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Limiti all’attività di vendita dei prodotti agricoli – 4.1.4

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99 CAPITOLO 4:

LE ATTIVITA’ CONNESSE: L’AGRITURISMO

4.1. Le attività connesse – 4.1.1. Il criterio della normalità e quello della prevalenza – 4.1.2. Connessione di prodotto – 4.1.3. Limiti all’attività di vendita dei prodotti agricoli – 4.1.4. Connessione per azienda – 4.2. L’agriturismo – 4.2.1. Agricoltura o turismo? – 4.2.2.

Definizione di attività agrituristica – 4.2.3. Locali per l’attività agrituristica – 4.2.4. Criteri e limiti dell’attività agrituristica – 4.2.5.

Norme igienico sanitarie – 4.2.6. Disciplina amministrativa – 4.2.7.

Disciplina fiscale – 4.2.8. La denominazione – 4.2.9. Attività di vendita dei prodotti agricoli – 4.2.10. L’attività agrituristica in Toscana.

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100 4.1. LE ATTIVITA’ CONNESSE

In questo capitolo abbiamo ripreso il significato di “attività connesse” cercando di proporre un’analisi più approfondita, per poi spostare la nostra attenzione sull’attività agrituristica, che rappresenta appunto una delle possibili attività che si può porre, nel rispetto di determinati requisiti, in rapporto di connessione con quella agricola.

La nuova stesura dell’art. 2135 del Codice Civile, che abbiamo riportato nel capitolo I, individua due tipologie di connessione.

La prima tipologia di connessione riguarda quelle attività che si collocano a valle del ciclo produttivo primario in vista del collocamento sul mercato dei prodotti dell’impresa agricola (“connessione di prodotto”), svolgendo una funzione strumentale al ciclo stesso.

La seconda riguarda invece l’offerta (il termine codicistico “fornitura” deve intendersi in senso atecnico di produzione-prestazione) di beni e servizi, mediante la prevalente utilizzazione di attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola primaria (“connessione d’azienda”) ed assume connotazione di complementarietà.

Presupposto, in entrambe le ipotesi, è l’esercizio congiunto, da parte del medesimo soggetto, di più attività economiche diversamente qualificabili e il problema che si pone è quello di stabilire fino a che punto l’esercizio di tali attività possa ricondursi alla figura dell’imprenditore agricolo senza alterarne la natura, trasformandolo in commerciante o industriale.

Occorre individuare, tra le diverse attività svolte, quella qualificante e, perciò, idonea a determinare lo statuto giuridico applicabile al soggetto che le esercita. Per rispondere a tale istanza si delinea la regola di connessione, fondata essenzialmente su una relazione accessorio/principale per cui “l’esercizio di attività che si integrano con quella principale non tocca l’unità dell’impresa e non interferisce con la qualificazione che l’unico imprenditore riceve per effetto dell’esercizio dell’attività principale medesima, sempreché le altre attività mantengano rispetto a quella un carattere strumentale e/o complementare”.

In sintesi, le attività c.d. “connesse” sono attività che, se fossero esercitate senza collegamento con l’impresa agricola, avrebbero carattere commerciale e, più

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precisamente, se non fossero inserite nell’organizzazione dell’impresa agricola sarebbero suscettibili di integrare distinte e autonome imprese nella titolarità del medesimo soggetto. Dunque attività, per definizione, non agricole, ma assimilate a quella agricola ai fini della disciplina ad esse applicabile.

Già nel vigore della previgente norma, la connessione si identificava con il

“collegamento economico-funzionale dell’attività connessa rispetto a quella essenzialmente agricola, nel senso che la prima deve integrare il rendimento naturale dell’azienda agricola e valorizzarne i fattori produttivi e la produzione, formando con la seconda un unico complesso organico”, condividendone le finalità.

4.1.1. Il criterio della normalità a quello della prevalenza

Il criterio della normalità offerto dal previgente secondo comma dell’art. 2135 c.c. - che recitava: “si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o alla alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura” - andava considerato come strumento di verifica della sussistenza o meno della connessione. Esso è stato inteso come criterio statistico dell’id quod plerumque accidit oppure tecnico (con riferimento al “normale ciclo produttivo”),

valorizzando talora la specie di attività svolta e il suo grado di diffusione, tal’altra i modi di svolgimento della stessa e altre volte entrambi i parametri. In ogni caso, si trattava di un criterio che assumeva valore integrativo o sussidiario rispetto a quello della prevalenza, insito nella nozione di connessione unitamente all’assenza di autonomia dell’attività accessoria.

