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La Pianura Pisana è situata allo sbocco idrologico e idrogeologico di un complesso sistema

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Academic year: 2021

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1.0 PREMESSA

La seguente tesi consiste nella caratterizzazione idrogeologica e geochimica di porzioni di sottosuolo saturo, identificabili in letteratura come acquitardi. Dopo una disamina teorica sulle matrici oggetto di studio e degli strumenti utili per la realizzazione dei monitoraggi quali-quantitativi a fini di controllo ambientale, sono stati valutati e interpretati i dati relativi a tre siti industriali nei quali sono in corso, da parte di ARPAT- Agenzia Regionale di Protezione Ambientale della Toscana, approfondimenti idrogeologici su reti di monitoraggio ambientale. I tre siti oggetto dello studio rappresentano porzioni di territorio all’interno della Pianura Pisana, sui quali insistono una discarica di rifiuti speciali, un insediamento zootecnico e un depuratore consortile di reflui industriali.

Fig.1 Ubicazione dei tre casi di studio

La Pianura Pisana è situata allo sbocco idrologico e idrogeologico di un complesso sistema

di bacini fluviali (Arno, Serchio e bacini minori tra questi compresi e/o che in essa

direttamente fluiscono). L’insieme di questi ultimi è stato definito come “Bacino

idrografico della Pianura di Pisa” ed è rappresentato da una spessa successione di depositi

alluvionali contenenti acquiferi regionali (sabbie e ghiaie) intercalati ad acquitardi e

separati tra loro da acquicludi costituiti da depositi fini di tipo distale. Nei tre siti

considerati, sono state effettuate varie campagne di campionamento delle acque

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2

sotterranee, sia in modalità statica che dinamica, effettuate le analisi di laboratorio per i principali costituenti maggiori e minori ed elaborati i risultati attraverso una caratterizzazione geochimica e di qualità degli acquiferi/acquitardi oggetto di monitoraggio.

Le interpretazioni di tali risultati permettono di affermare che le attuali modalità di campionamento ed elaborazione dei dati di sistemi acquiferi s.s. non possono essere applicate agli acquitardi, sistemi per i quali è necessario prevedere specifiche attività di prelievo più adatte alle loro caratteristiche di permeabilità. Tra i risultati dello studio effettuato è da annotare la proposta di linee guida per la predisposizione di una rete di monitoraggio delle acque sotterranee in impianti produttivi (allegato 1) da utilizzare nel caso di sistemi di monitoraggio delle acque sotterranee impostati in acquitardi.

L’obiettivo ultimo della ricerca consiste nel fornire utili strumenti di interpretazione dei risultati dei monitoraggi ambientali effettuati sulle acque sotterranee di siti industriali.

L’attività è stata svolta mediante tirocinio formativo curriculare presso il dipartimento

ARPAT di Pisa e ha riguardato l’attività in campo, la raccolta, l’interpretazione e la

validazione dei dati. Presso il Dipartimento di Pisa di Scienze della Terra sono state svolte

le ricostruzioni degli ambienti geologici e idrogeologici delle località di studio. Le attività

analitiche standard necessarie a fornire i dati per la caratterizzazione ambientale delle

matrici coinvolte per il completamento del quadro geochimico di base è stato effettuato

usufruendo del laboratorio chimico presso il Dipartimento ARPAT di Livorno che per

attività istituzionale esegue tali tipi di prove.

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3

2.0 INTRODUZIONE

2.1 Sistemi idrogeologici

A differenza dei sistemi idrici di superficie, un sistema idrico sotterraneo ingloba in sé sia la capacità di immagazzinamento che quella di trasporto. Le proprietà fondamentali che definiscono la capacità di immagazzinamento e di trasporto di un acquifero sono rispettivamente la porosità e la conducibilità idraulica. Formazioni geologiche molto fratturate o granulari presentano elevata porosità e conducibilità idraulica e vengono definiti acquiferi; l’acqua in essa contenuta è definita falda idrica. A seconda della pressione che si esercita sulla falda idrica, l’acquifero può essere definito libero (fig.2), limitato inferiormente da un substrato con la falda che può liberamente sollevarsi nel corso dell’anno a seconda delle condizioni di alimentazione, o in pressione (fig.3), cioè limitato inferiormente e superiormente da setti a bassa permeabilità caratterizzati da una significativa continuità (acquicludi) attraverso i quali non avviene l’infiltrazione di acqua.

Fig. 2 Acquifero libero ( da Trefiletti, 2014)

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Un bacino idrogeologico può contenere più acquiferi, separati tra loro da formazioni impermeabili o a ridotta permeabilità. Formazioni geologiche a dominante argillosa hanno altissime porosità totali (elevati contenuti d’acqua), ma conducibilità idrauliche molto basse; vengono definiti acquicludi e gli acquiferi compresi tra tali formazioni sono definiti acquiferi confinati o in pressione.

Si definisce acquitardo (Di Molfetta e Sethi, 2012) una formazione geologica, satura in acqua, caratterizzata da permeabilità medio-bassa (fig.4) che non può essere utilizzata come formazione produttiva ma che, per effetto di variazioni dinamiche di carico idraulico, può consentire un significativo flusso idrico. Per significativo flusso idrico nel contesto di questa tesi si intende la velocità di trasporto di sostanze contaminanti.

Fig. 4. Valori di conducibilità idraulica dei sistemi naturali in funzione di litologia e granulometria Fig.3 Acquifero in pressione (da Trefiletti, 2014)

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5

Formazioni geologiche limose o limoso-sabbiose, alternate agli acquiferi e agli acquiclude costituiscono acquiferi multistrato tipici di molte pianure alluvionali di grandi corsi d’acqua. Normativamente (Dlgs 30/2009) si definisce acquifero un sistema sotterraneo caratterizzato da:

QUANTITA' SIGNIFICATIVA: e' possibile prelevare in media piu' di 10 m

3

/giorno;

FLUSSO SIGNIFICATIVO: l’interruzione del flusso di acqua sotterranea causa una diminuzione significativa nella qualità ecologica di un corpo idrico superficiale o di un ecosistema terrestre direttamente dipendente.

Basandosi sulla quantità minima di acqua estraibile per definire un acquifero (7 l/min) è evidente che gli acquitardi rappresentano formazioni geologiche dove il trasporto di eventuali contaminanti veicolati dal flusso idrico è tutt’altro che trascurabile.

Contaminazioni occulte in corrispondenza di acquitardi determinano, sugli acquiferi adiacenti, proprio a causa della lentezza nella migrazione dei contaminanti, effetti differiti ed irreparabili spesso molto più gravi rispetto a contaminazioni dirette degli acquiferi.

