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Le Premier Homme: il sostrato filosofico dell'ultimo ciclo narrativo di Albert Camus

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE:

Costellazioni di pensiero

La ricerca si propone di indagare l’ultima fase della scrittura di Albert Camus, analizzandone i presupposti filosofici e inserendola nella rete di rapporti e inferenze, sia letterarie che speculative, da cui trae origine.

In particolare, farò riferimento al romanzo Le Premier Homme. Ultima fatica di Albert Camus, rimasto incompiuto a causa della prematura scomparsa dell’autore, esso rappresenta l’opera chiave del suo terzo ciclo di scrittura nel quale converge un’elaborazione teorica e letteraria, durata quasi dieci anni, dal significato ancora lacunoso e inespresso.

Come è noto alla critica, l’opera di Albert Camus si suddivide in due cicli: absurde e révolte, composti da una parte letteraria, romanzi e opere teatrali, cui fa capo un esssai a carattere filosofico, il cui scopo è quello di introdurre e inquadrare la materia letteraria che vi fa seguito. È questo il caso del Mythe de Sisyphe e dell’Homme Révolté, testi di stampo chiaramente speculativo, senza i quali molti aspetti de L’Étranger e de La Peste rimarrebbero sospesi, ma soprattutto slegati dalla loro corretta collocazione, privati dello spessore riflessivo che di fatto gli appartiene e che contribuisce, insieme al pregio puramente estetico e stilistico, a restituirne il valore.

Per quanto riguarda il terzo ciclo, non possiamo dire di avere a disposizione le stesse preziose risorse interpretative. Progettato a partire dal 1953 all’interno dei Carnets, come vedremo poi nello specifico, è rimasto anch’esso incompiuto e privo di forma. L’intento, primario, risulta, dunque, legato alla ricostruzione di una sorta di biografia intellettuale: si tratta di delineare un percorso d’indagine che passi attraverso ogni tipo di fonte a disposizione, utilizzando sia gli scritti privati che

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quelli pubblicati, al fine di far luce il più possibile sull’opera in questione, sulle motivazioni estetiche e filosofiche che orientano la nuova strada inaugurata dall’autore.

Il lavoro della critica appare estremamente limitato su questo versante. L’indagine preliminare eseguita all’interno dei repertori bibliografici, mette in luce una vasta produzione saggistica soprattutto durante gli anni sessanta, ovvero dopo la morte dell’autore, e negli anni novanta, in relazione alla pubblicazione effettiva dell’opera, la quale, tuttavia, non si sofferma mai attentamente ad inquadrarne il punto di vista filosofico; scarsi o quasi nulli, sono i tentativi di sviscerare il senso dell’ultima fase del suo pensiero come i riferimenti al progetto che Camus stesso aveva chiaramente delineato all’interno Carnets. Negli ultimi anni, il romanzo vede, invece, un forte ritorno di attualità, probabilmente in seguito alla sua adattazione cinematografica da parte di Gianni Amelio, nel 2011, valsagli un posto come vincitore del premio della critica al Toronto Film Festival. Anche l’avvicinarsi del centenario della nascita dell’autore può aver contribuito ad una nuova fioritura saggistica sull’argomento. Tuttavia, quanto svolto finora, esula quasi totalmente dal campo di ricerca individuato, lasciando, così, molto spazio ad ulteriori approfondimenti critici in questo senso.

Per alcuni aspetti si tratta di continuare ed approfondire la strada aperta dalla mia precedente ricerca, incentrata sull’influenza che il pensiero nietzscheano ha avuto nell’opera di Albert Camus.

La materia necessita ancora di essere inquadrata all’interno del suo rapporto con il pensiero nietzscheano, dal quale non è possibile prescindere. Tale rapporto, come ampiamente dimostrato all’interno della tesi magistrale, appare pressoché ignorato dalla critica, sebbene assolutamente presente ed evidenziato a più riprese, sia dall’autore stesso, attraverso numerose citazioni e riferimenti espliciti, sia dall’analisi dei testi, i quali, per molti aspetti, appaiono comprensibili solo se spiegati a partire da questo inscindibile nesso.

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Ma non solo. In particolare, per quanto riguarda Le Premier Homme, esiste una sorta di antefatto. Quando Albert Camus muore improvvisamente, a seguito di un incidente stradale, il 4 gennaio 1960, tra i rottami dell’automobile, all’interno della sua sacca, verrà ritrovato, insieme al manoscritto che poi andrà a formare il romanzo, anche una copia de La Gaia scienza di Nietzsche1. Per cui è lecito pensare che il filosofo tedesco costituisca ancora uno dei principali motivi di fondo per lo sviluppo dell’opera camusiana.

La presente indagine nasce dall’esigenza di approfondire e problematizzare l’opera camusiana. Questo avviene, dal punto di vista metodologico, creando così un rapporto di continuità con la suddetta ricerca di tesi magistrale, attraverso lo sviluppo di due linee direttrici differenti e complementari tra loro: una interculturale poiché basata principalmente sul raffronto tra la cultura francese e quella tedesca, l’altro interdisciplinare poiché fonde in sé letteratura e filosofia, la storia del pensiero e la produzione letteraria che su tale pensiero ha preso forma.

Da qui, si sviluppa anche la necessità di un lavoro critico principalmente incentrato sulla ricostruzione di quel dialogo sotterraneo che pervade la scrittura dell’autore, un intreccio di correnti anche molto diverse tra loro che la ricerca tenta di far emergere, in primis, attraverso l’analisi testuale.

Particolarmente rilevante è stato, in questo senso, un soggiorno a Aix-en Provence, presso Fonds Albert Camus2, al fine di visionare il materiale inerente alla biblioteca personale dell’autore. Si tratta di un aspetto finora poco valorizzato dalla critica, che come già specificato in apertura, ha mostrato scarso interesse per la genesi del pensiero camusiano, ma di grande rilevanza per il presente studio. Questo primo approccio all’indagine delle letture camusiane ha senza dubbio contribuito ad orientare il quadro di ricezione sì delineato, nonché ad attestare gli autori, le tematiche, e i principali interessi che possono aver plasmato l’ultima fase della sua produzione.

1 H. R. Lottman, Albert Camus, Le Seuil, 1980.

2 A partire dal 2000 la figlia dell’autore, Catherine Camus, ha deciso di depositare la maggior parte dei documenti rimasti in suo possesso a seguito della scomparsa del padre, istituendo un fondo di ricerca all’interno della Bibliothèque

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È necessario precisare come il veicolo principale rimanga sempre, anche per rispettare una certa coerenza d’indagine, la filosofia nietzscheana, la cui presenza all’interno della biblioteca camusiana è stata circoscritta con precisione attraverso due importanti studi critici3. Essa e il suo particolare influsso sulla cultura francese del Novecento, di cui Albert Camus naturalmente risente, rappresenta l’ottica privilegiata per tentare di sviscerare la complessa stratificazione filosofica e letteraria che l’opera contiene al suo interno.

Ciò nonostante, se questo tipo di approccio costituisce un valido punto di partenza, l’indagine non esclude affatto ulteriori sbocchi interpretativi. A tale proposito, sono diversi i fattori che indirizzano la ricerca verso nuovi orientamenti: in primis, il carattere di rottura che caratterizza la nuova fase intrapresa ma, soprattutto, la fitta elaborazione teorica che accompagna questi anni, un lavoro che l’autore svolge tanto su sé stesso, quanto sulla sua produzione estetica, ma che sembra quasi essere passato sotto silenzio.

Esiste, infatti, una sostanziale discrepanza tra l’opera pubblicata e l’universo privato dell’autore. Negli anni tra 1950 e il 1959 Camus pubblica diverse opere, alcune delle quali possono essere considerate di capitale importanza, una su tutte L’Homme révolté, ma anche La Chute. Per contro, dalla lettura dei Carnets, come dalla sua corrispondenza privata, emerge un significativo momento di crisi interiore e stasi creativa.

Le Premier Homme avrebbe dovuto segnare il suo ritorno alla scrittura, ma sarebbe dovuto essere molto più di questo: “il romanzo della sua maturità”, come dichiarato ai giornalisti in occasione della consegna del premio Nobel, e, al tempo stesso, un romanzo di maturazione.

3 Si tratta dello studio di James Arnold, del 1975, ma soprattutto a quello più recente di Frantz Favre, degli anni 2000, grazie ai quali abbiamo testimonianza di tutte le opere contenute nella biblioteca di Albert Camus. La solida documentazione nietzscheana ritrovata, comprova che l’interesse per il filosofo tedesco non era affatto di tipo superficiale, ma si basava su una lettura attenta e dettagliata dei suoi testi.