Il concetto di normalità scompare nella nuova norma, sostituito interamente da quello della prevalenza, che implica un’indagine di tipo economico incentrata sul ruolo servente della redditività dell’impresa agricola svolto dall’attività connessa, proiezione, completamento e integrazione della prima sul mercato.

Resta, pertanto, essenziale una verifica delle proporzioni reciproche tra le attività, dovendo quella connessa evidenziare un dimensionamento (sotto il profilo delle modalità organizzative) congruo alla sua funzione servente dell’attività primaria e produttiva.

Appare così chiaro che il rapporto di connessione esprime un principio, implicito sia nel vecchio che nel nuovo testo dell’art. 2135 c.c., di prevalenza dell’attività principale: “l’attività connessa, per restare agraria, non può che essere minore, sul piano

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quantitativo, rispetto a quella principale, cui si collega e si appoggia, variamente traendone alimento e sostegno”.

Si deve quindi proprio al criterio della prevalenza l’avere posto un argine all’eccessivo dilatarsi dell’area dell’agrarietà, in quanto la relatività dimensionale della

“struttura agricola di base” fa sì che non possa aspirare alla qualifica agraria la grande impresa di trasformazione industriale di prodotti agroalimentari (salvo che, come si vedrà, tali attività siano svolte in forma associata dagli imprenditori agricoli).

4.1.2. Connessione di prodotto

Alcune tipologie di attività connesse indicate dal legislatore al terzo comma dell’art. 2135 c.c., appaiono operazioni che ben potrebbero connotarsi quali semplici fasi dell’attività agricola principale. Saranno le modalità organizzative ed i mezzi impiegati a tramutarle in attività distinte, seppure connesse. A prescindere dalle dimensioni assunte da siffatte attività, ove sia rispettato il limite della prevalenza, esse saranno oggi senz’altro qualificate come connesse, risultato al quale peraltro si giungeva agevolmente già nel vigore della previgente norma con riguardo alle più rilevanti attività di trasformazione (vinificazione, oleificazione, attività casearia).

Anche l’attività di vendita è da ricomprendere nell’attività produttiva quale fase del normale ciclo produttivo agricolo, anche alla luce del fatto che la stessa nozione generale di impresa implica, quando riferita ad attività produttive, l’inclusione del momento della vendita del prodotto.

In questo senso, parte della dottrina valorizza l’utilizzo, da parte del legislatore del 2001, della dizione “commercializzazione” in luogo della precedente (“alienazione”), per distinguere attività diverse. La seconda, imprescindibile, consisterebbe nell’ “ordinaria immissione dei prodotti sul mercato realizzata attraverso l’affidamento dei medesimi a operatori commerciali o a industriali trasformatori, e come tale costituente atto terminale, di natura negoziale, dell’attività produttiva essenzialmente agraria”; la prima integrerebbe invece un’attività aggiuntiva più complessa, non necessaria ma eventuale, finalizzata al conseguimento del valore aggiunto prodotto da operazioni successive alla produzione attraverso attività preparatorie organizzate al fine della presentazione del prodotto, della sua pubblicizzazione e distribuzione, in altre parole alla sua collocazione più efficace sul mercato.

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Il Codice considera l’agricoltore tale anche quando trasforma i propri prodotti in quanto ciò sia necessario al fine della loro migliore collocazione sul mercato, restando all’interno del normale ciclo agrario, a condizione che sia la materia prima che il prodotto finito e la sua destinazione conservino natura agricola.

