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I tre faldoni di numero 397, 398 e 399 sono reperibili nella serie “affari diversi a parte”, fa- cente parte della “Camera di soprintendenza comunitativa del compartimento fiorentino (1814-1849)”.

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I NTRODUZIONE

1. Il fondo archivistico

Il presente lavoro si basa sull’analisi di tre filze conservate nell’Archivio di Stato di Firenze ascrivibili agli anni ’70 e ’80 del XVIII secolo nelle quali, citando l’inventario del fondo, viene descritta la “riduzione di buon grado di palazzi pretori di varie Cancellerie”.

I tre faldoni di numero 397, 398 e 399 sono reperibili nella serie “affari diversi a parte”, fa- cente parte della “Camera di soprintendenza comunitativa del compartimento fiorentino (1814-1849)”.

Il fondo scaturisce dall’attività della Camera delle comunità di Firenze, istituita da Pietro Leopoldo con motuproprio del 22 giugno 1769 per riunire le competenze del Magistrato dei Nove e dei Capitani di parte guelfa, esercitando la propria giurisdizione sul territorio dell’antico dominio fiorentino, escluse la provincia pisana e senese. Un secondo motuproprio del 6 ottobre del 1802 dà vita all’Ufficio generale delle comunità, che affida alla Camera la tutela delle Comunità dell’intero territorio granducale.

Dopo la parentesi francese, con il motuproprio del 27 giugno 1814 i Lorena ripristinano la Camera delle comunità di Firenze e il primo ottobre dello stesso anno viene istituito l’Ufficio generale delle comunità sotto la direzione del soprassindaco. Nel 1825 la Camera fiorentina lascia il posto alle cinque Camere di soprintendenza comunitativa di Firenze, Pisa, Siena, Grosseto e Arezzo. Il 31 dicembre 1834 la Soprintendenza viene soppressa e sostituita dall’Ufficio per la conservazione del catasto.

Un altro motuproprio del 29 dicembre 1840 crea la Soprintendenza generale delle comunità, che rimane in vita per soli otto anni, con funzioni di controllo sia sulle Comunità, sulle Came- re di soprintendenza e l’Ufficio per la conservazione del catasto.

Tali complesse vicissitudini storiche determinano la nascita di due fondi con inventari sepa-

rati: il primo, denominato “Camera delle comunità luoghi pii, strade e fiumi”, che contiene

registri e filze riferibili agli anni 1769-1808, il secondo denominato “Camera di soprintenden-

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za comunitativa del compartimento fiorentino (1814-1849)”, che contiene sia l’archivio della Camera delle comunità di Firenze sia, in parte, quello degli Uffici generali succedutisi nel tempo.

Come visibile nella prima pagina di ciascuna, le tre filze vengono revisionate il 30 agosto 1785 da Giuseppe Becaglini su commissione del soprassindaco; in tale occasione viene ri- scontrata la numerazione delle carte, rispettivamente di numero di 759, 827 e 835

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.

I tre faldoni contengono una serie di relazioni tecniche, talvolta corredate da pregevole do- cumentazione grafica, e un abbondante epistolario intercorso tra il centro e la periferia, che ha per oggetto la visita e sistemazione dei palazzi pretori dell’area fiorentina, secondo quan- to prescritto dalla legge di riforma dei governi provinciali del 1772, nella quale si richiede

“che tutti i palazzi pretori siano posti in buon grado”

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All’interno di ogni volume Vicariati e Podesterie sono numerati ed elencati in ordine alfabe- tico: nel primo faldone si trovano Albiano, Anghiari, Arezzo, Badia Tedalda, Bagno, Bagno a Ripoli, Bagnone, Barberino di Mugello, Barberino di Valdelsa, Bibbiena, Borgo San Lorenzo, Borgo San Sepolcro, Buggiano, Calice, Campi, Caprese, Carmignano, San Casciano, Castelfio- rentino, Castelfranco di Sopra, Castelfranco di Sotto, Castel San Niccolò, Castiglion Fiorenti- no, Cerreto, Certaldo, Chiusi, Civitella, Colle, Cortona, Santa Croce, Dicomano, Empoli, Fieso- le, Figline, Firenzuola, Fivizzano e Foiano, nel secondo Fucecchio, Galeata, Galluzzo, Gambas- si, San Gimignano, San Giovanni, San Godenzo, Greve, Laterina, Loro, Lucignano, Marciano, San Marcello, Marradi, San Miniato, Modigliana, Montale, Montajone, Montecarlo, Monte- castelli, Montecatini, Montelupo, Montemignaio, Montepulciano, Monterchi, Monte San Sa- vino, Montespertoli e Montevarchi, infine nel terzo Ortignano, Palazzuolo, Pescia, Pieve San- to Stefano, Pistoia, Pomarance, Pontremoli, Poppi, Portico, Portoferraio, Prato, Pratovec- chio, Premilcore, Radda, Rassina, Reggello, Rocca San Casciano, Scarperia, Serravalle, Sesti- no, Sesto, Sorbano, Subbiano, Terranuova, Terra del Sole, Tizzana, Vellano, Verghereto, Vic- chio e Volterra.

