novembre 2015
anno cXX (LVi della 7aSerie) Fascicolo Xi
Fondata neLL’anno 1893
da Gennaro ESCOBEDO e già diretta da Giuseppe SABATINI
comitato ScientiFico FERRANDO MANTOVANI
Emerito di diritto penale
CORRADO CARNEVALE
Presidente di sezione della Corte di Cassazione
PAOLO DELL’ANNO
Ordinario di diritto amministrativo
ORESTE DOMINIONI
Ordinario di procedura penale
ANGELO GIARDA
Ordinario di procedura penale
direttore
PIETRO NOCITA
LA GIUSTIZIA PENALE
comitato di redazione:
redazione:
FAUSTO GIUNTA
Ordinario di diritto penale
CARLO FEDERICO GROSSO
Ordinario di diritto penale
GIUSEPPE RICCIO
Ordinario di procedura penale
GIORGIO SPANGHER
Ordinario di procedura penale
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FRANCESCO BRUNO
Ordinario di pedagogia sociale
GUSTAVO BARBALINARDO, Magistrato; FRANCESCO BUFFA, Magistrato; ANTONELLA DE BENEDICTIS, Avvocato; FABIANA FALATO, Ricercatore procedura penale Univ. di Napoli “Federico II”; ALESSANDRO LEOPIZZI, Magistrato; ROBERTA MARRONI, Avvocato; IRENE SCORDAMAGLIA, Magistrato
ERCOLE APRILE, Magistrato; GIOVANNI ARIOLLI, Magistrato; FRANCESCO CALLARI, Dottore di Ricerca procedura penale; VITTORIO CORASANITI, Magistrato; DIANA CAMINITI, Magistrato; LUIGI CIAMPOLI, Magistrato; FRANCESCO FALCINELLI, Av- vocato; MARCO MARIA MONACO, Dottore di Ricerca procedura penale; GIUSEPPE NOVIELLO, Magistrato; ANTONIO UGO PALMA, Avvocato; CATERINA PAONESSA, Dottore di Ricerca diritto penale Univ. di Firenze; MARIA SCAMARCIO, Magistrato;
PAOLO SIRLEO, Magistrato; DELIO SPAGNOLO, Magistrato; TIZIANA TREVISSON LUPACCHINI, Università “Tor Vergata” di Roma; ROBERTO ZANNOTTI, Professore associato diritto penale Univ. LUMSA Roma
NATALE MARIO DI LUCA
Ordinario di medicina legale
Rivista mensile di Dottrina, Giurisprudenza e Legislazione
Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento Postale
D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n°46) art. 1 comma 1, C/RM/21/2012
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GIORGIO SANTACROCE
Primo Presidente della Corte di Cassazione
VINCENZO SCORDAMAGLIA
Ordinario di diritto penale
Il Comitato scientifico e la Redazione de “La Giustizia Penale” per tradizione ultracentenaria si attengono ad una rigorosa selezione qualitativa dei lavori che pubblicano.
In ottemperanza alle modalità recentemente elaborate in sede universitaria sulla classificazione delle riviste giuridiche, i testi me- ritevoli di pubblicazione sono in forma anonima sottoposti all’ulteriore giudizio di valenti studiosi italiani e stranieri del mondo ac- cademico e dell’avvocatura, persone esterne alla Rivista di grande esperienza ed indipendenti.
NOTE A SENTENZA
BORIS A., L’ente indagato e l’ente costituito: differenti pro- spettive nell’individuazione degli spazi difensivi, III, 599.
CALLARI F., Dinamiche dei rapporti interni agli uffici requi- renti militari e profili rilevanti di responsabilità disciplinare, III, 613.
MARTIELLO G., Di nuovo sull’art. 53 c.p.: uso «proporzio-
SOMMARIO
nato» delle armi, utilizzo «perito» delle stesse e salvaguardia del terzo innocente, II, 583.
DIBATTITI
ALCINI J., Inserti subliminali, pericoli per il destinatario del messaggio e libertà personale: quale tutela penale?, II, 622.
SCORDAMAGLIA V., Rendere umano il carcere, non abo- lirlo, I, 299.
RECENSIONI
POLITI F., Interpretazione giuridica e ruolo del giudice, L’Una, L’Aquila, 2014, pp. 73, di VINCENZO SCORDAMA- GLIA, I, 318.
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE DECISIONI DELLA CORTE
PROCEDIMENTO DI SORVEGLIANZA - Udienza in camera di consiglio - Impossibilità per gli interessati di richiedere che il procedimento si svolga nelle forme dell’udienza pubblica - Violazione dell’art. 117 della Costituzione e dell’art. 6 della CEDU - Illegittimità in parte qua, I, 294.
PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA - Misure di tutela dell’embrione - Divieto di selezione a scopo eugene- tico degli embrioni - Embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità previsti dalle norme sulla interruzione della gravidanza superiore a novanta giorni - Violazione dell’art. 2 Cost. - Illegittimità costituzio- nale in parte qua, I, 290.
PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA - Misure di tutela dell’embrione - Limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni - Divieto di soppressione degli embrioni so- prannumerari - Embrioni affetti da grave malattia genetica - Ritenuta violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione ed al- l’art. 117, primo comma Cost., in relazione all’art. 8 della CEDU - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza, I, 290.
GIURISPRUDENZA INDICE PER MATERIA
CASSAZIONE (RICORSO PER) - Esistenza contestuale di una causa di estinzione del reato e di nullità assoluta e insa- nabile - Prevalenza dell’una o dell’altra - Criteri, III, 635, 136.
CASSAZIONE (RICORSO PER) - Inammissibilità del ricorso - Inidoneità a instaurare un valido rapporto di impugnazione - Rilevabilità della causa di esclusione della punibilità per par- ticolare tenuità del fatto - Esclusione - Ragioni, III, 636, 137.
COLPA - Colpa specifica - Violazione delle norme relative alla sicurezza della navigazione e della vita umana in mare - Preparazione dell’equipaggio - Obbligo del comandante di co- noscere la compartimentazione della nave - Fattispecie in cui
il comandante aveva omesso di attivare il damage control plan per mancata conoscenza della compartimentazione della nave e conseguente incapacità di valutare il pericolo, II, 597.
CONCORSO DI PERSONE NEL REATO - Presupposti - Pre- vio accordo tra i concorrenti - Necessità - Esclusione - Co- scienza del contributo dato alla condotta altrui - Necessità - Presenza non casuale di un soggetto sul luogo del delitto - Configurabilità del concorso - Condizioni, II, 592, 163.
