proprietà meccaniche al substrato. Oltre alla possibilità di riottenere coesione, continuità materica, compattezza e quindi le proprietà meccaniche compromesse dal degrado, con il consolidamento si tende anche a migliorarne alcune intrinseche del materiale per renderlo più resistente nei confronti dei processi di degrado a cui andrà nuovamente incontro. Con il trattamento si cerca infatti di diminuire o uniformare la porosità (principale causa di degrado e di disomogeneità strutturale) e rendere il materiale meno accessibile all’acqua e alle soluzioni saline e/o acide

1

.

Affinché un trattamento di consolidamento, oltre che efficiente, risulti anche adeguato, affidabile e stabile nel tempo è fondamentale che i prodotti consolidanti soddisfino una serie di criteri e proprietà specifiche

2

, correlate sia alla fase di applicazione sia al successivo comportamento dell’agente consolidante nel tempo. Con il termine consolidante

3

si intende un materiale che penetra per capillarità all’interno delle micro fessure del substrato lapideo deteriorato ed è in grado di rafforzarlo senza causare direttamente o indirettamente ulteriori danni.

Dovrà esserci compatibilità tra il materiale originale e il prodotto consolidante cioè

una somiglianza non solo e non tanto da un punto di vista chimico, ma soprattutto

nella risposta del prodotto alle sollecitazioni termiche e meccaniche derivanti

dalle condizioni di esposizione; dovrà inoltre avere una stabilità chimica e fisica

massima in modo da rendere l’effetto dell’intervento quanto più duraturo

possibile. Requisiti fondamentali per un prodotto consolidante sono alta capacità

di impregnazione, buone capacità adesive e capacità di aderire al supporto. Il

trattamento deve coinvolgere tutto lo spessore di materiale degradato e

l’impregnazione deve quindi avvenire in maniera ben distribuita, fino in

profondità, e quanto più omogeneamente possibile. Un ripristino della coesione

e delle proprietà meccaniche localizzato solo in alcune aree del materiale o in

prossimità della superficie, porterebbe all’instaurarsi di una discontinuità nelle

proprietà fisico-meccaniche tra la parte trattata e non trattata (nuovamente con

diversi coefficienti di dilatazione termica, variazioni di permeabilità, ristagno di

soluzioni saline all’interfaccia) con successive tensioni localizzate che

causerebbero nel tempo fratture, contrazioni e distacchi. Un’impregnazione

omogenea e completa è però uno dei maggiori problemi del consolidamento.

(4)

I requisiti di penetrazione e omogeneità di un trattamento all’interno del materiale sono fortemente connessi alla natura dei consolidanti stessi: polimerici, a basso peso molecolare o inorganici, ed al metodo di applicazione adottato.

È inoltre necessario che il prodotto consolidante non modifichi l’aspetto di un

manufatto, ossia le sue caratteristiche estetiche, come il colore o l’aspetto

generale del materiale

4

. Tra le proprietà desiderabili, l’eventuale caratteristica di

idrorepellenza si presenta come un valore aggiunto per un consolidante, in

quanto, pur dovendo mantenere un valore simile di permeabilità al vapor d’acqua,

permette di svolgere anche un’azione protettiva nei confronti di quest’ultima,

principale fonte di degrado per materiali posti all’aperto. Altre caratteristiche

auspicabili sono: un tempo di presa non eccessivamente breve, per consentire

un processo graduale e facilità di applicazione, il basso costo e una parziale

reversibilità. Quest’ultimo concetto è divenuto una norma fondamentale da

rispettare in tutte le operazioni di conservazione. Nell’intervento di

consolidamento però, il concetto di reversibilità

5

entra in contraddizione con

l’opera di restauro. L’operazione di consolidamento avviene attraverso

l’impregnazione quanto più profonda e omogenea possibile del materiale, quindi,

per questo motivo, anche se il prodotto rimanesse solubile a distanza di tempo,

non esistono procedure pratiche efficaci per una sua rimozione completa. È

possibile solamente una rimozione parziale e superficiale di un prodotto

consolidante da un supporto poroso, consentendo di rimediare a eventuali danni

estetici o funzionali dell’opera dovuti alla sua presenza nello strato più

superficiale, o ad esempio per alleggerire la sua presenza a distanza di tempo, o

rimuoverne gli eccessi. Per l’operazione di consolidamento divengono, così,

essenziali altre condizioni come la durabilità del prodotto e la compatibilità

chimica e fisica con il materiale da trattare. In Tabella 1 sono riassunte le

principali proprietà di formulazioni ad azione consolidante.

(5)

Tabella 1. Principali caratteristiche agente consolidante.

CONSOLIDANTE

Buona adesione al substrato lapideo Alterazione cromatica trascurabile

Nessun effetto di lucentezza e brillantezza

Miglioramento delle proprietà meccaniche e microstrutturali

Nessun sottoprodotto dannoso Convenienza economica

1.2 Prodotti consolidanti tradizionali

In base alla loro natura chimica, i prodotti consolidanti, utilizzati soprattutto nella conservazione di substrati lapidei, possono essere distinti in diverse classi:

prodotti di natura inorganica

6

, di natura organica e prodotti intermedi a base di silicio, appartenenti a classi eterogenee come silicati e alchil-alcossisilani che portano alla formazione di polimeri siliconici. Molto spesso la classificazione dei prodotti consolidanti può avvenire anche in base al tipo di substrato lapideo con il quale devono sviluppare ottimali proprietà di adesione e penetrazione.

Negli ultimi anni sono state proposte nuove formulazioni di consolidanti basate

sui nuovi prodotti derivanti dalla nanotecnologia, quali ad esempio micro e

nanodispersioni acquose di polimeri organici, di silice colloidale e calce

nanoparticellare

7

. Più recentemente sono stati sviluppati anche innovativi

materiali ibridi di tipo “organico-inorganico” anche a carattere nanofasico, con un

vastissimo numero di applicazioni possibili

8

.

(6)

Tabella 2. Prodotti per il consolidamento lapideo disponibili sul mercato.

Prodotti consolidanti Tipologia materiale lapideo

Etilsilicati Arenaria, laterizio Alchilalcossisilani Arenaria, laterizio

Miscele

etilsilicati/alchilalcossisilani Arenaria, marmo, calcare Alchilalcossisilani

polimerizzati (parzialmente o totalmente)

Arenaria, marmo, calcare non poroso

Resine acriliche o epossidiche (applicate come

monomeri o polimeri)

Marmo, calcare non poroso

Miscele resine

acriliche/siliconiche Arenaria, marmo, calcare

Ca(OH)

2

e Ba(OH)

2

Calcare (solo se le crepe sono di dimensioni

micrometriche)

1.2.1 Consolidanti organici

I consolidanti di natura organica sono costituiti principalmente da polimeri di resine sintetiche allo stato di soluzione o di dispersione. Fin dai primi loro utilizzi, si sono rivelati molto competitivi; infatti, nonostante non abbiano la stessa compatibilità con i materiali lapidei dei consolidanti inorganici, sono in grado di conferire una certa resistenza meccanica e una maggiore elasticità che permette di superare i problemi relativi ai diversi coefficienti di espansione termica del materiale originale e del consolidante. I consolidanti polimerici generano all’interno delle porosità film coerenti e continui o reticoli tridimensionali che consolidano e migliorano le proprietà meccaniche del materiale inglobando e

“saldando” le parti decoese. Essendo inoltre molto spesso idrofobi uniscono

(7)

azione consolidante e protettiva. Pur consentendo solitamente la reversibilità del trattamento perché solubili in opportuni solventi organici, legati alle caratteristiche chimico-fisiche non sempre compatibili con il substrato e, soprattutto, con la intrinseca limitata stabilità verso i fenomeni di invecchiamento, foto-ossidativo con conseguente ingiallimento, diminuzione del potere adesivo e infragilimento.