La parziale provenienza da terzi della materia prima non ha effetto ostativo del riconoscimento dell’agrarietà delle attività connesse c.d. “tipiche”, a condizione che sia rispettato il limite della prevalente provenienza dei prodotti dall’azienda agricola e, al contempo, quello della necessità dell’approvvigionamento da terzi in relazione alla natura del prodotto, delle tecniche di lavorazione e dell’esigenza di razionale utilizzo degli impianti. Si avverte altresì la necessità di una traduzione numerica del criterio della prevalenza e di una sua collocazione attorno alla fatidica soglia del 50 % rinvenibile, in particolare, nella legislazione tributaria e previdenziale. La quantità dei prodotti interessati e il confronto tra quantità e valore dei prodotti ottenuti dall’attività produttiva principale e di quelli acquistati da terzi, costituiranno un più sicuro indizio dell’effettiva strumentalità all’attività di produzione.

4.1.3. Limiti all’attività di vendita dei prodotti agricoli

L’attività di vendita dei prodotti agricoli è stata oggetto di speciale attenzione da parte del legislatore del 2001: l’art. 4 D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, sottrae al regime autorizzativo del commercio l’attività dell’imprenditore agricolo (singolo o associato) di vendita diretta al dettaglio dei prodotti agricoli (in forma itinerante, telematica o presso punti vendita non necessariamente ubicati presso l’azienda), a condizione che: a) l’imprenditore sia iscritto nel Registro delle imprese; b) i prodotti provengano in misura prevalente dalla stessa impresa agricola; c) il “giro d’affari” derivante dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell’anno solare precedente non deve eccedere i valori di € 160.000,00 per le imprese individuali o di € 4.000.000,00 per le imprese collettive (i valori sono così stati aggiornati dall’art. 1, comma 1064, lett. b), L.

27 dicembre 2006).

È discusso il rapporto tra la fattispecie appena delineata e la nozione di attività agricola per connessione di cui all’art. 2135 c.c..

Secondo un primo orientamento, l’attività di vendita risulterebbe automaticamente connessa in virtù della semplice verifica della prevalenza quantitativa dei prodotti dell’azienda rispetto a quelli acquistati da terzi e del rispetto delle soglie

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massime di ricavi, ma, specularmente, andrebbe negata la stessa connessione e riconosciuta altrettanto automaticamente natura commerciale alla vendita che conseguisse ricavi superiori.

Un diverso orientamento riduce il citato art. 4 a disposizione derogatoria del solo regime autorizzatorio amministrativo dell’attività di vendita, inidonea come tale ad incidere sulla nozione di connessione di cui all’art. 2135 c.c.. A sostegno di tale prospettiva vi è l’eterogeneità dei criteri forniti dalle due disposizioni e la difficoltà sistematica di fondare il giudizio di connessione dell’attività di vendita su un dato non già relativo (frutto, cioè, di una comparazione tra attività agricola principale e attività di vendita), bensì assoluto (l’entità dei ricavi) che smentisce il criterio generale della prevalenza dettato dall’art. 2135, comma 3, c.c.. Non pare privo di rilievo, in quest’ottica, il fatto che la legge preveda espressamente, nel caso di superamento dei limiti di fatturato, il solo ripristino del regime autorizzatorio, lasciando impregiudicata la qualifica civilistica della medesima attività di vendita, da apprezzare alla stregua del criterio di cui all’art. 2135 c.c.. Senza contare, infine, che l’utilizzo del termine

“vendita” nell’art. 4 cit. e il confronto con il diverso termine “commercializzazione”

utilizzato dall’art. 2135, comma 3, c.c., appaiono sintomatici del fatto che la vendita al dettaglio diretta, per la quale vi è l’esonero dal regime autorizzatorio previsto dalla disciplina del commercio, non costituisce necessariamente attività connessa, ma può rivelarsi semplice atto finale necessario del ciclo produttivo.

4.1.4. Connessione per azienda

Con riguardo alla c.d. “connessione per azienda”, di cui alla seconda parte del comma 3 del nuovo art. 2135 c.c., questa si caratterizza per la funzione di favorire una più razionale e completa utilizzazione dei mezzi aziendali impiegati (tra cui si ritiene rientrino anche le c.d. “risorse soggettive” ovvero la manodopera) nell’attività principale, consentendo all’imprenditore agricolo di integrare con l’attività connessa il proprio reddito d’impresa. Viene dunque valorizzato il più razionale e redditizio impiego dei mezzi facenti parte del complesso aziendale, entro il limite in cui detto utilizzo sia prevalente e riguardi quei mezzi (attrezzature o risorse) normalmente impiegati nell’attività agricola principale, dovendosi verificare la compatibilità funzionale di tali attrezzature e risorse rispetto alla tipologia di attività agricola in senso proprio svolta dall’imprenditore. E’attraverso tale tipologia di connessione che, nel

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campo dell’agrarietà, fa il suo ingresso l’attività di prestazione di servizi e il fenomeno della c.d. “terziarizzazione”.