Questi ultimi, proprio per la loro caratteristica di presentare flussi idrici importanti, una volta rimosse le sorgenti di contaminazione primaria, possono essere trattati mediante tecniche di bonifica efficaci e più o meno rapide. La contaminazione di un acquitardo può invece determinare contaminazioni irreversibili su acquiferi limitrofi dato che è molto più difficile rimuovere una estesa contaminazione in terreni a bassa permeabilità.

Per questi motivi è importante, quando si definiscono reti di monitoraggio delle acque sotterranee localizzate intorno a potenziali sorgenti di contaminazione antropica (impianti industriali, depuratori, discariche etc.), posizionare le stazioni di campionamento (pozzi spia o piezometri di monitoraggio idrochimico) nella porzione satura immediatamente a ridosso delle sorgenti individuate anche se la ricostruzione del modello concettuale non prevede la presenza di acquiferi direttamente impattabili.

Negli acquitardi la migrazione della contaminazione non avviene più esclusivamente per

advezione e diffusione meccanica ma diventano importanti anche fenomeni come la

diffusione molecolare. Il tempo di spostamento di un contaminante in un acquitardo è

funzione della conducibilità idraulica e varia tra 8 metri/giorno (K=10

-5

m/s) fino a circa 3

m/anno (K=10

-8

m/s). La tabella 1 mostra come varia la velocità del flusso in funzione

della litologia secondo il modello di Carsel&Parrish e Driessen.

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6

Carsel&Parrish,1988 Driessen,1986

K cm/d K cm/s K m/s K cm/d K cm/s K m/s Silty clay 0,48 5,56E-06 5,56E-08 1,3 1,50E-05 1,50E-07 Silty clay loam 1,68 1,94E-05 1,94E-07 1,5 1,74E-05 1,74E-07 Sandy clay 2,88 3,33E-05 3,33E-07 3,5 4,05E-05 4,05E-07

Clay 4,88 5,65E-05 5,65E-07 0,5 5,79E-06 5,79E-08

Silt 6 6,94E-05 6,94E-07 14,5 1,68E-04 1,68E-06

Clay loam 6,24 7,22E-05 7,22E-07 0,98 1,13E-05 1,13E-07

Silt loam 10,8 1,25E-04 1,25E-06 6,5 7,52E-05 7,52E-07

Loam 24,96 2,89E-04 2,89E-06 5 5,79E-05 5,79E-07

Sandy clay loam 31,44 3,64E-04 3,64E-06 23,5 2,72E-04 2,72E-06 Sandy loam 106,08 1,23E-03 1,23E-05 26,5 3,07E-04 3,07E-06 Loamy sand 350,16 4,05E-03 4,05E-05 12 1,39E-04 1,39E-06

Sand 712,8 8,25E-03 8,25E-05 50 5,79E-04 5,79E-06

Al di sotto di questi valori di permeabilità si può ragionevolmente considerare non significativo il movimento del contaminante nel sottosuolo, almeno in tempi storici, e definire acquicludi i terreni caratterizzati da questi valori.

Nel caso che le stazioni di campionamento siano posizionate all’interno di acquitardi è evidente che le classiche equazioni del flusso non siano più di facile applicazione, in quanto le approssimazioni dovute ai bassi valori dei parametri da utilizzare e i diversi fenomeni che entrano in gioco rendono poco affidabili i risultati (Molfetta e Sethi, 2012).

Lenti flussi idrogeologici favoriscono modifiche idrochimiche delle acque che possono sovrapporsi agli apporti antropici rendendo spesso difficile, specialmente per i contaminanti inorganici, una distinzione tra i due differenti contributi. Nelle stazioni di monitoraggio impostate in tali corpi idrici diventano fondamentali le procedure di campionamento, intese come le operazioni effettuate per garantire la rappresentatività del campione rispetto alle caratteristiche chimiche e fisiche delle acque contenute nella formazione geologica di provenienza.

Nel caso che le stazioni di campionamento siano posizionate all’interno di acquicludi, i valori di permeabilità sono tali che, nel caso il piezometro sia stato correttamente realizzato e non siano presenti infiltrazioni superficiali, non saranno rilevabili alimentazioni dalle formazioni sature intercettate dai tratti finestrati dell’opera. In quest’ultimo caso non sarà possibile effettuare il campionamento delle acque sotterranee e si potrà definire a impatto nullo qualsiasi perdita/sversamento di contaminanti dalla superficie.

Tab.1. Velocità di flusso in funzione della litologia

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2.2 Pozzi spia e piezometri di monitoraggio

I piezometri, nel campo dell’idrologia, sono pozzi di osservazione aventi lo scopo di misurare il carico idraulico di una falda ad una certa profondità. L’uso di piezometri consente di ricostruire la superficie piezometrica della falda, ossia la superficie lungo la quale la pressione dell’acqua è pari a quella atmosferica. Si tratta di perforazioni ottenute con penetrometri e sonde di perforazione, all’interno delle quali sono inserite tubazioni provvisorie o semi permanenti a piccolo diametro atte ad individuare gli acquiferi, caratterizzarli dal punto di vista fisico e geometrico, nonché individuare la direzione di flusso delle acque sotterranee. Con i piezometri si possono ottenere le seguenti informazioni:

- La pendenza della falda, detta gradiente idraulico - La direzione del flusso di falda

Se realizzati adeguatamente offrono la possibilità di prelevare campioni d’acqua sotterranea e in tal caso si definiscono piezometri di monitoraggio ambientale.

Rispetto ai pozzi di emungimento, i piezometri di monitoraggio della falda presentano diametri più piccoli e minore profondità e solo occasionalmente sono equipaggiati con una pompa per il prelievo dell’acqua di falda. I piezometri possono essere permanenti, costruiti in modo da durare nel tempo e impedire la loro interazione con gli equilibri chimici e idrologici della falda. I piezometri temporanei invece, sono installati per il tempo necessario all’acquisizione dei parametri chimico-fisici, ambientali, idrogeologici e poi abbandonati previa sigillatura della tubazione. Il metodo di perforazione più utilizzato per l’installazione di un piezometro è quello a rotazione con carotaggio continuo, poiché assicura la necessaria precisione nella ricostruzione della successione stratigrafica e consente il prelievo di campioni del suolo e/o terreno.