Tra i consolidanti organici, i polimeri acrilici e metacrilici

9,10

sono tra i più comunemente impiegati non solo per trattamenti su materiali lapidei, ma anche sulla carta, sul legno, sui tessuti e sui metalli.

Un polimero largamente utilizzato, in particolare negli anni ’80-90, nel restauro monumentale e archeologico è il copolimero etil/metacrilato-metil/acrilato (EMA/MA in rapporto 70/30; Tg pari a 40°C) meglio noto come Paraloid B 72 prodotto dalla Rhom & Haas. Si è tuttavia osservato che supporti trattati con questo prodotto, manifestavano la perdita dell’idrorepellenza in tempi relativamente brevi, nonché una tendenza nel medio - lungo termine a subire alterazioni cromatiche, in particolare ingiallimento, causato da processi di fotoossidazione. Altro inconveniente legato all’utilizzo di questo polimero nel trattamento dei substrati lapidei è la marcata modifica della traspirabilità delle superfici, per formazione di film polimerici, talora occludenti. La mancanza di continuità all’interno del materiale lapideo favorisce, infatti, il graduale accumulo dei sali normalmente veicolati nei solidi porosi. In molti casi, con il passare degli anni, si è osservato un peggioramento delle condizioni conservative dei manufatti lapidei con, nei casi più eclatanti, distacchi di frammenti superficiali.

Sono stati sviluppati negli anni polimeri (met)acrilici con funzionalità di diversa natura, ad esempio fluorurati e in formulazioni diverse, ad esempio come dispersioni acquose, nel tentativo di sopperire a specifiche necessità senza tuttavia ancora riuscire a risolvere il problema della loro stabilità foto-ossidativa.

1.2.2 Consolidanti inorganici

I materiali più utilizzati in passato per riempire piccole fratture o diminuire la

porosità sono di tipo inorganico. I consolidanti inorganici sono generalmente

applicati in soluzione acquosa e, per reazioni chimiche che avvengono con

l’acqua o con alcune componenti dell’aria, si trasformano all’interno dei pori del

(8)

materiale precipitando come sali insolubili. Presentando piccole dimensioni molecolari, spesso inferiori ai consolidanti di natura organica, i prodotti inorganici sono in grado di penetrare a profondità maggiori nel materiale lapideo. Inoltre, per la loro natura inorganica, possono essere selezionati in modo da essere molto affini e chimicamente compatibili al supporto, oltre che molto stabili nel tempo perché non soggetti a invecchiamento. Questa loro stabilità chimica ne limita anche l’adesività e tali consolidanti, infatti, non formano legami forti con le pareti dei pori, ma tendono solamente a riempirli portando a un’azione consolidante più scarsa rispetto ad altri tipi di prodotto. Il riempimento e l’occlusione dei pori del materiale trattato può anche creare disomogeneità interne e facilitare il generarsi di tensioni all’interfaccia tra materiale trattato e non trattato. Avvenuta l’applicazione possono anche formarsi sottoprodotti dannosi per il materiale, in forma di sali solubili che possono creare efflorescenze. Tra i consolidanti inorganici, soprattutto per pietre di tipo carbonatico, il più adeguato per compatibilità chimica appare l’idrossido di calcio

11,12

che in forma di acqua di calce, latte di calce o grassello, per reazione con acqua e anidride carbonica rigenera carbonato di calcio. Questa calcite ricristallizzata, però, non presenta le stesse caratteristiche di quella del materiale lapideo (dimensione dei grani e abito cristallino), in quanto si forma in condizioni cinetiche e termodinamiche diverse.

Il risultato è quindi una minore affinità tra i materiali e spesso insoddisfacente per la formazione di un aggregato debolmente cementante e incoerente.

( )

( l )( s )( g )( l )( s )

O H + →CaCO +CO O +H

OH

Ca

2 2 2 3

2

2

Figura 1. Reazione di carbonatazione a partire dall'idrossido di calcio.

L’idrossido di bario

13,14

, in maniera simile al precedente, è impiegato come consolidante in supporti carbonatici per la sua capacità di formare carbonato di bario all’interno della porosità del materiale per reazione con l’anidride carbonica.

Il carbonato così formato ha caratteristiche molto simili al carbonato di calcio, è

pressoché insolubile e ingloba i cristalli di calcite saldandoli. Grazie al possibile

scambio tra Ca e Ba, l’idrossido di bario è anche utilizzato negli interventi di

desolfatazione di materiali carbonatici alterati in cui il carbonato si è convertito

parzialmente in solfato idrato. Quest’ultimo viene infatti convertito in solfato di

(9)

bario insolubile. In Figura 2 sono riportate le reazioni dell’idrossido di bario in dispersione acquosa precedentemente citate:

( )

( l )( s )( g )( s )

O +H →BaCO +CO

OH

Ba

2 2 3 2

( ) ( )

2332

OH +Ca →BaCO +CaCO OH

Ba

( l ) ( s ) ( s )

O H ) + ( OH Ca + BaSO

→ O H CaSO ) +

( OH

Ba

2 4 2 4 2 2

Figura 2. Reazioni di carbonatazione e solfatazione dell'idrossido di bario.

Un’altra classe di consolidanti inorganici, che risulta poco reattiva nei confronti di soluzioni acide, è rappresentata dagli ossalati minerali, presenti naturalmente come patine protettive passivanti sulle superfici di monumenti. L’ossalato di ammonio di produzione artificiale, reagendo con la calcite e con il gesso (Figura 3), porta alla formazione di una patina di ossalato di calcio

15

protettiva e passivante, con bassa solubilità, su superfici spolveranti e decoese. Il limite è dato dall’ammonio che può causare l’alterazione di eventuali pigmenti nel caso si operi su superfici affrescate.

( ) O +H +CO NH O+ H O CaC → O H + O C

NH +

CaCO

3 4 2 2 4( aq )

2

2 2 4

2

2

2

3 2 2

( ) ( )

4242424224

2

4

2 H O+ NH C O →CaC O 2 H O+ NH SO

CaSO

( aq )

Figura 3. Reazioni collaterali dell'ossalato di ammonio.

1.3 I Nanoconsolidanti

Il termine di nanotecnologia è stato coniato dalla National Nanotechnology

Initiative (NNI) per esprimere “la conoscenza e il controllo della materia di

dimensione compresa tra 1 e 100 nm dove fenomeni unici permettono nuove

applicazioni”

16

. Lo studio delle proprietà e la sintesi di materiali nanostrutturati

17

rappresenta senza dubbio uno dei più importanti campi di ricerca contemporanea

e futura. I nanomateriali rappresentano uno stato della materia con proprietà

intermedie tra quelle molecolari e quelle di strutture massive. Il loro alto rapporto

area superficiale/volume influenza e caratterizza fortemente il loro

comportamento chimico-fisico.