Come riscontrabile dall’elenco, i pretori appartengono tutti al compartimento fiorentino, tranne quello di Portoferraio, ascrivibile all’area pisana.

La legge del 1772 si estende infatti a “tutte le Provincie del Nostro Stato Fiorentino com- prendendovi la Città, Contado, e Montagna di Pistoia, la Lunigiana, Pontremoli, Livorno, Por-

1 Per quanto riguarda il faldone 397 dopo la c. 726 la numerazione riprende al 721.

22 Vedi Appendice, n. I.1. Per il testo della legge vedi CANTINI, 1808, XXX, pp. 311 e segg.; inoltre vedi infra, § 3 e capitolo I, § 2.

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toferraio”, nonché alla provincia pisana, presente con le sue circoscrizioni criminali nell’elenco dei 40 Vicariati allegato alla legge.

Tuttavia, l’idea di intraprendere una campagna ispettiva “a tappeto” dei palazzi, nasce da una successiva proposta del soprassindaco della Camera delle comunità di Firenze, Giovan Battista Nelli, avallata dal sovrano con successivo rescritto del 14 agosto 1777, ragione per la quale essa riguarda la sola giurisdizione fiorentina, con l’unica eccezione di Portoferraio

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. Il presente lavoro si sofferma in particolare sull’analisi di sette casi, Certaldo, Castelfiorenti- no, Fucecchio, Marradi, Montepulciano, Monte San Savino e Pontremoli, selezionati in base alla quantità di informazioni e al materiale grafico presente.

2. Il dinamismo leopoldino

Quando nel 1764 si insedia al governo del Granducato toscano, Pietro Leopoldo si trova ad amministrare un territorio sostanzialmente impoverito e ruralizzato, ormai regredito al mar- gine della scena europea

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. Tra le numerose osservazioni annotate nelle sue relazioni, il so- vrano lorenese evidenzia come la scarsità di risorse abbia inficiato la possibilità di “intra- prendere alcuna operazione o lavoro pubblico a vantaggio del paese” e come tutto questo abbia indotto a “lasciare andare in rovina tutte le fabbriche pubbliche, strade, canali, palazzi, giardini, etc., per economizzare sui denari del loro mantenimento”

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.

Durante i sui viaggi nella terra toscana, Pietro Leopoldo non manca di accennare allo stato di conservazione dei palazzi pubblici, esprimendo spesso dei giudizi drasticamente negativi sul- la condizione dei pretori: nel 1769 il quello di Montepulciano è definito: “angusto, umido e cattivo”, mentre nel 1770, visitando Massa Marittima, riferisce che “il palazzo pretorio è molto cattivo e il palazzo del pubblico […] è in cattivo stato”

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. Assieme alle considerazioni sulle strutture e sulla loro funzionalità (a Buggiano il palazzo è “troppo scomodo per tutti”), il sovrano non manca di prendere in esame le carceri, per cui a Pietrasanta “il palazzo pretorio

3 Una spiegazione plausibile della presenza eccezionale del pretorio di Portoferraio potrebbe risiedere nel suo essere luogo “a statuto speciale” all’interno del dominio fiorentino, in quanto avamposto marittimo di impor- tanza strategica e dunque evidentemente oggetto di attenzioni speciali da parte del sovrano.

4 Vedi CARDINI –RAVEGGI, 1983, pp. 167-170.

5 PIETRO LEOPOLDO, 1997, I, p. 247.

6 Vedi CARDINI –RAVEGGI, 1983, pp. 170-173.

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è ristretto e assai cattivo, come anche le carceri, le quali in specie le segrete lo sono molto, potendosi dalle medesime parlare a quelli che passano”

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.