I principali elementi costituenti un piezometro sono:

 Filtro: porzione del piezometro che consente all’acqua di falda di penetrare al suo

interno. Esso è costituito da una serie di piccole aperture omogeneamente

distribuite sulla superficie del tubo, la cui funzione è quella di lasciar passare

l’acqua trattenendo le particelle di terreno. Il posizionamento del filtro rispetto

all’acquifero è fondamentale.

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 Tubo cieco: tratto di tubazione che va dalla sommità del tratto finestrato fino alla superficie ed è adeguatamente sigillato nell’intercapedine con il foro di sondaggio.

 Dreno: materiale permeabile con cui viene riempita l’intercapedine tra il foro di sondaggio e il tratto di tubo finestrato. Serve per consentire al filtro di svolgere efficacemente la sua funzione. Deve essere chimicamente inerte e pulito. I migliori dreni sono costituiti da ghiaia silicea o sferette di vetro le cui dimensioni vanno scelte in base alla granulometria dell’acquifero e alla dimensione della finestratura del filtro.

 Sigillatura: ogni tipo di piezometro deve essere cementato nella sua parte superiore con prodotti sigillanti, quali cemento puro, cemento mescolato con bentonite, affinchè l’acqua o contaminanti superficiali non trovino una via preferenziale per infiltrarsi nel sottosuolo.

 Boccapozzo: è la sistemazione della testa del piezometro che va protetta adeguatamente affinchè non venga danneggiata ne manomessa. Possono essere installati dei pozzetti di protezione e tappi con sistema di chiusura lucchettabile (fig 6).

Fig.6

Boccapozzo e pozzetto di protezione Fig. 5 Tubazione fessurata di un

piezometro

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Grande importanza riveste la scelta del materiale da utilizzare per il completamento del piezometro, il cui scopo è quello di garantire la durata nei confronti dei processi di attacco e degradazione chimico-fisica da parte dei contaminanti. Infatti, in presenza di soluzioni acquose chimicamente reattive, alcuni componenti potrebbero essere rilasciati nei campioni che vengono prelevati, i quali pertanto non sarebbero più rappresentativi. Le tubazioni comunemente utilizzate per il rivestimento possono essere schematicamente suddivise in tre tipologie:

- In acciaio: al carbonio, inossidabile, galvanizzato utilizzato solo per pozzi produttivi.

- A base di fluoro polimeri: politetrafluoroetilene (PTFE) o teflon, fluoro-etilene (TFE).

- In materiali termoplastici: cloruro di polivinile (PVC), acrilonitrile-butadiene-stirene (ABS), polipropilene (PP), polietilene ad alta densità (PEAD).

Fig. 7 Schema generale di un piezometro

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I materiali più versatili e maggiormente utilizzati sono i termoplastici, che possiedono una buona resistenza meccanica, anche se minore degli acciai, e una buona resistenza all’attacco chimico. Normalmente nella realizzazione dei piezometri di monitoraggio ambientale si utilizzano tubazioni in PVC.

Un piezometro permette di monitorare la profondità della falda rispetto al piano di campagna, di misurare alcuni parametri chimico-fisici dell’acqua di falda e di prelevare campioni di tale acqua, di monitorare il funzionamento di un pozzo in emungimento nelle immediate vicinanze, di immettere in falda sostanze traccianti o reagenti.

E’ detta soggiacenza della falda la profondità della sua superficie rispetto alla superficie topografica. Indipendentemente dal tipo di livello di una certa falda, la misura della soggiacenza va effettuata prima di ogni altra operazione per evitare di alterare il livello dell’acqua nel piezometro, in particolare spurgo e campionamento. In un piezometro si può misurare con il freatimetro (fig.8) sia il livello statico che dinamico. Il livello statico è la misura relativa ad una falda indisturbata, rappresenta la profondità della superficie piezometrica della falda “a riposo”. Il livello statico è soggetto a cicliche fluttuazioni dovute a cause naturali (variazioni della pressione atmosferica, del regime di alimentazione della falda, ecc.). Il livello dinamico invece, si ha quando la misura della soggiacenza si riferisce ad una falda perturbata (ad esempio da un vicino pozzo di pompaggio).

2.2.1 Specifiche tecniche nella realizzazione dei piezometri di monitoraggio ambientale La perforazione può essere eseguita, come detto precedentemente, sia a distruzione che a carotaggio continuo. Potrà essere eseguita a distruzione solo nel caso in cui i dati geologici

Fig.8 Freatimetro per la misura del livello piezometrico

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e idrogeologici locali siano sufficienti ad una esauriente ricostruzione del sottosuolo, in caso contrario, le perforazioni dovranno essere eseguite a carotaggio continuo con elaborazione di dettagliati logs geologici. Durante la perforazione dovrà essere utilizzata acqua solo quando indispensabile e di provenienza sicura dal punto di vista qualitativo (acqua di acquedotto). Al termine della perforazione dovranno essere smaltiti a norma di legge tutti i residui della perforazione ed il sito ripristinato come in origine. Il diametro di perforazione dovrà essere sufficiente all’installazione di una tubazione definitiva di almeno 2” comprensiva di un adeguato dreno esterno. La tubazione consiste in un tubo cieco nel primo tratto (1,5 m nel caso di soggiacenza della falda > di 2m) e comunque di 50 cm inferiore alla profondità della soggiacenza nel caso che questa sia a meno di 2 m dal piano campagna. Il resto della tubazione dovrà essere microfessurata con tappo di fondo a vite. I vari spezzoni di tubazione dovranno esseri giunti mediante manicotti a vite evitando qualsiasi utilizzo di collanti e nastro adesivo. La microfessurazione dovrà essere preconfezionata con luce non superiore a 0,5mm. Il tratto cieco sommitale dovrà essere adeguatamente sigillato per impedire infiltrazioni nel dreno esterno di acque di ruscellamento superficiali. La terminazione superiore della tubazione dovrà essere attrezzata con tappo a vite (a tenuta) e posizionata in pozzetto di cemento o metallo a tenuta stagna adeguatamente segnalato (fig.6). Sulla tubazione terminale o sul pozzetto dovrà essere posizionata una targhetta non rimovibile con indicazione della sigla identificativa del pozzo, quota del piano campagna, profondità e data di realizzazione.

Al termine dell’installazione di ogni pozzo di monitoraggio devono essere realizzate le operazioni di sviluppo mediante energico e prolungato pompaggio delle acque ivi contenute, al fine di:

- Disporre il filtro intorno al tratto finestrato in modo ottimale;

- Eliminare i residui dovuti alla perforazione ed installazione;

- Verificare che il pozzo di monitoraggio funzioni correttamente.

