• Non ci sono risultati.

Ladri di Biblioteche. Questo ebook è stato condiviso per celebrare il. Centenario della Rivoluzione russa

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Ladri di Biblioteche. Questo ebook è stato condiviso per celebrare il. Centenario della Rivoluzione russa"

Copied!
448
0
0

Testo completo

(1)
(2)

Ladri di Biblioteche

Questo ebook è stato condiviso per celebrare il Centenario della Rivoluzione russa

1917-2017

(3)

Il libro

Chiudere la storia della Russia in un unico volume significa raccontare, in poche centinaia di pagine, il passato e il presente di una zona vasta un sesto della superficie terrestre; un regno multietnico in cui si parlano oltre cento lingue; una civiltà che ha prodo o una cultura sfacce ata, di straordinaria ricchezza, e che ha dato al mondo artisti, scri ori, musicisti e scienziati di grande influenza; una stru ura militare e politica di primo piano sullo scacchiere mondiale. È quello che Roger Bartle riesce a fare in quest’opera che dall’antica Rus’ giunge fino all’epoca di «zar» Putin, offrendo un’ampia prospe iva sullo sviluppo storico di questo paese. Concentrandosi sulle origini della cultura politica, sul ruolo della grandissima maggioranza contadina e sul suo rapporto con le élite ci adine, sull’evoluzione della società e del pensiero russo moderno, l’autore offre ai suoi le ori uno strumento ideale, a endibile ed equilibrato, per conoscere il passato di questa grande nazione e capirne la posizione nel panorama internazionale contemporaneo.

(4)

L’autore

Roger Bartle è professore emerito di Storia russa alla School of Slavonic and East European Studies presso l’università di Londra. È autore tra l’altro di Human Capital: the Se lement of Foreigners in Russia. 1762-1804 (1979), Russian Thought and Society. 1800-1917 (1984), German Lands and Eastern Europe (1999) e ha curato i volumi Russia and the World of the Eighteenth Century (1988) e Russian Society and Culture and the Long Eighteenth Century (2004).

(5)

Roger Bartle

(6)

STORIA DELLA RUSSIA

Traduzione di Marco Federici

(7)

STORIA DELLA RUSSIA

(8)

Prefazione

Scrivere una storia della Russia, sopra u o se di dimensioni rido e, impone scelte difficili. Come si può racchiudere in un piccolo volume un sesto della superficie terrestre? Un regno multietnico in cui si parlano oltre un centinaio di lingue? Una società formata per secoli da una schiacciante maggioranza di contadini (nove persone su dieci), ognuno con la propria storia individuale? Una civiltà che ha prodo o, sia in epoca antica sia moderna, una cultura eterogenea di straordinaria ricchezza ed enorme influenza? Una stru ura militare e politica di primo piano nello scacchiere internazionale, i cui valori, nati principalmente nel XX secolo, hanno rappresentato una sfida alle norme e alle concezioni egemoniche di Europa e America? In questo libro ho tentato innanzitu o di presentare una narrazione cronologica coerente ed equilibrata, per dare un senso allo sviluppo che questa nazione ha avuto nel tempo. Ho cercato poi di delineare le grandi problematiche menzionate in precedenza, concentrandomi, per mancanza di spazio, sopra u o sulla Grande Russia (per approfondire altri aspe i vedi la sezione Ulteriori le ure) e su argomenti di cui mi sono occupato a lungo, tra cui l’ascesa della Russia come potenza territoriale e militare, la natura dei suoi sistemi politici, lo sviluppo e le peculiarità della cultura e del pensiero russo moderno, e infine la relazione tra la grande popolazione rurale e le élite, in quello che, seguendo Gerd Spi ler, chiamerò qui «stato contadino».

È necessaria anche una scelta accurata di terminologia e strumenti analitici (la mia visione complessiva del processo storico risulterà evidente dal testo). Tra gli altri ho evitato di utilizzare conce i come quello di «arretratezza», che a mio parere pesa come un giudizio, oltre a essere fuorviante e teleologico se applicato alla Russia.

(9)

g pp

Parlando dei gruppi sociali ho fornito una breve descrizione dei diversi ceti, preferendo il termine «élite» a quello di «classe dominante», pur riconoscendone il valore analitico. Riguardo all’epoca moderna ho cercato sopra u o di rendere conto del diba ito sul «totalitarismo» e di altre interpretazioni sulla Russia di Stalin.

Sebbene in questo volume note e riferimenti bibliografici siano quasi del tu o assenti, sono ben consapevole del debito che, come un pigmeo sulle spalle di giganti, ho contra o nei confronti di ricerche e analisi di altri studiosi, la cui opera ha influito sulle mie conoscenze e sui miei giudizi (alcune indicazioni sulle fonti più recenti sono presenti nella sezione Ulteriori le ure). Un pensiero particolare va poi a quegli amici e colleghi che mi hanno aiutato con informazioni, consigli e critiche: Sergej Bogatyrëv, Ed Boyle, Pete Duncan, Lindsey Hughes, Emma Minns, Susan Morrissey, Bob Service e Dennis Shaw.

Grazie a Goeffrey Hosking e Wendy Rosslyn, che hanno le o per intero le bozze (Wendy ha dovuto convivere con questo proge o anche troppo a lungo). Lindsey Hughes ha messo a disposizione la sua collezione privata su arte e archite ura. Ogni loro intervento ha nutrito e rafforzato il testo in fase embrionale: gliene sono profondamente grato. Della creatura che ne è risultata, però, è responsabile unicamente il padre. I miei editori della Palgrave, Terka Acton e Sonya Barker, suoi padrini, hanno dimostrato una pazienza e un entusiasmo esemplari. A entrambi vanno la mia stima e i miei più sentiti ringraziamenti.

Questo libro è dedicato a tu i i miei amici russi, grazie ai quali il loro mondo è divenuto per me qualcosa di vivo.

No ingham R.B.

(10)

Nota su trasli erazione, nomi e date

Per parole, nomi e luoghi russi si è ado ata la trasli erazione scientifica internazionale (ISO9) (ë si legge io come in iodio:

Potëmkin: Pot-iom-kin, non Pot-em-kin, š si legge sc come in scivolo, č è come la c dolce in ciao, ž è la j del francese jardin). Per i nomi propri si è mantenuta in generale la loro grafia russa, a eccezione di quelli dei monarchi moderni noti nella forma italiana. I le ori incontreranno a volte il patronimico usato come secondo nome:

Ivanovič/Ivanova significano «figlio/a di Ivan». Le date seguono il calendario giuliano fino al 1918, poi quello gregoriano. Pietro il Grande introdusse il calendario giuliano in Russia nel 1700. Gran parte d’Europa passò poco dopo a quello gregoriano, ado ato in Russia (dalle autorità secolari) solo nel gennaio del 1918. Le date giuliane sono contrassegnate come Vecchio Stile (VS), quelle gregoriane come Nuovo Stile (NS). La differenza era di undici giorni nel XVIII secolo, dodici nel XIX e tredici nel XX. La Rivoluzione d’o obre (25 o obre VS 1917), ebbe quindi luogo il 7 novembre NS.

Le date biografiche sono segnate nel testo o nell’indice analitico (dove n. sta per «nato» e r. per «regnante»).

(11)

INTRODUZIONE

(12)

La posizione geografica

Come per la maggior parte dei paesi, anche la storia della Russia e la sua evoluzione sono state influenzate in maniera determinante dalla posizione geografica. Situata nella pianura dell’Esteuropa, alla periferia della penisola europea, la Russia, per secoli il paese più esteso del pianeta, abbraccia Europa e Asia, e sebbene esposta al continuo pericolo di a acchi, ha sempre goduto di grandi possibilità di espansione: società di frontiera per gran parte della sua storia, il suo sviluppo è stato cara erizzato dalla continua esigenza di difendersi, una forte crescita territoriale e una spinta colonizzatrice.

Vasta e povera, con un clima rigido e inclemente, nel corso dei secoli la Russia ha saputo utilizzare e sfru are con notevole successo le proprie risorse per garantirsi una sopravvivenza nazionale.