DIFESA E DIFENSORI - Nomina del difensore - Nomina del difensore dell’ente da parte del suo rappresentante legale - Rappresentante legale indagato o imputato del reato presup- posto - Incompatibilità - Validità della nomina - Esclusione, III, 580.
DIVIETO DI ACCESSO AI LUOGHI OVE SI SVOLGONO MANIFESTAZIONI SPORTIVE - Giudizio di intrinseca pe- ricolosità del soggetto - Necessità - Esclusione - Compimento di taluna delle condotte indicate dalla norma - Sufficienza, III, 636, 138.
DIVIETO DI ACCESSO AI LUOGHI DOVE SI SVOLGONO MANIFESTAZIONI SPORTIVE - Inottemperanza al provve- dimento del questore di comparizione presso un ufficio di po- lizia durante lo svolgimento delle competizioni agonistiche - Possibilità di eccepire nel giudizio penale l’illegittimità del provvedimento successivamente alla intervenuta convalida da parte del g.i.p. nella procedura ex art. 6, comma terzo, L. 401 del 1989 - Esclusione, III, 636, 139.
DIVIETO DI ACCESSO AI LUOGHI DOVE SI SVOLGONO MANIFESTAZIONI SPORTIVE - Obbligo di presentazione ad un ufficio o comando di polizia in occasione di tali mani- festazioni - Convalida da parte del giudice - Oggetto del rela- tivo giudizio, III, 637, 140.
DIVIETO DI ACCESSO AI LUOGHI OVE SI SVOLGONO MANIFESTAZIONI SPORTIVE - Obbligo di presentazione alle autorità di polizia in coincidenza con lo svolgimento di tali manifestazioni - Ragioni di necessità e di urgenza - Esi- genza di motivazione - Limiti, III, 637, 141.
ESECUZIONE DELLA PENA - Rinvio dell’esecuzione della pena - Presupposti - Stato di salute incompatibile con il regime carcerario - Individuazione, II, 593, 164.
FALSITÀ IN ATTI - Falsità commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici - Atto interno - Inclusione nella nozione di atto pubblico, II, 593, 165.
GIUDIZIO IMMEDIATO - Reato connesso con altri reati per i quali mancano i presupposti della scelta di tale rito - Riu- nione dei procedimenti indispensabile - Prevalenza del rito or- dinario - Regola applicabile anche al giudizio immediato c.d.
custodiale - Abnormità del provvedimento di rigetto della ri- chiesta di giudizio immediato - Esclusione, III, 628.
INDUZIONE INDEBITA A DARE O PROMETTERE UTI- LITÀ - Presupposto - Abuso prevaricatore - Discrimen con il reato di concussione - Individuazione, II, 594, 166.
INTERCETTAZIONI DI CONVERSAZIONI O COMUNI- SOMMARIO
CAZIONI - Sufficienti indizi di reato - Oggetto della valuta- zione dei sufficienti indizi costituito esclusivamente da infor- mazioni confidenziali acquisite dalla polizia giudiziaria - Inutilizzabilità delle intercettazioni - Utilizzo della fonte con- fidenziale per l’individuazione dei soggetti da intercettare - Legittimità, III, 638, 142.
LESIONI PERSONALI COLPOSE - Omessa o insufficiente manutenzione della strada - Responsabilità del soggetto inca- ricato del servizio di manutenzione - Condizioni, II, 594, 167.
MISURE CAUTELARI PERSONALI - Criteri di scelta delle misure - Divieto di custodia cautelare in carcere in caso di pro- gnosi di pena irroganda non superiore a tre anni - Inadegua- tezza di ogni altra misura cautelare a far fronte alle esigenze cautelari nel caso concreto - Possibilità di derogare al divieto de quo, III, 632.
MISURE CAUTELARI PERSONALI - Esigenze cautelari - Criterio di valutazione dell’attualità del pericolo concreto di reiterazione del reato - Certezza o elevata probabilità che l’oc- casione del delitto si verificherà e che trovandosi al cospetto di essa il soggetto indiziato tornerà a delinquere, III, 638, 143.
MISURE CAUTELARI PERSONALI - Esigenze cautelari - Pericolo di fuga e pericolo di reiterazione del reato - Criterio di valutazione - Astratta correlazione alla gravità del solo ti- tolo di reato contestato - Esclusione - Pericolo attuale e con- creto - Necessità, III, 638, 144.
MISURE CAUTELARI PERSONALI - Incidenza delle norme introdotte dalla legge n. 47 del 2015 sulle misure cautelari in corso - Insensibilità alle modifiche normative - Necessità di una verifica delle condizioni di permanenza dei presupposti giustificativi della limitazione della libertà personale ex art.
299 c.p., III, 577.
MISURE CAUTELARI REALI - Impugnazioni - Riesame av- verso il decreto di sequestro preventivo - Richiesta presentata dal difensore dell’ente nominato dal rappresentante legale in- compatibile - Inammissibilità della richiesta, III, 580.
MISURE CAUTELARI REALI - Impugnazioni - Riesame avverso il decreto di sequestro preventivo - Riesame proposto dal difensore dell’ente nominato dal rappresentante legale ex art. 96 c.p.p. - Mancanza di un atto formale di costituzione dell’ente nel procedimento ex art. 39 del d. lgs. 231 del 2001 - Ammissibilità della richiesta di riesame- Condizioni, III, 580.
MISURE CAUTELARI REALI - Sequestro preventivo - Reati paesaggistici - Sequestro preventivo della struttura abusiva - Periculum in mora - Danno all’ambiente determinato dalla sola presenza e utilizzazione dell’opera, III, 639, 145.
MISURE CAUTELARI REALI - Sequestro preventivo - Se- questro preventivo funzionale alla confisca del profitto del reato tributario - Sequestro diretto del profitto nei confronti dell’ente - Impossibilità - Sequestro per equivalente nei con- fronti dell’autore del reato - Onere di allegazione e prova da parte di quest’ultimo di indicare i beni sui quali sia possibile disporre la confisca diretta nei confronti della società, III, 639, 146.
MISURE DI PREVENZIONE - Confisca dei beni sequestrati - Bene sottoposto ad ipoteca - Ammissione allo stato passivo del terzo titolare del diritto di credito - Condizioni - Buona fede - Onere della prova a carico del terzo - Sussistenza, II, 594, 168.