(10)

L’interesse verso le nanotecnologie è supportato dal mercato che richiede un continuo sviluppo delle proprietà e dalle prestazioni di ogni prodotto e i nanomateriali sono in grado di mostrare caratteristiche chimiche, fisiche e meccaniche migliori o addirittura assenti nei materiali tradizionali.

Recentemente, dispersioni di nanoparticelle, soluzioni micellari, gel e micro- nanoemulsioni

18

hanno dimostrato interessanti potenzialità applicative nel settore della conservazione delle opere d’arte. Nanoparticelle di idrossido di calcio

11,19,20

e gel integranti microemulsioni sono utilizzati per il restauro di affreschi

21

, microemulsioni

22

sono state messe a punto per la pulitura sempre di affreschi e di dipinti ad olio, e nanoparticelle di idrossido di calcio e di magnesio sono state adoperate per il recupero di carte, legno e tela

23

.

Nonostante si possa pensare che una dispersione di nanoparticelle penetri maggiormente nel materiale grazie alla ridotte dimensioni, alcuni studi

24-26

hanno dimostrato che queste dispersioni in realtà non penetrano in profondità

27,28

. Se questo non è un problema nei casi citati (affreschi, carta, etc.) lo diventa nel caso di interventi di consolidamento su monumenti architettonici, facciate, colonne o statue, che richiedono buone proprietà di penetrazione.

I principali obiettivi a cui si tende, nella sintesi di questi nanomateriali sono

soprattutto un buon controllo delle caratteristiche morfologiche e dimensionali

delle particelle, un‘elevata purezza e una alta stabilità del prodotto finale e, nel

caso di consolidanti inorganici, un buon controllo sulla forma cristallina o amorfa

(a seconda dello stato richiesto) e le proprietà superficiali delle singolo particelle,

che ne influenzano la stabilità in dispersione colloidale e la reattività verso il

substrato. Sebbene siano state sviluppate numerose procedure di sintesi

17

per

ottenere elevate rese in nanoparticelle con un corretto controllo delle dimensioni,

forma e polidispersità, tali sintesi sono tutt’altro che un compito semplice a causa

della tendenza termodinamica delle particelle ad aggregarsi e formare strutture

massive a minor energia superficiale. Questo problema rappresenta il maggior

limite alle grandi potenzialità di questi sistemi nei diversi campi, incluso quello

della conservazione del patrimonio culturale. Le grandi incognite legate all’utilizzo

dei nanomateriali riguardano principalmente la stabilità nel tempo prodotta dalle

reazioni chimiche che si sviluppano sulla superficie, l’eventuale rilascio di

sostanze tossiche nel lungo periodo, i livelli di sostenibilità nei processi produttivi

(11)

su scala industriale e le modalità di smaltimento o di dispersione al termine della loro vita utile.

1.3.1 Nanoconsolidanti inorganici e relative tecnologie di produzione

I processi di produzione dei nanomateriali sono di natura complessa e richiedono un accurato controllo dei molteplici parametri della sintesi al fine di ottenere le prestazioni richieste. Come già accennato, una delle principali difficoltà risiede nell’attitudine delle nanoparticelle ad aggregarsi in forme cristalline di dimensioni micrometriche per ridurre la propria energia libera di superficie.

Una prima strategia di preparazione, denominata top-down, consiste essenzialmente in un approccio fisico che permette di creare strutture di dimensione submicrometriche a partire da un precursore di dimensioni macroscopiche.

Un altro approccio, di tipo chimico, è quello bottom-up, in cui la nanostruttura è generata per addizioni successive di atomi, con una tecnica basata principalmente sull’attivazione di processi chimici (ad esempio tecnica sol-gel e deposizione chimica da vapori). I metodi chimici consentono il controllo delle dimensioni delle strutture fin dal livello atomico o molecolare e appaiono oggi come i più adeguati metodi per la produzione di quantità elevate di materiale nanostrutturato.

Come si è detto, tra i prodotti impiegati frequentemente per il consolidamento del

materiale lapideo sono formulazioni a base di alcossisilani, primo fra tutti il

tetraetossisilano (TEOS). I gel di silice che si ottengono si generano al termine

del processo di polimerizzazione sol-gel, tuttavia, risultano molto fragili e soggetti

a cricche

29

. Per ottimizzare le proprietà fisiche dei gel a base di TEOS, negli anni

recenti sono stati proposti materiali compositi ottenuti dalla combinazione del

precursore sol-gel con particelle colloidali di ossidi inorganici, in particolare

titania, allumina e silice

30

. L’aggiunta di nanoparticelle al TEOS porta ad una

diminuzione della contrazione di volume nella fase terminale del processo di

reticolazione del gel microporoso mentre ne migliora il modulo di elasticità. La

presenza di queste particelle però, determina una diminuzione della capacità di

penetrazione del consolidante in profondità

31

.

(12)

A tutt’oggi, comunque, il processo sol-gel costituisce il principale approccio per ottenere materiali nanocompositi ad azione consolidante, grazie anche alle relative basse temperature alle quali può avvenire il processo. E’ possibile ottenere anche compositi ibridi di tipo organico-inorganico detti ORMOSILS

32

, sfruttando dei precursori alcossisilanici modificati con un gruppo funzionale di natura organica.

Più recentemente, è stata proposta un’innovativa strategia di sintesi in cui il processo sol-gel, in presenza di tensioattivi

33,34,35

, ha permesso di ottenere gel che producono silici con mesoporosità ordinata. Viene sfruttato l’auto- assemblaggio in aggregati delle molecole di tensioattivo che, per applicazioni come prodotti consolidanti, deve poter essere rimosso in modo semplice. Al momento questa tecnica non viene adottata per tale applicazione in quanto i tensioattivi impiegati richiedono tipicamente trattamenti di calcinazione ad alte temperature per essere rimossi

33

.

1.3.2 Nanocalce e Nanocalcite

È stato visto come l’idrossido di calcio sia la sostanza consolidante per molti versi

ottimale per tutti i materiali lapidei a matrice carbonatica, in virtù della sua alta

compatibilità chimico-fisica con il supporto. In particolare il trattamento con

questo materiale è sempre preferibile se il degrado dell’opera è il risultato di una

perdita di carbonato di calcio. Tuttavia la scarsa solubilità dell’idrossido di calcio

(1,7 g/L) e la difficoltà di prepararne dispersioni stabili in acqua ad elevato

contenuto in solidi, ne ha ostacolato l’utilizzo per diversi anni; infatti sarebbe

necessario fare assorbire dalla pietra da trattare quantità eccessi vedi tali

dispersioni per ottenere risultati apprezzabili. Le particelle di nanocalce possono

essere sintetizzate secondo varie procedure di tipo bottom up a partire da

precursori salini, sia in fase acquosa che in fase alcool, per ottenere in tutti i casi

cristalli nanodimensionali nell’intervallo 3-300 nm. In particolare è possibile

ottenere nanocristalli mediante reazioni sia in fase acquosa che in fase alcool. La

dimensione e la forma delle particelle possono essere controllate mediante

un’appropriata selezione di determinati parametri di reazione, quali temperatura,

concentrazione dei reagenti e di eventuali additivi ,il loro rapporto molare e

condizioni di mescolamento. Un esempio è la sintesi di particelle cristalline

(13)

submicrometriche di idrossido di calcio a partire da volumi uguali

12

di soluzioni acquose di NaOH e CaCl

2

, che vengono riscaldate separatamente in un intervallo di temperatura compresa tra 60°e 90°C.