La Rus’, il più antico stato degli slavi orientali, con al centro la ci à di Kiev, apparve tra il IX e il X secolo. Il suo territorio, la cui posizione e natura hanno esercitato un’influenza decisiva sulla storia di Rus’ e Russia, si estendeva dal mar Baltico al Mar Nero, dal fiume Dnepr al Volga, a raverso la pianura esteuropea. Immerso nelle foreste al confine nordorientale di quella che in seguito sarebbe divenuta l’Europa, il nuovo stato era indissolubilmente legato alle steppe che si aprivano verso l’Asia. La pianura esteuropea fa parte di un vasto bassopiano che dai monti Carpazi in Romania si estende oltre la bassa catena degli Urali, a raversa la Siberia occidentale e finisce con l’altipiano della Siberia centrale, al di là del fiume Enisej;

si tra a di un’immensa distesa, interro a da pochissimi rilievi, che unisce l’Asia all’Europa (le catene montuose sorgono solo lungo il suo perimetro). Queste terre pianeggianti sono state chiamate in vari modi, ma in un recente studio David Christian ha dato loro il nome

(13)

di Eurasia interna, per distinguerle dalle circostanti terre costiere più fertili, popolose e sviluppate dell’Eurasia esterna. L’«Eurasia interna» è una regione storica a tu i gli effe i, paragonabile all’«Europa», all’«Africa» o all’«India». Le condizioni climatiche e ambientali di questo vasto territorio spinsero i popoli che l’abitavano verso scelte e strategie che resero le loro società radicalmente diverse da quelle di Cina, India, Europa occidentale o meridionale. Dediti sopra u o alla pastorizia, questi popoli si spostavano per enormi distanze, e le condizioni di vita e l’organizzazione sociale cui erano so oposti li rendevano particolarmente bellicosi. L’allevamento, che nelle foreste nordoccidentali esisteva da millenni, dal 500 d.C. in poi, con le grandi migrazioni, si sviluppò notevolmente.

La storia più antica di questa regione è fa a di spostamenti e invasioni, del susseguirsi di regni fondati da vari popoli guerrieri: la Rus’ fu solamente uno dei tanti sorti e caduti nell’Eurasia interna.

Alcuni popoli nomadi, che combinavano transumanza e stanzialità, edificarono grandi ci à al centro dei loro imperi (nel XVIII secolo i russi si identificheranno con gli sciti che nel primo millennio a.C.

occupavano le steppe pontiche a nord del Mar Nero, mentre i polacchi si richiameranno ai sarmati, subentrati agli sciti all’epoca di Cristo) e nel XIII secolo lo stato della Rus’ fu so omesso dall’ultimo e più grande popolo nomade delle steppe, i mongoli di Gengis Khan:

i regnanti di Russia si proclameranno eredi, oltre che di Bisanzio, anche dei khan dell’Orda d’Oro. L’espansione in Siberia della Moscovia e in Asia centrale della Russia imperiale non fece che rafforzare questa discendenza politica e culturale anche dal punto di vista geografico.

Ma le steppe erano aperte a molti invasori. Durante le grandi migrazioni del IV e V secolo a.C. tribù germaniche come i goti, provenienti dalle regioni del Baltico, si diffusero per l’Europa in direzione sud e ovest. Allo stesso modo dei popoli nomadi, si mossero so o la spinta della crescita demografica, per necessità economiche o a causa degli a acchi di altre tribù, e alcune furono prima alleate poi distru rici di Roma. Come i germani, anche le popolazioni slave nacquero in Europa orientale, queste ultime nella zona dei Carpazi (ritrovamenti archeologici mostrano antichi

(14)

p g

insediamenti slavi nel bacino dei fiumi Dnepr e Dnestr alla fine dell’epoca precristiana), per poi diffondersi lentamente nell’odierna Ucraina e più a nord verso il Baltico, mischiandosi con le locali tribù baltiche e finniche, e distribuirsi, infine, a ventaglio anche in tu a l’Europa centrale e nei Balcani.

Le prime testimonianze scri e sugli slavi li descrivono come guerrieri che nel VI secolo d.C. oltrepassarono i Carpazi e si spinsero a est fino alla Grecia e all’Asia minore. Nel 626 d.C. un loro esercito, alleato con gli avari dell’Asia centrale, assediò Costantinopoli.

Nell’VIII secolo, nell’odierna Europa centrale, trovarono un equilibrio con le vicine tribù germaniche a ovest, formando una solida frontiera slavo-germanica lungo l’Elba e il Saale, e in Boemia.

Gli slavi del sud, invece, si insediarono nella regione dei Balcani assorbendo i bulgari turchi, mentre il ramo occidentale dello stanziamento si cristallizzò nella Polonia slava e nel regno ceco. La Rus’, il primo stato organizzato degli slavi orientali, sorse alla periferia nordorientale della futura terra del Cristianesimo, in seguito Europa, e fu una delle formazioni territoriali che tra il IX e il X secolo entrarono a far parte della comunità cristiana. Ma la sua apertura verso i vasti territori dell’Eurasia interna ne legava la storia, sopra u o quella antica, tanto all’Europa quanto all’Asia. Secondo gli storici russi di scuola «eurasiatica» fu questa posizione a rendere la cultura russa sostanzialmente differente da quella dei vicini europei: la Russia, infa i, è diventata parte dell’Europa e della sua civiltà a tu i gli effe i soltanto nel secondo millennio d.C.

L’influenza orientale e la partecipazione agli eventi dell’Eurasia interna furono, dunque, un elemento essenziale per la storia e la cultura russa. Un approccio diverso e autorevole a questi fa ori geografici e al rapporto con la penisola europea è offerto dal conce o di «zona centrale» con cui Halford Mackinder ha cercato di definire la geopolitica d’espansione.

La posizione della Russia nella pianura eurasiatica spiega, inoltre, le enormi dimensioni del paese: la Russia, uno degli stati più estesi del mondo già alla fine del XV secolo, continuò a espandersi fino al XX secolo. Anche dopo il 1991, con la disgregazione dell’Unione Sovietica, la Federazione Russa, inclusa la Siberia, continuò a

(15)

occupare territorio maggiore di qualsiasi altra nazione: all’incirca 17.075.000 km2, quasi un o avo della superficie terrestre. La densità di popolazione media (a ualmente 9 persone per km2), invece, è sempre stata bassa in confronto al resto d’Europa e al Nordamerica.

Infa i, a differenza dell’Europa centrale e occidentale, formate da diverse penisole, la Russia è continentale, parte dell’enorme Eurasia, e le sue vaste zone costiere si trovano a nord nelle regioni artiche, mentre a oriente si affacciano sul lontano Pacifico. La topografia e il clima che la cara erizzano non hanno nulla a che vedere con i rilievi sparsi e variegati e le temperature più miti dei suoi vicini occidentali.

La vastità e le condizioni atmosferiche della Russia determinarono alcune conseguenze inevitabili: cara eristiche costanti e fondamentali, la debolezza dell’amministrazione provinciale e la difficoltà del centro a controllare e gestire le zone periferiche;

l’economia, le comunicazioni, i viaggi e i trasporti ne furono tu i ugualmente influenzati. In particolare, prima dell’arrivo di telegrafo e ferrovia nel XIX secolo, l’amministrazione e il commercio, oltre a dipendere dalle stagioni, dovevano fare i conti con distanze di oltre o omila chilometri e dieci differenti fusi orari. Così le vie fluviali, che rappresentavano le più importanti arterie di comunicazione, divennero per la Rus’ la chiave di sviluppo. Ma i fiumi hanno rapide, zone con bassi fondali, straripano in primavera, si seccano in estate, gelano d’inverno, e col disgelo si riempiono di pericolosi blocchi ghiacciati. Nei lunghi inverni, il ghiaccio e la neve indurita formavano il terreno ada o per le sli e e in quel periodo dell’anno era spesso più facile viaggiare lungo percorsi in estate disastrati e impraticabili. Il freddo e il gelo, però, erodono anche le strade meglio lastricate, e con il disgelo primaverile e le piogge d’autunno le vie di comunicazione sparivano so ’acqua o si scioglievano nel fango, rendendo gli spostamenti quasi impossibili. Anche in epoca moderna, nonostante le nuove tecnologie e i nuovi materiali, la manutenzione delle strade è rimasta un problema complesso e fonte di ingenti spese in molte zone del paese.

Nella geografia dell’Europa orientale e dell’Eurasia interna la posizione se entrionale si accompagna a un clima continentale freddo e relativamente secco. Le zone di vegetazione dell’area

(16)

rifle ono queste cara eristiche. All’estremo nord, intorno al Circolog polare, si estende la tundra, una regione di permafrost, con una temperatura media di -10°C e neve per quasi tu o l’anno, dove crescono sparsi alberi bassi, arbusti, muschi e licheni. A sud della tundra comincia la foresta: la taiga, o foresta boreale, è una vasta distesa di conifere che rappresenta la più grande riserva di legname dolce del mondo, con alberi decidui che crescono su terreni poveri di sostanze e spesso acquitrinosi; da ovest si estende per tu a la Siberia e ospita una fauna che fu in grado di fornire alla Russia antica una straordinaria quantità di pellicce, il cui commercio, come sarebbe avvenuto più tardi in Nordamerica, incentivò esplorazione e insediamento.