MISURE DI PREVENZIONE - Misure di prevenzione perso- nali - Violazioni degli obblighi inerenti alla sorveglianza spe- ciale - Violazione della prescrizione di “non dare ragione di sospetti” - Esclusione del reato per non essere più prevista dalla legge, II, 595, 169.
ORDINAMENTO GIUDIZIARIO - Disciplina della magistra- tura - Illeciti disciplinari - Procedimento a carico di magistrato militare - Autonomia del pubblico ministero in udienza - For- mulazione, da parte del sostituto procuratore militare, di ri- chieste non coerenti con le precedenti determinazioni dell’ufficio di Procura e senza preventivo avviso al procura- tore - Responsabilità disciplinare - Fondamenti, III, 606.
ORDINAMENTO GIUDIZIARIO - Disciplina della magistra- tura - Illeciti disciplinari - Procedimento a carico di magistrato militare - Sostituto procuratore militare assegnatario del fa- scicolo - Trasmissione all’A.G.O. non concertata col procura- tore coassegnatario - Rilevanza disciplinare - Configurabilità della fattispecie, III, 606.
ORDINAMENTO PENITENZIARIO - Rimedi risarcitori con- seguenti alla violazione dell’art. 3 della CEDU nei confronti di soggetti detenuti o internati - Reclamo - Ammissibilità - Condizioni - Verifica dei fatti generatori del pregiudizio quan- d’anche non attuali purché la detenzione sia ancora in corso, III, 640, 147.
PECULATO - Elemento oggettivo - Possesso o disponibilità del denaro o della cosa mobile - Nesso funzionale - Necessità, II, 595, 170.
REATI FALLIMENTARI - Bancarotta semplice - Mancata tempestiva richiesta di dichiarazione del proprio fallimento - Elemento psicologico - Colpa grave - Necessità di tenere conto delle scelte che hanno determinato il ritardo nella richie- sta, II, 595, 171.
SICUREZZA SUI LUOGHI DI LAVORO - Infortunio sul la- voro - Esonero della responsabilità del datore di lavoro per imprudenza, imperizia o negligenza del lavoratore nella cau- sazione dell’evento - Casi e condizioni, II, 596, 172.
SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO CON MESSA ALLA PROVA - Criteri per la determinazione della pena - De- litti puniti con pena non superiore a quattro anni o di cui al- l’art. 550, secondo comma, c.p.p. - Computo degli aumenti conseguenti alle circostanze aggravanti ad effetto speciale - Necessità - Esclusione della sospensione, II, 596, 173.
USO LEGITTIMO DELLE ARMI - Eccesso colposo - Accer- tata ricorrenza dei presupposti di necessità e proporzione della reazione armata - Rischio di verificazione di un evento lesivo più grave di quello perseguito o a carico di persona innocente - Addebitabilità all’agente - Esclusione, II, 577.
USO LEGITTIMO DELLE ARMI - Violenza da respingere o SOMMARIO
resistenza da vincere - Fuga attuata con modalità tali da porre
in pericolo l’incolumità fisica di terzi - Inclusione - Reazione armata del pubblico ufficiale - Presupposti - Necessità e pro- porzione, II, 577.
SOMMARIO
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LA GIUSTIZIA PENALE si pubblica in fascicoli divisi in tre parti: la prima parte (di almeno dodici sedicesimi annui) è dedicata ai Presupposti del Diritto e della Procedura penale; la seconda parte (di almeno ventisette sedicesimi annui) è dedicata al Diritto penale (Codice penale e leggi penali speciali); la terza parte (di almeno quindici sedicesimi annui) è dedi- cata alla Procedura penale (Codice di procedura penale e leggi penali speciali).
Ogni parte ha una numerazione autonoma: l’Indice è comune alle tre parti. Ai dodici fascicoli mensili segue un Indice generale annuale, con riferimento ai singoli articoli dei Codici e delle leggi speciali nonché un elenco cronologico delle sen- tenze riprodotte per esteso o per massima, con indice alfabetico delle parti a cui si riferiscono le sentenze, con indice anali- tico alfabetico delle parti a cui si riferiscono le sentenze, con indice analitico alfabetico e della bibliografia.
A) La Prima parte (I presupposti del diritto e della Procedura penale) contiene:
a) articoli originali, memorie e studi relativi alla criminologia, alla psichiatria, alla medicina legale, all’antropologia criminale, al diritto penitenziario, alle discipline ausiliarie del diritto e della procedura penale, al diritto internazionale, costi- tuzionale, amministrativo e civile;
b) sentenze con note critiche;
c) recensioni e bollettino bibliografico della dottrina italiana e straniera, relativi alle scienze sopra ricordate e alle scien- ze giuridiche e sociali in genere;
d) resoconti e commenti;
e) varietà.
B) La Seconda parte (Diritto Penale) e la Terza parte (Procedura Penale) contengono:
a) articoli originali di dottrina;
b) le principali sentenze per esteso, della Corte Suprema di Cassazione, del Tribunale Supremo Militare e dei giudici di merito, con note critiche e di commento;
c) massimario completo della giurisprudenza penale della Corte Suprema di Cassazione e massimario della giuri- sprudenza civile relativa ai rapporti fra giudizio civile e giudizio penale, alla responsabilità civile, alla circolazione stra- dale, con note di richiami;
d) massimario di giurisprudenza della Corte di cassazione interna di diritto e procedura penale militare;
e) dibattiti sui più importanti problemi e sulle questioni controverse in materia penale;
f) recensioni delle opere giuridiche italiane e straniere;
g) bollettino bibliografico delle pubblicazioni giuridiche con speciale riguardo alla duplice parte della dottrina;
h) sunti degli articoli pubblicati nelle Riviste italiane e straniere.
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Annate arretrate: da convenire. Prezzo del fascicolo arretrato € 13,94.