Al termine delle operazioni di sviluppo il pozzo dovrà produrre acqua chiara; non sono

ammessi campioni di acqua da pozzi di monitoraggio con contenuti di sospensione solida

superiori a qualche decina di mg/l di solido sospeso, quantità che rende il campione torbido

ma ancora trasparente. Alti contenuti di sospensione solida associati a lunghi tempi di

ripristino dei livelli dopo lo spurgo riducono notevolmente la rappresentatività del

campione, indicando spesso un non corretto completamento (realizzazione + sviluppo)

dell’opera.

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2.2.2 Criteri di ubicazione dei pozzi di monitoraggio

Il termine piezometro è diventato molto spesso sinonimo di pozzo di monitoraggio ed è quindi necessario, in questi casi, specificare la natura delle acque captate (acquifero produttivo o no). In generale nei siti industriali saranno ubicati e progettati pozzi di monitoraggio atti alla caratterizzazione qualitativa delle acque sotterranee del primo livello saturo presente nel sottosuolo. La loro ubicazione sarà condizionata in generale dalle caratteristiche idrogeologiche e in particolare dalle ubicazioni delle potenziali sorgenti di contaminazione.

Piezometri in acquitardi

In terreni a medio-bassa permeabilità, i piezometri di monitoraggio dovranno essere ubicati immediatamente a valle del gradiente idraulico. E’ opportuno in questi tipi di terreni, determinare i tempi di ricarica al fine di ottimizzare le successive operazioni di completamento come spiegato nelle linee guida per la predisposizione di una rete di monitoraggio delle acque sotterranee in impianti produttivi (allegato 1).

Tale operazione si effettua mediante lo svuotamento veloce del tubo piezometrico e la misura dei livelli durante il graduale ripristino del livello originale. Generalmente in piezometri impostati all’interno di acquitardi la ricostruzione della superficie piezometrica può risultare complessa dato che i livelli nei singoli piezometri risultano fortemente modificati da alterazioni locali legate ai lenti flussi. Ad esempio aree di infiltrazione di acque meteoriche possono determinare alti della superficie piezometrica che si mantengono per periodi sufficienti ad alterare gli equilibri del gradiente idraulico. Le lente circolazioni delle acque in un acquitardo favoriscono, inoltre, lunghi contatti con la componente litica dell’acquifero modificando le caratteristiche idrochimiche più velocemente rispetto ad acquiferi caratterizzati da velocità di flusso elevate.

In acquitardi caratterizzati da successioni monotone di terreni a bassa permeabilità o da alternanze di livelli più o meno permeabili, il tratto finestrato comprenderà l’intera successione del corpo idrico.

Nel caso sia necessario monitorare la qualità di acque sotterranee di acquitardi o acquiferi

confinati come ad esempio singoli livelli di ghiaie e/o sabbie in acquiferi multistrato, la

porzione micro fessurata della tubazione definitiva sarà limitata al solo tratto di spessore da

monitorare.

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13 Piezometri in acquiferi

In terreni ad alta permeabilità, dove predominano i fenomeni di diluizione, i pozzi di monitoraggio dovranno essere ubicati sempre a valle della direzione di flusso ed in questo caso risulta fondamentale verificare variazioni stagionali e/o antropiche nel valore e direzione del gradiente idraulico. Dovranno essere verificate le informazioni bibliografiche esistenti a scala regionale integrando le informazioni idrogeologiche e geotecniche locali con idonei rilievi geologici e idrogeologici di dettaglio (che includeranno esame dei litotipi, giacitura, correlazioni stratigrafiche, censimento dei punti d’acqua etc.). In aree urbanizzate il livello di conoscenza raggiunto anche per quanto riguarda gli aspetti geologici e idrogeologici del territorio è tale da permettere sempre la formulazione di dettagliate ipotesi di lavoro. Attraverso campagne di misura dovrà essere ricostruito quanto più precisamente possibile, l’intervallo di fluttuazione della superficie piezometrica tra i periodi di magra e di morbida e le eventuali variazioni di direzione del flusso indotte anche da attività umane.

2.3 Procedura per l’esecuzione dello spurgo prima del campionamento

Il campionamento di piezometri di monitoraggio a fini ambientali deve essere realizzato dopo l'esecuzione di un adeguato spurgo, attività che permette di ripristinare le corrette condizioni di comunicazione idraulica tra la falda e l'interno della tubazione di prelievo. La colonna d’acqua interna alla tubazione piezometrica, in condizioni stazionarie, tende infatti ad essere isolata dall’acquifero circostante con l’innesco di fenomeni di stratificazione; le condizioni chimico-fisiche all’interno della tubazione sono, inoltre, diverse da quelle presenti all’interno dell’acquifero, dando luogo a reazioni chimiche che, con il tempo, tendono a modificare le caratteristiche qualitative delle acque della tubazione rendendo queste ultime non più rappresentative delle condizioni chimico-fisiche delle acque dell’acquifero circostante. E’ importante distinguere lo spurgo eseguito al termine dell’installazione di un pozzo di monitoraggio (spurgo di completamento) dallo spurgo finalizzato al campionamento della matrice acquosa (spurgo di campionamento).

Nel primo caso la finalità è data dallo sviluppo del pozzo, cioè l’attivazione di un adeguato filtro mediante la rimozione del materiale fine movimentato durante le attività di perforazione.

Il campionamento di un piezometro di monitoraggio deve sempre essere eseguito

conoscendo le caratteristiche di completamento del piezometro stesso come spiegato nelle

linee guida prodotto di questa tesi. Tali caratteristiche, se non note, devono essere acquisite

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durante l’attività di spurgo e campionamento. Nel caso non sia nota la posizione del tratto finestrato la pompa sommersa dovrà essere posizionata in prossimità del fondo del tubo piezometrico; in caso contrario sarà posizionata al centro della metà inferiore del tratto finestrato.

L’attività dello spurgo di campionamento può essere realizzata mediante le due seguenti modalità:

2.3.1 Spurgo volumetrico

Si tratta di rimuovere dal tubo piezometrico una quantità di acqua superiore a quella contenuta all'interno del tubo stesso. Il calcolo del volume di acqua presente all'interno della tubazione viene eseguito prima dell'inizio del pompaggio tramite la seguente formula:

V=  x ( d/2)

2

x L

dove V è il volume di acqua presente, in condizioni stazionarie, all’interno del tubo piezometrico, d è il diametro del tubo piezometrico misurato in testa pozzo e L è la differenza tra la lunghezza del tubo piezometrico (profondità del pozzo) e la profondità della superficie piezometrica misurata con il freatimetro. Nel caso la profondità del pozzo non sia nota o esistano dubbi si consiglia di eseguire la misura direttamente in campo utilizzando un normale filo a piombo.

