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Migrazioni irregolari, traffico e tratta degli esseri umani. Analisi comparativa dei contesti nei Paesi dell'area mediterranea e dell'area baltica.

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di laura magistrale in Sociologia e Management dei Servizi Sociali

Classe di laurea: Servizio sociale e politiche sociali (LM-87)

TESI DI LAUREA

Migrazioni irregolari, traffico e tratta degli esseri umani.

Analisi comparativa dei contesti nei Paesi dell’area mediterranea

e dell’area baltica.

RELATORE

Prof. Gabriele Tomei

CANDIDATO

Simona Inghilleri

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2

A tutta la mia famiglia, le mie radici più

profonde e il mio tesoro più grande.

A mamma e papà, che mi hanno insegnato

l’arte della resilienza e che, in silenzio, mi

trasmettono ogni giorno che il segreto della

vita è la costanza.

A Irene, Sophia, Marika, Calogero e

Gabriele, i miei colleghi-fratelli, in loro ho

trovato le mie anime gemelle.

Il mondo pesa di più quando sono lontana da

ciascuno di voi.

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3

Sommario

ABSTRACT ... 5

CAPITOLO I LE MIGRAZIONI INTERNAZIONALI NEI PROCESSI DI GLOBALIZZAZIONE ... 6

I.1. Il binomio globalizzazione – migrazione ... 6

I.2. Le mobilità transnazionali dei lavoratori globali ... 10

I.2.1. Partenze e motivazioni ... 11

I.2.2. Arrivi e strategie di integrazione ... 14

I.2.3. Donne e seconde generazioni ... 18

I.3. I codici dell’inclusione sociale e criminalità ... 24

I.3.1. Aspetti psicosociali e potenzialità criminogene ... 24

I.3.2. Identità e sicurezza: da persona a merce ... 28

CAPITOLO II TRATTA, TRAFFICO E SFRUTTAMENTO LAVORATIVO: UNA NUOVA SCHIAVITÙ? ... 30

II.1. Criminalità organizzata transnazionale e migrazioni irregolari ... 30

II.1.1. Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e tratta di esseri umani ... 33

II.2. La struttura organizzativa dello human trafficking ... 37

II.2.1. Organizzazioni criminali e gerarchia dei ruoli... 37

II.2.2. Le figure di passaggio: facilitatori, passeurs, scafisti e abusanti ... 40

II.2.3. Ambiti operativi e nuovi dispositivi di spossessamento-sfruttamento... 41

II.3. Counter traffincking: la normativa internazionale ed europea ... 48

II.1.3. Le Convenzioni europee ... 48

II.3.2. La strategia dell’UE per l’eradicazione della tratta degli esseri umani ... 52

II.3.3. Organi di cooperazione giudiziaria ed agenzie decentrate dell’Unione Europea 55 CAPITOLO III LA METODOLOGIA DI RICERCA ... 58

III.1. Sviluppo della domanda di ricerca ... 58

III.2. Struttura della ricerca ... 59

(4)

4 CAPITOLO IV

IL FENOMENO NEI PAESI DELL’AREA MEDITERRANEA... 65

VI.1. Gli sbarchi sulle coste italiane ... 65

VI.1.1. Composizione dei flussi migratori ... 65

VI.1.2. Le principali rotte migratorie e modalità di spostamento ... 69

VI.1.3. Gli sbarchi sulle coste meridionali e le condizioni di ingresso ... 74

VI.2. Dall’Africa all’Italia: le caratteristiche del fenomeno criminale nel Mediterraneo Centrale ... 77

VI.2.1. Reclutamento, trasporto e segregazione occupazionale ... 78

VI.2.2. La tratta delle donne nigeriane ... 87

VI.3. La piattaforma nazionale anti-tratta e i servizi di prevenzione ... 93

VI.3.1. Il Piano anti-tratta 2016-2018: governace multilivello e sistema di early warning ... 93

VI.3.2. Gli interventi congiunti per l’emersione, l’assistenza e l’integrazione sociale delle vittime ... 97

VI.3.3. Gli elementi di criticità nel sistema di counter-trafficking ... 102

CAPITOLO V IL FENOMENO NEI PAESI BALTICI ... 106

V.1. Le caratteristiche dei processi migratori nell’area dei Paesi Baltici ... 106

V.1.1. Composizione dei flussi migratori ... 106

V.1.2. Le principali rotte migratorie e le strategie di ingresso ... 109

V.2. Una panoramica del fenomeno criminale ... 113

V.2.1. Reclutamento, trasporto e segregazione occupazionale ... 113

V.2.2. La tratta a scopo di sfruttamento sessuale ... 119

V.3. Le azioni di counter-trafficking nell’area dei Paesi baltici ... 124

V.3.1. Le politiche nazionali e le strategie anti-tratta ... 124

V.3.2. Gli interventi e i progetti attuati in Estonia, Lettonia e Lituania ... 128

V.3.3. Gli elementi di criticità nel sistema di counter-trafficking ... 132

CONCLUSIONI ... 134

Riferimenti bibliografici ... 141

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ABSTRACT

Obiettivo di questa tesi è compiere un’analisi comparativa sulle azioni di contrasto messe in atto dalle istituzioni nei confronti del complesso fenomeno dello human trafficking. Definito come il nuovo business del mercato criminale transnazionale, esso consiste nel reclutamento, nell'illecito trasferimento e nella successiva introduzione – prevalentemente per fini di lucro – di una o più persone, da uno stato ad un altro oppure all'interno dello stesso territorio. La pianificazione e la gestione di questi spostamenti avviene per mezzo di un’intricata rete di organizzazioni transnazionali che, a loro volta, si avvalgono di una gerarchia di sodalizi illegali, presenti nei vari paesi di transito e specializzati nella fornitura di determinati servizi altrettanto irregolari. Per di più, il trasferimento da un paese di origine a uno di destinazione è frequentemente seguito da comportamenti finalizzati allo sfruttamento sessuale, economico e lavorativo dei soggetti, ottenuto attraverso il ricorso a forme di coercizione quali violenza, ricatto e inganno. In una società globalizzata come quella odierna, costantemente soggetta a processi di transizione e di espansione del capitale che inaspriscono le disuguaglianze sociali a livello globale, tale fenomeno assume le sembianze di una nuova e più articolata forma di schiavitù, di cui i migranti irregolari sono le principali vittime. Dal momento che la tratta degli esseri umani è spesso correlata al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, nel corso della prima parte sarà passato in rassegna il processo migratorio, dinamica che inevitabilmente rimanda a una riflessione sul significato dei confini, sul ruolo delle aspettative delle persone e sui fattori push and pull che influenzano la decisione di migrare. Saranno descritte le condizioni delle nuove generazioni dei migranti con particolare riferimento alle condizioni vissute dalle donne, approfondendo gli aspetti psicosociali derivanti dal contesto. Questi ultimi hanno una rilevanza di ordine pubblico in quanto molto spesso celano al loro interno delle potenzialità criminogene che contribuiscono a dare forma alla struttura organizzativa ed operativa del mercato nero, andando a configurare la relazione trafficante-trafficato.

Una volta resa chiara la cornice generale, la prima parte di questo lavoro si concluderà con un approfondimento sulle principali convenzioni, protocolli e strategie che determinano il quadro normativo europeo e che sono propedeutiche alla disamina delle azioni di counter-trafficking messe in atto da ogni Stato. Nei capitoli successivi si svilupperà la vera e propria indagine sul fenomeno: esso sarà osservato in due distinte dimensioni geografiche vale a dire l’area che concerne gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo e l’area degli Stati del Baltico, che – per loro composizione – si presentano come paesi di origine, di transito e di destinazione per uomini, donne e minori sottoposti a condizioni di lavoro forzato. In relazione a ciascuna area saranno delineati: dapprima l’attuale composizione dei flussi migratori, i segni distintivi delle rotte e i traffici che avvengono lungo di esse; per poi focalizzare l’attenzione sulle pratiche di reclutamento e sulla fase inclusiva, la quale, come vedremo, si concretizza attraverso dispositivi di assoggettamento che conducono a varie forme di sfruttamento.