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Coordinatrice Anna Mascoli Sabatini
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A) La Prima parte (I presupposti del diritto e della Procedura penale) contiene:
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
DECISIONI DELLA CORTE
Sentenza n. 229 - 21 ottobre 2015 Pres. Criscuolo - Rel. Morelli
Procreazione medicalmente assistita - Misure di tutela dell’embrione - Divieto di selezione a scopo eugenetico degli embrioni - Embrioni affetti da malattie genetiche trasmissi- bili rispondenti ai criteri di gravità previsti dalle norme sulla interruzione della gravidanza superiore a novanta giorni - Violazione dell’art. 2 Cost. - Illegittimità costituzionale in parte qua (Cost. art. 2; l. 19 febbraio 2004, n. 40, artt. 13, comma 3, lett. b), 4; l. 22 maggio 1978, n. 194, art. 6, comma 1, lett. b)
Procreazione medicalmente assistita - Misure di tutela dell’embrione - Limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni - Divieto di soppressione degli embrioni soprannu- merari - Embrioni affetti da grave malattia genetica - Rite- nuta violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione ed all’art.
117, primo comma Cost., in relazione all’art. 8 della CEDU - Questione di legittimità costituzionale - Infondatezza (Cost.
artt. 2, 3, 117, comma1; Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, art. 8)
È costituzionalmente illegittimo l’art. 13, commi 3, lettera b), e 4 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di pro- creazione medicalmente assistita) - in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione ed all’art. 117, primo comma Cost., in rela- zione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), fir- mata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 all’art. 2 della Costituzione - nella parte in cui contempla come ipotesi di reato la condotta di sele- zione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia esclusiva- mente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela della mater- nità e sulla interruzione della gravidanza) e accertate da appo- site strutture pubbliche.
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell’ar- ticolo 14, commi 1 e 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) - sol- levata in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione ed all’art.
117, primo comma Cost., in relazione all’art. 8 della Conven- zione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 - perché con riguardo agli embrioni che, in esito a diagnosi preimpianto, risultino affetti da grave malattia genetica si pro-
spetta l’esigenza di tutelare la dignità dell’embrione, alla quale non può darsi, allo stato, altra risposta che quella della proce- dura di crioconservazione. L’embrione, infatti, quale che ne sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività corre- lato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico. Il vulnus alla tutela della dignità dell’em- brione (ancorché) malato, quale deriverebbe dalla sua soppres- sione tamquam res, non trova giustificazione, in termini di contrappeso, nella tutela di altro interesse antagonista.
(omissis) Ritenuto in fatto
1. Nel corso di un processo penale, il Tribunale ordinario di Napoli - premessane la rilevanza e la non manifesta infondatezza in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, nonché per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 - ha sollevato, con l’ordinanza in epigrafe, duplice questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3, let- tera b), e 4, e dell’art. 14, commi 1 e 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente as- sistita), nella parte in cui dette norme contemplano quali ipotesi di reato - come quelle, appunto, tra le altre contestate ai profes- sionisti, imputati in quel giudizio - rispettivamente, la selezione eugenetica e la soppressione degli embrioni soprannumerari,
«senza alcuna eccezione», non facendo, quindi, salva l’ipotesi in cui una tale condotta «sia finalizzata all’impianto nell’utero della donna dei soli embrioni non affetti da malattie genetiche o por- tatori sani di malattie genetiche» e la soppressione concerna, con- seguentemente, gli embrioni soprannumerari affetti, invece, da siffatte malattie.
1.1. In particolare, secondo il rimettente, l’art. 13, commi 3, lettera b), e 4, della su citata legge n. 40 del 2004 - con il sanzio- nare penalmente anche la condotta dell’operatore medico volta a consentire il trasferimento nell’utero della donna dei soli em- brioni sani o portatori sani di malattie genetiche - violerebbe l’art.
3, sotto il profilo della ragionevolezza, e l’art. 32 Cost., per con- traddizione rispetto alla finalità di tutela della salute dell’em- brione di cui all’art. 1 della medesima legge n. 40.
E contrasterebbe, altresì, con l’art. 117, primo comma, Cost.,
«in relazione all’art. 8 della CEDU, come interpretato nella giu- risprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, laddove ha affermato che il diritto al rispetto della vita privata e familiare include il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattia genetica (in tal senso, Corte EDU, Costa e Pavan con- tro Italia, sentenza del 28 agosto 2012, § 57)».
1.2. A sua volta sempre ad avviso del Tribunale a quo, il suc- cessivo art. 14, commi 1 e 6, della legge n. 40, pregiudicherebbe il diritto di autodeterminazione garantito dall’art. 2 Cost.; viole- rebbe l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza; e si por- rebbe, pure esso, in contrasto con il richiamato art. 8 della CEDU, con conseguente violazione dell’art. 117, primo comma, Cost..
Ciò sul rilievo che «l’assoggettare a sanzione penale l’operatore medico che proceda alla soppressione degli embrioni soprannu- merari affetti da malattie genetiche, costringerebbe le coppie che fanno ricorso alle tecniche di PMA, e che volessero evitare il pro- creare un figlio affetto da malattia genetica, a subire in ogni caso l’impianto degli embrioni affetti da malattie genetiche - con evi- dente pregiudizio della salute dalla donna se non sotto il profilo fisico, quantomeno da un punto di vista psicologico - nonché a seguire necessariamente la strada dell’interruzione volontaria della gravidanza».
10.I.2015
LA GIUSTIZIA PENALE 2015 (Parte Prima: I Presupposti)
290 291
292 293 2. Nell’introdotto giudizio incidentale di legittimità costituzio-
nale si sono costituiti, con memoria depositata il 29 settembre 2014, cinque degli imputati nel procedimento penale a quo, per chiedere l’accoglimento delle questioni nei termini come pro- spettati dal giudice rimettente.
3. Non si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. Il Tribunale ordinario di Napoli sospetta che l’art. 13 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) - con il vietare, sub comma 3, lettera b), e penalmente sanzionare, sub comma 4, in modo indiscriminato,
«ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni», senza escludere, dalla fattispecie di reato così configurata, l’ipo- tesi in cui la condotta dei sanitari «sia finalizzata ad evitare l’im- pianto nell’utero della donna degli embrioni affetti da malattie genetiche» - contrasti con gli artt. 3 e 32 della Costituzione, «per violazione del principio di ragionevolezza, corollario del princi- pio di uguaglianza» e per vulnus al diritto alla salute, tutelato dalla stessa “legge 40” anche nei confronti della coppia genera- trice; e violi altresì l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 «come interpretato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, laddove ha affermato che il diritto al rispetto della vita privata e familiare include il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattia genetica (in tal senso, Corte EDU, Costa e Pavan contro Italia, sentenza del 28 agosto 2012, § 57)».
Lo stesso Tribunale sottopone al vaglio di costituzionalità anche il successivo art. 14, commi 1 e 6, della predetta legge n.