Il caso più sintomatico di attività di servizi connesse all’agricola è rappresentato dall’attività agrituristica (cui si affiancano le attività di pesca turismo e di ittiturismo), già oggetto di ripetuti interventi normativi, tra cui il più recente avutosi con la L. 20 febbraio 2006, n. 96.

4.2. L’AGRITURISMO

Dal 31 marzo 2006, sono cambiate le norme che disciplinano il settore dell’agriturismo. È stata, infatti, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 63 del 16 marzo la l. n. 96/2006 che riforma in maniera organica la precedente regolamentazione, adeguandola, da un lato al nuovo Titolo V della Costituzione per quel che riguarda il riparto delle competenze tra Stato e Regioni, dall’altro, agli indirizzi emergenti in ambito europeo e che mirano alla multifunzionalità intesa come diversificazione delle attività delle aziende agricole.

Viene anche introdotto uno snellimento delle procedure amministrative che consente di aprire un agriturismo con una semplice dichiarazione di inizio dell’attività, anche se gli operatori dovranno frequentare corsi preliminari di formazione per ottenere l’abilitazione.

Le Regioni sono state chiamate a uniformare ai principi fondamentali contenuti nella legge 96/2006 le proprie normative in materia di agriturismo entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa.

La l. 730/85 è stata la prima legge a disciplinare in Europa il settore dell’agriturismo, anticipando le scelte, assunte poi in sede comunitaria, volte a coniugare l’attività produttiva con la valorizzazione del territorio e della cultura rurale.

In questo ventennio, tuttavia, le trasformazioni istituzionali per un verso e l’incidenza della normativa e della politica comunitaria per l’altro, unitamente ai mutati e diversificati interessi dei consumatori – sempre più attenti alla natura e all’ambiente – e del mercato hanno reso non solo utile, ma necessaria una rivisitazione organica delle regole, in grado di dare un assetto chiaro e uniforme alle nuove esigenze di un comparto vitale e in rapida espansione.

La nuova legge di riforma dell’agriturismo (20 febbraio 2006, n. 96) delinea un quadro d’insieme – quasi un testo unico – dopo una serie di interventi normativi

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settoriali, che avevano equiparato all’agriturismo svariate attività, oggi espressamente incluse nella definizione di attività agrituristica come l’esercizio di attività di ospitalità, culturali, sportive, ricreative e di degustazione e vendita di prodotti tipici in un contesto tendente alla valorizzazione in chiave turistica degli spazi e delle economie rurali, già anticipato dalla legge di riforma del turismo.

4.2.1. Agricoltura o turismo?

L’emanazione della nuova legge sull’agriturismo 20 febbraio 2006 n. 96 accentua la distanza fra le imprese turistiche tout court e le imprese agrituristiche per una serie di profili che caratterizzano queste ultime, sebbene non manchino elementi di affinità (come l’attività di ricezione e ospitalità) e la comune collocazione nella competenza residuale delle Regioni, che hanno, sia sul turismo, sia sull’agricoltura, potestà legislativa con il solo limite del “rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

Una differenza, tra impresa turistica e agrituristica, riguarda la natura dell’agriturismo, fusione in un’unica entità imprenditoriale di due settori ontologicamente diversi, dei quali l’uno – l’agricoltura – assume carattere di prevalenza rispetto all’altro – il turismo – in rapporto di connessione.

Tuttavia, è proprio l’attività connessa che vale a qualificare l’agriturismo e ad attribuirgli quel carattere peculiare che lo rende distinguibile e unico nel panorama delle imprese turistiche e di quelle agricole.

Diverse sono le istituzioni governative di riferimento: Ministero delle attività produttive per il turismo, Ministero delle politiche agricole e forestali per l’agriturismo.