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Tutto questo viene a convergere in un testo che risulta essere di capitale importanza ai fini della presente indagine, nonché il suo punto di partenza ideale: la Préface de L’Envers et l’Endroit.

Il mio studio ha preso avvio da un’analisi dettagliata dal suddetto scritto in quanto unico appiglio teorico e programmatico circa lo sviluppo della produzione camusiana, sia sul piano filosofico, che su quello letterario. La Préface, infatti, non costituisce semplicemente una compagine introduttiva alla pubblicazione della prima opera di Albert Camus, rimasta fino ad allora inedita in Francia, ma si pone, piuttosto, come bilancio e ripensamento critico sui vent’anni di carriera letteraria intercorsi. Si tratta di uno scritto estremamente denso di significato, una sorta di confessione artistica e personale in cui è possibile intravedere il progetto di nuovo orientamento che investe tanto il campo estetico quanto quello privato.

Datata 1958, ma iniziata già dieci anni prima, ovvero in concomitanza con il primo abbozzo di progetto del terzo ciclo e con tutti quegli appunti che si configurano come spie di rottura e innovazione, proprio a testimonianza della lunga e densa elaborazione teorica che si cela al suo interno, rappresenta, di fatto, l’unico testo intenzionale, che ci possa rendere conto del mutamento letterario e filosofico in questione.

Una volta sciolto nei suoi fondamentali nodi problematici, il testo ci fornisce un insieme consistente di linee guida, un solido terreno d’appoggio per avviare la ricerca. In particolare, il testo sembra rimandare l’indagine ai primi scritti.

È l’autore stesso a promuovere tale direzione, sempre all’interno della Préface, la quale, si presenta attraversata da un grande fil rouge, un motivo insistente. Camus dichiara, a più riprese, che l’opera in oggetto, seppur segnata dai difetti dell’inesperienza giovanile, resta per lui il più importante rifermento, poiché in essa risiede il fulcro creativo di tutta la sua produzione. Ma non solo. Egli sente che il suo maggiore progetto letterario non sia ancora compiuto, al punto da dichiarare con convinzione: «Si malgré tant d’efforts pour édifier un langage et faire vivre des

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mythes, je ne parviens pas un jour à récrire L’Envers et l’Endroit, je ne serai jamais parvenu à rien, voilà ma conviction obscure»4.

In secondo luogo, se è vero che L’Envers et l’Endroit costituisce il primo esempio di opera compiuta, è anche necessario sottolineare come essa arrivi solo al termine di una lunga e densa fase di gestazione creativa. La raccolta è, infatti, un vero e proprio collage dei primi testi. Al suo interno convergono i numerosi tentativi di approccio alla scrittura, l’insieme degli interessi, le letture e gli ambiziosi progetti che animano il giovane autore, i quali diversi anni prima della stesura dell’opera, hanno dato luogo a una produzione tanto approssimativa quanto interessante. La parte centrale della ricerca, il cui intento è stato quello di focalizzare l’insieme di temi e motivi che fanno da sfondo al romanzo Le Premier Homme, segue due percorsi in apparenza molto distanti tra loro, i quali solo in ultima analisi riveleranno la loro complementarietà. Se, da un lato, è stato importante analizzare l’insieme di testi e reperti personali relativi agli ultimi anni di vita dell’autore, dall’altro, risulta essenziale che essi siano messi in relazione con quelli appartenenti agli esordi della sua attività letteraria.

L’ipotesi di fondo è che la fase finale del pensiero e della produzione camusiana costituisca una riattualizzazione di temi e motivi risalenti alla sua genesi creativa. L’intento è quello di mostrare come tutta una serie di tendenze, interessi e progetti siano stati in seguito, con l’avvio alla carriera di scrittore, perlopiù accantonati, per poi essere ripresi e rielaborati negli ultimi anni di vita. Si è tentato, dunque, di sintetizzare i tratti salienti della primissima scrittura di Albert Camus, per l’esattezza quella che occupa gli anni dal 1930 al 1937, e che vede ne L’Envers et l’Endroit il primo compimento effettivo.

Parallelamente, lo studio comparativo dei Carnets, e delle Notes de lecture del 1933, che costituiscono l’insieme delle annotazioni personali antecedenti ai Carnets,

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insieme ad alcuni stralci della corrispondenza personale, hanno permesso di comprovare questa effettiva correlazione.

Sebbene un’indagine comparativa, nei termini sopra esposti, non sia mai stata affrontata, per contro, gli albori della scrittura camusiana sono stati scrupolosamente indagati grazie al preziosissimo studio critico di Jaqueline Lèvi-Valensi, pubblicato postumo solo nel 2006, Albert Camus ou la naissance d’un romancier5, il quale, , a sua volta, poggia sul precedente saggio di Paul Viallaneix del 1973 Le premier Camus6, correlato alla pubblicazione degli Ecrits de jeunesse fino ad allora rimasti inediti.

Le due indagini muovono in maniera differente: quella di Levi-Valensi si sviluppa sul piano strettamente cronologico, seguendo di opera in opera, in maniera molto attenta e scrupolosa, l’approccio alla scrittura dell’autore, e innestando nell’analisi dei primi scritti anche reperti autobiografici di varia natura, al fine di mostrare il progressivo affermarsi dell’io romanzesco. Lo studio di Viallaneix, invece, individua, all’interno di questa prima produzione sei motivi chiave, «Le rêve», «Le témoignage», «La pauvreté», «Le soleil», «L’énigme», «La répétition», per poi delinearne lo sviluppo lungo tutta produzione successiva.

L’ analisi, da un lato, fonde i due approcci, dall’altro, opera un sostanziale cambio di prospettiva. Anche per il presente studio si è ritenuto importante individuare dei filoni tematici, ma inquadrandoli all’interno delle singole opere, ovvero tenendo presente l’ordine cronologico. Al contempo, si è trovato le categorie proposte da Viallaneix poco funzionali alla ricerca le quali sono state sostituite con tre macro- motivi che potessero rendere conto di una eventuale rifunzionalizzazione degli stessi per la stesura de Le Premier Homme. In linea generale, la ricerca si distacca da quella volontà, presente in entrambe i lavori, di inquadrare l’opera in un’ottica progressiva

5Jacqueline Lévi-Valensi : Albert Camus où La naissance d’un romancier (1930-1942), Paris, Gallimard, 2006. 6 Paul Viallaneix, Le Premier Camus, suivi de Ecrits de jeunesse d’Albert Camus, in « Cahiers Albert Camus 2 », Paris, Gallimard, 1973.

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e lineare, valorizzando, al contrario una certa circolarità, già espressa come ipotesi di fondo.

La parte centrale della ricerca, che ne costituisce il nodo teorico, si è concentrata, dunque, nello sviluppo dei tre macro-motivi individuati all’interno dell’opera giovanile: Il tema dell’Io: sdoppiamento, fusione e dissoluzione, Il ruolo dell’arte: rêve e oblio, e infine, La voce del bambino: memoria e ricordo d’infanzia.

Si tratta, nello specifico, di un percorso interpretativo che mette in luce i pilastri principali del ripensamento in questione: dallo statuto dell’io romanzesco, alla visione estetica, fino ad arrivare al tema del ricordo d’infanzia e della memoria, i quali, come è evidente, occupano in questa fase un ruolo di primo piano.

Contemporaneamente si è cercato di ricostruire i contorni dei due concetti cardine che avrebbero orientato l’ultimo ciclo, amour e mesure, segnando un’evoluzione nella démarche speculativa e letteraria dell’autore. Senza scendere nel merito e nella complessità dell’analisi possiamo dire, quale linea direttrice dell’interpretazione, che questo ultimo ciclo avrebbe avuto i caratteri di un ripensamento dei cicli precedenti capace di contenere al suo interno la linea critico-decostruttiva propria dell’absurde, la sua riflessione sul limite, e la spinta propulsiva della révolte, il suo essere sguardo in avanti e volontà di superamento. Tutto questo all’interno di una prospettiva multiforme e stratificata in cui percorso biologico, esistenziale e conoscitivo arrivano a convergere nella quête che di fatto il romanzo intendeva raccontare.

A questa cospicua sezione fa seguito l’analisi del romanzo Le Premier Homme. Il manoscritto rappresenta, dunque, l’espressione concreta su cui misurare quel labile equilibrio tra rottura e continuità che la parte centrale dell’analisi ha messo in luce come prerogativa di fondo. Essa si manifesta in primo luogo come un’indagine sulla nuova modalità narrativa intrapresa. Una densa riflessione preliminare sul linguaggio e su tutte le implicazioni che da essa derivano, inaugura l’analisi letteraria, la quale, una volta entrata nel vivo, si dirige verso una lettura dell’opera che tenga presente i diversi piani interpretativi da questa dischiusi.