40 del 2004, nella parte in cui parallelamente vieta e penalmente sanziona la condotta di soppressione degli embrioni, anche ove trattasi di embrioni soprannumerari risultati affetti da malattie genetiche a seguito di selezione finalizzata ad evitarne appunto l’impianto nell’utero della donna.
Il rimettente dubita, con riguardo a detto disposto normativo, che ne risultino violati l’art. 2 Cost., «sotto il profilo della tutela del diritto all’autodeterminazione della coppia»; l’art. 3 Cost., per irragionevolezza e contraddittorietà rispetto al disposto del- l’art. 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravi- danza), che «consente agli operatori sanitari di praticare l’aborto terapeutico - anche oltre il termine di 90 giorni dall’inizio della gravidanza - in presenza di “processi patologici, tra cui quelli re- lativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro”»; oltre che l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al medesimo pa- rametro europeo come sopra evocato.
2. La prima questione è fondata per l’assorbente ragione e nei limiti che si diranno.
2.1. Con la recente sentenza n. 96 del 2015, questa Corte ha, infatti, già dichiarato l’illegittimità costituzionale dei precedenti artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della stessa legge n. 40 del 2004, «nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili porta- trici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 mag- gio 1978, n. 194 […], accertate da apposite strutture pubbliche».
E «Ciò al fine esclusivo», come chiarito in motivazione, «della previa individuazione», in funzione del successivo impianto nell’utero della donna, «di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro», alla stregua del suddetto “criterio normativo di gravità”.
2.2. Quanto è divenuto così lecito, per effetto della suddetta pronunzia additiva, non può dunque - per il principio di non con- traddizione - essere più attratto nella sfera del penalmente rile- vante.
Ed è in questi esatti termini e limiti che l’art. 13, commi 3, let- tera b), e 4, della legge n. 40 del 2004 va incontro a declaratoria di illegittimità costituzionale, nella parte, appunto, in cui vieta, sanzionandola penalmente, la condotta selettiva del sanitario volta esclusivamente ad evitare il trasferimento nell’utero della donna di embrioni che, dalla diagnosi preimpianto, siano risultati affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 194 del 1978, accertate da apposite strutture pubbliche.
3. La seconda connessa questione - di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1 e 6, della legge n. 40 del 2004 - è, invece, non fondata.
Come reiteratamente, infatti, ribadito nella giurisprudenza di questa Corte, la discrezionalità legislativa circa l’individuazione delle condotte penalmente punibili può essere censurata in sede di giudizio di costituzionalità soltanto ove il suo esercizio ne rap- presenti un uso distorto od arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza (sentenze n. 81 del 2014, n. 273 del 2010, n. 364 del 2004, ordinanze n. 249 del 2007, n. 110 del 2003, n. 144 del 2001, ex plurimis).
Nel caso in esame, deve escludersi che risulti, per tali profili, censurabile la scelta del legislatore del 2004 di vietare e sanzio- nare penalmente la condotta di «soppressione di embrioni», ove pur riferita - ciò che propriamente il rimettente denuncia - agli embrioni che, in esito a diagnosi preimpianto, risultino affetti da grave malattia genetica.
Anche con riguardo a detti embrioni, la cui malformazione non ne giustifica, sol per questo, un trattamento deteriore ri- spetto a quello degli embrioni sani creati in «numero […] supe- riore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto», ex comma 2 del medesimo art. 14, nel testo risultante dalla sentenza n. 151 del 2009, si prospetta, infatti, l’esigenza di tutelare la dignità dell’embrione, alla quale non può parimenti darsi, allo stato, altra risposta che quella della procedura di crioconservazione. L’embrione, infatti, quale che ne sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico.
Con la citata sentenza n. 151 del 2009, questa Corte ha già, del resto, riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela del- l’embrione, riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.; e l’ha bensì ritenuta suscettibile di «affievolimento» (al pari della tutela del concepito: sentenza n. 27 del 1975), ma solo in caso di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale (come il diritto alla salute della donna) che, in temine di bilanciamento, risultino, in date situazioni, prevalenti.
Nella fattispecie in esame, il vulnus alla tutela della dignità dell’embrione (ancorché) malato, quale deriverebbe dalla sua soppressione tamquam res, non trova però giustificazione, in ter- mini di contrappeso, nella tutela di altro interesse antagonista.
E ciò conferma la non manifesta irragionevolezza della nor- mativa incriminatrice denunciata.
La quale neppure contrasta con l’asserito «diritto di autodeter- minazione» o, per interposizione, con il richiamato parametro europeo, per l’assorbente ragione che il divieto di soppressione dell’embrione malformato non ne comporta, per quanto detto, l’impianto coattivo nell’utero della gestante, come il rimettente presuppone e, in relazione ai suddetti parametri, appunto censura.
(omissis)
LA GIUSTIZIA PENALE 2015 (Parte Prima: I Presupposti)
Sentenza n. 97 - 15 aprile 2015 Pres. Criscuolo - Rel. Frigo
Procedimento di sorveglianza - Udienza in camera di con- siglio - Impossibilità per gli interessati di richiedere che il pro- cedimento si svolga nelle forme dell’udienza pubblica - Violazione dell’art. 117 della Costituzione e dell’art. 6 della CEDU - Illegittimità in parte qua (Cost. art. 117, comma 1; Con- venzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con l. 4 agosto 1955, n. 848, art.
6, par. 1; Cod. proc. pen. artt. 678, comma 1, e 666, comma 3) Sono costituzionalmente illegittimi gli artt. 678, comma 1, e 666, comma 3, del codice di procedura penale - in riferimento all’art. 117, comma 1, della Costituzione e all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, così come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo - nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento davanti al tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza si svolga nelle forme dell’udienza pubblica.
(omissis) Ritenuto in fatto
Con ordinanza depositata il 14 luglio 2014, il Tribunale di sor- veglianza di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 111, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 666, comma 3, e 678, comma 1, del codice di procedura penale, «nella parte in cui non consentono che il procedimento innanzi il Tribunale di Sorve- glianza nelle materie di competenza si svolga, su istanza degli in- teressati, nelle forme della pubblica udienza».
Il giudice a quo premette di essere investito della domanda di concessione della detenzione domiciliare (art. 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, recante «Norme sull’ordinamento peniten- ziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà»), presentata ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.
da una persona condannata alla pena di due anni e otto mesi di re- clusione. Riferisce, altresì, che il difensore dell’interessato aveva chiesto che il procedimento fosse trattato «in forma pubblica».