Sulla scorta di queste informazioni saranno analizzati poi i corrispettivi percorsi socio-politici che caratterizzano le normative nazionali vigenti e i progetti afferenti, elaborati e portati avanti dai diversi stakeholders impegnati nella lotta al contrasto della criminalità organizzata transnazionale. A tal fine sarò preso come riferimento esplicativo il lavoro di alcune Associazioni e ONG che si sono fatte promotrici – in ciascuno dei due ambiti geografici – di diverse iniziative di prevenzione, assistenza e tutela delle vittime. Nel corso dell’indagine sulle politiche di contrasto emergeranno inoltre gli elementi di criticità che inaspriscono il nesso tra immigrazione irregolare, traffico e tratta, considerando quest’ultima non solo nella sua dimensione di disegno criminale orientato alla massimizzazione dei profitti, ma anche come espressione di un modello di sviluppo globale che contribuisce a trasformare i corpi e il lavoro migrante in mera merce di scambio.

Pertanto, dall’osservazione degli esiti prodotti dai diversi studi, presi in considerazione nelle due aree osservate, ne deriverà un confronto tra gli interventi, riflettendo al contempo sul punto di vista sia delle vittime sia delle istituzioni di riferimento.

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CAPITOLO I - LE MIGRAZIONI INTERNAZIONALI NEI PROCESSI DI

GLOBALIZZAZIONE

Il presente capitolo avanzerà una dissertazione sui processi globali che, specie negli ultimi tre decenni, assumono forme innovative a rilevanza internazionale e divengono responsabili di una fase di cambiamento altrettanto inedita. Dall’osservazione dei percorsi storico-politici dell’epoca moderna e contemporanea si evincerà un ciclo di profonde trasformazioni, connotate da un andamento particolarmente rapido in tutte le sfere e in tutte le strutture della società. In particolare sono due le trasformazioni sociali che si rivelano determinanti: i processi di globalizzazione e le migrazioni.

Si tratta di fenomeni strettamente correlati, la cui incidenza è costantemente in crescita in tutti gli aspetti socio-culturali, investendo tanto le macrostrutture della comunità globale quanto le microstrutture della personalità globale. In questa prospettiva vedremo come la globalizzazione – attraverso le sue dinamiche di espansione del capitale, di de-territorializzazione e ri-spazializzazione – rende i confini sempre più porosi, aprendo le porte non solo alla diffusione del fenomeno migratorio ma anche a un serie di sotto-fenomeni ad esso correlati (Zamagni 2009; Ambrosini 2008).

Pertanto, dopo aver sondato i due concetti dal punto di vista semantico, passeremo ad analizzare la relazione che intercorre tra globalizzazione e migrazione, prendendo in considerazione sia gli aspetti che si identificano come gli elementi innovativi che estendono il ventaglio delle possibilità di benessere sociale, sia gli aspetti che invece risultano essere dei punti di debolezza attraverso cui si inaspriscono le difficoltà strutturali relative ai percorsi politico-economici, giuridici e socioculturali che generano dinamiche devianti.

I.1. Il binomio globalizzazione – migrazione

Se percorressimo all’indietro la storia, ci accorgeremmo che sono esistite delle epoche il cui tempo pareva scorrere lentamente e le persone si trovavano a condurre la vita in una realtà che non era molto diversa da quella vissuta dai loro padri e i loro nonni, e la stessa in cui sarebbero cresciuti i loro i figli. E, seppure queste fasi hanno ciclicamente subito dei periodi di sconvolgimento (eventi di fortuna oppure di disgrazia come vittorie o sconfitte militari, buoni raccolti o carestie, stragi o pestilenze) rispetto al loro regolare andamento, una volta riassorbito l’impatto, gli uomini riprendevano le loro consuetudini e la società continuava a riprodursi mantenendo per lo più immutati i suoi tratti fondamentali. Basti pensare alle società agrarie europee di due secoli fa, in cui gran parte della popolazione era composta da famiglie contadine e la cui quotidianità era per lo più analoga a quella delle famiglie contadine di duemila anni addietro (Bagnasco et al, 2012). Condizioni del genere non sono più riscontrabili nelle società contemporanee, come afferma Cassano:

[…] Appena cento anni fa occorreva quasi un mese per attraversare l’Atlantico, oggi lo si fa in poche ore; se all’inizio del secolo la velocità era ancora un’esperienza riservata all’élite e tutti i futuristi ne erano affascinati, oggi invece diviene una pratica di massa radicata nel mondo, che connette persone e luoghi un tempo lontani e (apparentemente) inaccessibili. Il mondo viene ad essere, gradualmente, una realtà mutante che condiziona ogni azione, ogni flusso e ogni tipo di contesto, che sia esso formale o informale (Cassano 2001, p.41).

I mutamenti a cui ci riferiamo – seppur diversi per contesto e linea d’azione – fanno tutti unitariamente capo al tanto famoso concetto di globalizzazione, la cui ricerca di significato è stata oggetto di numerosi sforzi intellettuali. Sebbene la sua prima attestazione - appartenente alla

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7 letteratura inglese – risalga agli anni Quaranta del Novecento, questo concetto penetra l’opinione pubblica solamente mezzo secolo dopo. È esattamente durante l’epoca dei ruggenti anni Novanta che giunge ad essere un termine insito nelle coscienze e nei discorsi degli attori sociali, divenendo un vocabolo di uso comune a cui attribuire molteplici sfumature di senso (Bagnasco et al 2012; Steger 2016).

Generalmente esso indica un processo in cui si manifesta un’interrelazione globale, consistente in una progressiva dilatazione della sfera delle relazioni sociali fino a coincidere con l’intero pianeta. Nonostante il termine “globalizzazione” assuma, senza dubbio, un carattere evocativo, allo stesso tempo rimanda a un fenomeno estremamente eterogeneo e che presenta non poche difficoltà analitiche. Ad essa sono comunemente attribuite origini recenti - tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta – ed è frequentemente associata a moventi di carattere prevalentemente economico, tra cui lo sviluppo, nei paesi capitalisti, di un percorso politico-economico che procede nella direzione di un forte ampiamento della dimensione economica su scala mondiale attraverso la deregolamentazione delle economie nazionali e misure di carattere neoliberale1. A ciò si aggiunge inoltre la creazione di reti orizzontali di comunicazione interattiva, resa possibile dalla diffusione di tecnologie informatiche applicate alle telecomunicazioni all’interno di più contesti: nello svolgimento di attività economiche così come nella vita quotidiana (Steger 2016).

Lo svolgersi di questo tipo di eventi ha fatto sì che si venisse a manifestare una forza ideativa di grande impatto, la quale assume i tratti di una dimensione profonda che, a partire dalla sfera economica, ripercuote i suoi effetti anche sulla sfera politica, giuridica e culturale (Steger 2016). Difatti, nonostante la causa di tale tendenza sia riconducibile allo sviluppo del modello capitalista, gli effetti che ne conseguono non riguardano esclusivamente il sistema finanziario. Ciò significa che: se da una parte - per effetto della globalizzazione – questa forza manovra i grandi sistemi e dunque tutto ciò che è relativo ai mercati, alle produzioni e ai consumi; dall’altra, l’efficacia dei suoi strumenti si è di gran lunga estesa fino ad influenzare significativamente il modo di percepire il mondo e di entrare in contatto con gli altri, rivoluzionando l’idea di confine e l’identità personale stessa. Si diffondono, in altre parole, dei meccanismi di convergenza, cioè connessioni personali e sociali a lunga distanza che continuano a progredire sempre con più velocità. È per questo che, nel cercare di attribuire un significato coerente alla globalizzazione, si è pervenuti a una pluralità di definizioni, che sottolineano la sua valenza fortemente dinamica (Steger 2016).

Secondo Giddens la globalizzazione può essere definita come il prodotto dell’intensificazione delle relazioni sociali mondiali che legano le diverse località in maniera tale che gli avvenimenti di un luogo sono plasmati da eventi che si verificano a grande distanza e viceversa (Giddens 1994, p.70).

Beck la descrive come: il processo in seguito al quale gli stati nazionali sono condizionati e connessi trasversalmente da attori transnazionali, dalle loro chance di potere, orientamenti, identità, reti (Beck 1999, p.24).

Robertson sostiene che: la globalizzazione come concetto si riferisce sia alla compressione del mondo che all’intensificata coscienza dell’unitarietà del mondo (Robertson 1999, p.23)

1 Misure concrete di carattere neoliberale: 1)privatizzazione delle imprese pubbliche; 2)deregolamentazione

dell’economia; 3)liberalizzazione del commercio e dell’industria; 4)drastica riduzione delle imposte; 5)misure monetariste per tenere sotto controllo l’inflazione, anche a rischio di far salire la disoccupazione; 6)rigido controllo sulla manodopera organizzata; 7)riduzione della spesa pubblica, in particolare dei mercati internazionali; 8)ridimensionamento della pubblica amministrazione; 9)espansione dei mercati internazionali; 10)eliminazione dei controlli sui flussi finanziari globali (Steger 2016, p. 47).

