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E ovvio che tale impostazione costituisce uno strumento di controllo delle scelte del dirigente dell’ufficio e uno strumento di trasparenza nella gestione della mobilità interna

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FORMAZIONE DECENTRATA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE 13 OTTOBRE 2009

PROBLEMI APPLICATIVI DEL DIRITTO TABELLARE IN RELAZIONE ALLA FORMAZIONE DELLE TABELLE DEGLI UFFICI GIUDIZIARI E ALLA GESTIONE DELLA MOBILITA’ INTERNA

1) FORMAZIONE DELLE TABELLE

Il dirigente di un ufficio all’atto del suo insediamento, qualora sia in corso di validità il triennio della tabella, si trova immediatamente di fronte al problema della redazione entro sei mesi di una relazione utile a rappresentare la situazione dell’Ufficio all’atto della presa di possesso che dovrà costituire la base delle eventuali future variazioni tabellari. Tale compito è stato introdotto per la prima volta con la circolare sulle tabelle per il triennio 2009- 2011 al punto 3.4 e costituisce un elemento che a mio parere fa la differenza tra un bravo dirigente e un dirigente disattento. In sostanza si vuole che il dirigente assuma responsabilmente la dirigenza, si renda conto delle necessità e delle esigenze dell’ufficio e si assuma l’impegno di migliorarlo, da qui nasce il riferimento al programma per le future scelte tabellari. Ho voluto iniziare la mia relazione con questo riferimento perchè mi consta che sia sconosciuto ai più e che ben pochi dirigenti adempiano a questo compito che è certamente molto gravoso e impegnativo di responsabilità.

Qualora invece il dirigente si trovi a giungere in un momento in cui deve procedersi alla formazione triennale delle tabelle, deve conoscere la complessa e importante procedura di formazione disciplinata ai punti da 1 a 12 della circolare in vigore.

Non vi è certo il tempo per esaminarla dettagliatamente, ma è possibile individuare alcuni punti cardine che debbono essere tenuti presenti.

Per prima cosa si deve essere consapevoli che la tabella di organizzazione di un ufficio ha il compito di fotografare l’ufficio come deve essere ed in particolare deve tenere conto dell’organico effettivo, indipendentemente dalla presenza dei magistrati e cioè dalla copertura o meno di tutti i posti in organico. Sottolineo questo aspetto perchè è il più difficile da far comprendere e spesso i progetti tabellari che giungono al Consiglio si limitano a rappresentare la situazione effettiva senza avere dislocato tra i settori e tra le sezioni tutti i posti di organico esistenti. La prima ragione di tale obbligo è che l’organico di un ufficio è stabilito con decreto ministeriale, non è modificabile e

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quindi i posti non coperti non possono essere pretermessi, la seconda ragione è che deve sapersi sempre dove potranno essere collocati i nuovi magistrati all’atto dell’ingresso in ufficio con provvedimento di assegnazione provvisoria, perchè non è ammissibile che restino senza funzione in attesa dei concorsi interni, la terza ragione è che tutti debbono sapere dove sono stati individuati i vuoti di organico e quindi quali posti potranno essere messi a concorso interno.

E ovvio che tale impostazione costituisce uno strumento di controllo delle scelte del dirigente dell’ufficio e uno strumento di trasparenza nella gestione della mobilità interna.

Devo segnalare che le tabelle degli uffici di merito difficilmente sfuggono a tale regola e spesso la Settima Commissione restituisce le tabelle che non la rispettano, l’unico ufficio che non ha mai redatto tabelle secondo tale principio è la Corte di Cassazione dove non è mai stato ripartito l’organico effettivo di consiglieri e presidenti tra i settori e le sezioni, ma la tabella si è limitata a fotografare la situazione dell’organico coperto. Spero che la nuova tabella, redatte per la prima volta con l’ausilio del Consiglio Direttivo, si adegui a questo principio generale.