Più in basso, la taiga sfuma in una foresta mista di conifere (pini e abeti rossi) e di querce, aceri e faggi decidui (molti ormai tagliati) che a sud si estende fino a Kiev e a est fino agli Urali. Qui il terreno, sebbene più ricco, è ancora relativamente povero e le brevi e piovose estati lo rendono poco ada o all’agricoltura. Ciononostante, questa zona di foreste miste divenne il cuore della Rus’ e della Moscovia. I fiumi della Russia europea, infa i, nascono proprio qui, fornendo agli abitanti di queste terre e ai loro governi importanti vie di comunicazione, mentre la foresta li proteggeva dagli a acchi provenienti dalle steppe del sud e dai nemici giunti da Occidente. Fu questo, fin dalle origini, l’ambiente in cui nacquero e si svilupparono la vita e la cultura russe. A tal proposito, il grande storico del XIX secolo Vasilij Ključevskij, scrisse:

Fino alla metà del XVIII secolo la maggior parte dei russi viveva nei boschi delle nostre pianure. La steppa entrava nelle loro esistenze solo in occasioni nefaste, con le invasione tatare e le rivolte dei cosacchi. Nel XVII secolo, a un occidentale in viaggio da Smolensk a Mosca, la Moscovia appariva ancora come una sterminata foresta intervallata da radure di dimensioni più o meno grandi su cui sorgevano villaggi e ci à. […] I boschi offrivano ai russi molti vantaggi economici, politici e perfino morali. Fornivano una casa in pino o in quercia, da riscaldare con legname di betulla e di pioppo e da illuminare con accenditoi di betulla. Dalla foresta si ricavavano scarpe di fibra di tiglio e utensili vari. […] La foresta era il rifugio più sicuro dai nemici esterni e sostituiva montagne e

(17)

fortezze. Lo stato stesso, dopo una Rus’ distru a perché troppo vicina alle steppe, si poté sviluppare solo a nord, lontano da Kiev, prote o dai boschi. […]

[Eppure] la foresta rappresentò sempre un fardello per i russi. Nell’antichità, quando era troppo rigogliosa, intralciava le strade e i sentieri, riconquistava a poco a poco prati e campi disboscati a fatica e minacciava gli uomini e il bestiame con lupi e orsi. La foresta dava asilo a ladri e briganti. Strappare con ascia e fuoco appezzamenti da coltivare era un lavoro ingrato ed estenuante.

[…] I russi non hanno mai amato la loro foresta.

Proseguendo verso sud, lungo una linea che da Kiev passa per Tula, Rjazan’ e Kazan’, la foresta si dirada nella steppa boscosa, con praterie intervallate da zone di alberi decidui, che si estendono per duemila cinquecento chilometri dai Carpazi agli Urali, e a est fino all’Enisej. Ancora più a sud la steppa boscosa lascia il posto a distese di steppa aperta, i «grandi spazi aperti» della Russia, che arrivano fino al Mar Nero e a est si trasformano in steppa salata e arido semideserto a nord del Caspio. Il terreno delle steppe è formato principalmente da terra nera (černozëm), ricca e fertile che, nonostante le rade piogge, perme e grande produ ività agricola per un vasto triangolo di qua romila chilometri, da Kiev fino alla Siberia occidentale. Zone di pascolo e caccia per i popoli nomadi, queste aree rimasero per secoli terra di nessuno, teatro di guerre di confine e arena per la politica delle steppe, in cui kieviani, moscoviti, polacchi e lituani interagirono prima con gli invasori pečenegi e polovcy, poi con i discendenti tatari di Gengis Khan, e infine, nel periodo imperiale, con altri gruppi nomadi come i calmucchi e i kazachi. Ancora nel XVIII secolo, moscoviti, polacchi e ucraini affrontarono i tatari di Crimea, discendenti dei mongoli, e altri popoli delle steppe che venivano da quella che i moscoviti chiamavano «zona selvaggia», razziando, saccheggiando e prendendo prigionieri russi e polacchi per rivenderli al mercato degli schiavi in Crimea e a Costantinopoli.

Fino all’epoca moderna per i governi di Kiev, di Mosca e per quello imperiale, le steppe rappresentarono al contempo una minaccia e un’opportunità. Se da un lato minacciavano un’imminente distruzione per mano di potenti invasori (i primi

(18)

p p p sovrani furono legati agli imperativi diplomatici e militari della politica delle steppe eurasiatiche, e fortificazione e difesa furono tra le loro preoccupazioni principali), dall’altro i territori al confine orientale rappresentavano uno spazio disabitato e senza controllo, aperto alla conquista e allo sfru amento, e offrivano possibilità illimitate di espansione e commercio. La Russia, infa i, fu uno stato di frontiera per molto più tempo, ad esempio, dell’America, tanto che uno degli elementi ricorrenti della sua storia è la frontiera in continuo spostamento. La relativa desolazione della Siberia, conquistata nel Cinquecento e nel Seicento da popoli autoctoni e dai tatari discendenti dei mongoli, e la pericolosa instabilità della «zona selvaggia» meridionale richiedevano un controllo e una difesa continui, che costavano molte risorse. A differenza dell’America, inoltre, la Russia dove e fare i conti con l’assimilazione delle terre al confine orientale e meridionale e affrontare al contempo pericolosi rivali in altre zone. Questo stato di cose costrinse i sovrani russi a mobilitare, fin dalle origini, tu e le loro risorse e in maniera più sistematica rispe o a tu e le altre nazioni europee. Nel corso dei secoli, in termini di costante insicurezza, perdita di popolazione, spese per la difesa e rallentamento dello sviluppo economico, la Russia pagò un prezzo enorme. Ma smisurate furono anche le sue possibilità: la Siberia è tu ora terra di frontiera, e il confine delle steppe meridionali, in quella che oggi chiamiamo Ucraina, fu definitivamente chiuso all’inizio del XIX secolo con la colonizzazione di tu o il territorio. Più tardi, sempre nell’O ocento, l’ulteriore espansione russa a sudest aprì una nuova enorme regione di frontiera oltre il Volga, in Asia centrale, e la sua costante avanzata in quella direzione preoccupò i governatori delle colonie britanniche.

L’Asia centrale e l’Afghanistan divennero teatro del «grande gioco»

dell’impero e dell’espansione coloniale, e gli inglesi arrivarono addiri ura a considerare la Russia, sebbene in modo irrealistico, come una minaccia per l’India britannica.

L’espansione russa, sulla spinta di stimoli economici e necessità di difesa, fu favorita dalla mancanza di confini e di una potente opposizione. Ma se, come per la Gran Bretagna, in alcuni casi i suoi governanti conquistarono nuovi territori «quasi senza accorgersene»,

(19)

g q q g

per una parte della popolazione russa le zone di confine significavano ben altro: i contadini vi emigravano per vie legali e illegali in cerca di nuove terre da coltivare. La frontiera rappresentava anche un rifugio, selvaggio e isolato, per chi volesse sfuggire al controllo oppressivo del governo centrale. Il sogno di una vita migliore fece nascere tra i contadini racconti utopici di terre libere dal giogo dell’autorità, come la mitica Belovod’e (Terra dell’acqua bianca) spersa da qualche parte nell’Estremo Oriente siberiano o in Giappone. La discutibile tesi di Frederick Jackson Turner sulla frontiera americana come «valvola di sfogo» e crogiolo della nazione è stata applicata anche alla Russia: fuggiaschi slavi e briganti tatari si nascosero nelle selvagge praterie del sud stabilendosi lungo i grandi fiumi e ado ando lo stile di vita errante e guerresco dei nomadi delle steppe. Fu così che si formarono gli

«eserciti» cosacchi (comunità militarizzate) delle steppe meridionali.

La parola «cosacco» deriva da una radice turca che significa «uomo libero» e i vasti spazi della frontiera medievale moscovita garantivano loro più o meno lo stesso genere di libertà (volja) di cui godranno in seguito i coloni e i cowboy armati e indipendenti delle praterie del Nordamerica. Volja, una delle due parole russe per libertà (l’altra, svoboda, è la libertà per legge), che significa anche

«volontà» o «forza di volontà», indicava la libertà di esercitare il proprio volere, la possibilità di non essere agli ordini di nessuno, tanto che tra i primi cosacchi la violenza era la sola e unica legge.

Anche i contadini russi, divenuti servi nel XVI e nel XVII secolo e privati della proprietà della terra che coltivavano, desideravano volja, che per loro significava libertà dall’ingerenza dei padroni e del governo. Allo stesso modo cercavano rifugio in periferia i dissidenti religiosi, fuggiti dalla Chiesa ufficiale dopo lo scisma del Seicento, che si nascondevano spesso nelle foreste e sulle montagne della Russia se entrionale e della Siberia. (A metà del XX secolo gli esploratori sovietici si imba eranno in villaggi siberiani nascosti fondati da vecchi credenti, i cui abitanti non sapevano nulla della Rivoluzione bolscevica e dei fa i che ne erano seguiti.)