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8 All’interno di queste definizioni possiamo rintracciare sostanzialmente quattro elementi che stanno alla base dei processi globalizzanti e che ci lasciano intuire la natura intrinsecamente multidisciplinare della globalizzazione. Innanzitutto essi implicano la creazione di nuove reti sociali e contemporaneamente la moltiplicazione delle connessioni, le quali attraversano i confini geografici, economici e culturali. In secondo luogo comportano sia l’espansione che l’estensione dei legami, delle attività e delle connessioni di stampo sociale, a cui seguono l’intensificazione e l’accelerazione degli scambi e delle relazioni a livello mondiale (Steger 2016, p. 22).

L’ultima caratteristica sottolinea che la globalizzazione chiama in causa tanto le macrostrutture di una comunità globale quanto le microstrutture della personalità globale. In altre parole sono processi che non operano esclusivamente a livello oggettivo e materiale della struttura sociale, ma influenzano anche la dimensione soggettiva della coscienza e della percezione umana. Sono meccanismi che, agendo tra locale e globale, si estendono in profondità all’essenza del Sé e delle sue inclinazioni, facilitando la creazione delle identità individuali e collettive multiple (Steger 2016, p. 23). Pertanto essa comporta sostanzialmente una:

Crescita di reti di interdipendenza planetaria attraverso una serie di processi interrelati che mettono in contatto individui, gruppi, comunità, stati, mercati, grandi imprese, organizzazioni internazionali governative e non governative, movimenti collettivi, diaspore etniche e religiose in complesse ragnatele di relazioni sociali (Martinelli 2015).

Per tale motivo si può parlare pienamente di mutamento sociale: il nuovo assetto rende partecipi – a più livelli – le diverse civiltà, investendo la vita quotidiana di milioni di persone, provenienti da qualsiasi ceto e classe sociale; si avviano nuove relazioni di interdipendenza e con esse nuove possibilità dell’agire sociale. L’enorme avanzamento delle attuali tecnologie, le nuove possibilità offerte dall’informatica, i viaggi di lunga distanza, le comunicazioni globali, il sovra-territorialismo, gli atteggiamenti utilitaristici e lo sviluppo delle capacità multitasking creano una rete di strade percorribili in tempo reale, attraversando tutto il pianeta (Steger 2016).

Uno dei mutamenti sociali più rilevanti – messi in atto dalla globalizzazione – riguarda la trasformazione della distanza. E a tal proposito, studiosi come Harvey e Thompson mettono in evidenza come il mondo sia passato dall’essere una distesa di territori per lo più misconosciuti, ad un globo interamente esplorabile ed esplorato, soggetto alla continua ingerenza degli esseri umani2 (Harvey 1993; Thompson 1998). Sono condizioni che non determinano meccanismi di estraniazione dal locale ma, al contrario circoscrivono un sistema dialettico di integrazione entro cui prendono forma comunità globalizzate di esperienza condivisa (Giddens 1994, p.140) attraverso cui si sviluppano una miriade di forme di connettività.

Tutto ciò è reso possibile tramite l’intensificarsi di una serie di processi che nella letteratura sono noti sotto il nome di universalizzazione, sovra-territorialismo e transnazionalismo.

In genere, il concetto di universalizzazione si riferisce a tutti quei meccanismi attraverso i quali avviene la diffusione di oggetti, prodotti ed esperienze in ogni parte del mondo. Tale diffusione è da considerarsi in termini di estensione in quanto innesca un vero e proprio processo di uniformazione sotto più punti di vista: condizioni economiche, stili di vita, visioni ideologiche e tendenza alla conformità verso i modelli metropolitani. Risultato dell’universalizzazione è quindi il superamento delle barriere materiali e immateriali che sono, di regola, imposte alla

2 La funzione ricoperta dalle nuove tecnologie e dalle nuove telecomunicazioni gioca un ruolo fondamentale in quanto: le prime sono responsabili della rapida contrazione dei tempi di trasporto, le seconde rendono quasi nullo il tempo di trasmissione (Thompson, 1998).

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9 circolazione di esseri umani, prodotti, informazioni ed idee3. Questo superamento rappresenta una determinante importante per lo sviluppo ulteriore dei processi di de-territorializzazione e sovra-territorialismo (Steger 2016).

Il sovra-territorialismo è particolarmente interessante poiché crea relazioni servendosi di vari tipi di collegamenti globali, specie le frontiere4. Vi consegue una proliferazione delle forme di connessione, dando luogo a meccanismi di simultaneità transmondiale e di instantaneità transmondiale (Memoli 2014, p. 252) i quali favoriscono la sussistenza ed il consolidamento di relazioni e interazioni sociali svincolate – ma allo stesso tempo dipendenti – dallo spazio territoriale (Memoli 2014).

In questa cornice rientra anche il transnazionalismo in quanto processo attraverso il quale gli attori sociali sperimentano la mobilità fisica e simbolica. Se universalizzazione e sovra-territorialismo rimandano ai livelli macro, il transnazionalismo si riflette sulla dimensione micro, ovvero sull’azione delle persone comuni – delle famiglie in primis – che, avvalendosi dei progressi tecnologici, tessono e consolidano le loro reti in sistemi autorganizzati che vanno al di là di una localizzazione fissa. Lo spazio non è percepito solo in quanto dispositivo di localizzazione, bensì acquisisce un valore aggiunto divenendo un aggregato degli spazi individuali che prende forma in base alla composizione delle loro interazioni reiterata nel tempo (Maggioli 2015). Non a caso infatti, le pratiche transnazionali influenzano la creazione di reti multiple, per mezzo delle quali è possibile tenere in collegamento due o più contesti dando luogo a etnografie multilocali. Pertanto, le crescenti dinamiche di interconnessione rendono la globalizzazione non soltanto un processo oggettivo, ma essa si riempie di aspetti soggettivi, dando luogo a una trasformazione delle strutture organizzative della società (Scholte 2005, citato in Steger 2016; Ambrosini 2008; Palmisano 1997; D’Albergo 2007). Citando Short:

La globalizzazione viene ad essere un processo che collega gente e luoghi, istituzioni ed eventi in tutto il mondo. La crescente tendenza del mondo ad essere un’unica rete di flussi di denaro, idee, persone e cose; la distribuzione e interazione su scala mondiale di processi economici, politici e culturali […] che introducono un maggiore grado di interdipendenza (Short 2001 p.10, citato in D’Albergo 2007, p.3).

Ne deriva una visione del mondo come una superficie unitaria ma, al contempo, spezzettata in frammenti di luoghi – o panorami5 – in cui gli attori sociali si muovono,

3 Scholte (2005, citato in Steger 2016) prende come esempio la circolazione di alcuni prodotti come il tabacco, i capi d’abbigliamento, lo stato, i beni alimentari, l’istruzione, i giocattoli e le armi. In particolare cita alcune forme di sovra-territorialismo, quali: mezzi di comunicazione (libri, quotidiani, posta, telefono, fax, invio di sms, internet radio, televisione e cinema); circolazione di persone (turismo, immigrazione e profughi, viaggi di lavoro); processi di produzione (che avvengono in luoghi differenti, il rifornimento di materie prime, il commercio globale); consumi, denaro, finanza globale; globalizzazione militare (armi con un raggio d’azione globale, guerre effettuate da basi militari sparse in tutto il mondo); organizzazioni mondiali (società multinazionali, organizzazioni religiose, unioni sindacali, Ong, enti di beneficienza); ecologia (cause ed effetti ambientali) e salute (malattie che si diffondono a livello planetario); coscienza globale (gare sportive, tournée ed eventi globali, conferenze mondiali).

4 I collegamenti che si vengono a costituire finiscono per trascendere dal territorio; gli stessi domini territoriali conservano la loro importanza ma non vanno a definire totalmente la struttura, per cui si delinea un quadro in cui elementi come le frontiere sono soggetti ad un’intensificazione e, contemporaneamente ad un declino degli stessi.