Una volta noto il volume di acqua contenuto nella tubazione piezometrica si rimuove, mediante pompa sommersa portatile, un quantitativo pari a 3-5 volte in modo da garantire un completo ricambio delle acque. La portata della pompa non dovrebbe mai superare il valore di innesco di moti turbolenti; si preferisce normalmente utilizzare portate non superiori a 0,5 l/s. Nel caso di campionamento da eseguirsi su pozzi di produzione già provvisti di pompa propria è possibile utilizzare tale pompa avendo l’accortezza di ridurre la portata al minimo possibile sopportato dalle caratteristiche tecniche della pompa. In caso di impossibilità di ridurre le portate a valori inferiori a 1 l/min, al termine dello spurgo, il campionamento dovrà essere realizzato mediante bailer.

Nei casi estremi dove l’attività di spurgo a bassa portata provoca comunque il completo prosciugamento del tubo piezometrico il campionamento può essere eseguito anche senza il ripristino del livello piezometrico e senza arrivare, comunque, alla rimozione dei 3 volumi minimi previsti come spiegato nelle procedure di campionamento delle linee guida.

.

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15 2.3.2 Spurgo dinamico

Questa procedura, eseguita soprattutto durante il periodo di studio del seguente lavoro, si basa sull’identificazione del raggiungimento dell’equilibrio dinamico tra le acque dell’acquifero da monitorare e le acque contenute all’interno della tubazione piezometrica mediante la misura di alcuni parametri chimico-fisici. Si utilizza normalmente una sonda multiparametrica che misuri, almeno, conducibilità e pH. Facoltativo l’utilizzo anche dei parametri ossigeno disciolto ed Eh (potenziale redox). Una volta attrezzato il pozzo con la pompa sommersa portatile si attiva l’emungimento misurando periodicamente i parametri sopra indicati. Tali parametri varieranno man mano che viene estratta l’acqua stratificata fino a stabilizzarsi su valori costanti. La situazione ottimale prevede il campionamento diretto in continuità con il raggiungimento delle condizioni di completamento dello spurgo.

Il campionamento può comunque essere realizzato anche successivamente utilizzando tecniche diverse dal pompaggio (es.con bailer). Tra lo spurgo e il campionamento non devono comunque passare più di 24-36 ore.

Nel caso che non siano note le caratteristiche qualitative delle acque emunte (es. pozzi di monitoraggio in aree contaminate), per la realizzazione dello spurgo tali acque dovranno essere provvisoriamente stoccate in idoneo recipiente preventivamente posizionato in prossimità del pozzo di monitoraggio e smaltite in accordo alle disposizioni dell’amministrazione provinciale a cui è delegata la competenza sui rifiuti e scarichi idrici (ARPA-Lombardia,2012).

2.4. Procedure di campionamento

Nella letteratura tecnica esistono moltissime procedure operative per il campionamento

delle acque sotterranee a fini ambientali. Tali procedure, mutuate generalmente dalla

documentazione tecnica dell’EPA (Environmental Protection Agency) statunitense,

precorritrice dei monitoraggi ambientali di attività antropiche, hanno come obiettivo la

caratterizzazione ambientale delle acque sotterranee di formazioni acquifere. Anche i

sistemi di monitoraggio delle acque sotterranee legati alla recente normativa italiana (Parte

Terza del Dlgs 152/06 come modificata dal DM 260/2010 e Dlgs 30/09) hanno come

obiettivo la caratterizzazione quali-quantitativa degli acquiferi regionali. Queste procedure

prevedono essenzialmente il campionamento dinamico (ISPRA-manuale per le indagini

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ambientali nei siti contaminati 43/2006) da effettuarsi immediatamente a valle dello spurgo, inteso come l’estrazione di 3-5 volumi di acqua contenuta nel tubo piezometrico.

In alcune linee guida ai volumi da estrarre viene sostituita l’indicazione del raggiungimento della stabilizzazione dei parametri di campo (conducibilità, pH e temperatura) che indicano l’arrivo nel tubo delle acque direttamente dall’acquifero.

Diverso è invece l’approccio delle reti di monitoraggio delle acque sotterranee presso impianti industriali dove l’obiettivo è quello di identificare, quanto più velocemente possibile, rilasci occulti di contaminanti. In questi casi il monitoraggio deve necessariamente essere effettuato su punti di campionamento ubicati in prossimità delle potenziali sorgenti a prescindere dalle caratteristiche idrogeologiche del substrato. In tali contesti, escludendo situazioni in cui il substrato è costituito da spessori importanti di terreni impermeabili (acquicludi), ci troviamo, spesso, ad avere a che fare con acquiferi multistrato o veri e propri acquitardi. In tali contesti non valgono più o sono di difficile applicazione le normali procedure di campionamento.

Come norma generale, valida per tutti i campionamenti delle acque sotterranee, in caso di campionamenti in zone interessate da inquinamenti accertati e dei quali sia conosciuta la distribuzione, è necessario campionare prima i pozzi meno inquinati e successivamente i più inquinati (da ISPRA- acque sotterranee, 80/2007). Occorre organizzare le operazioni di campionamento in modo che i prelievi, vengano effettuati nel più breve arco complessivo di tempo affinché siano rappresentativi di una precisa condizione della falda stessa. Tale modalità operativa limita i fenomeni di variabilità naturale o indotta che influenza la possibilità per i dati di essere confrontabili.

In caso di precipitazioni meteoriche significative, deve essere annotata tale evenienza sul verbale di campionamento. In generale, si consiglia di effettuare campionamenti a distanza di non meno di un paio di giorni dal termine delle piogge. Le operazioni devono essere svolte secondo la seguente sequenza:

-Misura dei livelli piezometrici -Spurgo

-Campionamento e misura dei parametri chimico-fisici

-Pulizia delle attrezzature alla fine di ogni campionamento (freatimetro, pompa, campionatori).

Per campionamento di tipo dinamico o in flusso, si intende un prelievo di acque

effettuato tramite pompa sommersa, effettuato subito dopo lo spurgo. Durante il

campionamento la portata usata nella fase di spurgo deve essere diminuita,

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17

compatibilmente all’attrezzatura utilizzata. E’ opportuno misurare con il freatimetro la soggiacenza dinamica riferita al raggiungimento della stabilizzazione del livello minimo di falda indotto dalla portata utilizzata e opportunamente quantificata mediante contenitori a volume noto. Senza spegnere la pompa, è opportuno valutare i parametri chimico- fisici, in particolare quando il valore di conducibilità si stabilizza, procedere al prelievo delle diverse aliquote di acqua. Il campionamento dinamico è consigliato rispetto a quello statico poiché permette di campionare aliquote di acqua più rappresentative della falda oggetto di studio.