I grandi fiumi della Russia a raversavano sia le foreste sia le steppe, e il territorio pianeggiante non spezzava le linee di displuvio,

(20)

pp p gg p p

perme endo lo sviluppo di enormi corsi d’acqua. Nella Russia europea il fiume Dnepr (2285 km) è superato in lunghezza solo dal Volga, il corso d’acqua più lungo d’Europa (3700 km), che collega Mosca e il nordovest con il mar Caspio, mentre un breve canale dal Volga al Don – il cui proge o fu completato solo nel 1952, dopo numerosi tentativi nel corso di tu a la storia russa – dà accesso al Mare di Azov, al Mar Nero e al Mediterraneo. Ma i fiumi della Russia europea scompaiono se paragonati a quelli siberiani: l’Enisej (4090 km), l’Ob’ con l’affluente Irtyš (5410 km) e la Lena (4400 km) nascono al confine con la Mongolia e la Cina e sfociano nel Mar Glaciale Artico. Siccome scorrono verso nord, da un punto di vista organizzativo vanno nella direzione sbagliata (i proge isti sovietici lo consideravano un «dife o di natura»), ma hanno affluenti che scorrono verso est e verso ovest. Nella zona meridionale dell’Estremo Oriente russo l’Amur, con il suo affluente Ussuri (4510 km), forma gran parte del confine con la Cina.

Questi fiumi ghiacciano per quasi tu o l’anno, come i mari che delimitano l’antico cuore della Rus’ e della Russia del nord: il Mar Bianco e il mar Baltico. Altrove il paese rimase a lungo senza sbocchi al mare, la costa del Pacifico così lontana da costituire un’area economica a sé stante, e l’accesso ai mari temperati, per un commercio mari imo continuo e comunicazioni internazionali, fu una delle aspirazioni dei sovrani moscoviti e degli imperatori di Russia. La capacità della Rus’ di inviare flo iglie mercantili, nonché spedizioni militari, al di là del Mar Nero giocò un ruolo importante nelle relazioni tra Kiev e Bisanzio: dietro Costantinopoli c’era il Mediterraneo, che divenne accessibile solo alla fine del XVIII secolo.

I russi non raggiunsero il Pacifico prima del Seicento, mentre le moderne basi sul Baltico risalgono al Se ecento.

Le terre della Rus’ erano sulla ro a di alcune delle maggiori vie commerciali dell’epoca. La «strada dai varjaghi [vichinghi] ai greci [bizantini]» partiva dal Baltico, seguiva i fiumi Lovat’ e Volchov, poi il corso della Dvina occidentale e, a raverso lo spartiacque del Rialto del Valdaj e delle vicine zone montane, giungeva al fiume Dnepr, al Mar Nero e al Bosforo. Il Volga apriva ai mercanti del Nordeuropa la via di Baghdad, dell’Arabia e più tardi della Cina. Novgorod, una

(21)

g p g

delle ci à più antiche della Rus’, si arricchì facendo da ponte tra il commercio nordeuropeo e i mercati asiatici. Il contributo russo a questi scambi consisteva principalmente in prodo i della foresta, pellicce, selvaggina, miele, cera e legname, cui più tardi si aggiunsero canapa, lino, sego e materiali per le navi. Con la conquista della Siberia cominciò anche l’esplorazione delle sue straordinarie risorse minerarie, ma la ricchezza del so osuolo siberiano era difficile da sfru are poiché, oggi come allora, complicata da raggiungere, trasformare in ogge i utili e inviare ai centri del commercio e del consumo. Nel XVIII secolo il ferro russo degli Urali, trasportato con chia e per via fluviale, era più economico a Costantinopoli che a San Pietroburgo.

Il modo in cui si svilupparono commercio ed economia influenzò profondamente la fisionomia della società russa. Per la sua epoca la Rus’, che fondava la propria prosperità sopra u o sui traffici a distanza, era abbastanza urbanizzata. La conquista mongola, però, interruppe molte relazioni commerciali e nella Russia moscovita si sviluppò un’economia più chiusa e su base agricola, in cui le ci à rappresentavano sopra u o centri amministrativi o capisaldi militari: la scarsa diffusione del commercio e l’autonomia dei latifondi nobiliari, infa i, non favorirono l’urbanizzazione e l’indipendenza dei centri urbani. Fino al XIX e XX secolo, dunque, le ci à russe rimasero relativamente poche, povere e dallo scarso peso politico, fa o che ha rappresentato un elemento cruciale nello sviluppo, o meglio nel so osviluppo, della società civile e della cultura politica in Russia.

Dimensioni, geografia, geologia e clima hanno quindi imposto limiti precisi al modo di vivere e all’evoluzione del paese. Nel corso della loro storia i russi, con poche risorse e molti problemi di sicurezza, hanno dovuto affrontare condizioni più dure di qualunque altro grande stato nel Vecchio o nel Nuovo Mondo. In un simile ambiente vivere, lavorare e trovare i mezzi per la sopravvivenza è più difficile, e rappresenta ancora un problema nel XX e XXI secolo, anche se meno grave che nel Mille e nel Millecento.

E la stessa preoccupazione hanno anche tu e le altre società dell’Eurasia interna, che in questo si differenziano da quelle costiere

(22)

q q

dell’Eurasia esterna. Nelle parole di Christian: «Le società che hanno fa o la storia dell’Eurasia interna sono quelle che hanno saputo concentrare e raccogliere le scarse risorse umane di una regione per natura relativamente poco produ iva». In queste condizioni ostili, i governi succedutisi tra gli slavi orientali si sono dimostrati straordinariamente capaci, e la Russia è divenuta e resta, anche dopo aver perso lo status di superpotenza nel 1991, il più grande stato territoriale del mondo, forte e influente sia dal punto di vista economico sia militare.

(23)

Dalle origini al 1300: Kiev e Saraj

La Rus’, la prima organizzazione politica degli slavi orientali, sorse nel IX secolo d.C. intorno a Kiev, sul fiume Dnepr, e divenne lo stato più grande dell’Europa medievale, sopra u o dopo la conversione al Cristianesimo orientale nel 988, un passo che influenzò in maniera determinante i suoi orientamenti culturali e politici. Nel XIII secolo la Rus’ fu conquistata dai mongoli discendenti di Gengis Khan e diventò parte dell’impero mongolo. I sovrani del khanato Kipčak (l’Orda d’Oro), la parte più occidentale dell’impero, posero la loro capitale a Saraj sul Volga.

(24)

La Rus’ di Kiev Le origini della Rus’

La nascita della Rus’ di Kiev è rimasto un evento oscuro. Si sa che nel IX secolo le tribù slave della regione erano capeggiate dai membri di una popolazione chiamata rhos o rus’, ma l’origine e l’identità di questi rus’ e il processo storico per cui divennero i capi di una nuova stru ura politica centrata su Novgorod e Kiev non sono chiari. La cosidde a «questione normanna» è stata discussa e contestata fin dai suoi esordi nel XVIII secolo, e fa riferimento a un passaggio della Cronaca degli anni passati o Cronaca di Nestore, la maggiore fonte autoctona per la storia della Russia antica. Scri a in diverse fasi tra l’XI e il XII secolo da monaci di Kiev per glorificare la dinastia regnante, la Cronaca è un documento complesso e di difficile interpretazione, ma inestimabile poiché si occupa di un periodo su cui esistono soltanto poche fonti. Negli anni 859-862 il Cronista annota che le locali tribù slave e finniche, che in precedenza si erano opposte alle richieste di tributi da parte dei rus’, essendo ormai giunte ai ferri corti tra loro, decisero di assogge arsi volontariamente a quegli stranieri purché facessero da giudici e sovrani:

859. Anno 6367. Levarono tributo i Varjaghi d’oltre mare sui Čudi e sugli Slavi, sui Meri e sui Vesi e sui Kriviči. Mentre i Chazari lo riscotevano dai Poliani, e dai Severiani, e dai Vjatiči riscotevano monete d’argento e pelle di scoia olo per ogni focolare. […]

862. Anno 6370. Scacciarono i Varjaghi al di là del mare, e non pagarono loro il tributo, e cominciarono da sé a governarsi, e non vi era tra loro giustizia […] e cominciarono a comba ersi essi fra loro stessi. E si dissero: «Cerchiamo un principe, il quale ci governi e giudichi secondo giustizia». E andarono al di là del mare dai Varjaghi, dai Russi. Giacché questi Varjaghi si chiamavano Russi, così come altri si chiamano Svedesi, altri Normanni, Angli, Goti, così anche

(25)

questi. Dissero ai Russi i Čudi, gli Slavi, i Kriviči e i Vesi: «La terra nostra è grande e fertile, ma ordine in essa non v’è. Venite a governarci e comandarci!». E si riunirono tre fratelli con la loro gente, e presero seco tu i i Russi; e giunsero [ivi].1

Questo racconto, paragonabile alla storia della nascita di Roma a opera di Romolo e Remo o alla leggenda di Hengist e Horsa della Cronaca anglosassone, è un classico mito di fondazione. Altre fonti e alcuni reperti archeologici dimostrano, in ogni caso, che i guerrieri e i mercanti chiamati rhos o rus’ si erano a quell’epoca stabiliti nell’Europa nordoccidentale; si è tentato inoltre di identificare il personaggio reale da cui sarebbe nata la figura leggendaria del capo Rjurik, dando il nome alla dinastia russa kieviana e moscovita. I rus’

erano di origine scandinava e giunsero nella regione per commerciare e razziare, a ra i in particolar modo dall’argento proveniente dai mercati del mondo arabo. Dall’VIII secolo in poi i norreni scandinavi cominciarono una fase di espansione che li portò per il mondo sulle loro lunghe navi per traffici, razzie ed esplorazioni. Nell’arco di circa due secoli raggiunsero e colonizzarono il Nordamerica, l’Islanda e la Groenlandia, le isole britanniche, la Spagna, la Sicilia e l’Armenia; vichinghe erano anche le «guardie varjaghe» degli imperatori bizantini di Costantinopoli. I