5 Il concetto di panorama è ripreso dalla Teoria dei flussi culturali globali di Arjun Appadurai, all’interno della quale egli si propone di spiegare i meccanismi di disancoramento, in cui il sistema di produzione di valori, simboli e identità si svincola dal legame con lo spazio e con i confini delle diverse realtà nazionali. Egli afferma che l’aspetto emblematico dei flussi culturali che agiscono nella sfera economica del sistema globale risiede nella configurazione di nuovi scenari (landscapes): ethnoscapes, flussi di persone che determinano la mutevolezza del mondo; mediascapes, flussi di informazioni ed immagini distribuite dai

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10 interagiscono, tessono relazioni, diffondono idee e pratiche al fine di organizzare la propria vita (Appadurai 2001, citato in Giaccardi 2005). Da uno scenario come questo ne risulterà che economia globale, lavoro e mobilità transnazionale finiscono per intrecciarsi vicendevolmente, divenendo i nodi più cruciali delle trasformazioni sociali.

In questa prospettiva il fenomeno della globalizzazione apre le porte a quello delle migrazioni. La ridefinizione dei modelli produttivi, le strategie di riallocazione dei capitali territoriali e settoriali (legati in particolar modo all’ambito della ricerca e dello sviluppo), le particolari condizioni socio-politiche di alcune regioni del mondo, favoriscono una mobilitazione di personale che, a sua volta, comporta sostituzioni e mescolanze di vecchi e nuovi protagonisti. Qui il lavoro si configura come una delle componenti più visibili e controverse del cambiamento in quanto con esso si ha una trasformazione degli spazi urbani, del mondo del lavoro stesso, delle istituzioni scolastiche, ma anche dei circuiti informali, specie quelli delle attività illegali (Ambrosini 2005, 2008; Steger 2016).

Non si tratta certo di fenomeni recenti, infatti come afferma Massey (1998, citato in Ambrosini 2008) gli umani sono una specie migratoria. Ma se prima il fenomeno aveva una portata più modesta e richiedeva costi per lo più elevati, attualmente risulta molto più facile fornirsi dei mezzi necessari agli spostamenti internazionali, tanto che migrare è divenuta una pratica consuetudinaria (Ambrosini 2008).

Inoltre, a partire dalla seconda metà del XX secolo, questi movimenti sono variati sia per origine che per destinazione: se nel passato i Paesi europei rappresentavo il punto di partenza, oggi divengono il luogo di arrivo e le direzioni di tali flussi non vanno più unicamente da Sud a Nord. E se in precedenza, l’eccessiva lunghezza delle distanze e il notevole investimento di energie e risorse economiche faceva sì che i termini di permanenza nel luogo di destinazione fossero ampiamente lunghi – e, molto spesso, definitivi – oggi invece il mondo dispone di tutti gli strumenti adatti per garantire periodi di permanenza più brevi, spostamenti più confortevoli grazie ai tempi e i costi ridotti. Oggi, difatti, si registrano con maggiore frequenza forme di migrazioni alternative alle tradizionali: mentre risultano stazionarie le migrazioni che comportano un cambiamento di residenza, continuano ad essere in forte aumento quelle temporanee6 (Ambrosini 2008).

Tali innovazioni dunque ci permettono di rintracciare nuove categorie migratorie che concorrono ad una continua ridefinizione dei sistemi economici e non solo.

I.2. Le mobilità transnazionali dei lavoratori globali

Una volta passati in rassegna gli elementi che regolano il connubio migrazione-globalizzazione, i paragrafi successivi saranno dedicati all’analisi delle dinamiche che sottendono il fenomeno migratorio vero e proprio.

Partendo dai motivi che conducono alla scelta di migrare, cercheremo di spiegare cosa significa essere migrante, quali sono i limiti che questa condizione pone e quali sono le strategie che tendenzialmente sono messe in pratica, con particolare riferimento a quelle categorie di soggetti che appaiono più vulnerabili dal punto di vista sociale.

media nel mondo; technoscapes, flussi di prodotti tecnologici; finanscapes, flussi di denaro in costante mobilità; ideoscapes, flussi di idee (Giaccardi 2005).

66 Un caso, tratto dalla legislazione nazionale sull’immigrazione, è quello dei lavoratori stagionali – tra la fattispecie più diffusa di migrazioni – in cui viene stabilita una durata minima e massima, manifestando meccanismi di facilitazione per gli ingressi di coloro i quali hanno già avuto analoghe esperienze pregresse di soggiorno all’interno dello stato (Ambrosini 2008).

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I.2.1. Partenze e motivazioni

Cercare di comprendere i motivi che spingono gli attori sociali a mobilitarsi significa aprire la scatola nera della migrazione per entrare dentro le logiche che conducono a questo genere di decisioni.

È bene precisare che a mobilitarsi non sono solo le persone, ma con esse si spostano anche i loro punti di vista, i loro progetti di vita, a volte si spostano anche i contesti, le opportunità e le tensioni. Per l’appunto le migrazioni sono rivelatrici di importanti dinamiche contraddittorie che possono caratterizzare una società, la relativa organizzazione politica e i rapporti con i contesti sociali. È per questo che ad esse si attribuisce, fra le altre cose, un’importantissima funzione specchio (Sayad 2008,citato in Toscano & Cirillo 2015). In tutte le sue forme, la migrazione è un fatto sociale totale (Sayad 2008 citato in Toscano & Cirillo 2015)7; è un’esperienza umana che rende complice qualsiasi aspetto e rappresentazione dell’ordinamento economico, politico, culturale e religioso.

La letteratura fornisce una pluralità di motivazioni che stimolano e spingono uomini e donne dell’era contemporanea verso la scelta di mobilitarsi. Molte di queste rientrano all’interno della Teoria dei push and pull factors, secondo cui esistono diverse combinazioni di fattori di spinta e di attrazione che danno delle risposte più o meno adeguate al “perché si parte”.

Più precisamente, i fattori di spinta si compongono di un variegato repertorio di condizioni che incitano l’individuo, o il gruppo, a prendere la complessa decisione di lasciare il proprio paese per spostarsi verso una nuova meta. Tra questi compaiono le emergenze di carattere ambientale, quali ad esempio: periodi di forte siccità, epidemie, pesanti inondazioni o altre catastrofi ambientali che fungono da fattori espulsivi, di natura costrittiva, in quanto non consentono il favorevole svolgimento della vita quotidiana (Ambrosini 2005).

Possono manifestarsi anche determinanti di natura sociopolitica come le persecuzioni di tipo politico, etnico o religioso8; pensiamo ancora all’ esigenza di svincolo da legami comunitari e alle condizioni di conflitto e guerre che mettono gravemente in pericolo ampie fasce di popolazione residente in un determinato territorio9 (Ambrosini 2005).

Vi sono poi determinanti di natura prettamente economica ed in questi casi è il lavoro che inquadra la figura del migrante, identificato in quanto forza lavoro, molto spesso temporanea e precaria. Tra questi si rintracciano: situazioni di sottosviluppo, miseria e povertà che causano l’impossibilità di ottenere un livello minimo di sopravvivenza; differenze di reddito tra le diverse regioni del mondo, che spingono individui, o addirittura interi nuclei familiari, ad andare alla ricerca di aree di maggior benessere; disoccupazione - o mancanza di un’occupazione stabile - che comporta diverse difficoltà legate ad esempio all’impossibilità di soddisfare bisogni di ordine materiale, o altre problematicità legate alla realizzazione personale secondo le proprie aspirazioni; anche l’aumento di qualifica nei livelli di formazione rappresenta una determinante importante

7 In quanto: parlare dell’immigrazione è parlare della società nel suo insieme, nella sua dimensione diacronica, cioè in una prospettiva storica […] e anche nella sua estensione sincronica, cioè dal punto di vista delle strutture presenti nella società e del loro funzionamento (Sayad 2008 p.15, citato in Toscano & Cirillo 2015).

8 È il caso dei rifugiati, ovvero coloro che si spostano nel tentativo di trovare una sistemazione più consona, che offra più sicurezza rispetto alle condizioni oppressive vissute fino nel paese nativo. In questo caso, gli altri Stati devono offrire protezione a questi soggetti - la cui vita e libertà sono a rischio - così come è stabilito negli accordi e nei trattati internazionali (Ambrosini 2005).

9 In questo caso le persone vittime di queste circostanze conflittuali o belliche – i cosiddetti profughi di guerra – si allontano da quei territori rifugiandosi spesso nel Paese limitrofo. Quest’ultimo avrà il dovere di provvedere all’allestimento di campi in modo da garantire loto accoglienza e approvvigionamento (Ambrosini 2005).