NaCl ) + ( OH Ca

→ NaOH +

CaCl

2 2

Figura 4. Sintesi di Ca(OH)2 mediante reazione di precipitazione da CaCl2.

A temperatura raggiunta e costante, le due soluzioni vengono mescolate rapidamente mediante centrifugazione in condizioni di elevata sovra saturazione.

Le particelle preparate ad una temperatura di 60°C mostrano, da immagini SEM

36

, una geometria prismatica esagonale tipica dell’idrossido di calcio, con un alto grado di agglomerazione particellare. Aumentando la temperatura di sintesi fino a 90°C si assiste ad una diminuzione delle dimensioni delle particelle.

Malgrado i risultati siano stati molto incoraggianti, le dispersioni in acqua si sono rivelate altamente instabili, inoltre questo metodo non permette di ottenere particelle di dimensioni inferiori a 100 nm.

Dato che l’alta temperatura è un requisito fondamentale per ottenere particelle più piccole, alcuni studiosi

20

hanno messo a punto un metodo di sintesi analogo al precedente ma condotto in glicol etilico o propilenico, solvente che permette di raggiungere temperature intorno ai 175°C. Dopo la sintesi è indispensabile un processo denominato “peptizzazione” per la disgregazione degli agglomerati di nanoparticelle. In seguito a lavaggi con acqua o un solvente alcolico (ad esempio 2-propanolo) e trattamenti con ultrasoni per rimuovere il diolo adsorbito è possibile ottenere singole unità di dimensioni inferiori ai 100 nm

20

.

Solventi alcolici (1-propanolo, etanolo e 2-propanolo nell’ordine dal più al meno efficacie) sono stati impiegati come mezzi disperdenti per migliorare la stabilità colloidale delle dispersioni. Questa maggiore stabilità viene attribuita all’adsorbimento fisico preferenziale dell’alcool sulle particelle inorganiche.

La morfologia con facce esagonali rende queste particelle molto adsorbenti nei

confronti dell’acqua, aiutandone così la trasformazione in carbonato al momento

dell’evaporazione dell’alcool. In particolare, la morfologia lamellare di

nanoparticelle di idrossido di calcio con il rapporto dimensionale l

c

/l

a

< 1 (Figura

5) oltre a garantire un buon flusso d'acqua tra gli strati di calce, favorisce anche

la reazione tra l'idrossido di calcio e il diossido di carbonio, che è strettamente

(14)

dipendente dalla presenza di acqua indispensabile alla solubilizzazione del diossido di carbonio.

Figura 5. Nanoprismi di idrossido di calcio. In alto, il rapporto la/lc determina la morfologia delle particelle; in basso, la formazione di strati alternati di nanoprismi di idrossido di calcio e acqua

grazie alla morfologia lamellare37.

Nell’impiego di nanocalce come consolidante è stata osservata una maggiore

efficacia di dispersioni diluite e ultra diluite,che consentono di minimizzare i

fenomeni di agglomerazione che possono limitare la penetrazione delle particelle

e causare la formazione di uno strato opaco.

(15)

Negli ultimi anni, sono state introdotte in commercio delle formulazioni a base di idrossido di calcio nanostrutturato aventi lo 0,5% di materia attiva. Il prodotto NANORESTORE®, dispersione cineticamente stabile di nanocristalli di idrossido di calcio (da 100 a 250 nm) in solventi alcolici

20

, assicura un’ottima impregnazione per suzione capillare, assicurano un’alta capacità di penetrazione della sospensione all’interno della struttura porosa delle pitture murali (fino ad una profondità di 200-300 µm), e permette di riempire anche pori molto piccoli altrimenti non raggiungibili dalle tradizionali metodologie. Recentemente, tuttavia si è osservato che queste formulazioni per lunghi tempi di stoccaggio non sono chimicamente stabili; l’idrossido di calcio in alcool porta alla formazione del calcio-alcossido corrispondente

38

che modifica la resa in carbonato di calcio al termine della reazione, riducendo l’efficacia consolidante del trattamento.

La nanocalcite può essere prodotta attraverso due procedure sintetiche di precipitazione:1) attraverso un sistema liquido-solido, nel quale si sfrutta la reazione tra i precursori salini 2) attraverso un sistema trifasico gas-liquido-solido, nel quale la formazione delle particelle avviene tramite gorgogliamento di anidride carbonica all’interno di una sospensione acquosa di Ca(OH)

2

. Nei sistemi liquido-solido, nei quali i precursori sono sali in concentrazioni soprasature, la precipitazione delle particelle avviene in tempi estremamente brevi, tali da rendere gli studi cinetici sulle trasformazioni cristalline molto difficoltosi. Questo metodo viene utilizzato principalmente in scala di laboratorio e si presta particolarmente bene nei casi di studio riguardanti l’effetto di alcuni agenti modificatori sulle dimensioni e sulla morfologia delle particelle. In particolare, particelle di calcite ottenute per precipitazione dai precursori salini di CaCl

2

e (NH

4

)

2

CO

3,

possono essere regolate attraverso l’impiego di particolari agenti modificatori, come tensioattivi

39,40

,specie macromolecolari come poli(acido acrilico)

41,42

e suoi derivati

43

,copolimeri PEG-poli acido citrico

44

, e molecole complessanti a basso peso molecolare

45

.

( ) Cl NH + →CaCO CO NH

+

CaCl

2( aq ) 4 2 3 3( s )

2

4

Figura 6. Reazione di precipitazione del carbonato di calcio a partire da precursori salini.

agente modificatore

(16)

La calcite, la cui superficie è caratterizzata da siti attivi cationici, è infatti in grado di interagire con composti organici policarbossilati. Per comprendere i meccanismi di complessazione sono state eseguite isoterme di adsorbimento su dispersioni di particelle di calcite a concentrazione nota al variare della specie organica carbossilata e della sua concentrazione

46

. Sono stati studiati vari acidi organici a diverso peso molecolare e con un numero crescente di gruppi funzionali acidi compresi da 1 a 3. I risultati hanno dimostrato che solo le molecole organiche di- e tri-funzionali sono in grado di complessare efficacemente le particelle di calcite. Inoltre è stato dimostrato che a parità di gruppi acidi all’interno della molecola, la forza di legame tra molecola organica e particella inorganica può diminuire all’aumentare della distanza dei gruppi all’interno della molecola. Karl-Johan Westing

47

ha studiato l’effetto di alcune molecole chelanti, come acido citrico e EDTA, sul processo di precipitazione del carbonato di calcio da precursori salini. La presenza di acido citrico durante il processo di precipitazione ha portato all’ottenimento di particelle di calcite di geometria ortorombica, a differenza delle prove con EDTA, in cui la geometria predominante era sferoidale. Il diverso effetto mostrato dai due agenti complessanti è da attribuire alle differenti interazioni sulle facce dei cristalli di carbonato di calcio.