Per campionamento di tipo statico, si intende un campione prelevato con pozzo/piezometro non in emungimento, mediante metodo manuale (es. bailer in figura 9), sempre previo spurgo e dopo il ripristino, per quanto possibile, delle condizioni statiche.

In linea generale, è preferibile effettuare il campionamento cosiddetto dinamico, perché, come detto in precedenza, più rappresentativo delle reali condizioni della falda, in quanto vengono ridotte al minimo possibili alterazioni del chimismo delle acque. Si ricorre al campionamento di tipo statico nei casi in cui sia necessario verificare la presenza in fase separata di sostanze non miscibili e/o per prelevare campioni in presenza di sostanze a densità diversa a profondità differenziate.

Le problematiche derivanti dal classico campionamento dinamico, nel caso in cui l’acqua presenti particolare tendenza all’intorbidamento, possono essere mitigate dalla tecnica di campionamento cosiddetta Low Flow (a basso flusso), con portate di 0,1 ÷ 0,5 l/min che induce un minimo abbassamento del livello del pozzo e limita i flussi turbolenti. Questa tecnica di campionamento presenta il vantaggio di ottenere una buona rappresentatività dell’acqua di falda, con un minimo “stress” dell’acquifero. La medesima tecnica è particolarmente consigliabile nel caso di prelievi volti alla determinazione di sostanze organiche volatili i cui campioni debbono essere assoggettati alla minima turbolenza possibile onde evitare fenomeni di strippaggio delle sostanze volatili.

Fig 9 Bailer per campionamento statico

(18)

18

3.0 STRUMENTI E METODI

3.1 Misure in campo

Una volta terminato lo spurgo e le operazioni di svuotamento descritte nel capitolo 2.3, una volta regolata la portata di emungimento (dove possibile), prima di effettuare il campionamento di ogni piezometro, si procede misurando i parametri chimico-fisici. Per determinare tali parametri, in assenza di camera di flusso dedicata, è previsto il riempimento di un becker in polietilene da 1000 ml da utilizzarsi come contenitore delle sonde di misura. Si riempie il becker e si immerge la sonda, senza accendere gli apparecchi, in modo da favorire il raggiungimento dell’equilibrio termico. Poi, si procede con l’accensione degli strumenti e la valutazione dei parametri sopradescritti. Ad ogni misura, qualora non sia possibile mantenere un flusso continuo all’interno del becker, è opportuno cambiare frequentemente l’acqua nel becker stesso. Durante la misurazione dei singoli parametri non si appoggiano le sonde sul fondo del contenitore e, se possibile, si mantiene un flusso costante dell’acqua sotto analisi all’interno del becker, avendo cura di evitare gorgogliamenti all’interno dello stesso. Nel caso in cui, su un punto di misura si siano determinati valori dei parametri chimico-fisici molto differenti da quelli misurati alla stazione precedente, si attende più tempo per la stabilizzazione strumentale, per eliminare

“l’effetto memoria” dello strumento stesso. Grazie alla sonda multiparametrica sono stati valutati i seguenti parametri:

Conducibilità: La conducibilità elettrica è un parametro molto importante che permette di ottenere una misura del contenuto salino di un’acqua, ed avere quindi indicazioni qualitative immediate utili anche per guidare il campionamento. L’unità di misura è il Siemens per centimetro (S/cm). Per le acque sotterranee viene utilizzato un sottomultiplo: il microSiemens per centimetro (μS/cm) oppure il milliSiemens (mS/cm).

La conducibilità elettrica specifica cresce al crescere della quantità di cariche presenti e

dipende dal tipo di ioni che si trovano nella soluzione. La conducibilità dipende inoltre

dalla temperatura, per poter quindi confrontare valori di conducibilità di acque a

temperature diverse bisogna riportare i valori misurati a quelli che si avrebbero alla

temperatura standard di 25°C (oppure 18 o 20°C). In genere si applicano formule correttive

valide perfettamente per soluzioni di KCl. La conducibilità dell’acqua pura per analisi è

dell’ordine di qualche decimo di μS/cm, mentre può superare i 30000 μS/cm in acque

molto ricche di sali come quelle marine. I valori di conducibilità delle acque naturali è

(19)

19

strettamente legato alla natura delle rocce attraversate ed al tempo di permanenza delle acque nella roccia serbatoio. Dal momento del prelievo a quello delle analisi si possono avere importanti variazioni di conducibilità dovute principalmente a precipitazione di CaCO

3

e di idrossidi di Ferro (III), causate rispettivamente da perdite di CO

2

e dal contatto del campione con l’ossigeno. In campagna la conducibilità è stata misurata mediante un conducimetro. Lo strumento è stato calibrato prima di iniziare i campionamenti previsti, mediante la misura di quattro soluzioni a conducibilità nota (706, 1413, 5000 e 12880 μS/cm). Le misure sono state eseguite in ordine di conducibilità crescente, ogni valore è stato annotato per la successiva costruzione della curva di calibrazione giornaliera.

Temperatura dell’acqua: La temperatura dell’acqua misurata in laboratorio non è più rappresentativa di quella del pozzo o del corso d’acqua, ma piuttosto dell’ambiente dove è stato conservato il campione. Inoltre in molti casi il campione deve essere mantenuto a basse temperature (4°C). Le variazioni di temperatura influenzano le trasformazioni che avvengono nel campione al momento del prelievo, cambiano la solubilità di sali e gas disciolti e quindi si possono avere variazione di conducibilità e processi di solubilizzazione o precipitazione di minerali. Per ottenere misure significative occorre lasciare immerso il termometro fino a che non si è raggiunto un dato stabile, facendo attenzione che sia posizionato in un punto non colpito direttamente dal sole. Ogni misura dovrebbe essere accompagnata dalla relativa misura della temperatura dell’aria dato che questa può influenzare quella dell’acqua. Tale misura è importante sia per le acque superficiali, a diretto contato con l’aria, sia per quelle sotterranee che possono subire uno sbalzo termico anche notevole passando dall’acquifero alla superficie. La temperatura dell’acqua è stata presa insieme al pH immediatamente dopo il campionamento. Ogni misura è stata effettuata in un recipiente avvinato almeno tre volte nella fase di campionamento. La temperatura dell’aria è stata presa con il termometro del pHmetro con l’accortezza di posizionarlo all’ombra.

pH: Il pH è definito come il logaritmo dell’attività dello ione H+. A 25°C il pH dell’acqua è di 7, cioè:

A

H+

= 10-7 moli/litro

Il pH è un parametro chimico fisico molto importante in quanto il suo valore determina la speciazione degli acidi e basi deboli in soluzione.