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12 poiché allarga gli orizzonti di quei lavoratori che aspirano a occasioni lavorative più promettenti (Ambrosini 2005).

Si tratta quindi di circostanze che vengono vissute in maniera negativa dall’individuo e di conseguenza si traducono in pretesti per sfuggire dalla condizione di sofferenza che ostacola la realizzazione personale, pensando ad un progetto migratorio che tenga conto di mete i cui fattori di attrazione possono, in qualche modo, identificarsi come un’alternativa migliore e salvifica. Le aree che costituiscono le alternative capaci di massimizzare i benefici, minimizzando i rischi, determinano di conseguenza il volume e la direzione dei flussi migratori (Zanfrini 2007; Ambrosini 2005).

Infatti, i fattori di attrazione si identificano in quei motivi che muovono i soggetti migranti verso una determinata destinazione, il cui territorio è percepito come più vantaggioso – o per lo meno più favorevole – dal punto di vista delle politiche economiche e sociali. Non a caso, i fattori di attrazione più citati dalla letteratura riguardano l’occupazione e il godimento di un migliore stile di vita (Zanfrini 2007; Ambrosini 2005).

In generale costituiscono dei fattori di attrazione: la necessità di manodopera aggiuntiva dall’estero nei Paesi a sviluppo avanzato per quegli impieghi che spesso non sono graditi dai lavoratori autoctoni per lo scarso livello retributivo e l’elevato carico di lavoro; la presenza di collettività già inserite in una determinata area e di canali che agevolano l’ingresso e l’inserimento ai nuovi immigrati (attraverso, ad esempio, l’attivazione di regolarizzazioni annuali) 10; e infine, i programmi attivi delle ONG a favore dei migranti, che fungono da importanti riferimenti. Prendiamo in considerazione, a titolo d’esempio, i migranti di giovane età. Generalmente questa fascia di popolazione sceglie di allontanarsi dalle aree rurali per spostarsi verso il centro urbano; i motivi che conducono a questo genere di mobilitazioni riguardano principalmente la limitatezza delle risorse economiche e la monotonia degli stili di vita; tali circostanze si combinano solitamente con la ricerca di un lavoro accettabile e il desiderio di libertà (Zanfrini 2007; Ambrosini 2005).

Tuttavia il dibattito sociologico è del parere che lo schema push-pull sia insoddisfacente per spiegare, a livello internazionale, il motivo delle migrazioni. Per questa ragione la letteratura offre ulteriori teorie che tentano di fornire delle risposte a livello macro e micro (Ambrosini 2005).

Un’altra spiegazione macro – alternativa a quella appena citata – pone al centro della sua analisi la domanda di lavoro povero da parte degli apparati economici dei paesi sviluppati. Secondo Piore – fautore della Teoria del mercato duale – vi è un nesso tra i codici di funzionamento dei sistemi economici occidentali e il fabbisogno di manodopera immigrata. In questi sistemi, il mercato del lavoro appare scisso in due segmenti: il mercato del lavoro primario e il mercato del lavoro secondario. Il primo è rappresentato da posizioni lavorative sicure, adeguatamente retribuite e tutelate sindacalmente, a cui accedono i cittadini autoctoni; il secondo consiste invece in occupazioni incerte, limitatamente retribuite a cui confluiscono quei soggetti socialmente più vulnerabili, tra cui ovviamente la forza lavoro immigrata (Berger & Piore, 1982).

10 Le collettività già presenti su un territorio così come la presenza di canali che ne agevolano l’ingresso, concorrono allo sviluppo di quella che viene definita arena migratoria. Tale espressione si riferisce al sistema delle comunicazioni per mezzo delle quali è possibile uno scambio di informazioni tra coloro che sono emigrati e coloro che si apprestano ad esserlo. Si instaurano delle vere e proprie reti etniche che si concretizzano in un complesso di legami – personali o parentali – che fungono da richiamo di nuovi migranti (provenienti dallo stesso Paese) i quali, una volta arrivati nel Paese di destinazione possono contare su un sostegno reciproco nell’ambito dell’accoglienza e della sistemazione logistica.

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13 È come se si creasse un divario tra la sfera destinata al prestigio sociale delle professioni e una sfera destinata invece a rimanere nell’ombra, con scarse possibilità di avanzamento professionale. Quest’ultima diviene spesso e volentieri una buona occasione di inserimento per la popolazione migrante almeno nelle fase iniziali, in cui si è volti ad accettare ogni cosa nell’ottica di una condizione temporanea, propedeutica al conseguimento di opportunità più soddisfacenti (Ambrosini 1999).

In relazione all’andamento - e all’attrazione – dei sistemi economici occidentali, non bisogna comunque dimenticare il ruolo significativo giocato dal progresso delle tecnologie informatiche e telematiche: esso genera la tendenza al turismo di massa, il commercio internazionale, il miglioramento e la velocità dei mezzi di trasporto; gli aspetti di questo progresso favoriscono quella che Serge Latouche (1992, citato in Ambrosini 2005) definisce Occidentalizzazione del mondo.

Pensiamo ad esempio ai migranti provenienti dai paesi del Terzo mondo: essi scelgono di migrare in Occidente perché spinti dal mito di una società democratica i cui territori offrono un maggiore flusso di risorse e di opportunità. A creare questa visione dell’Occidente non sono solo le popolazioni autoctone (insiders) ma anche coloro che si relazionano temporaneamente con quei territori (outsiders). Insiders e outsiders concorrono insieme alla creazione di un “marchio di riconoscimento” che è, al contempo, il principale agente responsabile dei fattori di attrazione. Determinante non è quindi la spinta a emigrare, bensì l’attrazione dei lavoratori – provenienti da paesi poveri – esercitata dai sistemi socioeconomici delle società riceventi in quanto bacini di reclutamento (Ambrosini 2005, p.38).

Sul versante opposto alle interpretazioni che funzionano per macro aggregati si collocano le prospettive micro. Esse, a differenza delle prime, non si basano su fattori strutturali ma focalizzano la loro attenzione alle scelte individuali. In questo senso la migrazione internazionale – laddove non sono in azione fattori espulsivi di natura costrittiva - rappresenta il prodotto dell’incrocio tra domanda e offerta nel libero mercato; in altri termini è il frutto di uno squilibrio economico nel salario percepito nei diversi paesi (Ambrosini 2005, 2008; Zanfrini 2007). La scelta individuale diviene allora il punto di riferimento per spiegare il movimento: le differenze legate a questo gioco tra domanda e offerta di lavoro inducono senz’altro il singolo individuo ad operare una valutazione – intesa come una funzione di utilità - da cui deriva una scelta discrezionale che tiene conto essenzialmente di due elementi: il primo riguarda il rapporto tra costi e benefici, cioè una stima delle risorse da investire per affrontare non solo lo spostamento ma anche l’integrazione nel nuovo paese; il secondo invece corrisponde alle aspettative di guadagno atteso, configurando la migrazione come un investimento del tutto personale all’interno di un mercato in cui l’aumento di redditività del capitale umano rappresenta il fattore fondamentale che motiva la mobilità11 (Ambrosini 2005; Zanfrini 2007; Mezzadra & Neilson 2014).

Tuttavia bisogna tenere sempre presente che, sebbene questa scelta sia il risultato di una decisione razionale, l’attore sociale non ha la possibilità di venire in possesso di tutte le conoscenze; di conseguenza costruirà le proprie scelte sulla base di una selezione di informazioni che gli arrivano dal contesto, dai racconti delle esperienze altrui o, ancora, dai canali informativi di cui si dispone (Ambrosini 2005; Zanfrini 2007; Coin 2004).

Ognuna di queste prospettive, nonostante cerchi di fornire delle risposte esaustive all’interrogativo postoci, appare semplicistica perché lascia fuori un’ampia casistica di esigenze

11 In altre parole, l’eventualità che il trasferimento all’estero produca un aumento di redditività è frutto di una scelta razionale e per lo più individuale. A tal proposito sono significativi i casi in cui tale trasferimento è strettamente connesso a dinamiche familiari. In questo tipo di dinamiche il soggetto che si mobilita rappresenta un investimento finalizzato al miglioramento della situazione economica del nucleo familiare d’appartenenza rimasto in patria (Ambrosini 2005; Mezzadra & Neilson 2014).