«varjaghi» si spinsero a est in cerca delle merci asiatiche che trovavano nei mercati dei bulgari del Volga e del khanato dei chazari. Sono rimaste loro tracce anche nei paesi slavi: a quanto risulta, durante il IX secolo questi mercanti armati strinsero con le popolazioni slave e finniche conta i più stabili e in cambio di tributi offrirono protezione dagli a acchi dei nomadi e dalle razzie di varjaghi rivali, diventando successivamente principi e governando con il loro seguito (družina) su quelle società tribali. Da principio i nuovi venuti fondarono i loro capisaldi nel nord. Rjurikovo Gorodišče (la ci à di Rjurik), un importante insediamento sul fiume Volchov, sulle sponde del lago Il’men’, è stato identificato come probabile prima base dei rus’. Secondo la Cronaca degli anni passati, acce ando l’invito degli slavi, Rjurik si stabilì nella ci à di Novgorod, mentre i suoi fratelli divennero signori delle ci à vicine.

(26)

g g

Con la loro morte Rjurik rimase l’unico sovrano. Quando morì nell’879 o nell’882, sempre secondo la Cronaca, gli successe, dapprima so o la reggenza di Oleg (Helgi), il figlio minore Igor’, che intorno al 880 si stabilì a Kiev. Quando Igor’ fu ucciso da tributari ribelli nel 945 il potere passò nella mani della vedova Ol’ga (Helga), fino all’ascesa al trono nel 962 del figlio Svjatoslav, il primo sovrano rjurikide con un nome slavo.

(27)
(28)

Svjatoslav, Vladimir e la conversione della Rus’

All’epoca di Svjatoslav (962-972) la Rus’ di Kiev, che ora orbitava a orno al medio Dnepr, era ormai divenuta una potenza di un certo peso, in grado di fronteggiare le altre forze della regione: i bulgari del Volga, i chazari e persino l’impero bizantino. Il khanato dei chazari era un agglomerato di tribù che formava uno stato multietnico, il cui centro si trovava tra il Mar Nero e il mar Caspio.

Negli anni seguenti la capitale divenne Itil, sul Volga, sopra l’a uale Astrachan’, ma il suo potere si estendeva a nord, a ovest e a sud fino al Caucaso. I chazari ricevevano tributi dagli slavi del Dnepr ed è probabile che all’inizio Kiev fosse so o il loro dominio, o almeno presidiata da truppe chazare. Col tempo affiancarono alla riscossione dei tributi il commercio e lo sfru amento delle miniere, e nell’VIII secolo la supremazia chazara creò una pax chazarica nelle steppe meridionali che facilitò, tra l’altro, le migrazioni slave. Dopo aver acce ato per un breve periodo l’Islam, nell’861 le élite chazare scelsero come religione di stato l’Ebraismo. A sud il loro impero intra eneva complessi rapporti con Bisanzio ed ebbe una notevole influenza sul nascente stato della Rus’.

Negli anni Sessanta del X secolo, Svjatoslav espanse i suoi territori, so ome endo i tributari chazari dell’Oka e del Volga.

Conquistò anche la Chazaria meridionale e nel 965 distrusse Itil, portando al collasso la potenza nemica. I rus’ dominavano ora le vie commerciali dal Volga al mar Caspio e le steppe del Dnepr e del Ponto (Mar Nero). Ma, ironia della sorte, con la caduta dei chazari le steppe meridionali diedero libero accesso ai nomadi pečenegi che rappresentavano una minaccia ancora maggiore: costrinsero i rus’ ad alleanze di sangue e arrivarono persino ad assediare Kiev nel 969.

Intanto Svjatoslav saccheggiava Bolgary, capitale dei bulgari del Volga e sconfiggeva i bulgari del Danubio, disperdendoli a sudovest, come richiestogli dall’imperatore bizantino. Ma le sue furono fragili conquiste: a frustrare i suoi proge i di consolidare il potere sul

(29)

Danubio ci pensarono i bizantini, e sulla via del ritorno Svjatoslav fu ucciso dai pečenegi che, secondo l’uso tribale, trasformarono il suo teschio in una coppa.

Per tu o il X secolo, i rapporti tra rus’ e Bisanzio furono cara erizzati dall’alternarsi di confli i e alleanze, come confermano fonti kieviane oltre che arabe e bizantine. Dopo il primo a acco dei varjaghi russi contro l’Impero d’Oriente, che risale all’861, ne seguirono altri nel 907, 941 e 971, sempre a scopo di razzia o per raggiungere nuove vie commerciali, che portarono alla stipulazione di tra ati nel 911, 944 e 971, con cui si regolavano le relazioni tra rus’

e Bisanzio e il diri o dei primi di commerciare a Costantinopoli. Nel 957 Ol’ga guidò personalmente una delegazione alla capitale bizantina, dove fu ricevuta dall’imperatore Costantino VII, conscio dell’importanza di quella nuova potenza del nord. Bisanzio ebbe enorme rilevanza culturale per la Rus’ persino nel suo declino, fino alla conquista dei turchi o omani nel 1453.

Alla morte di Svjatoslav, tra i suoi figli seguì una lo a sanguinosa per il potere. Uno venne ucciso e il più giovane, Vladimir, salpò in Scandinavia cercando la protezione del re di Norvegia, per poi tornare con un contingente varjago, assassinare il fratellastro Jaropolk e prendere il controllo di Kiev. Il regno di Vladimir Svjatoslavič (980-1015) segnò il definitivo assestamento della Rus’ di Kiev, che da una congerie di popolazioni tributarie divenne un’organizzazione politica e sociale abbastanza coerente. Vladimir consolidò i suoi territori, diventandone signore incontrastato: si proclamò gran principe e, scelta Kiev come capitale, fondò nuove ci à e insediamenti nell’entroterra, popolandoli di coloni del nord;

inoltre sviluppò e ampliò le rudimentali forme di amministrazione centrale che Ol’ga aveva introdo o al posto dei vecchi ordinamenti tribali. Oltre a circondarsi di ufficiali che rispondevano dire amente a lui, Vladimir seguì l’esempio del padre suddividendo il regno fra i suoi figli in base alle principali ci à e ai loro territori: ogni principe, con il proprio seguito militare, divenne responsabile della riscossione dei tributi, dell’ordine civile e della difesa del proprio territorio. Durante il regno di uno dei figli di Vladimir, Jaroslav (de o il Saggio, 1019-1054), fu promulgato il primo codice legale, la

(30)

gg p g p g

Russkaja Pravda (Verità russa o Giustizia russa), che formò per secoli, insieme al diri o ecclesiastico di origine bizantina, la base del diri o civile russo.

(31)

Al principio la Rus’ era uno stato pagano i cui popoli adoravano divinità slave e finniche e, giunto al potere, Vladimir eresse persino un pantheon in un luogo elevato di Kiev. Le élite della Rus’, tu avia, subirono l’influenza di fedi e credenze religiose diffuse nel territorio circostante: i sovrani chazari praticavano l’Ebraismo, l’Islam era giunto fino ai bulgari del Volga già all’inizio del X secolo, e il Cristianesimo si stava diffondendo nell’Europa orientale e meridionale. Nei Balcani i monaci bizantini Cirillo e Metodio avevano trado o le scri ure e la liturgia dal greco in un diale o slavo scri o in alfabeto glagolitico, e nell’864 avevano convertito i bulgari del Danubio. Negli anni Sessanta del X secolo la Polonia accolse il Cristianesimo di Roma e lo stesso fecero intorno al 985 i magiari ungheresi. Più a nord il re danese Harald Dente Blu si convertì nel 965, i norvegesi nel 993. Il Cristianesimo bizantino era già noto da tempo ai rus’: nell’867 il patriarca bizantino Fozio aveva creato una diocesi per slavi e varjaghi convertiti. Nel 957, durante una visita a Costantinopoli, Ol’ga accolse il ba esimo e nel 960, in seguito a una missione diplomatica dei rus’ a Francoforte, presso l’imperatore del Sacro Romano Impero, O one I inviò un vescovo ca olico a Kiev. Ma l’iniziativa di Ol’ga provocò una forte opposizione da parte dell’élite pagana della Rus’, e Svjatoslav, temendo lo scherno della sua corte, non si convertì. Fu suo figlio Vladimir a compiere nel 988 questo passo epocale per sé e per il suo popolo.