Importanti variazioni di pH si possono avere:

- Per perdita di CO

2

dalla soluzione,

(20)

20

- Ossidazione del Fe

2+

a Fe

3+

e conseguente precipitazione di idrossidi di ferro. Il pH diminuisce per sottrazione di ossidrili dalla soluzione;

- Processi fotosintetici e di respirazione bruciano CO

2

, il pH in tal caso diminuisce; al contrario per effetto della fotosintesi il pH aumenta.

Ogni giorno, prima di iniziare i campionamenti previsti lo strumento viene calibrato mediante la misura di due soluzioni tampone a pH noto, una a pH 4 e l’altra a pH 7.

Potenziale Redox (Eh): è una misura della tendenza di una specie chimica ad acquisire elettroni,cioè ad essere ridotta. Nell’ambito del Sistema Internazionale di unità di misura, il potenziale di riduzione è espresso in volt(V). Il potenziale di riduzione è una proprietà intrinseca della specie chimica considerata, più positivo è tale valore, maggiore è l’affinità elettronica della specie e maggiore è la sua tendenza ad essere ridotta. Per valutare questo parametro è opportuno immergere totalmente l’elettrodo facendo molta attenzione agli urti e a non appoggiare l’elettrodo sul fondo del contenitore. La misura del potenziale redox può richiedere una stabilizzazione maggiore rispetto agli altri parametri.

Nella figura 10 sottostante si osserva il becker e la sonda multiparametrica con la quale sono stati determinati i parametri chimico-fisici per i campionamenti del seguente lavoro.

Fig.10. Becker e sonda multiparametrica per la determinazione dei parametri chimico-fisici.

Inoltre, di seguito è mostrata la scheda utilizzata per i campionamenti dinamici di cui

parleremo in seguito. Si tratta di uno schema (fig.11) che deriva da molte attività e da una

valutazione dei dati a seguito di più campagne che permette di valutare la stabilizzazione

dei parametri durante il campionamento.

(21)

21

3.2 Prelievo dei campioni

Per ogni piezometro appartenente ai siti oggetto di studio che mostreremo in seguito, durante le campagne di campionamento sono state prese diverse aliquote inserite rispettivamente nei seguenti contenitori:

-SOV organo alogenati -Hg filtrato + HNO

3

-COD(Chemical Oxigen Demand) Fosforo Totale NH

4

½ litro in PET + H

2

SO

4

-Metalli filtrati +HNO

3

-Alcalinità Azoto Nitroso 1 Litro in PET TQ -Filtrato PET 100 ml TQ

I contenitori (fig.12) usati per il prelievo e la conservazione dei campioni sono robusti e inerti al fine di non cedere e/o adsorbire sostanze che possano alterare la composizione del

Fig.11 Scheda per campionamento dinamico

(22)

22

campione. Per la raccolta dei campioni destinata all’analisi degli inorganici (anioni, cationi, metalli, elementi in traccia) si utilizzano contenitori in polietilene ad alta densità (HDPE) precedentemente condizionati con HNO

3

fino a pH<2 per almeno 24 ore e successivamente risciacquati con acqua ad elevato grado di purezza fino a pH neutro. Il ricorso ai contenitori in HDPE presenta il vantaggio di avere una buona resistenza agli agenti chimici ed alle variazioni termiche e inoltre una buona resistenza all’urto. Nella fase di riempimento del contenitore, soprattutto per i campioni che dovranno essere analizzati per la quantificazione degli anioni, è importante assicurarsi che non venga lasciato spazio di testa in quanto questo può comportare un’alterazione dei risultati analitici. Una volta prelevato il campione, sul contenitore è stato riportato, con un’etichetta e/o con un pennarello indelebile, l’identificativo del punto di campionamento, la data di campionamento, la sigla del campione, il tipo di trattamento effettuato e la destinazione analitica. Alcuni campioni inoltre sono stati filtrati. La necessità di effettuare la filtrazione del campione in campo dipende dalle esigenze analitiche e dalla presenza di solidi sospesi che potrebbero adsorbire il materiale disciolto (USGS, 2011) o, dopo l’acidificazione, potrebbero andare in soluzione alterando la composizione naturale del disciolto. La scelta dei filtri, di cui ne esiste un’ampia gamma che include filtri in policarbonato, in nitrato di cellulosa, in acetato di cellulosa, in fibra di vetro, va fatta in funzione degli analiti da ricercare. Nel caso delle campagne oggetto di questo studio, per i metalli, il mercurio e gli elementi in traccia è stato utilizzato il filtro 0,45 m e 0,22 m per anioni e cationi.

Per la determinazione dei costituenti inorganici (in particolare metalli) nelle acque

sotterranee, i manuali APAT-IRSA.CNR 2003 e ISPRA 2009 (come specificato anche dal

Dlgs 30/2009) prevedono che i campioni vengano filtrati in campo, immediatamente dopo

il prelievo, preferibilmente sotto modesta pressione di azoto che limita l’alterazione del

campione per ossidazione, con filtri da 0,45 μm. In alternativa si usano siringhe di volume

adeguato collegate ad un portafiltro o sistemi a vuoto. Soprattutto nel caso di campioni

scarsamente ossigenati, si consiglia di eseguire sia la filtrazione che il campionamento in

linea, per evitare che il campione venga a contatto con l’ossigeno e ne vengano alterate le

condizioni redox.

(23)

23

3.3 Tecniche analitiche di laboratorio

Le analisi chimiche dei campioni prelevati dai siti di interesse di cui parleremo in seguito, sono state effettuate presso i laboratori della sede ARPAT di Livorno.

I metodi utilizzati per l’analisi delle acque sono i seguenti:

- Determinazione di anioni e cationi mediante cromatografia ionica.

- Determinazione dell’ NH

4+

allo spettrofotometro

- Determinazione del COD mediante kit e spettrofotometro

Le soluzioni standard utilizzate sono state preparate attraverso diluizioni a partire da soluzioni madre a concentrazione certificata.