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14 soggiacenti. La complessità e la mutevolezza degli scenari motivazionali è dovuta al fatto che essi derivano dall’esperienza autobiografica dei singoli attori sociali che si prestano ad affrontare la mobilità. Pertanto possiamo concludere che, esistendo più punti di vista, le motivazioni non possono che essere plurime: che si tratti di istanze di emancipazione, voglia di viaggiare e visitare territori nuovi e conoscere culture differenti, progetti di accumulazione originaria o di piani d’azione finalizzati all’integrazione del reddito familiare, opportunità di accesso ai beni di consumo o di status perpetrati dalla promozione pubblicitaria transnazionale, trovare una posizione lavorativa affine al percorso formativo, sfuggire alla repressione politica così come dai conflitti bellici, sono tutte spinte alla fuga che dovrebbero andare in contro a dei percorsi le cui strade consentono l’accessibilità alle strutture di opportunità proprie dei paesi di immigrazione (Mezzadra & Ricciardi, 2013).

I.2.2. Arrivi e strategie di integrazione

Quando si analizzano le migrazioni nella fase di arrivo bisogna tenere presente la loro natura processuale, la quale prevede delle dinamiche evolutive connesse non solo alle motivazioni che vi sono alla base, ma anche agli adattamenti e alle riorganizzazioni dei sistemi di relazione (Ambrosini 2005). Questi ultimi mettono in gioco principalmente tre attori:

1. la società di provenienza, con la propria capacità più o meno favorevole di fornire benessere, libertà e diritti ai propri membri e le relative politiche in materia di espatrio;

2. i migranti attuali e i migranti potenziali, corredati del proprio bagaglio personale, fatti di aspettative, progettualità e legami sociali;

3. la società ricevente, con le relative modalità di accoglienza – istituzionale e non – e i relativi sistemi di integrazione e di inclusione (Ambrosini 2005).

La terza componente svolge una funzione fondamentale nella fase di ingresso dei soggetti stranieri in quanto è portatrice di idee e di decisioni politiche che influenzano, disciplinano e regolano il loro insediamento sul territorio nazionale (Ambrosini 2005). Tuttavia la politicizzazione delle migrazioni – come sarà approfondito meglio nei capitoli successivi – produce degli effetti e delle limitazioni sul versante delle opportunità e dei canali di integrazione. Non sono rari i casi in cui i nuovi arrivati sono percepiti come soggetti che mettono a rischio l’integrità dell’ordine pubblico, economico e culturale; ne consegue spesso la loro collocazione nei gradini più bassi della gerarchia sociale dei paesi di accoglienza, rimanendo nella maggior parte dei casi relegati in questa ubicazione. Tali meccanismi non fanno altro che rimarcare le differenze etnico-culturali, vincolanti nei sistemi di trattamento (Ambrosini 2008).

Si avrà che la nozione di integrazione sociale per questi soggetti, che siano provenienti da un’esperienza migratoria regolare o meno12, coinvolge una pluralità di aspetti inerenti alla vita delle persone e si riferisce ad una serie di percorsi di inserimento.

12Gli individui che decidono di migrare possono scegliere di farlo seguendo percorsi legali o, al contrario, possono giungere nel paese di destinazione attraverso pratiche che contrastano con le normative vigenti. Generalmente la letteratura opera una distinzione tra immigrati regolari, irregolari e clandestini per discernere i diversi percorsi e accessi. Sono considerati immigrati regolari tutti i cittadini stranieri il cui ingresso e la cui permanenza sono in linea con le procedure previste sia dal paese d’origine che da quello di arrivo. Esse si basano su una serie di presupposti che consistono nel possesso di: un regolare passaporto, un visto di ingresso, un permesso di soggiorno, un permesso di lavoro oltre che il cambiamento formale di residenza, ove necessario. Al contrario, sono definiti irregolari quei soggetti che migrano legalmente verso un dato paese e che, successivamente, proseguono il loro soggiorno in maniera non conforme alle norme

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15 L’inserimento economico sarà uno dei primi obiettivi che essi si prefiggeranno di perseguire una volta giunti nel paese di destinazione; non per niente, il raggiungimento di una condizione che garantisca una certa autonomia economica, attraverso un’occupazione dignitosa, è uno degli elementi che partecipa alla formazione delle aspettative dei migranti transnazionali. Ad esso ovviamente si affianca la necessità di arrivare ad un certo livello di inclusione nella sfera sociale di riferimento, mediante la costruzione e la gestione autonoma di relazioni e sfruttando la possibilità di entrare a far parte della vita della società e della cittadinanza in questione. Ma come si accennava prima, questo genere di obiettivi si scontra con le problematiche relative alla necessità di far proprie le condizioni materiali che gli consentono di orientarsi sul territorio, come ad esempio l’acquisizione di competenze linguistiche, la possibilità di accedere ad un alloggio accettabile e ai servizi fondamentali. È fondamentale tenere in considerazione che ogni soggetto – o ogni gruppo – a seconda delle potenzialità di cui dispone, mette in pratica risorse differenti per la realizzazione delle strategie imprenditoriali (Ambrosini 2005; Coin 2004; Zanfrini 2007). Sulla base di queste considerazioni l’integrazione non può che essere interpretata come un processo di lunga durata, che avviene nel tempo e che consta di una serie di meccanismi di adattamento, i quali non sono privi di contraddizioni ed insidie. Del resto le contraddizioni nascono dal rapporto che intercorre tra i concetti di cultura ed identità: se è vero che ad essi si cerca di offrire integrazione, è anche vero che questi devono compiere uno sforzo assai maggiore di adattamento al modello culturale dominante. Tali dinamiche fanno da sfondo al nuovo transnazionalismo economico scaturente dal basso, andando ad influenzare le strategie di integrazione dei nuovi arrivati a livello occupazionale. In un sistema economico sempre più veloce e instabile, i settori maggiormente richiesti sono quelli più mobili poiché offrono l’opportunità di poter passare da un progetto ad un altro, a seconda delle possibilità che via via si aprono (Mezzadra & Neilson 2014). La strategia pertanto non può essere considerata soltanto come la risultante del background etnico, ma deriva anche dalle risorse, dalle dotazioni, dalle condizioni favorevoli che si riescono a mobilitare nella fase iniziale nella società d’accoglienza (Caponio e Colombo 2005).

Fra le strategie occupazionali più diffuse tra i nuovi arrivati ricadono numerose tipologie di pratiche commerciali che assumono tratti connettivi e circolari. Tra queste troviamo le attività imprenditoriali di matrice prettamente transnazionale come le imprese intermediarie; esse nascono dalla domanda dei servizi da parte degli immigrati e pertanto riguardano imprese che offrono prodotti e servizi alla popolazione immigrata. Ricordiamo a tal proposito le agenzie di viaggio13, gli internet point, i phone centers, le imprese di trasporto che consegnano all’estero cibi

locali; è il caso di coloro che sono entrati regolarmente, provvisti di un regolare permesso di soggiorno ma che non è stato rinnovato al termine della sua scadenza (ad esempio il visto turistico); vi rientrano anche i migranti che pur avendo richiesto il rinnovo, non riescono ad ottenerlo a causa dell’assenza dei requisiti statuiti; o ancora, i soggetti che si vedono revocare il permesso di soggiorno in quanto sono venuti meno i requisiti che, in precedenza, ne giustificavano il rilascio (entrano con una motivazione ufficiale, ma poi seguono attività differenti). Altra categoria è quella degli immigrati clandestini i quali, a differenza delle prime due, comprendono tutte quelle persone che scavalcano le frontiere istituzionali attraverso condotte fraudolente, privi dei documenti e dei certificati necessari, procurandosi talvolta documenti di riconoscimento falsi. La categoria dei migranti irregolari e dei clandestini è soggetta a provvedimenti di espulsione o di restrizione ma può anche diventare regolare nel caso in cui siano raggiunti e mantenuti i requisiti previsti per il soggiorno e la permanenza. Le loro condotte, specie quelle che violano ripetutamente le leggi di immigrazione, vanno a toccare questioni più profonde che riguardano la sfera economica, i sistemi di welfare, le istituzioni assistenziali e, in generale, i diritti umani delle società ospitanti (http://www.treccani.it/enciclopedia/migrazione/).

13 Le agenzie di viaggio sono anche definite come imprese prossime perché pur essendo prettamente strutturate per offrire servizi specializzati agli immigrati, può usufruirne anche la popolazione autoctona attirata dai prezzi più accessibili o dalla qualità del servizio (Ambrosini 2008).