Celebre è l’annotazione all’anno 987 contenuta nella Cronaca degli anni passati che descrive la conversione di Vladimir come il risultato di una ricerca spirituale: dopo aver incontrato i rappresentanti delle fedi monoteistiche (i bulgari musulmani, i chazari ebrei, i germani ca olici, i bizantini greci ortodossi), il sovrano manda i suoi emissari a svolgere ulteriori indagini. Questi, poco impressionati dai primi incontri, sono invece conquistati dalla gloria della cristianità bizantina: «E dai Greci andammo, e vedemmo dove officiavano in onore del loro Dio, e non sapevamo se in cielo ci trovavamo oppure in terra: […]; solo questo sappiamo: che là Dio con l’uomo coesiste, e che il rito loro è migliore [di quello] di tu i i paesi. Ancora non possiamo dimenticare quella bellezza».2 Ma è più probabile che a

(32)

p q p p

spingere verso la conversione siano stati sopra u o fa ori pratici: le religioni monoteistiche abbracciate dai potenti vicini rappresentavano interessanti strumenti di integrazione politica e di controllo sociale e convertirsi all’ortodossia poteva portare a una riconciliazione con la potenza culturale ed economica di Bisanzio.

Nel 987 l’imperatore Basilio II che, minacciato da una grande rivolta, aveva un bisogno disperato di una valida alleanza, acce ò il decisivo aiuto militare di Vladimir e in cambio promise al principe della Rus’

la mano di una principessa imperiale. Ma siccome per Anna Porfirogenita, sorella di Basilio, il matrimonio con un barbaro non convertito avrebbe significato infrangere sia la tradizione bizantina sia il diri o imperiale, nel 988 Vladimir, pur di o enere in sposa la principessa, si lasciò ba ezzare. Tornato a Kiev distrusse il pantheon pagano, scacciò le sue concubine e le altre mogli e, secondo la Cronaca, organizzò un ba esimo di massa dei kieviani nello Dnepr.

Così la Rus’ di Kiev divenne una metropoli della Chiesa orientale, con vescovati a Belgorod, Novgorod e Černigov; il metropolita veniva designato dal patriarca di Costantinopoli.

La conversione della Rus’ al Cristianesimo fu un trionfo sia per Bisanzio, che ora esercitava la sua influenza fino al profondo nord, sia per Vladimir, ed ebbe un’importanza enorme anche per la Russia in generale: vincolando il destino della Rus’ al mondo cristiano e a quella che più tardi sarebbe divenuta l’Europa, Vladimir legò la cultura della Russia a Bisanzio. Anna fu accompagnata a Kiev da un seguito di ecclesiastici greci, e greci furono anche i maestri artigiani che Vladimir chiamò per costruire la chiesa della Decima (991-996) a Kiev, il primo grande edificio cristiano della Rus’, e le successive ca edrali di Santa Sofia, sempre a Kiev e a Novgorod; grazie a questi monumenti giunsero in Russia la tecnica dell’affresco e dell’icona. La principessa bizantina, dunque, non portò con sé soltanto la maestà e la religione di Bisanzio, ma anche la sua cultura le eraria, le forme d’arte, le norme politiche e legali, e la tradizione del monachesimo orientale. La nuova metropoli, per esempio, ado ò come propria lingua liturgica lo slavo ecclesiastico, scri o nell’alfabeto cirillico arcaico, derivato dall’alfabeto glagolitico, e la Russia ebbe accesso a testi religiosi e secolari e alle cronache bizantine (il codice medievale

(33)

russo di diri o ecclesiastico conosciuto come Kormčaja kniga, allag le era Libro pilota, era una compilazione bizantina). Col tempo la Rus’ di Kiev produsse anche una propria cultura le eraria, con testi come lo storico Sermone sulla legge e sulla grazia (1050 circa) del metropolita Ilarion. Ma l’opera più famosa della le eratura russa delle origini resta l’epos Il canto della schiera di Igor’ (Slovo o Polku Igoreve), che risale alla fine del XII secolo e fu per Borodin fonte d’ispirazione per una sua opera, Il principe Igor’. Tu avia l’adozione del Cristianesimo bizantino invece di quello romano impedì la diffusione del latino, e l’uso della lingua slava ecclesiastica rese relativamente scarso l’influsso della lingua greca.

(34)

La scelta di Vladimir a favore del Cristianesimo orientale ortodosso, invece di quello occidentale romano, ebbe anche altre ripercussioni, conseguenze di vasta portata. Dopo lo scisma

(35)

d’Oriente del 1054, la Rus’ si allontanò, sebbene non tanto quanto si crede, dall’evoluzione culturale e intelle uale dell’Europa ca olica (più tardi le tensioni tra ortodossi e ca olici giocheranno un ruolo importante nei rapporti tra la Russia e i suoi vicini occidentali, in particolare la Polonia). Liturgia e teologia ortodosse, per esempio, ebbero un peso enorme nello sviluppo della cultura e della sua visione del mondo russo. Più che sulla costruzione teologica di Dio, la tradizione bizantina si concentrava su ritualità, preghiera e adorazione; la ricerca intelle uale si sviluppò tardi e il sapere rimase essenzialmente monastico (fino alla prima età moderna, nei paesi ortodossi, a parte Ohrid in Macedonia nel IX secolo, non fu fondata nessuna università e dopo il declino di Costantinopoli non ci fu centro che potesse rivendicare l’autorità universale esercitata da Roma sui paesi ca olici). Le tradizioni ortodosse, inoltre, influenzarono fortemente l’arte russa, in particolare riguardo alla posizione dominante delle icone: non si tra a di pi ura figurativa, ma di rappresentazioni simboliche create per condurre al regno dello spirituale e del divino sia l’artista sia lo spe atore; vere e proprie forme d’arte figurativa e profana giunsero in Russia molto più tardi.

Lo stesso avvenne per la musica strumentale, rifiutata dagli ortodossi: la straordinaria tradizione russa di canto corale sacro si accompagnò all’avversione ufficiale per gli strumenti popolari suonati da musicisti girovaghi (skomorochi), che portò anche alla scarsa diffusione e al rifiuto della musica strumentale europea, almeno fino all’epoca di Pietro il Grande. Ugualmente importante fu l’influenza del monachesimo orientale, che trovò la sua massima espressione nelle comunità del monte Athos in Grecia: il primo monastero kieviano, il Monastero delle Gro e (Pečerskaja lavra), fu fondato a Kiev intorno al 1050 dal monaco atonita Antonij, poi dichiarato santo. I monasteri furono centri di vita spirituale, di istruzione e cultura, e con il passare degli anni si trasformarono nel cuore delle colonie e degli insediamenti delle lontane periferie, e divennero i principali proprietari terrieri; con la costruzione di grandi mura di cinta furono impiegati anche come fortezze e rifugi nei periodi di guerra.

(36)

Malgrado le azioni risolute di Vladimir dopo la sua conversione, e le influenze della cultura e del clero bizantini sull’élite della Rus’, tra le masse popolari il Cristianesimo si diffuse lentamente. Ma se la forte opposizione iniziale (a Novgorod scoppiò una rivolta contro la dissacrazione degli idoli pagani) ebbe vita breve, le credenze pagane e gli usi locali furono duri a morire e nella Rus’, come altrove, la nuova fede tollerò i vecchi sistemi religiosi (la venerazione degli spiriti della foresta e del focolare, il culto degli antenati, le pratiche magiche e animiste), e in alcuni casi vi si ada ò: questo sincretismo chiamato dvoeverie, «doppia fede», ha cara erizzato la religione popolare russa fino all’epoca moderna. Ciononostante, il Cristianesimo istituzionale si impose nella Rus’ come sistema ufficiale senza particolari difficoltà e, oltre a formare la base di una cultura condivisa dall’intera nazione, fornì la giustificazione teorica al potere della casata kieviana e moscovita di Rjurik.

I principi rjurikidi consolidarono la propria autorità su una popolazione per la stragrande maggioranza rurale, contadini che vivevano sopra u o di agricoltura. Nella Rus’ si praticava la schiavitù, ma i contadini erano liberi e si sostentavano con le tecniche agricole del «taglia e brucia», la coltivazione di cereali nelle radure e l’allevamento di bestiame, mantenendo anche la popolazione urbana e le élite ci adine. Inoltre pescavano, cacciavano e raccoglievano i prodo i della foresta (bacche, funghi, noci, miele e cera). In genere le famiglie proprietarie di un appezzamento di terreno si raggruppavano in borghi e villaggi ed entravano a far parte di comunità territoriali o associazioni locali (verv’ o mir) che condividevano i terreni e le stru ure agricole. Le comunità avevano una responsabilità generale o colle iva nel pagamento dei tributi e nell’assolvimento degli altri obblighi legali dei singoli membri e delle famiglie.

Oltre a una base rurale, la Rus’ sviluppò una notevole urbanizzazione sopra u o a causa della crescente importanza del commercio: il 13-15% della popolazione viveva probabilmente in agglomerati urbani abbastanza numerosi e progrediti, tanto che le ci à più grandi della Rus’ reggevano il confronto con quelle dell’Europa contemporanea. Erano le sedi di principi e dignitari

(37)

p p p p g

ecclesiastici, che possedevano spesso anche vaste proprietà fondiarie.