Il rimettente rileva che, in base alla normativa vigente, la ri- chiesta non potrebbe essere accolta. L’art. 678, comma 1, cod.
proc. pen. stabilisce, infatti, che il tribunale di sorveglianza, nelle materie di sua competenza, procede «a norma dell’articolo 666», il quale, a sua volta, prevede, al comma 3, che «il giudice o il pre- sidente del collegio, designato il difensore di ufficio all’interessato che ne sia privo, fissa la data dell’udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso alle parti e ai difensori».
Il dettato normativo risulterebbe, pertanto, inequivoco nello sta- bilire che il procedimento di sorveglianza abbia luogo «in camera di consiglio»: formula che – alla luce di un consolidato orienta- mento giurisprudenziale – implicherebbe un rinvio alla disciplina generale dettata dall’art. 127 cod. proc. pen., il quale dispone espressamente, al comma 6, che l’udienza si svolge «senza la pre- senza del pubblico».
Ad avviso del giudice a quo, le norme censurate violerebbero, per questo verso, l’art. 117, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto – non superabile per via di interpretazione – con il prin- cipio di pubblicità dei procedimenti giudiziari, sancito dall’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, così come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
In pronunce rese nei confronti dello Stato italiano, concernenti i procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione e per la riparazione dell’ingiusta detenzione (sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia; sentenza 8 luglio 2008, Perre e altri contro Italia; sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti contro Ita- lia), la Corte di Strasburgo ha, in effetti, ritenuto che le procedure
«in camera di consiglio» prese in considerazione si pongano in contrasto con l’indicata garanzia convenzionale, che tutela le per- sone soggette a giurisdizione contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico, e costituisce uno dei mezzi per preservare la fiducia nei giudici.
In particolare, con riguardo ai procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione (cui si riferiscono le prime due pronunce dianzi citate), la Corte europea ha osservato che – pur a fronte dell’elevato grado di tecnicismo che dette procedure possono pre- sentare e delle esigenze di protezione della vita privata di terze per- sone, in esse spesso riscontrabili – l’entità della «posta in gioco»
e gli effetti che le procedure stesse possono produrre sulle persone coinvolte non consentono di affermare che il controllo del pubblico non rappresenti una condizione necessaria alla garanzia dei diritti dell’interessato. Di conseguenza, ha giudicato «essenziale», ai fini del rispetto del citato art. 6, paragrafo 1, della Convenzione, che i soggetti coinvolti nelle procedure in questione «si vedano almeno offrire la possibilità di sollecitare una pubblica udienza davanti alle sezioni specializzate dei tribunali e delle corti d’appello».
Tale esigenza – ravvisata dalla Corte europea in rapporto alle misure di prevenzione patrimoniali, che mirano alla confisca di
«beni e capitali» – sussisterebbe a maggior ragione per le proce- dure di competenza del tribunale di sorveglianza, che investono direttamente e in modo rilevante la libertà personale del soggetto coinvolto.
La Corte costituzionale, del resto, proprio in applicazione dei principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha di- chiarato, con la sentenza n. 135 del 2014, costituzionalmente il- legittimi gli artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen., «nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza si svolga, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell’udienza pubblica».
Nell’occasione, la Corte costituzionale ha evidenziato come l’obiettivo precipuo di detto procedimento sia «quello di accertare la concreta pericolosità sociale del soggetto che dovrebbe essere sottoposto alla misura: accertamento al quale il magistrato di sor- veglianza è chiamato non solo nell’ipotesi in cui sia egli stesso a provvedere alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o all’applicazione di una misura di sicurezza nei casi previsti dall’art. 205, secondo comma, cod. pen., ma anche quando si tratti di dare esecuzione ai corrispondenti provvedimenti assunti dal giu- dice con la sentenza di condanna o di proscioglimento che defini- sce il processo penale. […] Avuto riguardo all’evidenziato oggetto dell’accertamento, non si è, dunque, di fronte ad un contenzioso a carattere meramente e altamente “tecnico”, rispetto al quale il con- trollo del pubblico sull’esercizio dell’attività giurisdizionale – ri- chiesto dall’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo – possa ritenersi non necessario alla luce della peculiare natura delle questioni trattate».
Secondo il rimettente, le affermazioni ora ricordate sarebbero senz’altro estensibili al procedimento davanti al tribunale di sor- veglianza.
Quest’ultimo è chiamato, infatti, a pronunciarsi «sull’An, Quando, Quomodo e Quantum della pena», con compiti che spa- ziano dal differimento della sua esecuzione (art. 147 del codice pe- nale) alla «modulazione della pena» nei confronti del condannato libero che abbia visto sospeso l’ordine di esecuzione della pena detentiva (art. 656, comma 5, cod. proc. pen.), dall’ammissione
294 LA GIUSTIZIA PENALE 2015 (Parte Prima: I Presupposti) 295
alle misure alternative alla detenzione dei condannati detenuti (artt.
47 e seguenti della legge n. 354 del 1975) alla riduzione della pena per liberazione anticipata (art. 54 della legge n. 354 del 1975).
Nelle ipotesi considerate, il tribunale di sorveglianza è deputato a verificare, prima di tutto, l’attualità e il grado di pericolosità so- ciale dell’istante, in sede di concreta esecuzione dei provvedi- menti adottati dal giudice con la sentenza di condanna: verifica del tutto analoga all’accertamento della pericolosità sociale che il magistrato di sorveglianza compie nel procedimento per l’appli- cazione di misure di sicurezza.
Anche la pronuncia del tribunale di sorveglianza non segue, d’altro canto, immediatamente la commissione del reato, ma può intervenire a notevole distanza temporale da esso: circostanza che renderebbe particolarmente traumatica l’incidenza della decisione sulla libertà personale dell’interessato e, di conseguenza, mag- giormente avvertita l’esigenza di tutela dei diritti della persona.
Le norme censurate violerebbero, altresì, l’art. 111, primo comma, Cost., in forza del quale la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.
Sebbene, infatti, il procedimento disciplinato dagli artt. 666, 678 e 127 cod. proc. pen. appaia strutturato, nel complesso, in ma- niera tale da assicurare l’effettività del diritto di difesa, la previ- sione del suo svolgimento nella forma dell’udienza camerale non sarebbe idonea a garantire un controllo sull’esercizio dell’attività giurisdizionale adeguato alla gravità dei provvedimenti adottabili, atti ad incidere in modo definitivo, diretto e immediato sulla li- bertà personale dell’interessato.