L’acido citrico, oltre ad essere impiegato come modificatore a basso peso molecolare, può anche essere introdotto come costituente di macromolecole dendrimeriche

44

ottenute mediante reazione di policondensazioni assieme al poli(etileneglicole) (PEG). In base al rapporto molare acido citrico/PEG (da 2 a 10) possono essere regolati il numero di molecole di acido citrico condensate e il grado di ramificazione

48

. La policondensazione può essere ottenuta attraverso l’ossidazione dei gruppi idrossilici terminali della catena polieterea e loro successiva clorurazione, con il gruppo carbossilico dell’acido citrico.

Prove su scala di laboratorio

49

sono state eseguite, anche utilizzando come

inibitore di crescita cristallina delle particelle macromolecolari di PAA con peso

molecolare variabile da 1000 a 25000 Da. In questo caso l’agente

macromolecolare, totalmente salificato, viene aggiunto nel pallone di reazione

contenente il CaCl

2

seguito da una soluzione di (NH

4

)

2

CO

3

. L’efficacia del

processo di precipitazione è risultata tanto maggiore quanto più velocemente

veniva raggiunta la condizione di soprassaturazione, promuovendo quindi la

(17)

nucleazione di cluster di dimensioni nanometriche a sfavore dell’accrescimento.

Questa condizione viene assicurata dalla presenza del PAA, il quale in maniera quasi istantanea promuove la formazione di zone soprassature per interazione dipolare tra il gruppo carbossilico e lo ione calcio. I risultati migliori sono stati ottenuti con l’impiego di PAA con peso molecolare 5000 Da in concentrazione 2 mM riferita ai gruppi acidi della macromolecola. La resa della reazione di precipitazione è intorno al 23% ed il PAA adsorbito sulle particelle inorganiche non supera mai il 30% in peso rispetto al peso secco delle particelle. Sotto queste condizioni le particelle di carbonato di calcio sono di natura amorfa, con morfologia pressoché sferica e dimensioni intorno ai 200-300 nm. La dispersione finale però risulta stabile solo per alcune ore. Un’alternativa al metodo di precipitazione del carbonato di calcio mediante aggiunta controllata dei uno dei due precursori salini è quella chiamata “precipitazione a doppia iniezione”

50

. In questo caso una soluzione alcalina contenente il PAA salificato viene aggiunta inizialmente nel pallone di reazione e solo successivamente vengono aggiunti contemporaneamente i due precursori salini. Anche in questo caso tuttavia la dispersione risulta solo stabile solo per qualche minuto.

L’altro metodo di sintesi chimica per la produzione di nanocalcite è il processo di carbonatazione a partire da Ca(OH)

2

. Questo processo è largamente usato, soprattutto in ambito industriale, in quanto riesce ad abbinare alle ottime caratteristiche di purezza e resa nel prodotto finale, anche vantaggi impiantistici e di processo. Al fine di ottenere dispersioni di particelle nanometriche, vengono riportati alcuni accorgimenti ingegneristici consistenti nell’impiego di reattore a micro canale con membrana micro porosa

51

. Il micro reattore è costituito da due canali di lunghezza differente inseriti l’uno dentro l’altro e il setto poroso è situato all’estremità finale del canale più interno. Il gas fluisce dal canale interno attraverso il setto poroso entra in contatto con la dispersione acquosa di Ca(OH)

2

situata nella camera di mescolamento. La dispersione ottenuta è spinta dal micro reattore ad una camera di stoccaggio nella quale viene monitorata la variazione del pH.

I risultati delle prove mostrano come con questa nuova tipologia di reattore

migliori notevolmente i fenomeni di trasferimento di materia all’interfaccia

gas/liquido ( ∼4 volte maggiore) rispetto all’impiego di un tradizionale reattore

(18)

agitato. Inoltre, dal controllo delle variabili operative quali concentrazione di idrossido di calcio iniziale, portata del flusso gassoso e dimensione dei canali del setto poroso è possibile modulare la morfologia delle particelle arrivando ad ottenere particelle di dimensioni comprese tra 20-30 nm. Resta il problema del difficile aumento di scala della produttività di un reattore di questo tipo.

1.4 Caratteristiche porosimetriche delle pietre carbonatiche: dai marmi meno porosi alle calcareniti porose.

Come accennato nel paragrafo 1.3 una dispersione consolidante affinché possa essere efficace deve essere in grado di penetrare nelle porosità della pietra. Le diverse tipologia di pietre sono caratterizzate da pori di dimensioni, distribuzione dimensionale e morfologia differenti.

In Tabella 3 sono riportati i valori di porosità percentuale e dimensione media dei pori per un marmo e una calcarenite.

Tabella 3. Porosità totale e raggio medio dei pori di alcune pietre carbonatiche studiate nell’ambito del restauro e della conservazione architettonica.

LITOTIPO POROSITA’ TOTALE

(%)

RAGGIO MEDIO DEI PORI (µm)

Marmo bianco Carrara 6,71 2,53

Biomicrite calcarea 30 0,44

Le caratteristiche porosimetriche delle pietre ne influenzano significativamente anche la resistenza agli effetti dell’interazione con l’atmosfera, l’acqua è infatti il principale veicolo per il trasporto di microinquinanti e per la solubilizzazione e riprecipitazione dei sali, e la pietra è ovviamente più o meno accessibile all’acqua proprio in funzione della sua struttura porosa.

Esistono diversi studi che mettono in evidenza la relazione tra degradazione e

dimensione e struttura dei pori tramite, ad esempio tomografia a raggi X.

(19)

Figura 7. Ricostruzione tomografica 3D di un provino calcarenitico poroso (Sabucina)52,53: a sinistra (grigio) vengono riportate la struttura bulk della pietra e a destra la struttura porosa. In

rosso è rappresentata la struttura porosa aperta mentre in blu la porosità chiusa.

(20)
(21)

2. Scopo della tesi

Questo lavoro di tesi è incentrato sullo studio di un processo sintetico per la

preparazione di dispersioni acquose nanoparticellari colloidalmente stabili da

proporre come valida alternativa ai consolidanti lapidei attualmente in

commercio. Queste dispersioni verranno sintetizzate utilizzando un reattore

pilota discontinuo appositamente disegnato, tramite processo di carbonatazione

dell’ossido di calcio con CO

2

, in presenza di acido citrico come modulatore

dell’accrescimento e stabilizzante delle particelle. L’ottimizzazione delle

numerose variabili di processo verrà ricercata con un approccio di tipo statistico

di disegno sperimentale (DoE) finalizzato a definire le condizioni in grado di

assicurare la produzione di nanoparticelle di dimensioni inferiori ai 100 nm e,

possibilmente, di dispersioni acquose colloidalmente stabili. È stato inoltre

previsto lo studio di copolimeri a blocchi anfifilici poli(acido acrilico)-

poli(etilenglicole) (PAA-PEG) di sintesi e eventualmente anche di origine

commerciale, come potenziali additivi in grado di adsorbirsi sulle particelle di

nanocalcite e migliorare la stabilità colloidale e la shelf-life delle dispersioni,e

caratterizzate mediante analisi termogravimetrica (TGA), microscopia elettronica

a scansione (SEM), light scattering dinamico (DLS) e diffrattometria a raggi X

(XRD).