La maggioranza della popolazione ci adina era costituita da artigiani, piccoli commercianti e lavoratori non specializzati. Tra loro e l’élite c’erano i ricchi mercanti autoctoni o stranieri, mentre sul gradino più basso della società si trovavano i lavoratori dipendenti e gli schiavi. Anche le ci à avevano i loro organi comunitari:

un’assemblea, il veče. Il principe e il suo seguito tenevano in enorme considerazione il rapporto con la popolazione ci adina: il gran principe assegnava le ci à ai singoli principi e questi ne affidavano l’amministrazione ordinaria agli abitanti; inoltre, la sola družina non era quasi mai sufficiente a sostenere da sola le campagne militari e veniva affiancata dalla locale milizia ci adina. A volte i principi entravano in confli o con gli abitanti della loro ci à e venivano cacciati; altre volte il veče eleggeva o invitava un principe a governarla. Novgorod in particolare sviluppò una forte tradizione d’autonomia locale, con capi ci adini ele i (i posadniki). La campana del veče di Novgorod divenne il simbolo della sua indipendenza.

Oltre che tra il principe e i ci adini, nascevano scontri e confli i anche tra i membri della famiglia regnante. Assegnando ai suoi figli ci à o principati (il loro «appannaggio» [udel] o eredità personale), Vladimir pensava di rafforzare il potere centrale di Kiev sulle regioni periferiche e di consolidare la nuova religione, scongiurando ulteriori lo e fratricide. So o i suoi discendenti emerse tra i principi rjurikidi un chiaro sistema di successione, non tanto diverso da quello praticato in altre comunità delle steppe. La stirpe di sangue reale si spartiva così il dominio del paese: il fratello maggiore governava su Kiev e deteneva il titolo di gran principe,3 mentre gli altri ricevevano la loro parte in ordine di anzianità e cambiavano sede alla morte di un fratello maggiore o in circostanze analoghe. Il principio della successione collaterale e la rotazione delle sedi forniva una regola ereditaria chiara e un metodo che teneva conto delle esigenze di tu i i figli e del loro seguito. Eppure non mancavano zone d’ombra: l’anzianità di un fratello poteva essere determinata in base a diversi criteri e presto il sistema cominciò a mostrare alcune falle. Dopo la morte di Vladimir, la questione si fece sempre più complessa a causa delle tante ramificazioni del clan

(38)

p p p

rjurikide, e nel 1097 i principi regnanti si incontrarono nella ci à di Ljubeč’ per discutere dei problemi di successione. Fu un risultato solo parziale. Queste faide intestine, però, non vanno considerate una cara eristica esclusiva della Rus’: basta pensare, per esempio, alle guerre che in quello stesso periodo ebbero luogo nell’Inghilterra sassone e normanna, oppure in Francia o Scandinavia. Tu avia, fino alla conquista mongola nel XIII secolo, le rivalità tra i principi rappresentarono la prima causa di confli o e disunione, una tradizione che continuò anche so o il dominio mongolo, fino al nuovo stato, finalmente unificato, dei gran principi di Mosca nel XV secolo.

So o Vladimir, Jaroslav e i loro successori, fino al regno di Vladimir Monomach (gran principe tra il 1113 e 1125), la Rus’

kieviana rimase uno stato unitario. Le frequenti alleanze matrimoniali stre e dai suoi principi con le altre famiglie regnanti d’Europa – inglesi, francesi, tedesche, ungheresi, lituane, mongole, polacche, scandinave e bizantine – sono la prova dell’importanza della Rus’ e della sua integrazione con il mondo circostante.

L’archite ura delle principali ci à testimonia anche la magnificenza dei sovrani kieviani: Jaroslav, ad esempio, celebrò la sua definitiva vi oria contro i pečenegi nel 1036 con una serie di proge i edilizi a Kiev, che raggiunsero il loro apogeo con la nuova ca edrale di Santa Sofia e altre grandiose chiese in pietra conservatesi dall’XI e XII secolo. Ma, con l’evoluzione e la crescita dell’economia kieviana, aumentò anche l’importanza delle singole ci à, e nel secolo successivo la Rus’ di Kiev divenne a tu i gli effe i una federazione di principati, ognuno legato a un diverso ramo della dinastia. Nel 1237 esistevano in totale quindici principati: ciascun sovrano sviluppò un proprio potere regionale, consolidando relazioni diplomatiche con le potenze straniere limitrofe, e fece declinare lentamente il potere centrale di Kiev.

Tabella 1 I principali sovrani, gran principi della Rus’ [rjurikidi]

Olegca 880-912 Jaropolk 1132-

(39)

1139

Igor’ 912-945 Vjaceslav 1139-

1146 Ol’ga, reggente 945-962 Jurij Dolgorukij 1149-

1157 Svjatoslav 945-972 Andrej Bogoljubskij 1157-

1174

Jaropolk 972-980 Vsevolod «Grande

Nido» 1176-

1212 Vladimir (San

Vladimir) 980-1015 Jurij 1212-

1238 Svjatopolk il

Malede o

1015-

1019 Jaroslav 1238-

1246 Jaroslav il Saggio 1019-

1054 Svjatoslav 1246-

1248

Izjaslav 1054-

1078 Andrej 1248-

1252

Svjatoslav 1073-

1076 Aleksandr Nevskij 1252- 1263

Vsevolod 1078-

1093 Jaroslav 1264-

1271

Svjatopolk 1093-

1113 Vasilij 1272-

1276 Vladimir Monomach 1113-

1125 Dmitrij 1277-

1294

Mstislav 1125-

1132 Andrej 1294-

1304

(40)

La supremazia di Vladimir-Suzdal’

Come conseguenza di questi sviluppi, nel XII secolo emerse a nord un nuovo centro di potere: la regione di Vladimir-Suzdal’. La ci à di Vladimir fu fondata sul fiume Kljaz’ma nel 1108 da Jurij Dolgorukij («Braccio lungo»), principe di Rostov e Suzdal’ (1125-1157) e, per un certo periodo, gran principe di Kiev. Da lì a breve sorsero anche altre ci à e avamposti di frontiera, tra cui Mosca, nominata per la prima volta nella Cronaca alla data 1147. So o il figlio di Jurij Dolgorukij, Andrej Bogoljubskij (1157-1174), Vladimir-Suzdal’ acquistò maggiore importanza. Oltre a rafforzare Vladimir con grandi opere di fortificazione e ad abbellirla erigendo alcune chiese in pietra, tra cui la splendida chiesa del Velo o dell’Intercessione della Vergine sul fiume Nerl’, Andrej inviò le sue truppe a conquistare e saccheggiare Kiev durante le guerre per la successione kieviana del 1169. Ma invece di occupare il posto sul trono della capitale, decise di restare al nord e cercò, senza riuscirvi, di spostare la metropoli a Vladimir. Il saccheggio del 1169 è considerato un avvenimento cruciale, simbolico e sintomatico della frammentazione dello stato kieviano;

tu avia, secondo studi recenti, Bogoljubskij sarebbe entrato in guerra per preservare il sistema tradizionale di successione; quel sintomo del declino kieviano diventerebbe l’emblema della forza crescente di altre regioni della Rus’, per cui Kiev continuava a rappresentare il centro politico. In ogni caso, furono gli interessi contrastanti e l’implacabile rivalità intestina tra i principi rjurikidi ad assorbire considerevoli risorse, minando l’unità indispensabile al regno per affrontare le minacce esterne.

(41)

I mongoli: il «giogo tataro»

La conquista mongola della Rus’

Oltre alle tensioni interne e agli scontri con le popolazioni vicine, i principi della Rus’ dove ero affrontare minacce provenienti dalle steppe e i confli i contro gli eserciti nomadi furono un elemento costante nella vita kieviana. Dopo la caduta della Chazaria, la Rus’

comba é lunghe guerre contro i pečenegi e nel 1055 apparvero nelle steppe i cumani del Kipčak, o polovcy, che per i due secoli successivi rappresentarono un’enorme minaccia. Nel 1096, questi ultimi a accarono Kiev e de ero fuoco al Monastero delle Gro e; la sconfi a del principe Igor’ Svjatoslavič di Novgorod-Seversk a opera degli svedesi nel 1185 ispirò Il canto della schiera di Igor’. Ma se con loro le relazioni si fecero in seguito meno ostili – si strinsero alleanze, si celebrarono matrimoni – di fronte agli ultimi e più grandi invasori della steppa, i cavalieri mongoli di Gengis Khan, la Rus’ si dimostrò impotente.