Un secondo principio generale che deve essere tenuto presente negli uffici di merito è che può essere previsto un organico specializzato. E’ bene subito chiarire che quando si parla di organico specializzato ci si riferisce sempre e solo all’organico stabilito con decreto ministeriale e non all’organico specializzato creato con provvedimento organizzativo interno. L’ organico stabilito con decreto ministeriale riguarda giudici, presidenti e sezioni che si occupano in via esclusiva della materia lavoristica, e i posti di presidente e presidente aggiunto degli uffici GIP-GUP costituiti nei dodici tribunali distrettuali. Nelle tabelle ministeriali questi posti sono separati dall’organico complessivo dell’ufficio e tale collocazione comporta che i magistrati che li occupano possono essere stati nominati solo con provvedimento del CSM a seguito di concorso e possono essere trasferiti solo con provvedimento del CSM; qualora un giudice del lavoro voglia mutare funzione, anche all’interno dello stesso ufficio, deve partecipare ad un concorso ad uno dei posti ordinari pubblicati dal CSM e solo a seguito dell’espletamento di tale procedura potrà essere distolto.

Completamente diversa è la disciplina dei posti specializzati di origine tabellare. Infatti in tutti gli uffici la circolare impone la creazione di posti specializzati in materia di lavoro, quando non vi sono posti di organico specializzato, famiglia, diritto industriale, GIP- GUP, ma in questo caso i magistrati che li occupano sono assegnati con provvedimento tabellare, sono soggetti alla regola della temporaneità e possono essere spostati a seguito della partecipazione a concorsi interni.

Qualora un posto di organico specializzato sia vacante e pur tuttavia sia necessario assegnare ad esso un giudice in attesa della copertura con procedura concorsuale del CSM il dirigente dell’ufficio può utilizzare lo strumento della applicazione di un giudice ordinario al posto specializzato, strumento caratterizzato dalla temporaneità.

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Il giudice nominato ad un posto di organico specializzato non potrà mai essere impiegato a svolgere altre funzioni all’interno dell’ufficio, in quanto la procedura che ha portato alla formazione dell’organico specializzato, è complessa e tiene conto del carico di lavoro nel settore e ogni posto specializzato viene istituito solo quando il relativo carico di lavoro assorbe l’intera capacità di una unità lavorativa. Qualora la situazione dell’ufficio dovesse mutare per la riduzione del flusso nel settore lavoro, il dirigente dell’ufficio dovrà farsi carico di richiedere una modifica dell’organico mediante la trasformazione di un posto di giudice del lavoro in un posto di giudice ordinario.

Un altro aspetto importante dell’organizzazione dell’ufficio è l’esatta collocazione dei presidenti di sezione. Il problema si pone per coloro che verranno assegnati a uffici di piccole dimensione, cioè con un organico fino a 10 giudici. L’ordinamento giudiziario modificato con l’entrata in vigore della legge sul giudice unico ha previsto che i giudici destinati a ciascuna sezione non possono essere comunque in numero inferiore a 5, art. 46; la circolare del CSM ha stabilito che tale numero, non deve comprendere il presidente, tranne che per i tribunali di piccole dimensione. L’art. 46 O.G.

ha inoltre stabilito che qualora un ufficio sia suddiviso in almeno due sezioni deve essere obbligatoriamente costituita anche la sezione GIP-GUP che non deve rispettare il numero minimo.

L’applicazione di tali disposizioni crea enormi difficoltà per uffici ad esempio con otto magistrati più il Presidente e un Presidente di Sezione, per un totale di 10 unità; in tal caso dovrà essere creata un’unica sezione promiscua, non potendosene creare due di cinque magistrati perchè non vi sarebbe la possibilità di creare la Sezione GIP- GUP. Ebbene l’istinto del titolare dell’ufficio è quello di individuarsi come titolare dell’unica sezione promiscua, creando così un perdente posto perchè è evidente che non può esistere un presidente di sezione senza sezione, mentre può esistere un presidente di tribunale non titolare di una sezione. La corretta elaborazione del progetto tabellare deve prevedere in tal caso la creazione di un’unica sezione promiscua, presieduta dal Presidente di sezione, con la individuazione in capo al Presidente del Tribunale della presidenza di collegi.