Conscio dell’importanza del recupero architettonico e funzionale di quegli edifici che in peri- feria devono rappresentare l’immagine dell’autorità fiorentina, nel 1772 il granduca stabili- sce che per legge venga provveduto alla ristrutturazione dei palazzi pretori

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. L’imposizione mira certamente a predisporre le abitazioni e gli uffici dei nuovi ministri del tribunale, ma al contempo garantisce il recupero edilizio dei vecchi stabili, spesso costituiti da ambienti umidi e malsani, permette il loro aggiornamento ai più moderni canoni estetici (in questo senso vanno l’utilizzo intensivo dell’intonacatura, l’attenzione alla presenza di adeguate fonti di il- luminazione naturale e la riorganizzazione del disegno delle facciate), ed infine consente di introdurre nuovi criteri di funzionalità, attraverso il ripensamento delle planimetrie e degli ambienti, l’eliminazione di elementi estranei alla destinazione degli edifici

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e, dall’altra parte, l’inserimento di quanto indispensabile.

La campagna di verifica dei pretori da parte di un tecnico di fiducia, permette al sovrano di informarsi sistematicamente sulle condizioni di tutti i palazzi e di verificare da vicino la cor- retta applicazione delle disposizioni di legge.

3. Genesi e caratteri del palazzo pretorio toscano

Prima di addentrarsi nell’oggetto specifico di questo studio, appare doveroso delineare alcu- ne brevi note storiche e i caratteri identificativi del palazzo pretorio toscano, la cui storia è strettamente legata a quella del palazzo pubblico.

In Toscana quest’ultimo sorge nella maggior parte dei casi tra la seconda metà del XIII e la prima metà del XIV secolo, in concomitanza con lo svilupparsi delle libertà comunali

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. Le adunanze cittadine, che in un primo momento si tengono all’aperto o nelle chiese, prendono sempre più spesso dimora nei loggiati e poi all’interno di edifici di connotazione civica, che

7 Vedi CARDINI –RAVEGGI, 1983, p. 173.

8 Vedi CARDINI –RAVEGGI, 1983, p. 174.

9 Per questo si ritiene opportuno eliminare dal palazzo pretorio di Fucecchio lo stanzone del teatro, costruitovi alla metà del Settecento dalla locale accademia dei Fecondi, in quanto non compatibile con le funzioni del tri- bunale. Vedi cap. III.

10 Vedi RODOLICO –MARCHINI, 1962, pp. 7-17, 21-25; KARWACKA CODINI, 1988, p. 5.

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usualmente si distinguono nel panorama cittadino per il loro carattere difensivo, per la pre- senza di torri svettanti e di aperture archiacute, scalinate e loggiati, che conferiscono una nota di raffinata quanto spartana eleganza.

Spesso, in un primo momento, si ricorre all’affitto di abitazioni private, che in seguito vengo- no acquistate e adattate all’espletamento delle funzioni delle varie magistrature

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.

A partire dal quarto decennio del XIV secolo, al fine di stabilire un controllo più efficace dei territori recentemente conquistati, Firenze dà vita a circoscrizioni denominate “Podesterie”, che vanno ad affiancarsi alle vecchie Leghe dei popoli

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. I podestà, di nomina fiorentina, ga- rantiscono gli interessi della dominante presso le amministrazioni locali, controllano la ri- scossione dei tributi, ma anzitutto svolgono funzioni giudiziarie di natura civile e talora cri- minale.

Nella seconda metà del XIV secolo all’autorità podestarile si sovrappone quella vicariale, comprendente più di una Podesteria

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. Inizialmente l’istituzione ha un carattere prettamente politico ed è volta a assicurare un controllo ancora più efficace sui territori dipendenti. Ciò nondimeno, progressivamente, il vicario perde la sua connotazione originaria fino ad assu- mere le funzioni di giudice criminale ordinario, con facoltà di applicare anche le pene più gravi come quella di morte.

Il vicario, anch’esso di nomina fiorentina, resta in carica per sei mesi e al termine del manda- to il suo operato è sottoposto ad accertamento, nel corso del quale l’ultimo emolumento viene trattenuto in garanzia.

Podestà e vicari per lo più si insediano nelle strutture di carattere pubblico già presenti nei singoli centri, residenze di antichi feudatari o sedi delle magistrature preesistenti e varia- mente denominate palazzi del Comune, dei Priori, del Popolo, del Capitano

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.