L’agriturismo può beneficiare dei programmi di sviluppo rurale dell’UE e accedere agli strumenti di finanziamento e incentivazione riservati all’agricoltura.

4.2.2. Definizione di attività agrituristica

L’art. 2 della legge quadro nazionale 20 febbraio 2006 n. 96 traccia un ampio panorama di attività agrituristiche, con la puntualizzazione della natura agricola del reddito prodotto e della qualifica di lavoratori agricoli degli addetti (imprenditore, familiari, lavoratori dipendenti).

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Per attività agrituristiche si intendono le attività di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 c.c., anche nella forma di società di capitali o di persone, oppure associati tra loro, attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali.

Possono essere addetti allo svolgimento dell’attività agrituristica l’imprenditore agricolo e i suoi familiari ai sensi dell’art. 230 bis c.c., nonché i lavoratori dipendenti a tempo determinato, indeterminato e parziale. Gli addetti di cui al periodo precedente sono considerati lavoratori agricoli ai fini della vigente disciplina previdenziale, assicurativa e fiscale.

Il ricorso a soggetti esterni è consentito esclusivamente per lo svolgimento di attività e servizi complementari.

Rientrano tra le attività agrituristiche:

1) dare ospitalità in alloggi o in spazi aperti destinati alla sosta di campeggiatori;

2) somministrare pasti e bevande costituiti prevalentemente da prodotti propri e da prodotti di aziende agricole della zona, ivi compresi i prodotti di carattere alcolico e super alcolico, con preferenza per i prodotti tipici e caratterizzati dai marchi DOP, IGP, IGT, DOC, DOCG o compresi nell’elenco nazionale dei prodotti agro-alimentari tradizionali, secondo le modalità indicate nell’art. 4, comma 4;

3) organizzare degustazioni di prodotti aziendali, ivi inclusa la mescita di vini, alla quale si applica la legge 27 luglio 1999, n. 268;

4) organizzare, anche all’esterno dei beni fondiari nella disponibilità dell’impresa, attività ricreative, culturali, didattiche, di pratica sportiva, nonché escursionistiche e di ippoturismo, anche per mezzo di convenzioni con gli enti locali, finalizzate alla valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale.

Sono considerati di propria produzione i cibi e le bevande prodotti, lavorati e trasformati nell’azienda agricola nonché quelli ricavati da materie prime dell’azienda agricola e ottenuti attraverso lavorazioni esterne.

4.2.3. Locali per l’attività agrituristica

Nell’art. 3 della l. 96/2006 è centrale la valorizzazione delle risorse naturali e culturali delle aree rurali, della diversificazione delle attività, del recupero del

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patrimonio edilizio nel rispetto delle caratteristiche tipologiche e paesaggistico- ambientali.

Possono essere utilizzati per le attività agrituristiche gli edifici o parte di essi già esistenti nel fondo.

Le Regioni disciplinano gli interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente ad uso dell’imprenditore agricolo ai fini dell’esercizio di attività agrituristiche, nel rispetto delle specifiche caratteristiche paesaggistico-ambientali dei luoghi. I locali utilizzati ad uso agrituristico sono assimilabili ad ogni effetto alle abitazioni rurali.

4.2.4. Criteri e limiti dell’attività agrituristica

Le Regioni, tenuto conto delle caratteristiche del territorio regionale o di parti di esso, dettano criteri, limiti e obblighi amministrativi per lo svolgimento dell’attività agrituristica.

Affinché l’organizzazione dell’attività agrituristica non abbia dimensioni tali da perdere i requisiti di connessione rispetto all’attività agricola, le Regioni e le Province autonome definiscono i criteri per la valutazione del rapporto di connessione delle attività agrituristiche rispetto alle attività agricole che devono rimanere prevalenti, con particolare riferimento al tempo di lavoro necessario all’esercizio delle stesse attività.

Ai sensi dell’art. 4, comma 3 della legge in esame, l’attività agricola si considera comunque prevalente quando le attività di ricezione e di somministrazione di pasti e bevande interessano un numero non superiore a dieci ospiti.