Altro argomento generale che voglio affrontare in materia di formazione tabellare è la procedura prevista in modo specifico per la Corte di Cassazione. Il punto 4.4 della circolare prevede per la Corte di Cassazione che la proposta di tabella sia formulata dal Primo Presidente, sentito il Presidente Aggiunto, sulla base delle riunioni con i Presidenti di Sezione e acquisito il parere del Consiglio Direttivo. Tale punto è stato interpretato in senso letterale e cioè che il parere del Consiglio Direttivo deve precedere il deposito della tabella. Infatti nessuno di noi conosce ancora il contenuto della proposta tabellare del Primo Presidente, sappiamo solo che è in corso di redazione il parere. Non è chiaro il motivo di tale scelta, quando l’art. 7 bis, comma 3, O.G. prevede solo che il CSM delibera sulla proposta del Primo Presidente della Corte, sentito il Consiglio direttivo, senza fissare scansioni temporali diverse da quelle ordinarie. Non è chiaro neppure se, una volta redatto il

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parere, la proposta depositata debba essere quella originale con l’aggiunta del parere, o una proposta modificata che inglobi il parere. Certo è che il resto della procedura resta identico e cioè una volta depositata la proposta ogni consigliere potrà presentare le proprie osservazioni e su di esse dovrà nuovamente essere espresso un parere del Consiglio Direttivo. Io credo che il Consiglio Direttivo dovrà valutare, dopo questa prima esperienza, se sia opportuno o meno, chiedere o un chiarimento o una modifica della circolare che uniformi la disciplina della Corte agli altri uffici, in quanto non vi è a mio parere alcuna ragione per differenziare, sulla procedura di formazione tabellare, la Corte dagli altri uffici.

Voglio poi sottolineare che il punto 12.3 della circolare prevede, per la prima volta, che all’esito della procedura tabellare a ogni magistrato venga consegnata una copia della tabella dell’ufficio così come approvata dal CSM.

Infine ricordo a coloro che sono interessati che con delibera del 21 luglio 2009 il CSM ha approvato una risoluzione in materia di organizzazione degli uffici del Pubblico Ministero che affronta lo spinoso problema dei compiti del CSM in materia di organizzazione degli uffici requirenti dopo l’abrogazione dell’art. 7 ter, comma 3, O.G.

2) TEMPORANEITA’ DELLE FUNZIONI E DEGLI INCARICHI

Il limite di permanenza temporale nello svolgimento di una determinata funzione è stato introdotto dal Consiglio Superiore della Magistratura fin dal 1993, nell’esercizio del potere paranormativo, con la circolare sulla composizione degli uffici giudiziari per il biennio 1994 - 1995.

La sua formulazione prevedeva per tutti i magistrati di primo e secondo grado il divieto di permanenza ultradecennale nel medesimo settore di attività, con possibilità di deroga per comprovate esigenze di funzionalità dell’ufficio, tranne che per i magistrati che si occupano di diritto fallimentare e societario o che svolgono le proprie funzioni nelle sedi distaccate di pretura, per i quali non era consentita alcuna eccezione.

Tale divieto è stato costruito come criterio di organizzazione degli uffici giudiziari, essendo diretto a realizzare interessi strettamente connessi con i valori della indipendenza e della professionalità dei magistrati. Infatti il criterio era volto, da un lato, ad evitare che il prolungato esercizio delle funzioni nel medesimo settore potesse dar luogo a fenomeni di personalizzazione o di condizionamento, dall’altro, ad evitare l’affievolirsi dell’impegno, causa la ripetitività del lavoro, favorendo, invece, la mobilità interna, la diffusione delle competenze e l’incremento della professionalità.

Deve aggiungersi che il concetto di temporaneità introdotto dalla normazione secondaria era stato collegato alla funzione, intesa come settore concreto nel quale il magistrato opera, in altre parole all’ incarico tabellare, con la conseguenza immediata che il destino del magistrato ultradecennale si

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giocava sempre nella stessa sede giudiziaria di appartenenza. Infatti anche nel caso di permanenza ultradecennale in sede distaccata, lo spostamento del magistrato alla sede principale o ad altra sede distaccata, non richiedeva un trasferimento, trattandosi sempre di dislocazione di natura tabellare.

Il primo intervento del legislatore in questa materia è avvenuto con la legge 16 dicembre 1999 n.