In questa prospettiva, anche ai fini dell’attuazione di un «equo processo», dovrebbe essere dunque prevista la possibilità di svol- gimento del procedimento in forma pubblica almeno su richiesta degli interessati.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di sorveglianza di Napoli dubita della legitti- mità costituzionale della disposizione combinata degli artt. 666, comma 3, e 678, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente che il procedimento davanti al tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza si svolga, su istanza degli interessati, nelle forme dell’udienza pubblica.
Ad avviso del giudice a quo, le norme censurate violerebbero l’art. 117, primo comma, della Costituzione, ponendosi in contra- sto – non superabile in via di interpretazione – con il principio di pubblicità dei procedimenti giudiziari, sancito dall’art. 6, para- grafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti del- l’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, così come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Le medesime disposizioni violerebbero, altresì, l’art. 111, primo comma, Cost., giacché la possibilità di svolgere in forma pubblica il procedimento in questione, almeno su richiesta degli interessati, risulterebbe indispensabile ai fini dell’attuazione di un «giusto processo», tenuto conto della gravità dei provvedimenti adottabili in esito al procedimento stesso, incidenti in modo diretto e rile- vante sulla libertà personale.
2.– La questione è fondata.
Questa Corte, con le sentenze n. 93 del 2010 e n. 135 del 2014, ha già dichiarato costituzionalmente illegittime – per contrasto, rispettivamente, con l’art. 117, primo comma, Cost. e con en- trambi i parametri costituzionali oggi evocati – le disposizioni re- golative del procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione (art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, recante
«Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità», e art. 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575, recante «Disposizioni contro le organizza-
zioni criminali di tipo mafioso, anche straniere») e del procedi- mento per l’applicazione delle misure di sicurezza (artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen.), nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, le procedure stesse si svolgano nelle forme dell’udienza pubblica, quanto ai gradi di merito (la medesima esigenza costituzionale non è stata ritenuta, invece, ravvisabile relativamente al ricorso per cassazione, in quanto giudizio di impugnazione destinato alla trattazione di questioni di diritto: sentenza n. 80 del 2011).
Considerazioni analoghe a quelle svolte in tali occasioni val- gono anche in riferimento alla questione oggi in esame. Essa in- veste le modalità di svolgimento del procedimento davanti al tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza, previsto dall’art. 678, comma 1, cod. proc. pen. (s’intende, per la parte non già coperta dalla citata sentenza n. 135 del 2014, ossia con ri- guardo alle competenze diverse e ulteriori rispetto a quella in tema di impugnazione dei provvedimenti relativi alle misure di sicu- rezza, ai sensi dell’art. 680 cod. proc. pen.): procedimento il cui carattere giurisdizionale non è in discussione.
Come già rilevato dalla sentenza n. 135 del 2014, il dato norma- tivo è univoco nell’escludere la partecipazione del pubblico al pro- cedimento in questione. L’art. 678, comma 1, cod. proc. pen.
prevede, infatti, che il tribunale di sorveglianza, nelle materie di sua competenza, procede «a norma dell’articolo 666». Trova, pertanto, applicazione anche il comma 3 di tale articolo, il quale prevede la fissazione di una «udienza in camera di consiglio»: formula che rende operante, a sua volta, in assenza di previsioni derogatorie, la disciplina generale del procedimento camerale recata dall’art. 127 cod. proc. pen. e, segnatamente, dal suo comma 6, in forza del quale
«l’udienza si svolge senza la presenza del pubblico».
3.– Siffatto regime si rivela, peraltro, incompatibile con la ga- ranzia della pubblicità dei procedimenti giudiziari, sancita dall’art.
6, paragrafo 1, della CEDU, così come interpretato dalla Corte eu- ropea dei diritti dell’uomo, e, di conseguenza, con l’art. 117, primo comma, Cost., rispetto al quale la citata disposizione convenzio- nale assume una valenza integrativa, quale «norma interposta».
L’art. 6, paragrafo 1, della CEDU stabilisce – per la parte confe- rente – che «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata [...], pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale [...]», soggiungendo, altresì, che «La sen- tenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa por- tare pregiudizio agli interessi della giustizia».
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha già avuto modo di ri- tenere in contrasto con l’indicata garanzia convenzionale taluni procedimenti giurisdizionali dei quali la legge italiana prevedeva la trattazione in forma camerale. Ciò è avvenuto, in specie, con riguardo al procedimento applicativo delle misure di prevenzione (sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia, sulla cui scia sentenza 26 luglio 2011, Paleari contro Italia; sentenza 17 maggio 2011, Capitani e Campanella contro Italia; sentenza 2 febbraio 2010, Leone contro Italia; sentenza 5 gennaio 2010, Bon- giorno e altri contro Italia; sentenza 8 luglio 2008, Perre e altri contro Italia) e al procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione (sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti contro Italia).
La Corte europea è pervenuta a tale conclusione richiamando la propria costante giurisprudenza, secondo la quale la pubblicità delle procedure giudiziarie tutela le persone soggette alla giuri- sdizione contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico, e costituisce anche uno strumento per preservare la fi-
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ducia nei giudici, contribuendo così a realizzare lo scopo dell’art.
6, paragrafo 1, della CEDU: ossia l’equo processo.
Come attestano le eccezioni previste dalla seconda parte della norma, questa non impedisce, in assoluto, alle autorità giudiziarie di derogare al principio di pubblicità dell’udienza. La stessa Corte europea ha, d’altra parte, ritenuto che alcune situazioni eccezionali, attinenti alla natura delle questioni da trattare – quale, ad esempio, il carattere «altamente tecnico» del contenzioso – possano giusti- ficare che si faccia a meno di un’udienza pubblica. In ogni caso, tuttavia, l’udienza a porte chiuse, per tutta o parte della durata, deve essere «strettamente imposta dalle circostanze della causa».