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16 tipici e altre merci del genere. Questo genere di impresa etnica rappresenta, inoltre, un ausilio importante nelle prime fasi di arrivo (Ambrosini 2008).

Esistono poi attività commerciali inquadrabili sotto il profilo di imprese etniche allargate, in quanto forniscono prodotti o servizi ad una popolazione mista, quindi sia a soggetti stranieri che autoctoni. Vi rientrano indubbiamente le economie di bazar (Peraldi 2002, citato in Gosetti 2011). Basti pensare alla massiccia presenza nelle grandi città europee dei minimarket, i cui migranti titolari piazzano sul mercato generi alimentari etnici, libri, giornali e articoli musicali provenienti da varie parti del mondo14.

A questo genere di imprese miste si affianca il crescente aumento delle imprese esotiche, tipiche del settore della ristorazione, in cui sono messi in vendita prodotti derivanti dalla tradizione del paese di origine del proprietario. Il settore di ristorazione più gestito dai migranti è quello relativo agli street-food e ai fast-food i quali seguono la logica “qualità-prezzo”, offrendo per lo più cibo pronto e d’asporto a prezzi competitivi. Ne sono esempio i cosiddetti “kebbabari” e gli altri ristoranti etnici (ristorante cinese, giapponese, indiano ecc.) che, a partire dalla scoperta di nuovi sapori, diffondono la conoscenza e l’assimilazione di modelli culturali altri15 (Ambrosini 2010; Gosetti 2011).

Altra forma tipica, che rappresenta fortemente il transnazionalismo economico, è quella dell’autoimpiego che spesso si traduce nel piccolo commercio di strada. Questo genere di condotte lavorative evidenzia come i soggetti in mobilità, oltre a divenire una presenza strutturale per un numero progressivamente più alto di Paesi, hanno spiccate capacità di auto-organizzazione (Ambrosini 2010). Generalmente l’imprenditoria immigrata è mossa dalla volontà di non rimanere intrappolati in una condizione di esclusione che ne costituisce un grosso limite; pertanto il rifugio nel lavoro autonomo consiste dunque nell’unica alternativa momentaneamente possibile che consente di raggiungere gli standard minimi di sopravvivenza, seppur nelle condizioni più marginali degli strati sociali (Ambrosini 2010). L’edilizia ne è un esempio; all’interno di questo settore un fenomeno ricorrente è quello delle para-imprese, che sono caratterizzate da posizioni autonome e fittizie al fine di camuffare la dipendenza da un unico datore di lavoro. Un’altra via percorsa da un gran numero di soggetti è la scelta del piccolo commercio di strada, in quanto non prevede dei requisiti impegnativi, non necessita dell’impiego di cospicue dotazioni di capitali e non presenta elevate barriere tecnologiche (Ambrosini 2010).

La manifestazione di queste strategie di autorganizzazione vede il contributo non indifferente delle reti migratorie; queste ultime ricoprono un ruolo ausiliare soprattutto nelle primissime fasi di arrivo, tanto da essere riconosciute come attori salienti dei processi di integrazione (Ambrosini 2008, p. 35).

La notevole rilevanza delle reti migratorie è giustificata dal loro impegno alla creazione di spazi di scambio ed incontro con i connazionali, con la produzione di diverse forme di aggregazione sociale a seconda dei livelli in cui ognuna opera. I livelli consistono essenzialmente in: istituzioni informali come i reticoli parentali e amicali che, avendo già vissuto l’esperienza dell’arrivo, possono agevolare l’insediamento degli immigrati, specie degli immigrati irregolari; i clan di dimensioni più vaste, come quelli di villaggio o di quartiere che tendono a prendere a riferimento un leader comunitario; e infine le comunità, intese come l’insieme dei soggetti immigrati che condividono la medesima condizione nello stesso contesto geografico e che spesso

14 Si tratta comunque di oggetti “etnicamente connotati”: articoli di derivazione russa o ucraina come le matrioske, gli elefanti ed i tamburi dei negozietti dei senegalesi o, ancora, gli accessori di pietre dure naturali vendute dagli indiani e dai pakistani (Ambrosini 2008).

15 Abbiamo fatto l’esempio dei ristoranti etnici perché questi non solo possiedono una grande valenza comunicativa che tocca la sfera pubblica e privata, ma attraverso il cibo svolgono una funzione di manifestazione e rivendicazione delle identità.

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17 entrano nei circuiti della specializzazione etnica nel mercato del lavoro, o rimangono vittime dei processi di segregazione residenziale. Tali comunità possono inoltre esplicitarsi tramite la fondazione di istituzioni proprie e forme di associazionismo; il fine è quello di riprodurre entro certi limiti il contesto sociale dei luoghi di appartenenza, che può rappresentare un valido supporto, emotivo e relazionale, all’espletamento dei loro bisogni. Non sono delle semplici riproduzioni del loro patrimonio culturale e spirituale, bensì rappresentano una prova tangibile dell’impegno ad adattare le identità etniche alle condizioni del nuovo contesto (Del Lago 2005; Ambrosini 2008, 2010; Gosetti 2011).

In effetti, i diversi studi riscontrano che se le aspettative di un soggetto sono assecondate e condivise dagli altri membri della comunità, aumenta la probabilità che il suo percorso di adattamento al nuovo ambiente vada avanti positivamente. Ciò avviene in ragione del fatto che all’interno delle reti – sulla base di un sentimento di comunanza etnica (Zhou 1997, citato in Ambrosini 2008, p. 97) – si instaura un atteggiamento di cooperazione, finalizzato al superamento degli svantaggi strutturali tipici della condizione stessa di migrante.

Ciononostante, al di fuori del contesto di comunità tipico della rete migratoria, i soggetti che fanno ingresso in un nuovo Stato, sperimentano vari tentativi di integrazione che rivelano destini precari e provvisori. I processi che ne vengono fuori mantengono infatti caratteristiche parziali: il nuovo arrivato può raggiungere un sufficiente livello di inclusione all’interno dell’ambiente di lavoro a cui non segue un’integrazione nelle interazioni sociali e negli spazi urbani; oppure esso può arrivare ad adattarsi agli stili di vita e alle tendenze di consumo dei residenti, senza però che ci sia un effettivo riscontro a livello socioeconomico (Ambrosini, 2008). Un motivo di questa parzialità integrativa è dato dal fatto che spesso le politiche costruiscono dei piani d’azione che non tengono conto dell’interrelazione di più fattori, trascurandone il grado di complessità in forza di una tendenza all’acculturazione di questi soggetti. A ciò si aggiungono gli aspetti specifici del rapporto con lo straniero: esso protende ad oscillare tra un estremo ospitale e un estremo ostile, tra respingimento ed accoglimento, confinandolo in una condizione perenne di marginalità negli spazi della società locale. Gli immigrati finiscono per essere gli “osservati speciali” delle società riceventi, alimentando di conseguenza la paura del diverso, inteso come ciò che è sconosciuto. Pertanto spesso la diversità dell’altro viene percepita come una presenza ingombrante, come un qualcosa da cui difendersi poiché mette a rischio la nostra sicurezza identitaria e i nostri modi di vivere (Ambrosini 2008).

Uomini e donne migranti che si accingono a intraprendere una carriera lavorativa mettono quindi in evidenza come la loro forza lavoro sia ormai fortemente stigmatizzata rispetto alle gerarchie sociali distribuite a livello internazionale. Questo marchio è effettivamente segnalato dalle scelte stesse dei datori di lavoro, i quali costruiscono socialmente i loro schemi di preferenza dando luogo a dinamiche quali: integrazione subalterna, forme di complementarietà o, più precisamente, processi di ghettizzazione modulata degli immigrati nel mercato del lavoro. Fenomeni come questi – decisamente più marcati nelle esperienze dei soggetti originari dei paesi extra europei – conducono non solo ad una scissione tra attori locali e migranti, ma fanno sì che i primi possano considerarsi come la classe di livello sociale più alto che controlla e regola la forza lavoro dei secondi. Meccanismi come questi fungono da dispositivi di segregazione che implicano condotte di isolamento ed esclusione, a causa dell’assenza di relazioni parentali ed interazioni sociali e politiche costruite sulla base di legami localistici. Seppure il luogo di lavoro dovrebbe presentarsi come spazio capace di produrre un eguagliamento forzoso (Mezzadra & Ricciardi, 2013, p.64), è sempre più frequente la tendenza a sottovalutare e sottoutilizzare le competenze degli immigrati. Ciò finisce per rendere ancora più stretta la connessione tra tipologia di lavoro e condizione sociale, riproducendo e amplificando le distanze culturali e le condotte socialmente – e potenzialmente – devianti (Mezzadra & Ricciardi 2013).