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Le presenti letture, le quali costituiscono i due paragrafi conclusivi della ricerca, chiamano in causa referenze filosofiche molto diverse. Il rapporto con il pensiero nietzscheano che, come specificato, costituisce ancora, sul versante filosofico, il primo e più importante riferimento, raggiunge, qui, la riflessione di altri due grandi riferimenti nella cultura francese del Novecento, nello specifico Hegel e Kierkegaard, con i quali Camus non poté certo esimersi dal confronto.

Tali considerazioni ci rimandano alla necessità di delineare un quadro storico che possa fare da cornice all’analisi letteraria. Da un lato, esso rappresenta uno sguardo generale sulla ricezione nietzscheana e le sue principali fasi. La prima fase, ovvero, quella che, orientativamente, va dalle prime traduzioni di fine secolo fino agli anni ‘20, necessita di essere brevemente isolata al fine di mettere in evidenza alcuni aspetti, motivi e acute intuizioni, che due letture, e i dibattiti ad esse collaterali, nello specifico quella di Jules Gaultier e la preziosa monografia di Charles Andler, contengono, e che avranno piuttosto seguito, soprattutto riguardo la presente ricerca. Nonostante la distanza temporale, è necessario soffermarsi su questo momento perché l’importanza della prima fase ricettiva va molto oltre l’aver reso disponibile Nietzsche in traduzione, ed è al contrario una questione estremamente più complessa. Il suo contributo si può riassumere in quello che Jacques Le Rider descrive nei termini di un processo di francesizzazione: «Il primo transfert culturale che permette il passaggio dell’opera di Nietzsche nella lingua, nella letteratura e, più tardivamente, nella filosofia francese, deve molto a un doppio effetto di familiarità e di estraneità. I primi lettori francesi di Nietzsche intendono allo stesso tempo una voce nuova, estranea, sconcertante, […] ed è una voce che parla con degli accenti familiari, rendendo vibranti omaggi alla tradizione intellettuale e alla modernità francese » 7.Occorre considerare, proprio a tal proposito, che Nietzsche attecchisce su un terreno peculiare della cultura francese, che è quello dello spiritualismo, una linea riflessiva che non si esaurisce mai e che riamane latente anche quando sembra scomparsa. La matrice spiritualista appare, per Camus, in particolare, molto più importante di quanto si pensi, e lo è a maggior ragione se si vuole inquadrare

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correttamente il suo ultimo ciclo. A testimonianza di questo ci sono i suoi interessi giovanili, con i quali il terzo ciclo appare dichiaratamente connesso, la filosofia di Bergson, il pensiero di Plotino, la poetica di Baudelaire, i richiami all’opera proustiana, ma, sotto questo filone, potremmo inserire anche due aspetti poco indagati come l’interesse per la filosofia di Kierkegaard, e il rapporto con Simone Weil.

L’attenzione si concentra poi, in particolar modo, sulla seconda fase ricettiva del pensiero nietzscheano, quella che occupa gli anni ’30, al fine di mettere in luce un fenomeno alquanto interessante. La filosofia nietzscheana, viene come “sporcata”, nel senso che la metafora pittorica perfettamente prefigura, attraverso il pensiero di due filosofi che andranno a occupare un posto di primo piano nel panorama francese del novecento, nello specifico, Kierkegaard e Hegel, dando luogo a un mélange dagli esiti alquanto peculiari.

Come sottolineato in apertura, l’indagine sulle letture di Albert Camus si rivela un terreno davvero poco esplorato in cui il lavoro critico risulta, effettivamente, tutto da costruire.

La metafora della costruzione appare, in questo senso, quanto mai appropriata laddove ciò che il Fonds Albert Camus mette a disposizione non è che un inventario delle opere presenti nella biblioteca personale dell’autore. Ben si comprende, allora, come solo attraverso l’apporto dei Carnets o della corrispondenza personale si possa risalire a dati più specifici sull’avvenuta lettura di un’opera, ad esempio, la sua collocazione temporale.

Se per alcuni testi abbiamo riferimenti molto precisi, i quali risulteranno sempre segnalati lungo l’analisi, per altri questo non avviene. Ma non solo. Sussiste, inoltre, un ampissimo margine proveniente delle riviste, della cui lettura non abbiamo nessun riscontro.

Emerge così l’importanza dell’analisi testuale quale indispensabile tassello alla ricostruzione di un siffatto campo d’indagine, ma emerge, altresì, l’esigenza di delineare un quadro storico che funga da orizzonte speculativo retrostante la

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produzione letteraria, il quale, , ricostruendo in che modo determinate tematiche sono penetrate nel contesto culturale francese, talvolta, è il solo in grado di illuminare sulla presenza di motivi altrimenti irrintracciabili.

Ma sulla stessa strada si inseriscono quelle che ho definito nei termini di figure coagulanti, ovvero personalità intellettuali che per una loro particolare predisposizione all’ibridazione di codici, interessi e culture diverse tra loro, raccolgono come un imbuto gli influssi più disparati e li rielaborano secondo le proprie personali inclinazioni.

Tuttavia, l’inventario ci offre non poche risorse e appigli bibliografici, i quali verranno adeguatamente messi in rilievo anche lungo la retrospettiva storica che andremo, infine, a delineare.

Il presente studio tende a evidenziare un insieme di intersezioni culturali e concomitanze cronologiche che determinarono un particolare fenomeno di ibridazione della ricezione filosofica francese. Questo, al fine di operare un radicale cambio di prospettiva nei confronti del panorama in oggetto il quale deve essere inquadrato non come un edificarsi di scuole e correnti in netta opposizione, ma piuttosto come un proliferare di prismatiche analisi dai confini piuttosto fluidi, all’interno dei quali, chiaramente la figura di Albert Camus si inserisce.

L’intento primario della ricerca, infatti, oltre alla ricostruzione di una fase di scrittura e di pensiero poco valorizzata, è senz’altro quello di riproblematizzare l’opera di Albert Camus, ovvero di restituirla nella sua complessità. Emerge, a tal proposito, la necessità di mostrare diversi piani di relazioni.

Il primo piano di relazioni è costituito dal dialogo istituito con determinate figure, nello specifico George Bataille, Leon Chestov, con le quali l’autore ha avuto un contatto diretto. Emergeranno dall’analisi alcuni aspetti della filosofia di Chestov la sua particolare lettura del pensiero nietzscheano, la quale, appare profondamente intrisa di molte altre cose, prima fra tutte la riflessione su Kierkegaard. Allo stesso modo emerge, nella fase finale della ricerca, l’assoluta centralità della figura di George Bataille, in primis, per il suo ruolo di interprete che fa da cerniera tra le due

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fasi della filosofia nietzscheana, e poi, con particolare riferimento agli anni trenta, non solo in quanto perfetto esempio dell’ibridazione filosofica in oggetto, ma anche e soprattutto, per il suo inesplorato dialogo con Albert Camus.

A questo si sovrappone un secondo piano, che invece, riguarda tutte le forme di dialogo indiretto, attraverso il quale s’intende ricollocare l’opera di Albert Camus nell’alveo di una determinata tradizione di pensiero, come erede di quello che ho definito un panorama di riflessione integrante. Si tratta di un insieme di autori il cui comune denominatore sembra essere l’esigenza di intraprendere una riflessione che possa opporsi allo sviluppo della cultura occidentale rifiutando di aderire a uno dei due estremi che, alle soglie del novecento, sembravano chiudere come una morsa il futuro della filosofia e dell’arte. Da un lato si trova l’ideologia scientista dell’emancipazione del progresso, dall’altro la retorica del negativo, la crisi apparentemente insormontabile del nichilismo. Superare questa lacerazione significa, appunto, muoversi verso una visione integrante che possa ricomprendere entrambe le strade leggendole come facce della stessa medaglia.

Camus, nonostante la distanza temporale, può essere ancora inquadrato come un autore che, con i modi e gli strumenti della sua epoca, certo, continua a riflettere su alcuni grandi nodi problematici che dominarono la riflessione a cavallo tra i due secoli: il rapporto tra mente e realtà, tra analisi introspettiva e razionalità critica, tra teoria e prassi. Egli lo fa, esattamente come molti altri importanti nomi del panorama in oggetto, secondo una prospettiva conciliante che non riesce, non vuole, aderire completamente a nessuna delle due fazioni, impegnandosi nella ricerca di una strada che possa coniugare direzioni apparentemente opposte.