Al fine di contribuire alla realizzazione e alla qualificazione delle attività agrituristiche e alla promozione dei prodotti agroalimentari regionali, nonché alla caratterizzazione regionale dell’offerta enogastronomica, le Regioni disciplinano la somministrazione di pasti e di bevande tenendo conto dei seguenti criteri:

- l’azienda deve apportare, nella somministrazione di pasti e bevande, prevalentemente prodotto proprio (particolari deroghe possono essere previste nel caso di somministrazione di pasti e bevande solo alle persone alloggiate);

- la parte rimanente dei prodotti impiegati nella somministrazione deve preferibilmente provenire da artigiani alimentari della zona e comunque riferirsi a produzioni agricole regionali;

- in caso di obiettiva indisponibilità di alcuni prodotti in ambito regionale e di loro effettiva necessità ai fini del completamento dell’offerta enogastronomica,

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è definita una quota limitata di prodotti di altra provenienza, in grado di soddisfare le caratteristiche di qualità e tipicità;

- qualora per cause di forza maggiore, dovute in particolare a calamità atmosferiche, fitopatie o epizoozie, accertate dalla regione, non sia possibile rispettare il limite di cui al primo punto, deve essere data comunicazione al comune in cui ha sede l’impresa il quale, verificato il fatto, autorizza temporaneamente l’esercizio dell’attività.

Le attività ricreative o culturali possono svolgersi autonomamente rispetto all’ospitalità e alla somministrazione di pasti e bevande, solo in quanto realizzino obiettivamente la connessione con l’attività e con le risorse agricole aziendali, nonché con le altre attività volte alla conoscenza del patrimonio storico-ambientale e culturale.

Le attività ricreative e culturali per le quali tale connessione non si realizza possono svolgersi esclusivamente come servizi integrativi e accessori riservati agli ospiti che soggiornano nell’azienda agricola e la partecipazione, anche facoltativa, a tali attività non può pertanto dare luogo ad autonomo corrispettivo.

4.2.5. Norme igienico sanitarie

Nell’art. 5 della l. 96/2006 due sono i modelli di agriturismo che possono prendere forma:

- il primo, che potrebbe definirsi “minimale” per un numero massimo di dieci ospiti, nel quale il rapporto di connessione è presunto, consente anche l’uso di una cucina domestica e prevede la semplice abitabilità per gli alloggi;

- per il secondo, di media dimensione, deve essere mantenuta e accertata la connessione con l’attività agricola prevalente, in base ai criteri demandati dalla Regione, tenuto conto del “tempo di lavoro necessario alle attività”.

Nell’art. 5, inoltre, si prevede che sia la Regione a disciplinare le modalità di somministrazione dei pasti e delle bevande e stabilire i requisiti igienico-sanitari degli immobili adibiti all’attività agrituristica.

4.2.6. Disciplina amministrativa

L’imprenditore agricolo singolo o associato, che abbia intenzione di esercitare l’attività agrituristica, deve attenersi a una precisa disciplina amministrativa. La

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Regione ha il compito di stabilire criteri, limiti e obblighi per lo svolgimento dell’attività agrituristica.

Innanzitutto è necessario: non aver riportato negli ultimi tre anni condanne con sentenza passata in giudicato per il commercio di sostanze alimentari nocive, turbata libertà dell’industria e del commercio, vendita di prodotti industriali contraffatti, delitti in materia di igiene e sanità e di frode nella preparazione degli alimenti; non risultare sottoposto alle misure di prevenzione previste nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità; non essere mai stato dichiarato delinquente abituale.

A questo punto, se si è in regola con quanto appena esposto, la comunicazione di inizio attività consente l’avvio immediato dell’esercizio dell’attività agrituristica. Il comune, compiuti i necessari accertamenti, può, entro sessanta giorni, formulare rilievi motivati prevedendo i relativi tempi di adeguamento senza sospensione dell’attività in caso di lievi carenze e irregolarità, ovvero, nel caso di gravi carenze e irregolarità, può disporre l’immediata sospensione dell’attività sino alla loro rimozione da parte dell’interessato, opportunamente verificata, entro il termine stabilito dal comune stesso.

Il titolare dell’attività agrituristica è tenuto, entro quindici giorni, a comunicare al comune qualsiasi variazione delle attività in precedenza autorizzate, confermando, sotto propria responsabilità, la sussistenza dei requisiti e degli adempimenti di legge.