Con particolare riguardo al procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione, la Corte di Strasburgo non ha negato che detta procedura possa presentare «un elevato grado di tecnicità» e far emergere, altresì, esigenze di protezione della vita privata di terze persone. Ma ha rilevato che l’entità della «posta in gioco» – rappresentata (nel caso delle misure patrimoniali) dalla confisca di
«beni e capitali» – e gli effetti che la procedura stessa può produrre sulle persone non consentono di affermare «che il controllo del pub- blico» – almeno su sollecitazione del soggetto coinvolto – «non sia una condizione necessaria alla garanzia del rispetto dei diritti del- l’interessato». Di conseguenza, ha ritenuto «essenziale», ai fini della realizzazione della garanzia prefigurata dalla norma convenzionale,
«che le persone […] coinvolte in un procedimento di applicazione delle misure di prevenzione si vedano almeno offrire la possibilità di sollecitare una pubblica udienza davanti alle sezioni specializzate dei tribunali e delle corti d’appello» (sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia).
In termini similari la Corte europea si è espressa con riferimento al procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, non ravvisando, anche in tal caso, alcuna circostanza eccezionale atta a giustificare la deroga generale e assoluta al principio di pubbli- cità dei giudizi, insita nella previsione della sua trattazione in forma camerale (art. 315, comma 3, in relazione all’art. 646, comma 1, cod. proc. pen.). Nell’ambito di tale procedura, infatti, i giudici interni sono chiamati essenzialmente a valutare se l’in- teressato abbia contribuito a provocare la sua detenzione inten- zionalmente o per colpa grave: sicché non si discute di «questioni di natura tecnica che possono essere regolate in maniera soddi- sfacente unicamente in base al fascicolo» (sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti contro Italia).
4.– Come già rilevato da questa Corte con le citate sentenze n.
93 del 2010 e n. 135 del 2014, la norma convenzionale, come in- terpretata dalla Corte europea, non contrasta con le conferenti tutele offerte dalla nostra Costituzione (ipotesi nella quale la norma stessa rimarrebbe inidonea a integrare il parametro dell’art. 117, primo comma, Cost.), ma si pone, anzi, in sostanziale assonanza con esse.
L’assenza di un esplicito richiamo, non scalfisce, infatti, il va- lore costituzionale del principio di pubblicità delle udienze giu- diziarie, peraltro consacrato anche in altre carte internazionali dei diritti fondamentali. La pubblicità del giudizio – specie di quello penale – rappresenta, in effetti, un principio connaturato ad un or- dinamento democratico (ex plurimis, sentenze n. 373 del 1992, n.
69 del 1991 e n. 50 del 1989). Il principio non ha valore assoluto, potendo cedere in presenza di particolari ragioni giustificative, purché, tuttavia, obiettive e razionali (sentenza n. 212 del 1986), e, nel caso del dibattimento penale, collegate ad esigenze di tutela di beni a rilevanza costituzionale (sentenza n. 12 del 1971).
5.– Ciò posto, le conclusioni raggiunte da questa Corte con ri- guardo al procedimento per l’applicazione delle misure di sicu- rezza appaiono senz’altro estensibili al procedimento in esame.
Le materie di competenza del tribunale di sorveglianza, per le quali deve essere osservato il predetto procedimento – prescin- dendo da quella già attinta dalla sentenza n. 135 del 2014 – ri- guardano, in particolare, la concessione delle misure alternative
alla detenzione (artt. 47 e seguenti della legge n. 354 del 1975, art. 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, recante il «Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza»), sia nel corso dell’esecuzione della pena che anteriormente al suo inizio (art. 656, comma 6, cod. proc. pen.), la liberazione condizionale (art. 682 cod. proc. pen.), il differi- mento dell’esecuzione delle pene detentive e delle sanzioni sosti- tutive limitative della libertà personale (art. 684 cod. proc. pen.), la sospensione della pena detentiva inflitta per reati commessi in relazione allo stato di tossicodipendenza (art. 90 del d.P.R. n. 309 del 1990), l’estinzione della pena per esito positivo dell’affida- mento in prova al servizio sociale e della liberazione condizionale (art. 236, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
Si tratta di provvedimenti in tema di esecuzione della pena di- stinti ed ulteriori rispetto a quelli adottati in sede di cognizione, anche se ad essi ovviamente collegati, i quali incidono, spesso in modo particolarmente rilevante, sulla libertà personale dell’inte- ressato. Essi richiedono, altresì, accertamenti di fatto, compren- sivi, per lo più, di verifiche sulla condotta del condannato e sull’attualità e sul grado della sua pericolosità sociale.
Se, per un verso, dunque, la «posta in gioco» nel procedimento in questione è elevata, per altro verso, non si è neppure di fronte ad un contenzioso a carattere spiccatamente «tecnico», rispetto al quale il controllo del pubblico sull’esercizio dell’attività giurisdi- zionale possa ritenersi non necessario alla luce della peculiare na- tura delle questioni trattate.
Deve, di conseguenza, concludersi che, anche nel caso in esame, ai fini del rispetto della garanzia prevista dall’art. 6, para- grafo 1, della CEDU, occorre che le persone coinvolte nel proce- dimento abbiano la possibilità di chiedere il suo svolgimento in forma pubblica.
6.– Gli artt. 666, comma 3, e 678, comma 1, cod. proc. pen.
vanno dichiarati, pertanto, costituzionalmente illegittimi, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il pro- cedimento davanti al tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza si svolga nelle forme dell’udienza pubblica. (omissis)
DIBATTITI
Rendere umano il carcere, non abolirlo
1- «Le carceri italiane sono fuori della Costituzione». Così - cinque anni orsono - esordì in Parlamento il Ministro della Giu- stizia, per informare l’organo legislativo dell’«enorme sovraffol- lamento delle prigioni: per via del costante crescere del numero dei detenuti, attesi gli arresti ogni giorno più numerosi, e anche per l’accentuarsi dell’allarme sanitario: specie per «l’ingresso co- stante di extracomunitari portatori di microrganismi patogeni (senza presentare la corrispondente patologia morbosa)»: fattori, tutti, in grado di rendere assai problematica la tensione rieduca- tiva della pena, posta dalla Costituzione»1. E non venne omesso che ai 91 suicidi registrati nell’anno precedente, se ne erano ag- giunti 52 nei primi sei mesi dell’anno 2010. Nè fu sottaciuto delle malattie conseguenti all’incremento costante di nuovi arresti - un minimo di mille ogni mese - di persone non più giovani, e anche affette da malattie croniche, e gravi: tali da esigere terapie assidue.
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1Cfr. F. OCCHETTA, La giustizia riparativa. Verso una nuova idea della pena, in Civ. catt, 2010, IV, 213 ss.