Questa seconda dimensione, viene sviluppata ampiamente lungo la ricerca. È questo il caso emblematico di due tra i massimi rifermenti della formazione giovanile camusiana, Proust e Baudelaire, i quali sembrano adesso essere ripresi al fine di veicolare il nuovo orientamento intrapreso e conseguentemente la stesura del romanzo.

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La presenza del paradigma proustiano investe soprattutto lo statuto dell’io romanzesco e le sue strutture conoscitive, ma la sua influenza si è rivelata preziosa anche nel delineare orizzonti tematici comuni, come, ad esempio, il motivo della ricerca interiore, e per sciogliere nodi interpretativi cruciali del romanzo. L’opera di Baudelaire, con particolare riferimento agli scritti critici, di cui si è fatto largo uso per la ricerca, si riflette, piuttosto, sul piano teorico e programmatico. Essa fa da sfondo al mutamento di prospettiva che l’ultima fase inaugurata dall’autore prevede nei confronti dell’universo artistico, ma soprattutto determina la caratterizzazione della figura del protagonista. In particolare, faccio riferimento al concetto di genio come “infanzia ritrovata”, che sembra aderire perfettamente al protagonista de Le Premier Homme, il quale, non a caso, è presentato da Camus nelle vesti di un uomo maturo che si appresta a compiere un viaggio nei luoghi della sua infanzia.

La presente ricerca mette in relazione autori e concetti che possono sembrare molto distanti tra loro, sia sul piano strettamente geo-culturale, sia su quello temporale, richiamando, per esigenze di semplificazione, il concetto piuttosto ampio, e ormai logoro, di “influenza”. Si potrebbe, dunque, obiettare di aver rilevato analogie e nessi talvolta troppo azzardati. A tale proposito, ritengo necessaria, per concludere, una piccola parentesi metodologica, quale premessa del mio studio.

Nell’intento di adottare un adeguato approccio critico ho riflettuto sull’attenzione che due fondamentali autori del panorama di riflessione sopra descritto, come Walter Benjamin e Theodor Adorno, hanno dedicato al “sapere micrologico”, in quanto spazio di resistenza del soggetto nei confronti del reale.

Si tratta di una rivalutazione del frammento e dello scarto, di tutto ciò che può sembrare marginale e contingente, ma che al contrario viene a coincidere con la vera essenza della realtà. A ben vedere, infatti, l’unione di quelle che, solo in apparenza, possono essere considerate tracce sparse, genera strutture di pensiero dalla natura plastica, libere da ogni tipo di pretesa totalizzante, eppure, allo stesso tempo, estremamente illuminanti ed efficaci. Risulta dunque opportuno parlare di “costellazioni di pensiero”. Il loro scopo è, da un lato, quello di inquadrare il corso degli eventi attraverso una sintesi dialettica, un’immagine in divenire, dall’altro,

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quello di gettare luce su collegamenti inauditi e preclusi alla logica coerente. Nell’immagine della costellazione, per sua natura caduca e mortale, il frammento coglie un contenuto di verità, e ritrova, così, un suo carattere potenzialmente trascendente.

Il lavoro critico, in questa ottica, deve impegnarsi per operare sintesi alternative e provvisorie all’interno della produzione artistica e culturale, e riuscire, per utilizzare l’espressione di Benjamin, a costruire, come avviene nell’esperienza infantile, un “piccolo mondo nel grande”.

Si tratta, in definitiva, di un approccio dai confini fluidi, che non pretenda di trovare “fonti dirette”, e che non si limiti valutare soltanto rigidi “sistemi di influenze”, ma parli piuttosto di “motivi” o di “inferenze” che agiscono, mediante rielaborazione, nell’universo creativo di un autore, e soprattutto, un approccio che non veda il piano cronologico come luogo di cesure e limiti da porre, ma come un terreno aperto in cui scoprire nuovi sentieri di dialogo e scambio culturale.

Unicamente all’interno di una visione della letteratura basata su tali premesse il mio percorso di ricerca acquista coerenza e validità metodologica.

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CAPITOLO I:

1951-1959: GENESI DELL’OPERA

1.1 La Préface de L’Envers et l’Endroit:

Gli studi sulle religioni dell’antichità greco-romana ci insegnano sempre più a guardare l’antichità quasi simboleggiata in un’erma bifronte di Apollo e Dioniso. L’ethos apollineo germoglia insieme con il pathos dionisiaco quasi come un duplice ramo da un medesimo tronco radicato nelle misteriose profondità della terramadre greca.

( A. Warburg, La rinascita del paganesimo antico)

Come anticipato in fase introduttiva, la Préface si distingue innanzi tutto per la storia della sua genesi, la quale, viene a costituire uno dei primi indizi che hanno orientato l’avvio ricerca proprio a partire da questo testo.

Nel 1958 Camus pubblica per la prima volta in Francia l’opera giovanile, la sua prima opera, L’Envers et l’Endroit. Per l’occasione, decide di aggiungere un importante scritto introduttivo. Tuttavia, i primi paragrafi del testo che andranno a formare la Préface compaiono già quasi dieci anni prima all’interno dei Carnets; ma non solo, abbiamo un primo abbozzo di prefazione addirittura intorno al 1933, poi in forma più strutturata possiamo trovarne traccia, sempre tra le sue annotazioni personali, nel 1937, ovvero in prossimità della data di pubblicazione della raccolta. Gli scritti hanno, evidentemente, valenze differenti tra loro, eppure presentano un essenziale punto di contatto. Sebbene Camus non abbia conservato il testo della prima prefazione, il pensiero espresso dal giovane scrittore, allora poco più che ventenne, arriva a convergere, nelle sue linee di fondo, con quello dell’uomo maturo, ormai molti anni dopo.

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Voulez-vous m’autoriser à vous dédier mon petit recueil d’essais ? j’en connais les défauts – mais je le publie parce que je crois que c’est devenu nécessaire.8

Sempre in una lettera, datata 8 luglio 1937, e indirizzata all’amico intimo Jean de Maisonseul, Camus si dice ancora incerto sul valore dell’opera che ha pubblicato, tuttavia conclude:

Je manque de métier […] Il m’a semblé qu’à condition d’être conscient de cette faiblesse, je pouvais me permettre de tout dire avec toute ma passion – d’aller jusqu’au bout. J’ai beaucoup travaillé ces choses.9

Infine, aggiunge una fulminea considerazione:

Plus tard j’écrirais un livre qui sera un œuvre d’art. Je veux dire bien sur une création, mais ce seront les mêmes choses que je dirai et tout mon progrès, je le crains ce sera dans la forme – que je voudrais plus extérieure. 10

È interessante notare come l’assunto di fondo della prefazione del ‘58 sia esattamente il medesimo. Camus dice di pubblicare un’opera che, seppur segnata dai difetti dell’inesperienza giovanile, resta per lui di centrale importanza, poiché in essa risiede il fulcro creativo di tutta la sua produzione. Ma non solo. Egli sente che il suo maggiore progetto letterario non sia ancora compiuto, al punto da dichiarare con convinzione:

8 Lettre du 6 mai 1937, Albert Camus-Jean Grenier, Correspondance 1932-1960, p. 28.

9 C, I, p. 23. 10 Ibidem.

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Si malgré tant d’efforts pour édifier un langage et faire vivre des mythes, je ne parviens pas un jour à récrire l’Envers et l’Endroit, je ne serai jamais parvenu à rien, voilà ma conviction obscure.

(ΠI, p. 38)

La prefazione rappresenta, dunque, molto più di un semplice accompagnamento introduttivo al testo. Si pone piuttosto bilancio e ripensamento della sua vita e dei venti anni di carriera letteraria intercorsi. Si tratta di uno scritto estremamente denso di significato, una sorta di confessione artistica e personale in cui si intravede il progetto di nuovo orientamento che investe tanto il campo estetico quanto quello privato.

Il lavoro di interpretazione è stato tutt’altro che immediato. A primo impatto di facile lettura, la prefazione si caratterizza per la sua natura ingannevole e sfuggente, dato, soprattutto, il suo porsi in maniera paradossale rispetto al testo che introduce. Quest’ultimo, infatti, sembra essere utilizzato dall’autore solo come punto di partenza, come un pretesto ai fini di un ragionamento molto più ampio, nascosto tra le pieghe del discorso di superficie.