479, dove all’art. 57, modificando l’art. 7 bis dell’ordinamento giudiziario, aveva previsto per i magistrati destinati agli uffici GIP- GUP la temporaneità dello svolgimento della funzione per un massimo di sei anni, prorogabile solo nel caso in cui avessero in corso il compimento di un atto e, in tal caso, la proroga era limitata a tale termine. Il legislatore si era poi preoccupato di disciplinare il regime transitorio, prevedendo una moratoria di 36 mesi entro i quali effettuare l’avvicendamento.

Con una successiva legge 27 febbraio 2002 n. 31, l’art. 7 bis O.G. veniva ulteriormente modificato prevedendosi che il termine massimo di sei anni di svolgimento di quelle funzioni iniziasse a decorrere per tutti i magistrati, che già le svolgevano, a partire dall’entrata in vigore di quella legge e cioè dal 14 marzo 2002, data di pubblicazione, con scadenza al 14 marzo 2008.

La legge 30 luglio 2007 n. 111 è intervenuta pesantemente sui criteri di organizzazione degli uffici disciplinando per legge la temporaneità di tutte funzioni di merito e la temporaneità delle funzioni direttive e semidirettive.

L’art. 19 del decreto legislativo 5 aprile 2006 n. 160, come modificato dalla legge 30 luglio 2007 n.

111, disciplina la “permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio”.

La norma parla di permanenza nell’“incarico presso lo stesso ufficio” e non di permanenza nelle funzioni; si rivolge solo ai magistrati giudicanti e requirenti di merito e non di legittimità, visto che fa riferimento ai magistrati che esercitano funzioni di primo e di secondo grado; prevede che possano rimanere in servizio presso lo stesso ufficio, svolgendo le medesime funzioni, o nella stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro, per un periodo stabilito dal CSM tra un minimo di cinque ad un massimo di dieci anni; sul punto è lasciata la massima discrezionalità al CSM che potrà modulare il tempo di permanenza per ogni tipo di funzione.

La proroga è consentita per un massimo di due anni, ma solo per la prosecuzione dell’ udienza preliminare o per il dibattimento, quindi solo per i magistrati che svolgono funzioni penali.

La fase della scadenza dall’incarico viene disciplinata prevedendo che nei due anni antecedenti alla scadenza del termine non possono essere assegnati ai magistrati procedimenti che prevedibilmente potranno comportare un impegno temporale superiore; ed anche tale norma sembra riferirsi a magistrati che svolgono funzioni penali.

Vi è poi il comma 2 bis col quale si stabilisce che, se alla scadenza dell’incarico il magistrato non ha presentata domanda di trasferimento ad altra funzione o gruppo di lavoro, o ad altro ufficio,

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viene assegnato ad altro incarico con provvedimento del capo dell’ufficio immediatamente esecutivo; può restare altri sei mesi, se invece ha chiesto di essere trasferito.

La norma, nonostante l’uso di espressioni improprie, come quella di “ trasferimento” per individuare la domanda di assegnazione ad altro incarico tabellare, si riferisce solo ed esclusivamente a questo tipo di mobilità interna; infatti la sanzione, per così dire, applicata a chi non presenta domanda di tramutamento è quella che il capo dell’ufficio, con provvedimento definitivo, sposta il magistrato ad altro incarico. Tale conseguenza è prevista anche nel caso in cui il magistrato, invece di chiedere tale spostamento interno, richieda un vero e proprio trasferimento ad altro ufficio, di competenza del CSM, solo che è spostata in avanti di sei mesi.

L’intervento legislativo si conclude con l’ennesima modifica dell’art. 7 bis dell’ordinamento giudiziario del 41, prevedendo al comma 2 ter che anche per i magistrati assegnati all’ufficio GIP- GUP, i termini massimi di permanenza sono stabiliti dal CSM ai sensi dell’art. 19, comma 1 del decreto legislativo 5 aprile 2006 n. 160 e successive modifiche.

E’ singolare che solo per questi incarichi sia ancora prevista una norma di salvaguardia, al comma 2 quater dell’art. 7 bis, che consente di derogare ai limiti di temporaneità per imprescindibili e prevalenti esigenze di servizio.

Pertanto può concludersi che allo stato attuale la nuova disciplina della temporaneità degli incarichi all’interno dello stesso ufficio è unica per ogni tipo di incarico di natura tabellare, con l’unica eccezione sopra ricordata, che per i GIP-GUP esiste ancora la possibilità di deroga ai limiti massimi di permanenza.