(22)
(23)

3. Risultati e discussione

3.1 Design reattore di carbonatazione

Il reattore pilota usato nelle prove di carbonatazione della calce è il risultato di un lavoro di collaborazione del gruppo di ricerca del Prof. Lazzeri del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Pisa. Lo schema del reattore e una discussione degli equilibri coinvolti nel processo di carbonatazione dell’idrossido di calcio sono è riportato in dettaglio in Appendice1.

Si tratta di un reattore cilindrico ad asse verticale operante in discontinuo, costruito totalmente in acciaio inox nel quale i reagenti possono essere alimentati all’interno della camera dalla parte superiore mediante la rimozione della calotta mobile. La dispersione finale può essere raccolta dal fondo del reattore, di geometria conica per facilitare il recupero e la discesa del liquido, attraverso una apposita valvola a spillo allineata lungo l’asse verticale del reattore. Il reattore è dotato di una camicia refrigerante esterna spessa 26 mm che copre totalmente la superficie esterna della camera di reazione ed è collegata ad un sistema di raffreddamento esterno. Il reattore possiede un diametro di 180 mm e un’altezza di 540 mm con un volume totale di carico di 12L.

E’ dotato di condotti di uscita e di entrata disposti lungo tutta la lunghezza del

reattore; alcuni di questi sono di tipo “passante” e permettono l’aggiunta o il

prelievo di reagenti e intermedi di reazione durante le fasi attive del processo,

altri possono essere impiegati per equipaggiare il sistema di strumenti di

misurazione “on-line” per monitorare le variabili critiche del sistema.

(24)

Figura 8. Foto reattore pilota.

Nella camera di reazione è presente un agitatore meccanico a pale inclinate (PBT, acronimo di Pitched-Blade-Turbine) costituto da un singolo mozzo situato all’estremità dell’asta a cui sono saldate 4 pale meccaniche a geometria rettangolare di 20 mm di lunghezza inclinate di 30° rispetto all’asse dell’agitatore.

Questo agitatore assiale, anche definito come agitatore “veloce”, è caratterizzato da un rapporto D/T (diametro agitatore/diametro reattore) pari a 0,22. L’aggettivo

“veloce” è dovuto al fatto che, affinché si raggiunga un buon grado di

miscelazione di tutto il sistema, è necessario lavorare a velocità di rotazione

relativamente alte. Usualmente, con l’utilizzo di questi tipi di agitatori, il reattore

deve essere provvisto di setti frangivortici denominati “baffles” che hanno la

funzione di evitare il moto d’insieme del liquido e la deformazione del pelo libero,

che ridurrebbe i fenomeni di trasporto turbolento e porterebbe alla formazione di

un vortice superficiale. Questo reattore è stato dotato di tre frangiflutti di 510 mm

di lunghezza, 3 mm di spessore e 15 mm di larghezza, disposti esattamente a

120° l’uno dall’altro rispetto all’asse dell’agitatore. Il flusso prodotto da questo tipo

di girante non è completamente assiale, ma possiede anche un modesto

(25)

contributo radiale. In Figura 9 sono riportate le foto del sistema di agitazione e della calotta con chiusura manuale a bullone:

Figura 9. (A sinistra)Foto del sistema di agitazione compreso di frangiflutti, agitatore meccanico e motore a velocità variabile; (al centro) foto della calotta del reattore con 4 condotti di ingresso ed uscita;(a destra) foto della girante assiale a 4 pale inclinate di 30° rispetto all’asse della gitante.

Il sistema di raffreddamento esterno è in grado di garantire una temperatura

omogenea e costante del mezzo di reazione all’interno della camera. La scelta

del chiller e del liquido refrigerante è avvenuta dopo un’attenta e minuziosa

analisi dei valori calorimetrici della reazione, della fluidodinamica del sistema e

sulla geometria dell’impianto. Come liquido refrigerante è stata utilizzata una

miscela commerciale 50% glicole etilenico – 50% acqua distillata. Il sistema di

alimentazione della miscela gassosa di reazione avviene da un condotto a forma

di “T” situato sotto il fondo del reattore nelle vicinanze della valvola di recupero

del prodotto(Figura 10).

(26)

Figura 10. Foto raffigurante il condotto a "T" per l'immissione dell'alimentazione gassosa (evidenziato in rosso) e per il recupero del prodotto.

Il flusso gassoso gorgogliato dal fondo della camera risale verticalmente lungo il volume del liquido e viene disperso dal moto vorticoso e turbolento sviluppato dalla girante meccanica. Il reattore non è dotato di nessun sistema di dispersione di gas, setto poroso o griglia forata, come dettato dal Know-How dell’industria ideatrice dello schema di base (Solvay di Rosignano). Per un corretto controllo della regolazione del flusso gassoso il sistema è dotato di un quadro di riduzione del gas in uscita dalla bombola. Questo dispositivo è dotato di due riduttori di pressione e un flussimetro in modo tale da poter determinare in maniera esatta la portata del gas in entrata nel reattore (Figura 11).

Figura 11.Foto del sistema di alimentazione e della miscela gassosa. (A sinistra) il quadro per la regolazione del flusso.

(27)

Come accennato precedentemente, il reattore è dotato di alcuni strumenti di misura, necessari per il monitoraggio delle variabili nel processo di carbonatazione. Il pHmetro CronospHSense per la misurazione on-line dell’andamento del pH è stato posizionato in un condotto di entrata situato a circa

¾ dal fondo della camera. La variazione di temperatura è stata monitorata tramite un misuratore di temperatura dotato di una sonda rigida lunga 0,30 m e da un monitor esterno di lettura. La sonda è stata inserita in alto, tramite un foro sul coperchio e pescante per circa 50 mm nella miscela di reazione.

3.2 Dimensionamento del sistema refrigerante

Per il calcolo del calore totale di reazione da asportare è stato considerato di partire da una dispersione acquosa di ossido di calcio di concentrazione pari a 100 g/L di CaO (1,78 moli/L),ipotizzando una resa in carbonato di calcio pari al 90% e una temperatura di reazione pari a 4°C (277 K). I valori delle entalpie standard di formazione dei reagenti e i relativi valori di calore specifico standard sono stati ricavati da dati di letteratura

54

e riportati in Tabella 4. Il calore totale sprigionato dalla reazione di carbonatazione è stato determinato considerando le entalpie standard di formazione dei reagenti corrette nell’intervallo di temperatura prescelto tramite l’equazione di Kirchoff.

Tabella 4. Entalpie standard di formazione e calori specifici standard relativi alla reazione di carbonatazione.