È, infatti, possibile notare, anche a una prima lettura, come lungo tutto il testo, vadano continuamente a sovrapporsi due livelli, uno di immediata comprensione, l’altro simbolico. Per cui, se da un lato il testo sembra risultare, nelle sue linee generali, abbastanza chiaro, esso presenta in realtà non pochi passaggi oscuri in cui l’autore si esprime usando un linguaggio volutamente criptico. L’intero brano presenta, infatti, un gioco continuo di alternanze in cui paragrafi di immediata comprensione succedono a paragrafi dalla struttura più complessa. Ma non solo; anche all’interno dei brani apparentemente più chiari, l’autore inserisce frasi, espressioni o anche, semplicemente, parole, dissonanti con il contesto in cui sono collocate, le quali se interpretate con attenzione, rivelano la loro valenza simbolica. Camus apre la Préface attraverso alcune spiegazioni tecniche. Gli essais riuniti nella presente edizione, sono stati scritti tra il 1935 e il 1936, e pubblicati un anno dopo

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soltanto in Algeria, in un numero talmente limitato di copie da risultare, a oggi, pressoché introvabili. Negli anni a seguire ne ha sempre rifiutato la riedizione. La motivazione addotta è apparentemente molto semplice, tanto da far specificare all’autore che dietro la mancata pubblicazione dell’opera non si cela alcun segreto. « Mon obstination n’a pas de raisons mystérieuses »11 - dichiara- si è trattato

semplicemente di una reticenza artistica poiché la forma dei suddetti essais gli è sempre sembrata un po’ goffa e stentata. In realtà, con il termine maladresses, Camus non intende designare tanto le falle e le mancanze che emergono dal suo scritto giovanile ma, piuttosto, alcune “zone d’ombra”, che l’opera lascia trasparire. Basta scorrere di una riga ed è lui stesso a confessare come le maladresses contenute all’interno de L’Envers et l’Endroit, a differenza di quelle presenti in tutte le altre opere, coincidano con nodo primigenio della sua interiorità.

Je suis seulement plus sensible aux maladresses de L’Envers et l’Endroit qu’a d’autres, que je n’ignore pas. Comment l’expliquer sinon en reconnaissant que les premières intéressent, et trahissent un peu le sujet qui me tient la plus à cœur ?

(ΠI, p. 31)

Se la contraddizione con la frase in apertura è adesso evidente, nel paragrafo successivo assistiamo a una repentina verticalizzazione del discorso, il quale, appare adesso orientato nei termini della soggettività. Diversi elementi linguistici presenti all’interno del testo operano a rendere efficace il gioco stilistico dell’autore.

[…] je puis avouer, en effet, que la valeur de témoignage de ce petit livre est, pour moi, considérable. Je dis bien pour moi, car c’est devant moi qu’il témoigne, c’est de moi qu’il exige une fidélité dont je suis seul à connaitre la profondeur et les difficultés. (Œ I, p.31)

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Il periodo è introdotto dal verbo avouer, il quale ci proietta da subito nel campo semantico che l’autore intende delineare: quello della confessione personale. Allo stesso modo, si può notare l’utilizzo, affatto neutro, della parola témoignage. Usata per indicare il significato che l’opera riveste, e ripetuta subito dopo, nella sua forma verbale, essa contribuisce, senza dubbio, a rafforzare il contesto evocato. Ancor più rilevante è il climax costruito con il pronome personale moi; tutt’altro che una semplice ripetizione, sottolinea come adesso sia la sfera dell’interiorità ad essere al centro dell’interesse camusiano. Sul piano strettamente semantico, attraverso la dichiarazione finale, l’autore entra ancora una volta in contraddizione con la frase d’apertura: l’opera attinge alle profondità più recondite e nascoste del suo animo, mentre le difficoltà di cui parla risiedono tanto nell’individuare tale luogo interiore, quanto nel portarne alla luce il contenuto.

Subito dopo Camus riprende il tono più lineare della spiegazione. È questo un chiaro esempio dei numerosi cambi di registro ai quali, svariate volte, assisteremo durante la lettura.

Nel paragrafo successivo, ad esempio, l’autore racconta come il filosofo e caro amico Brise Parain reputi L’Envers et l’Endroit l’opera migliore da lui prodotta. Anche se Parain, si sbaglia, spiega Camus, perché alla sola età di ventidue anni, geni esclusi, si è capaci a malapena di scrivere, egli capisce bene il senso di quella sentenza dai toni esagerati:

Il veut dire, et il a raison, qu’il y a plus de véritable amour dans ces pages maladroites, que dans toutes celles qui ont suivi. (Œ I, p. 31)

L’espressione véritable amour, balza subito all’attenzione. Risulta del tutto improbabile che Camus arrivi a scomodare il termine “amore”, per giunta amplificato dall’attributo “veritiero”, con il solo intento di connotare l’affetto o la tenerezza che suscita in lui la rilettura di quest’opera giovanile, seppur intrisa della più intima memoria familiare. È da ritenersi, invece, plausibile che l’autore decida

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di introdurre, così, attraverso questo gioco di cesellature stilistiche, la tematica al centro del suo interesse. La parola amour sarà ripetuta più volte nel corso del testo, e affiancata a parole sempre differenti, le quali andranno ad a arricchirne un significato piuttosto ampio di cui solo in ultima analisi sarà possibile tracciare i contorni.

Sempre all’interno dello stesso paragrafo, Brise Parain viene apostrofato «savant ennemi de l’art et philosophe de la compassion». La chiosa, anch’essa sapientemente camuffata nelle maglie del discorso, non può lasciare indifferente il lettore, il quale è spinto a interrogarsi sul senso di questa frase. Che cosa intende Camus con l’espressione filosofo della compassione? E soprattutto, per quale motivo l’amico dovrebbe amare quest’opera proprio in virtù della sua inimicizia nei confronti dell’arte?

Sebbene non sia possibile dare una risposta certa, tali domande offrono alcuni spunti di riflessione per il seguitare dell’analisi. Intanto, possiamo dedurre sotto quale segno Camus intende, attraverso un’ottica retrospettiva, inquadrare la sua opera giovanile. Conseguentemente, dato come presupposto lo stretto legame che vi soggiace, possiamo, allo stesso modo, capire il taglio che intende dare alla produzione futura. Al momento ci limitiamo a dire che si tratta di uno scritto dal particolare sostrato filosofico, il quale si pone secondo modalità ancora da indagare, in contrapposizione con l’arte, o forse è meglio dire con una determinata concezione estetica.

Nel paragrafo successivo troviamo un passo molto conosciuto, da annoverare tra i più significativi della Préface:

Chaque artiste garde ainsi, au fond de lui, une source unique qui alimente pendant sa vie ce qu’il est et ce qu’il dit. […] Pour moi, je sais que ma source est dans L’Envers et l’Endroit, dans ce monde de pauvreté où j’ai longtemps vécu et dont le souvenir me préserve encore des deux dangers contraires qui menacent tout artiste, le ressentiment et la satisfaction. (Œ I, p.32)

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Il senso generale di questo passo può sembrare, sulla carta, abbastanza chiaro: esso si inserisce perfettamente all’interno del ragionamento finora intrapreso. Si tratta, infatti, di un’ulteriore dichiarazione dell’autore circa l’importanza che l’opera riveste all’interno del suo universo creativo. Nel corso del testo ne troveremo altre, apparentemente molto simili nella forma, eppure allo stesso tempo diverse tra loro, sul piano del contenuto. Ogni qualvolta Camus sembra ripetersi, riprendere o ribadire concetti già affrontati in precedenza, egli aggiunge, in realtà, dettagli significativi i quali forniscono preziosi indizi per l’analisi.

Vediamo, nel caso specifico, come il brano citato si riveli denso di spunti interessanti.

L’espressione au fond de lui, colloca prontamente il discorso all’interno del soggetto. Il mondo interiore, che fin dall’inizio sembra essere in primo piano, risulta, adesso, strettamente legato alla dimensione artistica. Camus esplicita, in sole due righe, l’inscindibilità del nesso vita e arte parafrasando e camuffando velatamente, la celebre formula nietzscheana, sottotitolo di Hecce Homo, come si diventa ciò che si è. L’assunto di fondo è che sia possibile determinare la propria esistenza soltanto a partire da una sua trasposizione artistica a posteriori. Se la scrittura diventa, in questa ottica, l’unico strumento che l’uomo-artista ha a disposizione per conoscere sé stesso, ne consegue che la sua produzione estetica rifletterà esattamente la sua natura interiore, arrivando a essere, di fatto, la sua stessa vita. A quest’altezza, ci limitiamo a osservare che tra i punti salienti del progetto camusiano sussiste un maturato interesse nei confronti della scrittura retrospettiva di stampo autobiografico.