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18 L’immigrato si trova quindi a dover includersi nel nuovo ambiente sociale in maniera autonoma e autopropulsiva. Da qui deriva la dimensione processuale e quotidiana dell’integrazione, in cui avviene una costante assimilazione di usi, consuetudini sociali, convenzioni linguistiche e schemi cognitivi. In tal modo l’integrazione dei nuovi arrivati può essere definita come un percorso arduo ed insidioso che non fa altro che minare la loro sfera identitaria e motivazionale.

I.2.3. Donne e seconde generazioni

Nell’analisi delle strategie di integrazione messe in atto dai migranti contemporanei risulta interessante considerare i percorsi di determinate categorie sociali, come le donne e le seconde generazioni, le cui esperienze appaiono più vulnerabili per alcune condizioni di base.

È fondamentale osservare il fenomeno dal punto di vista della sfera femminile in quanto il discorso sui processi di trasformazione sociale risulterebbe incompleto se non si prendesse in considerazione l’esperienza dell’altro sesso. Quest’ultima mette in luce degli aspetti centrali che costringono a rivedere il paradigma interpretativo delle mobilità transnazionali. In particolar modo emergono tre processi: le trasformazioni nei rapporti tra generi e generazioni nei paesi di partenza, la femminilizzazione delle migrazioni e la femminilizzazione del lavoro. Tali processi fungono da elementi chiave in quanto la diffusione di questo genere di forza lavoro può essere anch’essa collocata nel dinamismo del mercato globale, contribuendo in tal senso a rendere una merce o una prestazione vendibile (Zanfini 2007).

Se in precedenza gli studiosi concentravano la loro attenzione sulle conseguenze generate dall’assenza del marito che – intraprendendo l’esperienza migratoria secondo il tradizionale modello patriarcale – le trasformava in capofamiglia o, come sono state definite dalla letteratura, in vedove bianche, oggi l’adattamento delle famiglie alle nuove condizioni economico-sociali passa attraverso una ridefinizione dei ruoli di genere e di coppia che spinge la donna verso la veste di procacciatrice di risorse (Zanfrini 2007, p. 219). Si registra infatti un costante aumento della categoria di donne breadwinner (Zanfrini 2007, p. 220), ovvero coloro le quali promuovono percorsi di mobilità per sé e per il mantenimento delle famiglie di provenienza, tramite la ricerca di migliori standard di vita (Zanfrini 2007).

Il fenomeno della femminilizzazione delle migrazioni è stato definito anche con l’espressione <<femigrazione>> per indicare l’aumento su scala mondiale delle donne in mobilità (Nkomo, 2011). La femigrazione assume dunque un peso rilevante: è il risultato dell’impatto della migrazione sui processi di divisione del lavoro sociale sia all’interno che all’esterno delle mura familiari.

Un tempo le donne erano protagoniste di una cittadinanza parziale, mentre oggi rovesciano e destabilizzano l’attuale immaginario globale delle categorie di soggetti che attraversano i confini. Basta analizzare i tassi di crescita dell’ultimo decennio per osservare come le donne rappresentino quasi la metà dei flussi migratori internazionali. Secondo il rapporto sulla migrazione internazionale elaborato nel 2017 dalle Nazioni Unite (UN DESA 2017), la percentuale di donne migranti ammonta al 48,4% di tutta la popolazione migrante. Ma il dato più significativo riguarda non tanto la diffusione del fenomeno quanto più il ruolo che queste attrici rivestono: se in passato esse venivano prettamente considerate solo in quanto mogli che raggiungono in un secondo momento i propri mariti migranti, oggi è molto frequente il numero di protagoniste che sceglie di intraprendere da sola questi attraversamenti. Questo aspetto emerge esplicitamente dall’analisi dei tassi relativi alla loro massiccia presenza all’interno del mercato del lavoro; i risultati attestano come le donne svolgano sempre di più il ruolo di apripista in cerca

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19 di un’occupazione e di migliori qualità di vita per sé stesse e per il proprio nucleo familiare (Sabbadini 2017).

Tale tendenza rileva delle caratteristiche che generano – ancora una volta – effetti ambivalenti, poiché introducono elementi di complessità nell’analisi delle mobilità transnazionali contemporanee e dei processi di portata globale che le sottendono. Infatti pur rappresentando la quota più alta della categoria della brain migration16, esse si trovano spesso a svolgere prestazioni lavorative per cui si richiedono low skills. Non a caso i maggiori campi di occupazione in cui vengono inserite riguardano mansioni come addette ai lavori sartoriali, babysitter, collaboratrici domestiche, assistenti per persone anziane (Zanfrini 2007).

Ciò indica l’esistenza di un nesso indicativo tra il fenomeno dell’emigrazione femminile e il welfare informale che rimanda ad un’idea di rafforzamento dei criteri di genere sulla quale si basa la divisione stereotipata del lavoro.

In questo caso il lavoro – o per meglio dire le aspirazioni lavorative – si trova ad essere sorretto da un sistema di welfare di tipo privatistico, imperniato sul settore del lavoro di cura e dei servizi alla persona. Questi ultimi sono ambiti occupazionali di nicchia che prevedono ruoli prettamente femminili e che marcano maggiormente il paradigma della divisione sessuale del lavoro17. L’assunzione di donne immigrate come collaboratrici familiari e assistenti domiciliari è quindi considerato come una risorsa alternativa finalizzata ad alleggerire le difficoltà incontrate dalle famiglie nel sostenere i crescenti carichi assistenziali e domestici (Zanfrini 2007; Ambrosini 2008).

Le forme di impiego appena elencate si configurano come il luogo di incontro tra una specifica domanda e un’altrettanta offerta.

La domanda deriva dal venir meno, in maniera sempre più diffusa, della disponibilità di capacità di cura adeguate da parte del nucleo familiare, che vede in queste figure la possibilità di assicurare ai propri cari un riferimento sicuro e continuativo rimanendo all’interno dei confini quotidiani della propria abitazione18. Inoltre l’impiego domestico, in particolar modo quello che avviene in regime di coabitazione con i datori di lavoro, si dimostra essere un espediente funzionale alla capacità di risparmio poiché consente di comprimere le spese personali (Zanfrini 2007; Ambrosini 2008).

L’offerta, ugualmente in aumento, è composta da una forza lavoro femminile – usualmente straniera – che vede in questa nicchia occupazionale un primo canale di accesso verso la possibilità di inserimento sia lavorativo che abitativo. Pur trattandosi spesso di doversi adeguare a situazioni incerte, precarie e non sufficientemente tutelate, queste donne tendono a percepire come un sollievo la possibilità di ottenere un lavoro che allo stesso tempo gli dia modo di vivere in un contesto confortevole, accogliente e ben disposto nei loro confronti, specie quando si

16 Le abbiamo inserite tra gli attori salienti delle brain migration per il fatto che spesso si tratta di lavoratrici per lo più dotate di hight skills; ciò sta a significare che hanno conseguito un titolo di studio, che sia il diploma o la laurea (Zanfrini 2007).

17 Tale paradigma prevede una forte connessione tra la figura della donna lavoratrice e i processi di riproduzione sociale. Di fatti, è come se si venisse a creare una sorta di prolungamento del tradizionale ruolo di cura attribuito alle famiglie che, non riuscendo più a fronteggiare la pressione della domanda con le sole proprie forze, tendono (o si trovano obbligate) a riaffermare la propria funzione di perno della fornitura dei servizi alle persone ricorrendo al lavoro retribuito di collaboratrici familiari e assistenti domiciliari (Ambrosini, 2008, p.101).

18 Nel caso della presenza di familiari che hanno raggiunto la fase anziana della loro vita, per esempio, la domanda sarà mirata alla ricerca si un’assistenza sociosanitaria che possa rendersi una valida alternativa all’eventualità di un ricovero presso una struttura, se invece si tratta di bambini ci si riferirà a prestazioni relative alla vigilanza, all’accudimento materiale, alle funzioni educative e di intrattenimento durante le ore in cui i genitori non possono seguirli.

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