Entalpie e calori specifici standard

Δ°H

f

CaCO

3(s)

(kJ/mole) -1207

Δ°H

f

Ca(OH)

2 (aq)

(kJ/mole) -1002

Δ°H

f

CO

2(g)

(kJ/mole) -393,5

Δ°H

f

H

2

O(l)(kJ/mole) -285,8

Cp° CaCO

3

(kJ/mole K) 0,0809

Cp° Ca(OH)

2

(kJ/mole K) 0,0894

Cp° CO

2

(kJ/mole K) 0,0304

Cp° H

2

O(kJ/mole K) 0,0754

(28)

La stima della durata della reazione per ottenere una resa di ∼90% è stata calcolata tramite Equazione 1:

 

 

 

 k X

t 1

ln 1 1

Equazione 1

Dove k è la costante cinetica di reazione e X la resa totale.

In Tabella 5 sono riportati i valori del ΔH

r

di reazione calcolato in condizioni standard, quello corretto alla temperatura di reazione (277 K) e il calore totale sviluppato dalla reazione a tale temperatura.

Tabella 5. Entalpie di reazione calcolate in condizioni standard e alla temperatura di processo.

Entalpie di reazione e calore totale

Δ°H

r

(kJ/mole) -179

ΔH

r

(277 K)(kJ/mole) -182

Q totale (277 K)(kJ) -2912

La potenza necessaria al sistema refrigerante per asportare completamente il calore di reazione è pari a 1,15 kW. Il chiller scelto per le prove di carbonatazione ha una potenza di 1,5 kW.

In un sistema trifasico, come quello studiato in questo lavoro di tesi, caratterizzato da trasferimenti di massa ed energia alle interfacce gas-liquido-solido, determinare con accuratezza gli scambi di calore che si instaurano tra le diverse fasi e con le pareti esterne del reattore e il fluido refrigerante risulta estremamente complesso.

In generale, il trasferimento di calore può avvenire in due modalità distinte: in regime convettivo e in regime conduttivo. In sistemi come quello in discussione, la maggior parte del calore viene trasmesso per convezione in quanto la materia si muove da punti di temperatura maggiori (asse trasversale passante per il centro del reattore) a quelli a temperatura minore (pareti laterali del reattore). La convezione è di tipo forzato in quanto l’agitatore meccanico determina moti e rimescolamenti di materia.

E’ necessario tener presente che, quando un fluido si muove, anche se con moto

turbolento (numero di Reynold > 2100), esiste sempre uno strato liquido

stagnante (pellicola) di confine con la parete. Attraverso tale pellicola il calore

(29)

viene trasferito per conduzione, poi nella massa di fluido il calore si trasmette per convezione grazie al movimento e al rimescolamento del fluido. Nella zona di trasmissione per convezione la resistenza offerta alla trasmissione del calore è pressoché nulla. In un sistema stazionario tutta la resistenza termica dovuta al fluido risiede perciò nella pellicola. In Figura 12 è riportato il profilo termico che descrive questo sistema.

Figura 12. Esempio del profilo del calore trasmesso per conduzione attraverso parete.

Ipotizzando che i valori di temperatura alle facce estreme T

c

e T

d

rimangano uniformi e costanti nel tempo e che la trasmissione di flusso di calore nella parete di spessore L sia costante e indipendente dal tempo, la forza motrice dello scambio termico è solo la differenza di temperatura  T tra la temperatura del fluido caldo e del fluido freddo.

Il calore globale trasmesso può essere determinato applicando l’Equazione 2, dove Q sono le calorie che nell’unità di tempo passano dal fluido caldo a quello freddo (Watt), U è il coefficiente di trasmissione totale di calore (Watt*K*m

2

) e A l’area di scambio (m

2

).

T A U

=

W 

Equazione 2

L’Equazione 2 è un’approssimazione; in essa infatti U si riferisce ad una

superficie perfettamente pulita mentre nella realtà, durante l’esercizio, i fluidi

depositano delle incrostazioni sulle facce con cui sono a contatto, incrostazioni

che costituiscono delle resistenze addizionali a quelle che si sono considerate. Il

(30)

coefficiente U dipende dai valori dei coefficienti di pellicola secondo l’Equazione 3 dove h

reattore

e h

camicia

sono rispettivamente i due coefficienti di pellicola lato reattore e lato camicia, la cui determinazione è stata calcolata nel nostro caso allo scopo di determinare il dimensionamento del refrigerante esterno da collegare al reattore:

camicia reattore

h h

1 1

1 = +

U

Equazione 3

Il coefficiente di pellicola h, contenuto nel numero di Nusselt Nu

 D

= h Nu

dove D è la dimensione caratteristica (nel nostro caso il diametro dell’agitatore per il lato reattore e lo spessore della camicia per il lato camicia) e k la conducibilità termica del fluido. Da un punto di vista empirico Nu è correlato a più fattori adimensionali (Equazione 4) ossia Re (numero di Reynolds), Pr (numero di Prandtl) e Gr (numero di Grashoff) che a loro volta sono descritti da diverse proprietà fisiche, geometriche e fluidodinamiche del sistema.

b g

a

Pr Gr

Re

= Nu 

Equazione 4

dove la costante  e i coefficienti a, g e b sono caratteristiche geometriche del reattore del sistema in esame. Nel nostro caso, data la circolazione forzata del fluido, è possibile trascurare il coefficiente di Grashoff mentre riveste un ruolo di particolare importanza il numero di Reynold. I coefficienti da impiegare nell’Equazione 4, noti in letteratura, sono riportati in Tabella 6.

Tabella 6. Coefficienti correlati ai fattori di Re e Pr.

Coefficienti Lato reattore Lato camicia

 0,64 0,023

a 0,67 0,8

g 0,33 0,33

Al crescere di Re aumenta la turbolenza, quindi diminuisce la resistenza di pura

conduzione ed aumenta il valore del coefficiente di film; pertanto, a parità di

(31)

differenza di temperatura, si avrà un aumento della quantità di calore trasmesso nell’unità di tempo attraverso la superficie.

Per il calcolo del Re è necessario distinguere il caso in cui esso sia applicato per il calcolo del coefficiente di pellicola lato reattore, in cui la dimensione caratteristica è legata al raggio e alla velocità dell’agitatore (Equazione 5), o lato refrigerante (Equazione 6), per il quale è necessario calcolare il diametro equivalente determinato dal rapporto tra l’area trasversale e il perimetro bagnato (Equazione 6).

67 , 2 0

Re 

 

  

 

 N d

reattore

Equazione 5

Dove “d” è il diametro dell’agitatore meccanico, “N” è la velocità di rotazione della girante espressa in giri/sec, ρ è la densità della dispersione espressa in kg/m

3

e µ è la viscosità della dispersione espressa in kg/m s.

8 , 0

Re 

 

  

 

e

camicia

D

Equazione 6

In questo caso D

e

rappresenta il diametro equivalente, “v” è la velocità del flusso refrigerante espressa in m/s, ρ e µ sono rispettivamente la densità e la viscosità del liquido refrigerante.

Il numero di Prandl (Pr) dipende dalla viscosità (µ), dal coefficiente di capacità termica (Cp) e dalla conducibilità termica del liquido, secondo Equazione 7.