L’attenzione cade poi sull’utilizzo della parola source, la quale, si presenta accompagnata dal termine unique. Vengono, qui, rifusi in una sola espressione, costituendo, così, un significativo elemento di novità, due concetti chiave della poetica di Albert Camus. Il tema della sorgente, la radice di ogni cosa, si coniuga, adesso, con un altro nodo problematico, anch’esso, da sempre al centro del suo interesse, quello della ricerca dell’unità.

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È necessario, in primo luogo, riflettere sul significato di tale sodalizio tematico, per poi metterlo in relazione con la frase successiva, al fine di ottenere un più nitido quadro d’insieme.

L’espressione au fond de lui, rilevata in apertura, acquisisce adesso un’ulteriore valenza di significato: la sorgente, la radice delle cose, non è da ricercare nel mondo esterno, ma piuttosto nel profondo dell’individuo. La source può, dunque, essere identificabile con quel luogo dell’interiorità in cui i contrari si annullano e vengono percepiti nella loro unità.

Qualche riga dopo, quando dichiara che la sua source risiede ne L’Envers et l’Endroit, Camus gioca sapientemente con le parole e con i concetti. Se a un primo livello di comprensione egli vuole sottolineare il legame con un’opera giovanile e con i ricordi da essa evocati, alla luce della presente analisi, è invece, evidente come la frase nasconda ulteriori sviluppi. In primo luogo, l’autore colloca la sua sorgente creativa in un’opera il cui titolo è appunto l’unione di due contrari, in più, essa fa riferimento a un mondo che descrive come dominato dalla compresenza di elementi in contrasto tra loro, lumière e pauvreté.

Una precisazione. La parola pauvrété, essendo affiancata a lumière, sostituisce, l’altro termine della celebre coppia camusiana: ombre. Si tratta di un’ulteriore astuzia da parte dell’autore il quale, grazie all’utilizzo di questa maschera, è in grado di portare avanti i due piani del ragionamento.

È importante notare, inoltre, l’esplicita introduzione del tema del ricordo, da subito deputato ad assolvere un’importante, quanto enigmatica, funzione: salvare dai due pericoli, sottolinea, anch’essi contrari, che minacciano ogni artista.

Possiamo mettere a punto, adesso, due osservazioni. La prima è che l’arte, o meglio l’atto creativo sembra necessitare di una particolare condizione di unità. La seconda, è che il legame tra estetica e ottica retrospettiva, in quanto nuova esigenza postulata dall’autore, appare sempre più evidente.

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Resta adesso da chiarire in che cosa consistano i suddetti pericoli del ressentiment e della satisfaction. Per far questo si rende necessaria una digressione piuttosto ampia, ma indispensabile per il seguitare dell’analisi.

Ressentiment è un termine talmente importante nella filosofia nietzscheana da far escludere a priori un suo utilizzo neutro o casuale. Il fatto che Camus riprenda il discorso e lo allarghi a tematiche quali la società e la morale, non fa che avvallare questa tesi.

La quête camusiana si configura, infatti, sulla scorta di quella nietzscheana, come uno specifico modo di accostarsi ai problemi vitali che consiste nel mostrare il carattere storico o divenuto dei valori etici, nonché le motivazioni umane che ne stanno alla base. Basti pensare a un’opera come l’Homme Révolté per capire come il percorso genealogico, caratteristico della filosofia di Nietzsche, riveli la sua importanza anche nella produzione Albert Camus, laddove il nesso tra società e morale appare sempre più necessario.

Analisi della società occidentale e problema della morale appaiono, quindi, come vedremo meglio in seguito, estremamente legati. La morale non riguarda soltanto il modo in cui la società gerarchizza e disciplina le pulsioni del singolo ma è un vero e proprio istinto storicamente divenuto e, dunque, possibilmente modificabile. Laddove la modernità si configura non solo in quanto epoca, ma come processo, essa si identifica in un processo di decadenza. Per cui, il destino dell’occidente, è, agli occhi di Nietzsche, quello di cadere in un’inevitabile crisi della modernità, ovvero un’evoluzione della società che viene a caratterizzarsi nei termini di “un’auto-contraddizione fisiologica”.

È essenziale chiarire, a questo punto, che cosa si intenda esattamente con l’espressione decadenza evidenziando da subito la duplice natura del concetto in questione. Tale processo si presenta, infatti, sotto il segno dell’ambivalenza: se da un lato ha valore positivo perché comporta un indebolimento degli istinti in favore dell’attività riflessiva, dall’altro, nella misura in cui reprime ogni aspetto vitalistico dell’esistenza, esso genera una situazione di stallo, finendo, così, per negare la vita stessa.

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È importante sottolineare come la critica della modernità operata da Nietzsche rappresenti una messa in discussione, in primis, della società occidentale nel suo complesso, ma anche dell’individuo da essa prodotto.

L’atteggiamento anti-vitalistico risulta, dunque, strettamente connesso al sentimento predominante attraverso il quale essa si esprime: il risentimento. È da notare che Nietzsche, nei suoi scritti, utilizza proprio il termine francese: ressentiment. Tale sentimento si configura come vendetta dello spirito sul corpo, ma non solo. Si tratta, in primo luogo, ed è questo il tratto che, a mio avviso, Camus intende qui valorizzare, di una cultura che non ha saputo superare la propria condizione di debolezza, ma si è cristallizzata in essa al punto da pretendere di fondare su tale condizione una morale, un credo religioso, un approccio filosofico, un’arte.

L’epoca moderna è contraddittoria proprio perché si basa su una concezione etica che costringe l’uomo ad allontanarsi dalla vita, a vergognarsi degli istinti ad essa connessi e a ricacciarli nel profondo. Risulta adesso evidente, alla luce di quanto detto, come qualsiasi concezione estetica che prenda avvio da tale cultura si profili, dunque, estremamente dannosa e pericolosa.

La satisfaction, l’altro termine evidenziato dall’autore, e posto in antitesi al ressentiment, necessita, per la sua comprensione, di essere inserito all’interno di una prospettiva più ampia che diverrà chiara solo in seguito.

Il paragrafo successivo canalizza, in effetti, il ragionamento verso la direzione che ci interessa.

La pauvreté, d’abord, n’a jamais été un malheur pour moi : la lumière y répandait ses richesses. Mêmes mes révoltes en ont été éclairées. Elles furent presque toujours […] des révoltes pour tous, et pour que la vie de tous soit élevée dans la lumière. Il n’est pas sûr que mon cœur fût disposé à cette sorte d’amour. (Œ I, p. 32)

Troviamo, in prima istanza, un’ulteriore prova che con la parola pauvreté l’autore mascheri il concetto di ombre, ben più denso di significati, ma poco funzionale a mantenere il carattere duplice e ambiguo del testo. L’effetto e il senso di quanto si sostiene è reso molto bene dal gioco metaforico che troviamo all’interno della frase d’apertura. Una piccola parentesi sui concetti di luce e ombra, data la loro centralità

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all’interno della poetica camusiana, come della presente ricerca, si rende altresì necessaria. Essi rappresentano per Camus il simbolo delle istanze in contrasto che presiedono all’esistenza e all’animo umano: le due facce del reale e dell’uomo. Lumière e soleil sono chiamati a deputare la parte manifesta e intellegibile dell’universo, l’esigenza umana di comprensione, la sua ricerca di unità. Il concetto di ombre è invece simbolo di quella porzione nascosta e inafferrabile alle maglie della vista come dell’intelletto, la parte che sfugge alla comprensione, identificabile con tutto ciò che è ignoto, ineffabile, incomunicabile.

Tuttavia, esse sono entrambe necessarie, una parte non può esistere senza l’altra: non c’è luce senza ombra e viceversa, per dirla in maniera molto semplice. Cosi, spiega Camus, ed è questo il senso della frase fuori metafora, anche le istanze avverse dell’esistenza possono rivelarsi, se portate alla luce, preziose per l’individuo, in quanto depositarie di una ricchezza tanto misteriosa quanto inespressa.

La frase successiva contiene al suo interno il nodo tematico di tutto il testo. Essa chiama in causa il concetto di révolte al fine di collocarlo sulla nuova strada intrapresa dall’autore. Anche in questo caso il ragionamento deve soffermarsi brevemente per chiarire il significato di un termine di assoluta importanza nell’opera camusiana. Essa verrà spiegata alla luce della mia ricerca precedente, ovvero in relazione al pensiero nietzscheano, dal quale trae origine, ma soprattutto nella sua accezione puramente filosofica. La révolte, infatti, una volta svincolata da ogni sorta di implicazione sociale o politica, che la ricerca tende ad escludere, prende la forma di un movimento interiore di ben altra portata, identificabile con il processo stesso dell’esistenza.