Passando all’esame delle conseguenze della nuova normativa sulla temporaneità degli incarichi all’interno dello stesso ufficio giudicante e requirente, deve segnalarsi che il CSM ha emesso un regolamento della materia con delibera 13 marzo 2008, individuando il campo di applicazione della temporaneità, il termine massimo unitario di 10 anni per tutte le funzioni, le possibilità di proroga, la possibilità di tornare alla medesima funzione dopo un’interruzione di 5 anni, oltre al regime transitorio.

Nella prospettiva futura il compito principale degli dirigenti degli uffici sarà quello della predisposizione di tabelle di organizzazione il più possibile analitiche sui compiti assegnati ai singoli magistrati, prevedendo il massimo di specializzazione possibile, anche in relazione ai piccoli uffici, così da consentire agevolmente, lo spostamento del singolo magistrato da un incarico all’altro, oppure la modifica di solo una parte dei suoi compiti, cioè della parte specializzata.

L’art. 45 del decreto legislativo n. 160 del 2006 come modificato dall’art. 9 della legge 30 luglio 2007 n. 111 disciplina la “ temporaneità delle funzioni direttive”.

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La rubrica introduce un concetto di temporaneità per la prima volta diverso da quello fino ad ora utilizzato come criterio di organizzazione dell’ufficio, perchè si occupa di una funzione che potremmo chiamare unica e non modificabile all’interno di ogni ufficio; poichè non si tratta di incarico tabellare, ma di un posto di organico che può essere occupato solo mediante un trasferimento disposto dal CSM, previo conferimento delle rispettive funzioni direttive, la sua caducazione, non per provvedimento del CSM, ma per legge, crea una ipotesi di temporaneità di sede e non di funzione.

La norma si rivolge a tutte le funzioni direttive di merito e di legittimità, sia giudicanti che requirenti, identificate all’art. 10, commi da 10 a 16, del decreto legislativo n. 160 del 2006 e successive modifiche.

Prevede che la funzione direttiva abbia una durata di 4 anni, confermabile per un eguale periodo di 4 anni, previa valutazione dell’attività svolta dal magistrato da parte del CSM.

Alla scadenza del termine, se il magistrato non ha chiesto o non ha ottenuto altro incarico, viene d’ufficio assegnato a funzioni non direttive nel medesimo ufficio, anche in soprannumero, e quindi potrebbe anche svolgere funzioni semidirettive.

Tale fase è, però, temporanea, in quanto, quando prenderà possesso dell’ufficio il nuovo titolare della funzione direttiva, il magistrato “ scaduto”, resterà assegnato all’ufficio senza possibilità di svolgere nè funzioni direttive nè semidirettive, in attesa delle determinazioni del CSM.

In relazione a tale disciplina possiamo osservare, da un lato, che il legislatore ha correttamente individuato la categoria di riferimento, e cioè che si tratta di una funzione collegata ad un posto unico in organico, tanto è vero che ha previsto la collocazione del magistrato in soprannumero nell’ufficio di appartenenza, dall’altro, che ha voluto prevedere una temporaneità della funzione limitata alla sede, cioè il magistrato non potrà continuare a svolgere quella funzione apicale in quella sede, ma potrà in altra sede.

Nel disciplinare l’abbandono dalla funzione apicale ha stabilito una prima fase in cui il magistrato potrà svolgere funzioni semidirettive ed una seconda in cui anche tale possibilità gli sarà preclusa, quasi che fosse sempre a lui addebitabile la permanenza in quell’ufficio. Infatti il legislatore, in relazione a tale seconda fase, non ha in alcun modo distinto le varie fattispecie che potrebbero verificarsi; non vi è alcuna differenza tra il caso del direttivo che non ha più la possibilità di richiedere un nuovo incarico in altra sede per sopraggiunti limiti di età, non potendo garantire i 4 anni, il caso del direttivo che ha chiesto il trasferimento, ma non ha ottenuto risposta dal CSM per i tempi della relativa procedura, il caso del direttivo che non ha ottenuto il trasferimento e, infine, il caso direttivo che non ha chiesto nulla.