Anche dopo l’assoggettamento, Firenze lascia in vigore i vecchi statuti, fatto che garantisce la sopravvivenza a lungo degli antichi organi di governo, anche se, progressivamente, questi ultimi vengono affiancati e scavalcati dall’autorità dei nuovi funzionari fiorentini: oltre ai po- destà e ai vicari, a partire dalla seconda metà del XVI secolo, vengono costituite le Cancelle-

11 Vedi RODOLICO –MARCHINI, 1962, p. 25.

12 A tal proposito vedi Gli stemmi dei vicari di Certaldo, 1990, pp. 13-16; BORGIA, 1986, pp. 13-15.

13TIBALDESCHI, 2009, pp. 13-16; BORGIA, 1986, pp. 13-15.

14 Relativamente ai casi qui presi in analisi, le fonti trecentesche chiamano “palazzo del Comune” il palazzo pre- torio di Pontremoli, di Fucecchio, mentre il pretorio di Montepulciano è tutt’oggi denominato “del capitano”.

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rie comunitative, che gradualmente accentrano a sé l’attività amministrativa, lasciando ai primi due esclusiva competenza in materia giudiziaria e di ordine pubblico

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Tale processo viene definitivamente sancito dalle riforme leopoldine del 1772 e 1774, di ma- teria rispettivamente giudiziaria e amministrativa, con le quali gli statuti particolari vengono aboliti, il territorio ripartito in Comunità governate da organi similmente strutturati e le competenze dei giusdicenti, ristrette all’ambito giudiziario, più precisamente individuate e regolate

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Prima della riforma dei governi provinciali del 1772, vicario e podestà dimorano con la loro famiglia e svolgono il proprio ufficio coadiuvati da alcuni collaboratori: tra questi il cavaliere, autorizzato a sostituirlo in caso di assenza, e il notaio, che ha il compito di istruire i processi, rogare le cause e leggere sentenze e annunci

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La riforma del 1772, oltre a riorganizzare i distretti giudiziari, stabilisce una distinzione tra Vi- cariati maggiori e minori e Podesterie maggiori e minori

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, criterio che determina anche il numero e la qualità dei collaboratori: i vicari delle circoscrizioni maggiori vengono coadiuvati nel loro esercizio da un notaio civile e da un notaio criminale, mentre nei Vicariati minori un unico notaio assume ambedue le competenze; al podestà viene affiancato un notaio civile solo nel caso presieda una Podesteria maggiore, mentre il giusdicente a capo della Podeste- ria minore è un semplice notaio

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All’interno del palazzo pretorio, come viene definito a partire dal XVIII secolo il palazzo del tribunale in cui il giusdicente risiede con il proprio seguito, vicario e podestà esercitano le lo- ro incombenze nella sala delle udienze, cui è annesso un Archivio segreto, mentre i notai svolgono i propri uffici nelle stanze del “banco”, così chiamate dalla presenza del banco su cui esercitano.

Al personale di servizio che si occupa dei ministri, è solitamente assegnata una o più stanze del palazzo, in qualche caso fortunato un piccolo appartamento, come a Montepulciano.

Una porzione rilevante è inoltre occupata dalle celle pubbliche, generalmente in numero di due per separare gli uomini dalle donne, e dalle prigioni segrete. Queste ultime devono esse-

15 Vedi BORGIA, 1986, pp. 17-19.

16 Vedi cap. I, § 2.

17 Nei centri più importanti la “famiglia” ovvero il seguito dei collaboratori del giusdicente poteva raggiungere alcune decine di unità: ad esempio il podestà di Pisa nel 1415 consisteva in un giudice, due cavalieri, tre notai, sei donzelli, trenta fanti e sei cavalli. Parte della “famiglia” poteva essere dislocata nei centri minori della circo- scrizione, laddove si riteneva necessaria la presenza stabile di un pubblico ufficiale. Vedi CARDINI –RAVEGGI, 1983, pp. 131-132.

18 CANTINI, 1808, XXX, pp. 314-315.

19 CANTINI, 1808, XXX, pp. 326-332.

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re convenientemente isolate dall’ambiente circostante per impedire il colloquio dei detenuti con gli altri reclusi e con l’ambiente esterno. Alle prigioni attende il “soprastante”, residente anch’esso all’interno del palazzo

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Le fonti indicano spesso anche la presenza di “una stanza dei tormenti”, come nel caso del pretorio di Certaldo, successivamente soppiantata dalla meno cruenta “stanza degli esami”;

in alcuni casi viene citato un locale dove vengono conservati i corpi del delitto.