Le regioni disciplinano le modalità per il rilascio del certificato di abilitazione all'esercizio dell'attività agrituristica.

Per il conseguimento del certificato, le regioni possono organizzare, attraverso gli enti di formazione del settore agricolo e in collaborazione con le associazioni agrituristiche più rappresentative, corsi di preparazione.

4.2.7. Disciplina fiscale

Ai fini fiscali l’impresa agrituristica non è compresa fra le attività agricole menzionate dall’art. 32, comma 2 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), di conseguenza, è assoggettata alle norme fiscali che disciplinano il reddito d’impresa (art. 55 e seguenti del TUIR) producendo dunque tale tipologia di reddito, e deve tenere una contabilità separata da quella agricola.

Nella contabilità dell’attività agrituristica non è sempre facile esporre alcune voci di costo, non distinte dai costi dell’attività agricola. Si prenda l’esempio della manodopera, che è agricola e spesso svolge mansioni miste, in parte propriamente

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agricole, in parte riferite all'agriturismo; oppure dell’energia elettrica, dove un unica utenza è in parte destinata all’agricoltura e in parte all’attività agrituristica.

Allo scopo di semplificare l’attribuzione di questi costi, con la legge n. 413 del 1991, è stato istituito per gli agriturismi un regime fiscale che prevede la determinazione forfetaria del reddito imponibile e dell’IVA da versare

In particolare, l’applicazione delle disposizioni fiscali di cui all'articolo 5 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (richiamato dall’art. 7, comma 2, della Legge n.

96/2006), prevede:

• la determinazione del reddito imponibile, applicando all’ammontare dei ricavi conseguiti con l’esercizio dell’attività agrituristica, al netto della imposta sul valore aggiunto, il coefficiente di redditività del 25 per cento; tale regime forfetario è applicabile ai redditi realizzati da imprenditori individuali, società di persone e assimilate, enti non commerciali che svolgono attività agrituristica.

• la determinazione dell’imposta sul valore aggiunto, riducendo l’imposta relativa alle operazioni imponibili in misura pari al 50 per cento del suo ammontare, a titolo di detrazione forfetaria dell’imposta afferente agli acquisti e alle importazioni; agli effetti dell’IVA, a differenza di quanto avviene per le imposte sui redditi, il regime forfetario si applica a tutti i soggetti che esercitano l’attività agrituristica, ivi comprese le società di capitali, le società cooperative e gli enti commerciali.

Il contribuente ha comunque la facoltà di non avvalersi delle disposizioni del presente articolo, esercitando l’opzione nella dichiarazione annuale relativa all’imposta sul valore aggiunto per l’anno precedente e nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sul reddito per l’anno precedente. Le opzioni sono vincolanti per un triennio.

L’imprenditore agricolo che esercita l’attività agrituristica avvalendosi del regime forfetario previsto dall’art. 5 della legge n. 413 del 1991, ottiene il vantaggio di semplificare la tenuta della contabilità essendo obbligato a tenere unicamente, ai fini IVA, il registro dei corrispettivi e il registro degli acquisti.

4.2.8. La denominazione

L'uso della denominazione “agriturismo”, e dei termini attributivi derivati, è riserva, ai sensi dell’art. 9 della legge 20 febbraio 2006 n. 96, esclusivamente alle

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aziende agricole che esercitano l'attività agrituristica ai sensi dell'articolo 6 della suddetta legge.

Al fine di una maggiore trasparenza e uniformità del rapporto tra domanda e offerta di agriturismo, il Ministro delle politiche agricole e forestali, sentito il Ministro delle attività produttive, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, determina criteri di classificazione omogenei per l'intero territorio nazionale e definisce le modalità per l'utilizzo, da parte delle regioni, di parametri di valutazione riconducibili a peculiarità territoriali.

4.2.9. Attività di vendita dei prodotti

L’attività di vendita dei prodotti aziendali per l’imprenditore agricolo è consentita dal D.Lgs. n. 228/2001, che all’art. 4 dispone: “gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio nazionale, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità”.