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L’art. 46 del decreto legislativo n. 160 del 2006 come modificato dall’art. 9 della legge 30 luglio 2007 n. 111 disciplina la “ temporaneità delle funzioni semidirettive”.

Il legislatore non ha tenuto in alcun conto, nel disciplinare il concetto di temporaneità degli incarichi semidirettivi, dei connotati peculiari della funzione semidirettiva che è, sì, un posto di organico che può essere occupato solo mediante un trasferimento disposto dal CSM, previo conferimento delle rispettive funzioni, ma a differenza della funzione direttiva, che è unica per ogni ufficio, quella semidirettiva può essere di varie unità a seconda delle dimensioni e delle caratteristiche dell’ufficio. Il magistrato che ottiene il trasferimento ad una funzione semidirettiva, una volta giunto nell’ufficio, verrà destinato a presiedere l’una o l’altra sezione o a coordinare l’uno o l’altro gruppo di lavoro, con un provvedimento di natura tabellare. Le uniche eccezioni sono costituite dai presidenti delle sezioni lavoro, previste in organico, e delle sezioni GIP e GUP dei dodici tribunali più grandi.

Il legislatore, invece, ha disciplinato la temporaneità di questa funzione allo stesso identico modo di quella direttiva, prevedendo una temporaneità di funzione nella sede.

La norma si rivolge a tutte le funzioni semidirettive di merito, sia giudicanti che requirenti, identificate all’art. 10, commi da 7 a 9, del decreto legislativo n. 160 del 2006 e successive modifiche ( Le figure di presidente di sezione della Corte di cassazione sono considerate direttive e quindi comprese nei commi da 10 e 16 dell’art. 10, di cui si è trattato al punto precedente).

Prevede che la funzione semidirettiva abbia una durata di 4 anni, confermabile per un eguale periodo di 4 anni, previa valutazione dell’attività del magistrato da parte del CSM.

Allo scadere del termine il magistrato “torna a svolgere le funzioni esercitate prima del conferimento delle funzioni semidirettive, anche in sovrannumero, nello stesso ufficio o, a domanda, in quello in cui prestava precedentemente servizio”. Questa disciplina è, a mio parere, sorprendente per il suo carattere punitivo, superiore a quello previsto per i direttivi e completamente ingiustificato.

In primo luogo, anche in questo caso, non vi è alcuna distinzione tra i vari casi possibili del permanere del magistrato nell’ufficio, cioè tra una condotta “colpevole o incolpevole” del magistrato, nonostante l’eventuale valutazione positiva nello svolgimento della sua pregressa funzione semidirettiva; in secondo luogo è una disciplina miope perchè, mentre impedisce al magistrato di continuare a svolgere la funzione semidirettiva nello stesso ufficio, in una diversa posizione tabellare, non gli impedisce di concorrere per l’incarico direttivo nello stesso ufficio. Tale possibilità si ricava dalla norma che, al comma 2, prevede che la decadenza dalla funzione si ha qualora il CSM non abbia ancora deciso in ordine ad una sua domanda di assegnazione ad altre funzioni o ad altro ufficio.

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Non vi è, invece, spazio per interpretare la norma nel senso della possibilità per il magistrato di cambiare sezione o gruppo di lavoro, continuando a svolgere la funzione semidirettiva nella stessa sede, proprio perchè la norma prevede che, in caso di mancato trasferimento ad altro incarico, deve tornare a svolgere le funzioni esercitate prima del conferimento delle funzioni semidirettive.

In relazione alla conferma dopo il primo quadriennio il CSM ha emanato apposta risoluzione in data 24 luglio 2008 con la quale si è stabilito che la procedura si instaura automaticamente mediante individuazione da parte del CSM all’inizio di ogni anno dei nominativi dei magistrati con incarichi direttivi e semidirettivi che maturano la permanenza quadriennale nei due semestri e invita i Consigli Giudiziari e il Consiglio Direttivo a esprimere il parere, che pur non essendo prescritto dalla legge viene richiesto dalla risoluzione. Il parere per la conferma deve essere finalizzato ad una valutazione da compiersi su tutto il materiale conoscitivo rilevante per la verifica dell’attività svolta, con onere per il magistrato di contribuire all’acquisizione degli elementi di conoscenza e di valutazione dell’attività svolta con un articolato resoconto sugli interventi organizzativi effettuati e sugli obiettivi prefissati nel futuro.