Il numero di Pr ha la stessa espressione per entrambi i coefficienti di pellicola ma deve essere calcolato inserendo gli opportuni valori a seconda del lato considerato.

b p

k C

 

 

    Pr

Equazione 7

I parametri geometrici del reattore sono riportati in Tabella 7, i parametri chimico-

fisici della miscela refrigerante, costituita da 50% glicol etilenico - 50% acqua,

sono stati reperiti in letteratura e riportati in Tabella 8. I parametri chimico-fisici

(32)

della dispersione iniziale di ossido di calcio pari a 100 g/L (Tabella 9) e considerando dati cinetici

55

e termodinamici

54

riferiti alla reazione di carbonatazione come riportato in Tabella 8.

Tabella 7. Specifiche geometriche del reattore pilota.

Tabella 8. Parametri chimico-fisici relativi al fluido refrigerante.

Parametri chimico-fisici refrigerante

Conducibilità termica (K

refr

) 0,35 W/m K

Densità (ρ

refr

) 1080 kg/m

3

Capacità termica (Cp

refr

) 3248,2 J/kg K

Viscosità (µ

refr

) 0,01 Pa s

SPECIFICHE GEOMETRICHE DEL REATTORE

Altezza (H) 0,54 m

Diametro interno 0.18 m

Diametro agitatore 0,05 m

Numero di giri 1025 giri/min

Minimo giri 50 giri/min

Massimo giri 2000 giri/min

Temperatura refrigerante in entrata 263 K Temperatura refrigerante in uscita 273 K Variazione temperatura refrigerante 10 K

Spessore camicia 0,026 m

Altezza camicia 0,54 m

Area camicia 0,20096 m

2

Area trasversale camicia 0,0078 m

2

Diametro idraulico 0,026 m

(33)

Tabella 9. Parametri chimico fisici relativi alla dispersione iniziale di CaO.

Parametri chimico-fisici dispersione di CaO Conducibilità termica (K

sol

) 0,5453 W/m K

Densità (ρ

sol

) 1,0001 kg/dm

3

Capacità termica (Cp

sol

) 3895 J/kg K

Viscosità (µ

sol

) 0,001943 Pa s

Tabella 10. Dati cinetici della reazione di carbonatazione.

Resa reazione 0,9*

Pressione interna reattore 1,06 atm

Temperatura reazione prevista 20°C

Costante cinetica di reazione 0.00091 s

-1

Durata reazione 42 min

I valori dei numeri di Reynold, Prandl e Nusselt per i coefficienti di film lato camicia e lato reattore, calcolati come già detto, sono riportati in Tabella 11.

Tabella 11. Coefficienti fluidodinamici calcolati.

Coefficienti fluidodinamici Lato camicia

Numero di Nussselt (Nu

camicia

) 4,3 Numero di Reynold (Re

camicia

) 115,9

Numero di Prandl (Pr

camicia

) 75

Lato reattore

Numero di Nusselt (Nu

reattore

) 274,7 Numero di Reynold (Re

reattore

) 22496 Numero di Prandl (Pr

reattore

) 0,14

I valori sperimentali dei coefficienti di film lato reattore e lato camicia sono stati

determinati facendo riferimento alla Equazione 8 e Equazione 9.

(34)

( ) ( ) C ° m , W

= ,

m , , m ° C , W

,

= Pr Re ,

=

, ,

115 83

,

74 24

,

57 44

026 0 35 0 023 0 023

0

08 033 08 033 2

D h

camicia

k

Equazione 8

( ) ( ) C ° m

, W

= m ,

, m ° C , W

,

= Pr Re

,

=

, ,

22496

,

0 1387

,

2967 5

05 0 54 0 64 0 64

0

067 033 067 033 2

D k h

reattore

Equazione 9

La resistenza globale alla trasmissione del calore è stata determinata secondo

C

° m , W +

C

° m , W

= +

U = 2967 5

1 44

57 1 1

2 reattore 2

camicia

h 1

h 1

Equazione 10

da cui si ricava che:

C m U W

 56 , 5

2

Equazione 11

La potenza che il sistema è in grado di dissipare, calcolato tramite Equazione 2, considerando come ΔT la differenza della temperatura del liquido refrigerante impostata a 10°C e la temperatura massima a cui la miscela giungerebbe se il sistema fosse adiabatico e pari a 74°C, risulta quindi uguali a 0,723 kW.

3.3 Elaborazione di un piano di disegno sperimentale (DoE)

Il Disegno Sperimentale (DoE, Design of Experiments)

6

è una metodologia

efficace per realizzare miglioramenti nella qualità di un prodotto o nell’efficienza

di un processo operando simultaneamente su più variabili. Si tratta di uno

strumento che permette di sviluppare una strategia sperimentale in grado di

massimizzare le informazioni con un numero limitato di esperimenti. Questo

approccio permette di identificare uno o più fattori critici nel modo più efficiente e

di identificare così le condizioni ottimali per condurre il processo in modo da

ottenere il risultato desiderato, sia esso una resa ottimizzata (aspetto

quantitativo) o l’esigenza di soddisfare una particolare specifica qualitativa.

(35)

Questo strumento garantisce un’efficienza maggiore rispetto all’approccio “one- factor-at-a-time”, nel quale viene osservato l’effetto della variazione di un fattore (variabile di composizione o di processo) alla volta; infatti consente di studiare l’interazione che si può istaurare tra i vari fattori. Molto spesso i fattori di interazione risultano essere più determinanti rispetto ai fattori singoli.

Nel contesto del DoE la variabile dipendente è chiamata risposta e le variabili indipendenti sono chiamate fattori. I diversi valori di uno stesso fattore vengono chiamati livelli. Ogni DoE comporta la combinazione di livelli diversi dei fattori indagati, e ciascuna delle combinazioni prende il nome di trattamento. E’

facilmente intuibile che la dimensione del disegno sperimentale aumenta esponenzialmente con il numero di fattori indagati ( o con il numero di livelli per ogni fattore). Le metodologie applicate al DoE consistono quindi nella definizione di apposite strategie per ridurre il numero di esperimenti senza perdere in modo significativo l’efficacia previsionale derivante dai risultati sperimentali.

3.4 Sintesi e caratterizzazione di dispersioni acquose di

nanoparticelle: Metodologia di piano di disegno sperimentale

La metodologia DoE è stata impiegata in questo lavoro di tesi per l’ottimizzazione del processo di sintesi di nanoparticelle di calcite tramite carbonatazione. Nella letteratura scientifica e brevettuale sono descritte diverse metodologie per l’impostazione e l’analisi dei dati con la procedura statistica del DoE; tra queste quella maggiormente adottata, e scelta anche per questo lavoro di tesi, è basata sull’utilizzo di due livelli per ogni fattore oggetto di studio, livelli che rappresentano gli estremi del dominio sperimentale. Nel caso in cui vengano effettuate tutte le possibili combinazioni dei livelli di ogni fattore (matrice completa), il piano sperimentale fornirà un numero di esperimenti pari a 2

k

, dove 2 rappresenta il numero dei livelli, mentre k è il numero dei fattori.

La risposta indagata dal DoE riguarda il diametro delle particelle di carbonato di calcio.

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