Quindi nessun problema da questo punto di vista, per quanto riguarda l’agriturismo (purché sia rispettato il requisito della prevalenza dell’attività agricola rispetto a quella connessa), se non chiaramente il rispetto delle norme sanitarie in vigore.

È comunque necessario effettuare una semplice comunicazione al Comune di appartenenza indicando la forma di vendita prescelta (in azienda, itinerante, commercio elettronico) ed il tipo di prodotti che si intende commerciare.

4.2.10. L’attività agrituristica in Toscana

In Toscana l’attività agrituristica è regolata dalla legge regionale 23 giugno 2003, n. 30, coordinata con le modifiche introdotte dalla legge regionale 28 maggio 2004, n. 27 e dalla legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1. A queste si associa il regolamento di attuazione della legge regionale 23 giugno 2003 n. 30, che dà agli operatori gli strumenti per aprire l’attività agrituristica. Le procedure regolamentate dalle norme di cui sopra hanno, però, subito delle modifiche in seguito all’introduzione della legge regionale 80/2009 volta a semplificarle e a recepire i principi contenuti nella

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legge nazionale n. 96 del 2006 (disciplina dell’agriturismo), che abbiamo precedentemente analizzato.

Per quanto riguarda la conduzione dell’agriturismo, segnaliamo le seguenti peculiarità relative alla regione Toscana:

Prodotti da portare in tavola/da vendere: devono essere utilizzati prodotti aziendali, integrati eventualmente da prodotti delle aziende agricole locali nonché da prodotti di origine e/o certificati toscani nel rispetto del sistema di filiera corta. Per il completamento delle pietanze è possibile utilizzare ingredienti complementari non ottenibili in Toscana e prodotti di uso comune dell’ospitalità tradizionale. È consentito inoltre l’utilizzo di prodotti indispensabili per diete speciali per motivi di salute.

Norme igienico sanitarie: fino a 12 posti tavola a pasto (12 a pranzo e 12 a cena), la struttura da utilizzare per la preparazione può essere la cucina dell’imprenditore, a patto che rispetti i requisiti necessari per abitazione civile.

Per la somministrazione alimenti e bevande è necessario possedere uno di questi requisiti professionali:

o qualifica di Imprenditore Agricolo Professionale (IAP) con iscrizione (anche a titolo provvisorio) all’anagrafe regionale;

o diploma superiore o laurea attinenti alla materia dell’alimentazione o della somministrazione di alimenti e bevande o attinente al settore agrario/forestale;

o avere esercitato in proprio l’attività di somministratore di alimenti e bevande o aver prestato la propria opera presso aziende del settore in qualità di dipendente, di socio di cooperativa o in qualità di coadiutore familiare;

o avere frequentato con esito positivo il corso di formazione obbligatoria per la somministrazione di alimenti e bevande o il corso di operatore agrituristico.

Lavori edili/restauro: non è possibile edificare nuovi immobili per la realizzazione dell’agriturismo. Gli interventi sul patrimonio edilizio rurale destinato all’attività agrituristica devono essere realizzati utilizzando materiali costruttivi tipici e nel rispetto delle tipologie e degli elementi architettonici e decorativi caratteristici dei luoghi.

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Classificazione dell’agriturismo: la classificazione della struttura è obbligatoria e assegnata dalla Provincia di competenza. Per la classificazione è utilizzato il logo che rappresenta la spiga. L’attribuzione da una a tre spighe avviene in relazione al possesso di determinati requisiti, stabiliti dal Regolamento di Attuazione della Regione.

Iter amministrativo per avviare l’attività agrituristica:

o Aprire un fascicolo aziendale presso un Centro Autorizzato di Assistenza in Agricoltura (CAA) per la creazione della UPI (Unità Produttiva Integrata di reddito) con classificazione “agriturismo” collegata all’UTE (Ufficio Tecnico Erariale) di riferimento;

o Compilare la Dichiarazione Unica Aziendale online sul sito www.artea.toscana.it, a cui andrà allegata la Relazione Agrituristica redatta sotto forma di autodichiarazione;

o Compilare la Dichiarazione di Inizio Attività online sul sito www.suap.toscana.it.

L’attività agrituristica può iniziare dal giorno di presentazione della DIA.

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