3) CONCORSI INTERNI

La disciplina dei concorsi interni è contenuta nei punti da 39 a 51 della circolare sulle tabelle 2009- 2011 e costituisce uno dei punti cardine della democratizzazione del sistema di gestione di un ufficio giudiziario. Presupposto principe della realizzazione di tale obiettivo è la corretta impostazione tabellare della previsione della tabella dell’ufficio comprendente tutti i posti di organico esistenti presso quell’ufficio indipendentemente dalla effettiva copertura. Solo così potrà avere un significato la previsione che impone al dirigente dell’ufficio di indicare le ragioni della scelta dei posti da pubblicare in relazione agli obiettivi che si è prefissato nel documento organizzativo generale.

Molto importante è poi la previsione dell’obbligo di indicare per ogni posto pubblicato la data in cui si è verificata la vacanza in modo da poter calcolare correttamente la legittimazione al trasferimento interno di ogni magistrato. La legittimazione al trasferimento è di due anni dal momento dell’effettiva presa di possesso per i trasferimenti a domanda e di un anno per l’assegnazione d’ufficio e si calcola con riferimento alla data in cui si è verificata l’effettiva vacanza del posto da coprire, indipendentemente dalla data della sua pubblicazione.

Negli uffici di merito i concorsi ordinari debbono essere svolti due volte l’anno, debbono essere coordinati con le pubblicazioni dei posti da parte del CSM e con i trasferimenti dei magistrati che maturano il termine decennale di permanenza nell’incarico.

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A tutti i magistrati che partecipano ad un concorso interno si applicano i criteri fissati dal punto 41 della circolare e cioè in subordine si deve valutare l’attitudine, l’anzianità di ruolo e l’anzianità di servizio nell’ufficio.

L’ attitudine attiene alla pregressa attività e alle esperienze acquisite; la specializzazione sarà presa in considerazione per le materie della famiglia, del lavoro, delle società, del fallimento e della proprietà industriale, quando le relative funzioni sono state svolte per almeno due anni.

I due tipi di anzianità, di ruolo o e di servizio, vanno valutati con riguardo alla data della vacanza del posto da assegnare e non alla data della pubblicazione del posto.

Il criterio delle attitudini prevale sull’anzianità solo entro una fascia di anzianità di ruolo di otto anni e comunque la comparazione deve riguardare tutti i partecipanti al concorso, non è chiaro se ci si possa limitare alla fascia di otto anni.

Interessante è anche la possibilità di effettuare uno scambio di posti tra magistrati dell’ufficio, impregiudicati i diritti di terzi ( punto 42).

Nel caso di istituzione di una nuova sezione i nuovi posti vanno messi a concorso e tutti i magistrati hanno diritto di partecipare, senza limiti di legittimazione ovviamente.

Nel caso di ingresso di nuovi magistrati essi vanno destinati in via di supplenza ad un incarico per un termine di sei mesi entro i quali vanno espletati i concorsi interni, prorogabile una sola volta.

Il magistrato che rientra da un fuori ruolo deve essere ricollocato anche in sovrannumero nella medesima posizione tabellare occupata in precedenza.

4) GLI ISTITUTI DELLA APPLICAZIONE E SUPPLENZA.

L’ordinamento giudiziario disciplina solo due istituti in cui si articola la deroga, in linea generale, alla designazione del giudice competente alla trattazione di determinati affari e cioè gli istituti della applicazione e della supplenza.