Tema centrale del saggio L’Homme Révolté, essa, si configura in primo luogo, come reazione e superamento della condizione assurda, una sorta di attitudine esistenziale utile all’individuo. Si tratta di un processo che avviene al livello interiore, atto a portare alla luce un valore già insito nel soggetto. Il movimento di révolte consiste in una tensione continua tra si e no, tra l’identificazione con qualcosa, e la sua subitanea negazione.

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Inoltre, in uno degli ultimi capitoli del saggio, dal titolo «Révolte et révolution», in cui Camus tira le fila del suo ragionamento, leggiamo, appunto che la rivolta è identificata con il movimento stesso della vita poiché essa «è il rifiuto di una parte dell’esistenza in nome di un’altra che viene esaltata»12 e che «Noi dobbiamo per questo vivere e far vivere al fine creare quello che siamo»13. In questo senso, per Camus la rivolta si configura come un processo maieutico in quanto, nega al solo scopo di portare alla luce una porzione di coscienza individuale.

Abbiamo, qui, tutti gli elementi che ci permettono di porre in relazione l’idea camusiana di révolte con un concetto, quello di critica, che scaturisce dall’ ultima filosofia nietzscheana.

Anche la critica è, in sostanza, lo strumento con cui determiniamo lo sviluppo della nostra esistenza all’interno dei suoi differenti campi di applicazione: dalla produzione di valori, alla morale, fino alla comprensione del soggetto.

La prima e più importante formulazione di tale concetto si trova all’altezza degli anni 1881-82, nell’ aforisma 307 de La Gaia Scienza, dal titolo “A vantaggio della critica”. È utile citarlo per intero in quanto in esso risiedono spunti di essenziale valore ai fini dell’indagine.

Oggi qualcosa che tu una volta hai amato come una verità o una verosimiglianza ti appare come un errore: lo respingi da te e credi a torto che la tua ragione abbia riportato qui una vittoria. Ma forse allora, quando tu eri un altro – tu sei sempre un altro-, ti era altrettanto necessario quell’errore quanto tutte le tue “verità” di oggi, quasi come un’epidermide che ti dissimulava e occultava alcune cose che non ti era ancora lecito vedere. La tua nuova vita ha ucciso per te quell’ opinione, non la tua ragione: non ne hai più bisogno, e così essa crolla su sé stessa, e l’irrazionale esce alla luce strisciando da essa come un groviglio di vermi. Quando noi facciamo della critica, non c’ è niente di arbitrario e di impersonale – almeno molto spesso è questa una dimostrazione che esistono in noi incalzanti energie vive che infrangono una scorza. Noi neghiamo e dobbiamo negare, perché qualcosa in noi vuole vivere e

12 ΠIII, p. 276. 13 ΠIII, p. 277.

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affermarsi, qualcosa che forse ancora non conosciamo, ancora non vediamo! – questo sia detto a vantaggio della critica.14

Da questo aforisma possiamo estrapolare quelle che sono le tre fondamentali determinazioni del termine, per poi metterle in relazione con l’assunto camusiano. Così come la rivolta, esso si configura in primo luogo come un movimento: l’elemento dinamico è presente in entrambe i concetti a segnalare sia lo stretto rapporto con il divenire incessante della vita, sia la tensione continua che lo caratterizza e di cui necessita per essere tale. È un movimento dialettico: in quanto pone due istanze in contrasto tra loro. Infine, esso coinvolge la coscienza dell’individuo; vedremo in seguito come e con quali conseguenze.

Questo chiarimento risulta fondamentale, laddove la nuova fase di scrittura inaugurata da Camus, si pone, così come è stato per l’absurde, in quanto superamento della precedente. Solo a partire da una sua profonda comprensione sarà, dunque, possibile inquadrare correttamente la svolta operata dall’autore. Detto questo, non può essere una casualità se troviamo all’interno dello stesso paragrafo una riproposizione del concetto di amore. Nella prima occasione esso veniva semplicemente introdotto e messo in relazione a un’opera, L’Envers et l’Endroit, appunto, nella quale l’autore riconosce, la forma embrionale della tematica che intende sviluppare. Adesso è, invece, possibile osservare l’avvio di una spiegazione del termine, la quale, appare comprensibile solo a partire dalla sua relazione con la révolte.

Abbiamo sottolineato la natura dialettica della révolte; non solo, essa pone in contrasto due istanze tra loro, e da tale contrasto trae la sua origine come il suo maggior profitto. Camus inizia il paragrafo spiegando appunto questo aspetto: la pauvreté, che abbiamo decretato essere simbolo di un’istanza oppositiva, lungi dal rappresentare un’avversità, è stata assunta dal soggetto, il quale ha potuto sfruttarne

14 La Gaia scienza, in Opere di Friedrich Nietzsche, Milano, Adelphi, 1964, p. 345.

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i benefici, les richesses. Inoltre, come già detto, la révolte ha un valore maieutico e il suo fine ultimo è la creazione, l’atto di portare alla luce. Adesso, quello che era un movimento interiore, sembra rivelare qui alcune tendenze altruistiche, ovvero ci viene mostrato nel suo moto di tensione verso l’altro. Tale elemento di novità è definito da Camus une sorte d’amour.

Ma il ragionamento si spinge oltre, e il paragrafo merita successivi approfondimenti.

[…] je fus placé à mis distance de la misère et du soleil. La misère m’empêcha de croire que tout est bien sous le soleil. Le soleil m’apprit que l’histoire n’est pas tout. […] Autrement dit, je devins une artiste, s’il est vrai qu’il n’est pas d’art sans refus ni consentement. (Œ I, p. 32)

Troviamo ancora l’utilizzo dell’opposizione simbolica, ormai conclamata, tra soleil e ombre, qui riproposta attraverso il sinonimo di pauvreté, misère, la quale, è investita di un’ulteriore valenza di significato.

Per chiarire questo punto è necessario attingere al capitolo de L’Homme Révolté dal titolo «Révolte et Art». L’arte assume, nella prospettiva aperta dall’autore, un ruolo di massimo rilievo: già a quest’altezza si configura come una sorta di guida, un modello, all’interno dell’esistenza individuale. Essa, oltre a esibire in sé la tensione tra due istanze in contrasto, ci mostra anche quella possibilità di sintesi a cui il movimento di rivolta aspira.

Alcune domande sembrano adesso necessarie. Qual è il gioco di opposizioni che fa da sfondo alla creazione artistica? Quali istanze si nascondono dietro la dicotomia soleil-ombre?

L’estratto dell’essai che andremo a citare non solo risponde alle seguenti domande, ma contiene in sé la chiave di lettura di tutto il passo.

Par le traitement que l’artiste impose à la réalité, il affirme sa force de refus. Mais ce qu’il garde de la réalité dans l’univers qu’il crée révèle le consentement qu’il apporte de à une part

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au moins du réel qu’il tire des ombres du devenir pour le porter à la lumière de la création. (Œ III, p. 671)

Con il termine soleil Camus designa l’esigenza umana di comprendere il mondo; la necessità di fissare, attraverso l’immagine, una porzione di quel flusso indistinto, che è lo scorrere degli eventi nella storia. La creazione artistica assolve, in prima istanza, questo compito: portare alla luce quella parte di realtà che altrimenti risulterebbe perdersi nell’ombra. Essa è refus, in quanto si oppone alla forza distruttrice del divenire, ma è anche consentement, nel momento in cui, attraverso l’atto creativo, accorda il suo consenso a una porzione di realtà. L’artista appare, in ultima analisi costantemente lacerato tra sentimenti di natura antitetica: la consapevolezza di un dissidio e l’esigenza naturale di un accordo con il mondo di cui fa parte.

Facciamo un passo indietro. La seguente spiegazione permette, infatti, di sciogliere un punto lasciato in sospeso: chiarire che cosa rappresenti per l’artista il pericolo della satisfaction. Il termine appartiene al campo semantico del consentement, e va inquadrato secondo la stessa ottica. L’uomo attraverso la creazione artistica tenta di dischiudere la vita nella sua totalità. Tale processo è dunque espressione di una brama di conoscenza, di unità, di affermazione, che chiede di essere soddisfatta. Si tratta di un istinto che se da un lato deve essere ascoltato, in quanto parte integrante del processo artistico, dall’altro necessita di essere arginato dalla consapevolezza della sua natura fallace. Ogni creazione artistica, così come ogni rappresentazione umana del reale, paga il prezzo della finzione.