L’impero dei mongoli – o tatari, come li definiscono le fonti della Rus’ con una certa approssimazione – si formò nel XIII secolo, a una velocità straordinaria. Nel 1215, raggiunta Pechino, i mongoli completarono la conquista della Cina, e da lì proseguirono la loro avanzata verso ovest. Comparvero per la prima volta nella steppa occidentale nel 1223, quando un grande esercito guidato da Batu, nipote di Gengis Khan, invase il territorio della Rus’ sconfiggendo una coalizione di rus’ e polovcy sul fiume Kalka, per poi scomparire di nuovo. I principi della Rus’ non riuscirono a unire o rafforzare i loro territori davanti a questo nemico potente e sconosciuto. Tra il 1229 e il 1236 i mongoli a accarono ripetutamente i polovcy e i bulgari del Volga, e nel 1237 ripresero la loro offensiva contro la Rus’, travolgendo tu o ciò che incontravano. Sbaragliati i principi della Rus’ se entrionale nella ba aglia sul fiume Sit’ del 1238, nell’anno successivo conquistarono il territorio sudoccidentale di

(42)

Černigov e la Galizia. Kiev cadde nel 1240, ma nel nord le maggiori ci à della Rus’ (in particolare Novgorod che si arrese, evitando di essere distru a) sfuggirono alla devastazione del sud. I mongoli, in superiorità numerica, equipaggiati anche con macchine d’assedio, veloci e ben organizzati militarmente, sorpresero i rus’ e approfi arono delle loro divisioni interne. L’avanzata mongola si fermò soltanto nel 1242, a Rus’ ormai conquistata e con le truppe di Batu ai confini della Polonia e dell’Ungheria.

Nel 1242 il gran khan morì e Batu tornò in Mongolia a Karakorum per prendere parte alla successione. La Rus’ rimase la più occidentale tra le conquiste mongole; l’avanzata verso ovest non riprese. Batu organizzò il suo dominio in un khanato a sé stante dell’impero mongolo chiamato Kipčak (Dešt-i-Kipčak), più tardi noto nelle fonti russe ed europee sopra u o come l’Orda d’Oro.

Oltre agli antichi principati della Rus’, includeva una vasta zona della steppa meridionale, che dal Danubio si estendeva verso est fino al Caucaso se entrionale e oltre il Volga giungeva al lago di Aral. La capitale, Saraj, situata sul basso Volga, nel secolo successivo sarebbe divenuta una grande ci à dagli edifici imponenti, con un elaborato sistema di rifornimento idrico, oltre che un centro internazionale di commerci e diplomazia. Nell’impero mongolo la Rus’, dunque, rivestiva soltanto un’importanza secondaria: il khanato Kipčak era so o il controllo del gran khan di Karakorum e la sua politica dipendeva dall’impero mongolo e dalle sue fazioni.

Con la conquista mongola e le sue devastazioni, gli equilibri di potere e la distribuzione della popolazione all’interno della Rus’

mutarono radicalmente. I centri più antichi si svuotarono e gli abitanti fuggirono in massa verso ci à come Mosca e Tver’. Tu avia, la stru ura di base della società rimase sostanzialmente immutata.

Molti principi erano stati uccisi, ma la casata dei rjurikidi era sopravvissuta e manteneva le proprie usanze, nonostante regnasse ora soltanto su concessione del khan: in una cerimonia personale a Saraj essi ricevevano un’investitura (jarlyk) che ne sanciva i diri i.

Nel 1243 il principe Jaroslav di Vladimir rese omaggio al khan e fu confermato gran principe di Kiev e Vladimir: la sede centrale del potere dei rjurikidi si trasferì definitivamente da sud a nordest. Ma

(43)

p j

per ricevere la conferma o essere giudicati, alcuni principi erano costre i a intraprendere un viaggio ben più lungo, fino a Karakorum. La Chiesa ortodossa, prote a dai nuovi signori, tolleranti in fa o di religione, conservò il proprio ruolo nella società della Rus’, ricevendo un tra amento privilegiato riguardo a tasse e proprietà terriere.

I mongoli vivevano per lo più nelle steppe e intervenivano negli affari dei principi e delle ci à kieviane solo per riaffermare la propria autorità e aumentare i tributi. Avevano richieste ben precise per i popoli sogge i: essi dovevano offrire truppe d’appoggio e rifornimenti al loro esercito e garantire il funzionamento dell’efficientissimo sistema postale (jam); i mongoli imponevano censimenti e su questi regolavano il pagamento delle tasse, prendendo in garanzia ostaggi; i governatori dovevano mantenere l’ordine; il principe era obbligato a rendere omaggio personalmente al khan. Nonostante fosse un pesante fardello sia dal punto di vista economico sia umano – i sudditi pagavano tasse e tributi, comba evano negli eserciti mongoli e costruivano le loro ci à – i principi rus’ potevano governare le loro terre insieme ai prefe i (baskaki) e agli ufficiali mongoli, venivano coinvolti negli affari vivendo per lunghi periodi a Saraj e ricorrevano al potere del khan in base ai loro interessi. (L’abile sfru amento della protezione mongola sarà in seguito una delle basi dell’ascesa di Mosca.) I principi mantennero anche un proprio esercito cimentandosi in campagne militari l’uno contro l’altro o contro nemici esterni.

I principi della Rus’ acce arono presto i khan dell’Orda d’Oro come loro legi imi sovrani: tra i rjurikidi rivali l’autorità veniva conferita dallo jarlyk del khan. Bisanzio rimase fuori dalla conquista mongola e ado ò una politica distensiva di alleanze con Saraj (l’opposizione religiosa ai conquistatori, che all’inizio del XIV secolo abbracciarono definitivamente l’Islam, fu quindi un fenomeno molto più tardo); i mongoli, da parte loro, difendevano la Chiesa kieviana.

La parabola di Aleksandr Nevskij, principe di Novgorod e Vladimir, figura eroica e leggendaria nella storia russa, illustra in modo esemplare il rapporto tra i principi rjurikidi, le loro ci à e i nuovi sovrani. Ele o a Novgorod nel 1236, Aleksandr ne difese i territori

(44)

dalle principali minacce occidentali e si guadagnò il soprannome dig

«Nevskij» grazie alla sua vi oria lungo il fiume Neva, sulla punta orientale del golfo di Finlandia, contro le truppe svedesi, la cui espansione era considerata da tempo un pericolo; due anni più tardi fermò l’avanzata dei cavalieri teutonici della Livonia in una ba aglia sul lago Peipus ghiacciato (oggi in Estonia). Queste ba aglie, che resero sicuri i confini occidentali della Rus’, crearono il mito di Nevskij «Salvatore della Russia», portando alla sua canonizzazione nel 1547 e, in epoca moderna, so o Stalin, alla sua celebrazione con il famoso film patrio ico Aleksandr Nevskij di Sergej Ejzenštejn. Dopo la morte del padre Jaroslav nel 1246, Nevskij visitò l’Orda e Karakorum, o enendo il dominio sulla Russia meridionale, compresa Kiev. Alla sua seconda visita, un esercito mongolo scacciò il fratello ribelle da Vladimir per investire Aleksandr dello jarlyk di gran principe (1252). Obbedendo ai sovrani mongoli e visitandoli spesso, Nevskij riuscì a conservare il suo potere, sostenuto anche dal metropolita. La sua lealtà nei confronti di Saraj, poco evidente nella leggenda di santo e salvatore della patria, rispe o alle sue gesta contro le invasioni occidentali, gli conquistò la fiducia del khan, me endolo in posizione di forza davanti ai suoi sudditi e agli altri principi, e limitando il peso dell’ingerenza mongola.

(45)

Riferimenti

Documenti correlati

La colonna d’acqua interna alla tubazione piezometrica, in condizioni stazionarie, tende infatti ad essere isolata dall’acquifero circostante con l’innesco di fenomeni

Prima della rivoluzione del 1917, che porterà all’abbattimento dello zarismo ed alla trasformazione del Paese in uno Stato socialista, scoppiò una

Prima della rivoluzione del 1917, che porterà all’abbattimento dello zarismo ed alla trasformazione del Paese in uno Stato socialista, scoppiò una rivoluzione contro

EFFETTO DELL’IMPATTO DEL COMUNISMO DI GUERRA: CRISI NEI RAPPORTI FRA CONTADINI E REGIME (UNA DELLE COSTANTI DELLA STORIA SOVIETICA FINO ALL’EPOCA STALINIANA, MA ANCHE IN SEGUITO

The presence of functional nongenomic progesterone (P) receptors in human spermatozoa has been investigated by equilibrium binding studies in intact spermatozoa, ligand blot and

Questi ultimi sono venduti ai paesi dell'Europa occidentale e fanno sì che, anche grazie alla produzione di energia idroelettrica, la Russia sia uno dei maggiori

Si sono innescate azioni e reazioni russe e occidentali a catena: la nascita del governo ad interim ucraino non riconosciuto da Mosca; l’invasione russa in Crimea in nome della

HBR Enhanced the Gene Expression and Secretion of Angio- genic, Antiapoptotic, and Antifibrotic Factors in Both Rat Ven- tricular Cardiomyocytes and Stro-1-positive Stem Cells