Se gli spazi lo consentono, il palazzo può ospitare un’ampia sala per l’assemblea cittadina, come a Castelfiorentino e a Pontremoli e, se presenti in città, la Cancelleria, l’Archivio e l’abitazione del cancelliere oppure l’appartamento del bargello, come accade a Montepul- ciano e a Pontremoli. In altri casi i due funzionari abitano in altri edifici di proprietà della Comunità o presi in affitto.

In ogni palazzo si riscontra poi la presenza di una cappella, più o meno grande, dove si cele- brano le funzioni religiose per i carcerati e per gli abitanti del palazzo

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Generalmente collocati nelle zone più centrali delle città, spesso i palazzi sono preceduti da ampie scalinate

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e ancor più sovente da porticati, che li congiungono alla strada o alla piazza su cui si affacciano

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. I loggiati assolvono a funzioni di pubblica utilità, essendo inizialmente utilizzati come luogo per le riunioni cittadine, ma ancor più frequentemente vengono impie- gati a vantaggio dei commerci, visto che sotto le logge trovano riparo le merci dei bottegai e dei venditori delle fiere e dei mercati.

Elemento indispensabile è poi la torre campanaria

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, in certi casi supplita da un più semplice campanile a vela posto a coronamento del tetto, come nei pretori di Castelfiorentino e Pon- tremoli. La torre civica, se presente, a partire dal XIV esibisce anche un orologio, il cui com- plesso meccanismo è controllato da una figura addetta

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20 In alcuni casi nel 1774 la carica del soprastante è fusa con quella di messo. È questo, ad esempio, il caso di Marradi. Vedi capi. IV e Appendice, n. IV.18.

21 Vedi CARDINI –RAVEGGI, 1983, p. 132.

22 La scalinata contraddistingue il pretorio di Certaldo e fino alla fine del XVIII secolo è presente nel palazzo di Montepulciano.

23 Vedi CARDINI –RAVEGGI, 1983, pp. 52-60. Questo è il caso di Certaldo, Fucecchio, Marradi, Pontremoli, le cui strutture sono tutt’oggi conservate. I resti della loggia del palazzo pretorio di Monte San Savino sono visibili a sinistra della torre.

24 Vedi CARDINI –RAVEGGI, 1983, pp. 16-27.

25Nel pretorio di Certaldo il “temperatore del pubblico oriolo” possiede la chiave per accedere al “castello”, ov- vero la camera dell’orologio dove si trovano tutti i suoi meccanismi (vedi Appendice, n. II.32); a Monte San Sa- vino la torre ha ben tre orologi, collocati sui tre lati visibili dal corso su cui il palazzo si affaccia.

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In molti casi l’ingresso dell’edificio consente l’accesso ad un cortile interno

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, anzitutto fonte di luce per gli ambienti che vi si affacciano, ma anche spazio funzionale per la vita del palaz- zo: nel cortile si trovano spesso il pozzo, la scalinata per l’accesso ai piani superiori e non di rado vi prospetta una loggetta interna

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Ma il carattere che maggiormente contraddistingue l’estetica dei palazzi pretori, consiste nella presenza nelle cortine esterne e interne delle armi scolpite o dipinte apposte dai giu- sdicenti, al termine di ogni incarico, in ricordo del loro passaggio: facciate e cortili esibiscono un ricco campionario di targhe e stemmi dipinti o scolpiti in vari materiali, più comunemente in marmo e travertino nell’area senese, pietra serena nel fiorentino, dove pure ci si imbatte in pregevoli terrecotte invetriate.

Accanto all’araldica familiare è più volte ravvisabile quella pubblica, espressione della domi- nante, come sulla facciata del palazzo pretorio di Monte San Savino, in cui accanto agli stemmi dei podestà si trovano un giglio fiorentino e un marzocco in pietra sostenente uno scudo, apposto nei primi anni del XVI secolo

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26 VediCARDINI -RAVEGGI, 1983, pp. 101-106.

27 Il cortile del palazzo pretorio di Certaldo racchiude in sé tutte queste caratteristiche; il pretorio di Castelfio- rentino presenta anch’esso un cortile interno su cui si affaccia una loggetta (tavv. I-II), mentre sull’ampia corte del palazzo di Pontremoli si affacciano il nuovo e il vecchio pretorio, quest’ultimo dotato di una piccola loggia (tav. XXXV).

28 Vedi BINI -BERTOCCI, 1991, p. 116.

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