In relazione all’applicazione deve rilavarsi che la sua caratteristica è consentire ad un magistrato, che non fa parte di un ufficio giudiziario, di svolgere le funzioni giurisdizionali in esso, indipendentemente dalla scopertura degli organici, provenendo o da un altro tribunale del distretto ( applicazione endodistrettuale, di competenza del Presidente della Corte d’appello, art. 110 comma 2 O.G., o infradistrettuale sulla base di tabelle precostituite, art. 97 comma 5 O.G., Legge 133/98, ) o da un altro distretto (applicazione extradistrettuale di competenza del CSM, art. 110 comma 3 O.G.) o dall’organico distrettuale ( Legge 13 febbraio 2001 n. 48 e Circolare CSM n. 131 del 2003). Deve mettersi in rilievo che l’istituto dell’applicazione per sua natura non può essere utilizzato per spostare magistrati all’interno

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dello stesso ufficio tranne che in un unico caso, non disciplinato dalla legge, ma utilizzato dagli uffici giudiziari e convalidato dal CSM, ed è l’applicazione di magistrati all’interno dei singoli uffici a posti di organico specializzati; il caso è quello in cui in un tribunale vi siano dei posti scoperti di giudice del lavoro, previsti in organico come specializzati, e si ravvisi la necessità di destinare dei magistrati, per l’arretrato che eventualmente si sia determinato, prima della copertura dei posti con regolare pubblicazione da parte del CSM; in tal caso si consente di disporre, non una destinazione in supplenza di un magistrato appartenente all’ufficio, ma bensì una applicazione al posto specializzato in attesa della sua copertura.

L’istituto della supplenza invece presuppone che alla trattazione di determinati affari, per mancanza o impedimento del magistrato individuato fisicamente, debba essere destinato un sostituto, individuato nelle tabelle di organizzazione dell’ufficio, ed è prevista una disciplina specifica, dettata dall’art. 104 O.G., per i presidenti dei tribunali o i presidenti di sezione e, dall’art. 108 O.G,. per i presidenti delle corti d’appello o delle sezioni di corte. Tali norme prevedono come casi di supplenza la mancanza o l’impedimento del magistrato titolare e fissano regole per l’individuazione del supplente secondo il criterio dell’anzianità.

Di fatto la prassi degli uffici giudiziari ha affermato la possibilità dell’utilizzo della supplenza in modo più ampio, dilatando il concetto di impedimento fino a comprendere anche l’impossibilità materiale a far fronte al numero di atti destinati per competenza funzionale ai presidenti titolari o anche ai magistrati ordinari.

Dopo la riforma del giudice unico, infatti, un numero elevato di tribunali ha assunto dimensioni rilevanti ed il presidente titolare, pur potendo essere coadiuvato da presidenti di sezione o dai coordinatori, ha una mole enorme di adempimenti amministrativi da svolgere che gli renderebbero di fatto impossibile occuparsi di quelle attività giurisdizionali che vengono per legge attribuite alla sua competenza funzionale. Pertanto le proposte di organizzazione degli uffici hanno previsto che anche le competenze funzionali dei presidenti possano essere delegate sulla base di criteri preordinati e rispettosi dei criteri fissati dagli artt. 104 e 108 O.G., comunque sottoposti al vaglio del CSM.

In materia di supplenza deve poi segnalarsi che è possibile ipotizzare non solo una supplenza ordinaria e prevista in via generale all’interno delle tabelle di organizzazione, per cui in presenza di mancanza o impedimento del magistrato nominativamente individuato, ne subentra un altro altrettanto nominativamente individuato, ma anche la possibilità di emettere un provvedimento ad hoc, che prescinda dalle tabelle, per far fronte ad evenienze eccezionali, quali la mancanza o l’impedimento anche del supplente tabellare, o un’emergenza dovuta ad una imprevedibile sopravvenienza di provvedimenti urgenti da emettere in una determinata

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materia ed in tal caso le circolari prevedono l’emissione di un provvedimento da parte del Presidente del tribunale con cui si dispone una supplenza extra ordinem, dotato di efficacia immediatamente esecutiva, da sottoporre con urgenza al vaglio del CSM ( punto 83).

La nuova circolare sulle tabelle ha effettuato la scelta innovativa di inserire l’intera regolamentazione di tali istituti ai punti da 80 a 127, per cui oggi il titolare dell’ufficio sa esattamente quale istituto utilizzare per far fronte alle esigenze del proprio ufficio e ciò vale soprattutto per i Presidenti di Corte e i Procuratori Generali che hanno a disposizione sia le tabelle infradistrettuali, sia i magistrati distrettuali, sia le applicazioni endodistrettuali e che debbono correttamente orientarsi tra le varie figure.

Paola Piraccini

Consigliere presso la Prima Sezione penale della Corte di Cassazione

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