Tale finzione, necessaria all’individuo per poter costruire una rete di orientamento finalizzata al vivere e all’agire, può diventare dannosa nel momento in cui prende il sopravvento.

Se il ressentiment, era espressione dell’annientamento degli istinti vitali, la satisfaction costituisce, per l’arte, il pericolo contrario, ovvero la sopraffazione dell’istinto vitale per eccellenza, quello di dominare il reale secondo la volontà

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umana. Anche l’arte, per concludere, deve seguire la strada indicata dalla révolte: rimanere sul filo della tensione continua tra due poli opposti.

Se il legame che l’arte intrattiene con la rivolta risulta, dunque, esplicitato, per contro, quello che sussiste con il concetto di amore si presenta secondo modalità ancora da indagare. Per il momento è opportuno limitarci alle suddette osservazioni. Al termine dell’analisi sarà possibile metterle insieme e ottenere un quadro più esaustivo.

Procediamo con l’analisi della Préface, la quale, dopo un’ultima precisazione si prepara a muovere il suo ragionamento verso ulteriori direzioni.

A sostegno di quanto detto, Camus si ricollega al concetto di ressentiment.

Dans tous les cas la belle chaleur qui régnait sur mon enfance m’a privé de tout ressentiment. Je vivais dans la gêne mais aussi dans une sorte de jouissance. Je me sentais des forces infinies : il fallait seulement leur trouver un point d’application. (Œ I, p. 32)

È possibile notare come le tematiche affrontate in precedenza subiscano uno slittamento dal campo dell’arte a quello individuale. Il ressentiment, in quanto negazione degli istinti vitali, diviene l’emblema di un prototipo esistenziale che si oppone a quello che l’autore intende proporre.

L’ Algeria, i luoghi della sua infanzia, sono deputati a rappresentare un universo, geografico e mentale, in cui si vive in linea con la natura, ovvero nel pieno possesso della propria natura istintuale. Questa sorta di jouissance è identificabile con uno stato di ebbrezza, dato dalla fusione dionisiaca con mondo, dalla possibilità di disporre totalmente e liberamente dei propri impulsi. Tale condizione assume, per l’autore, una connotazione del tutto positiva, riscontrabile anche nell’utilizzo dell’espressione forces infinies la quale rimanda sia all’accrescimento delle potenzialità individuali che all’anelito umano d’infinito. Il contatto il mondo naturale dell’infanzia si configura, allora, come vero e proprio bagaglio

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esperienziale, un insieme di risorse benefiche, le quali necessitano soltanto di essere canalizzate.

È proprio questo il compito del suo maestro e caro amico, Jean Grenier, menzionato appena poche righe dopo. L’incontro con Grenier, snodo cruciale nella vita di Albert Camus, è fonte di una riflessione e un’elaborazione artistica e personale, di cui la fitta corrispondenza intercorsa tra i due, costituisce la maggiore testimonianza. Al di là dello specifico rapporto di amicizia, sarà proprio la dicotomia allievo-maestro a rappresentare un elemento significativo nell’universo creativo dell’autore.

Il fatto che la tematica del rapporto con il maestro sia del tutto assente ne L’Envers et l’Endroit, ma rappresenti un nodo tematico essenziale nel romanzo Le Premier Homme, trasforma questo riferimento, sapientemente sminuito all’interno del discorso, in un segnale da non sottovalutare.

La relazione assume, nell’ottica delineata, un ruolo molto più profondo di quello che sembra avere in apparenza: essa racchiude in sé i termini della condotta esistenziale attraverso la quale gli individui esperiscono il mondo. Posto che la figura del maestro rappresenti lo statuto della razionalità e il suo esercizio, esso si configura come punto di intersezione tra due stati della coscienza umana: uno naturale, l’altro divenuto. Occorre precisare che essi non si trovano in contrapposizione tra loro, ma sono piuttosto l’uno l’elaborazione interiore dell’altro.

Anche le considerazioni immediatamente successive vanno inquadrate alla luce di questa interpretazione:

J’ai essayé en vain de corriger, jusqu’au moment où j’ai compris qu’il y avait aussi une fatalité des natures. Il valait alors accepter son propre orgueil et tâcher de le faire servir plutôt que se donner, comme dit Chamfort, des principes plus forts que son caractère. (Œ I, p. 33)

Questa sorta si mondo naturale, retaggio delle sue origini, trova, infatti, un forte riscontro nell’interiorità dell’autore la quale appare scissa tra due universi

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contrastanti. Vedremo come gran parte della sua riflessione sembri orientata nel trovare una strada per far sì che essi coesistano, che si integrino tra loro.

È interessante notare tale opposizione anche all’interno di riferimenti concreti alla realtà sociale:

On trouve dans le monde beaucoup d’injustices, mais il en est une dont on ne parle jamais, qui est celle du climat. […] Lorsque la pauvreté se conjugue avec cette vie sans ciel ni espoir […] Même l’extrême misère arabe n’y peut s’y comparer, sous la différence des ciels. […] Je suis avare de cette liberté qui disparaît dès que commence l’excès des biens. Le plus grand des luxes n’a jamais cessé de coïncider avec un certain dénuement. (Œ I, p. 33)

Al termine di quelle che, come si evince dal testo, solo superficialmente possono sembrare pure divagazioni, Camus attinge a uno dei motivi più significativi della sua poetica: la malattia, al fine di inserirla all’interno della precedente argomentazione.

Mais je veux seulement souligner que la pauvreté ne suppose pas forcément l’envie. Même plus tard quand une grave maladie m’ôta provisoirement la force de vie, qui en moi, transfigurait tout, malgré les infirmités invisibles et les nouvelles faiblesses que j’y trouvais, je pus connaître la peur et le découragement, jamais l’amertume. (OE I, p. 33)

Tale condizione rappresenta, al pari della pauvrété, uno degli aspetti avversi dell’esistenza; tuttavia, laddove la malattia e il dolore vengono accettati e assunti dall’individuo, essi smettono di porsi come ostacoli e vengono a configurarsi come un’occasione, ovvero come ottica privilegiata da cui è possibile guardare alla vita. Leggiamo, infatti, subito dopo:

Cette maladie sans doute ajoutait d’autres entraves, et les plus dures, à celles qui étaient déjà les miennes. Elle favorisait finalement cette liberté du cœur, cette légère distance à l’égard des intérêts humains qui m’a toujours préservé du ressentiment. Ce privilège je sais qu’il est

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royal. J’en ai joui sans limites ni remords et, jusqu’à présent du moins, il a éclairé toute ma vie. (Œ I, p. 33)

Il senso esistenziale della malattia si coniuga, qui, ad alcune considerazioni presenti all’interno de L’ Homme Révolté sulla figura di Cristo. Situate nel paragrafo dedicato a «Nietzsche et le nihilisme», esse condensano e rielaborano l’assunto di fondo di uno dei testi più controversi del filosofo tedesco: L’Anticristo.

Si tratta di una rivalutazione della figura di Gesù, la quale viene presentata come emblema di un essere ingenuo, totalmente distaccato e libero dalle convenzioni morali, esaltato per la sua capacità di amare incondizionatamente, e per la sua estrema dignità.

Poco più avanti leggiamo che Ténacité muette e fidélité sono gli insegnamenti che l’autore dice di aver tratto dalla propria condizione di debolezza. È possibile vedere come essi rimandino, appunto, a questa figura e alla condotta esistenziale di cui è emblema.

In particolare, nella scena della crocefissione, Gesù è colui che supera la propria condizione di debolezza rafforzato da un sentimento di beatitudine interiore e auto-affermazione che gli permette di amare la vita in maniera totale, ovvero accettando la sua componente di dolore e sofferenza. Troviamo qui, inoltre, la prova più certa che il termine ressentiment, fil rouge di tutto il ragionamento finora intrapreso, sia portatore di un significato altro. La fidélité è presentata come il contrario del ressentiment, ma dal punto di vista semantico le due parole non hanno nessun rapporto. È evidente che la frase, così considerata, risulti poco comprensibile. Con la parola fidélité Camus intende riferirsi a un concetto cardine del suo pensiero: quello di fedeltà alla vita terrena. Per cui solo se pensiamo al ressentiment come al sentimento generato dalla negazione degli istinti vitali la frase sembra riacquistare un senso.

Gesù, in tale prospettiva, non si configura più come una figura che rifugge la realtà e che fonda una religione a partire dall’ostilità verso la vita, ma appare, invece, nelle

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