3.3.1 Determinazione di anioni e cationi mediante cromatografia ionica

Il metodo è basato sulla determinazione simultanea di specie anioniche e cationiche mediante cromatografia ionica. Questa tecnica si basa sulla separazione degli analiti mediante colonna di scambio anionico e cationico in base alla loro affinità per la fase stazionaria. Per gli anioni, l’eluente, contenente gli analiti separati, passa poi attraverso un dispositivo di derivatizzazione chimica post-colonna detto soppressore che, scambiando protoni con la fase mobile, ha lo scopo di abbassare la conducibilità di fondo dell’eluente, per formazione dell’acido debole coniugato, e di esaltare il segnale dell’analita, che viene rivelato mediante un conduttimetro in linea. Il riconoscimento degli analiti viene effettuato

Fig.12 Contenitori dei campioni prelevati nelle diverse campagne dei siti di studio

(24)

24

confrontando il tempo di ritenzione dei picchi del campione con il tempo di ritenzione di soluzioni di riferimento.

La concentrazione viene determinata confrontando l’area del picco con la curva di taratura dell’analita costruita mediante una serie di soluzioni di riferimento a diverse concentrazioni.

Nel caso dei cationi invece, il riconoscimento degli analiti, rilevati mediante conduttimetro in linea, viene effettuato confrontando il tempo di ritenzione dei picchi del campione con il tempo di ritenzione di soluzioni di riferimento. Anche in questo caso, la concentrazione viene determinata confrontando l’area del picco con la curva di taratura dell’analita costruita mediante una serie di soluzioni di riferimento a diverse concentrazioni.

Al fine di valutare la separazione tra le diverse specie occorre prendere in considerazione i seguenti parametri:

- Il tempo di ritenzione t

r

: tempo che intercorre tra l’iniezione e l’uscita del picco di una data specie ionica. Tale tempo dipende dalla forza di legame che essa instaura con i gruppi funzionali della fase stazionaria rispetto a quella dell’eluente ed aumenta all’aumentare della carica dello ione, della sua dimensione e polarizzabilità.

- L’ampiezza del picco misurata alla sua base o a mezza altezza.

- Il fattore di selettività ovvero la capacità di separare la specie A dalla B quantificata dalla

relazione: a = [tb – te]/[ta – tb] dove te è il tempo di uscita dell’eluente e ta e tb sono i

tempi di ritenzione dei due ioni.

(25)

25

Un cromatografo ionico (fig.13) è costituito essenzialmente da una colonna, una pompa che fa fluire la fase mobile, la soluzione da analizzare e un rilevatore. A queste componenti fondamentali se ne aggiungono di accessorie, con lo scopo di migliorare le prestazioni dello strumento, con un filtro e una precolonna di protezione, il soppressore dell’eluente e pompe accessorie per il flusso a gradiente dell’eluente oppure ancora valvole per poter utilizzare più eluenti. La colonna contiene una fase stazionaria costituita da un supporto solido, generalmente una resina polimerica, sulla cui superficie sono attaccati gruppi funzionali debolmente ionici a cui si legano ioni di segno opposto contenuti nell’analita.

Per separare gli anioni si utilizzano resine con siti cationici fissi (es. gruppi NH

4

), mentre per separare i cationi si usano resine alle quali sono attaccati gruppi carbossilici o solforici.

La fase mobile che agisce anche da trasportatore, è una soluzione ionica che entra in competizione con gli ioni trattenuti e li rimuove dai siti. L’eluente, il cui flusso costante è garantito dalla pompa, può essere lo stesso durante tutto il processo (metodo isocratico), o subire una variazione di concentrazione (eluizione a gradiente) o perfino variato durante il corso dell’analisi con l’aiuto di pompe aggiuntive e valvole a più vie (metodo politipico).

La composizione della soluzione usata è strettamente legata alle caratteristiche della colonna e alla natura degli ioni da analizzare. Il rivelatore più universalmente utilizzato in un cromatografo è un conducimetro ma vi sono molte altre tecniche di rivelazione che trovano applicazione in metodiche e che possono dare anche informazioni diverse sulla natura dell’analita. Dopo la rimozione dal sito lo ione analita sostituisce, nella soluzione, lo ione contatore, ovvero uno ione dello stesso segno presente nella fase mobile, perciò

Fig.13 Cromatografo ionico del Dipartimento ARPAT di Livorno

(26)

26

quando l’analita attraversa la cella del conducimetro la soluzione contiene una certa quantità di ione contatore ed una minore quantità di ione eluente.

Se esiste una differenza di conduttività elettrica tra i due ioni il rivelatore registrerà un segnale pari a:

G = [(a – m) * Ca * a ]/10

-3

k

dove a e m sono le conduttanze ioniche equivalenti di analita e fase mobile, C ed a sono concentrazione e grado di dissociazione dell’analita e k è la costante di cella del rivelatore.

Per far si che la sensibilità del rivelatore sia ottimale occorre mantenere più bassa possibile la conducibilità elettrica dell’eluente, questo si può realizzare in due modi:

1- Utilizzando soluzioni alla minima concentrazione possibile per far si che ci sia ancora forza eluente e contenenti sali poco dissociati (es. carbonati)

2- Sopprimendo l’eluente in continuo, prima che arrivi al detector, per mezzo di una membrana o di una resina scambiatrice. Per la determinazione degli anioni, come eluente si usa generalmente una soluzione di NaHCO

3

– Na

2

CO

3

. Così facendo si sopprime l’eluente sostituendo lo ione Na

+

con H

+

che neutralizza le specie CO

3-

e HCO

3-

trasformandole in H

2

CO

3

.

Il metodo più avanzato (ed anche più costoso) associa alla cromatografia ionica uno strumento ICP-MS, aumentando la capacità di quest’ultimo per mezzo di una preconcentrazione dell’analita e l’eliminazione di eventuali interferenze. Questa tecnica risulta la migliore negli studi di speciazione in cui alcune delle specie da determinare possono avere concentrazione molto bassa.

Il pregio maggiore della cromatografia ionica (soprattutto quella di anioni inorganici) è

quello di poter eseguire in tempi ragionevoli l’analisi contemporanea di molti componenti

e di richiedere poca o nulla manipolazione del campione. Spesso comunque è consigliabile

eseguire alcune operazioni preliminari molto semplici: filtrazione per eliminare le

particelle sospese che passavano la colonna, aggiustamenti di pH, diluizione, abbattimento

con una precolonna di un componente molto concentrato.

(27)

27

I nterferenze e cause di errore

Sostanze con tempi di ritenzione simili a quelli degli analiti di interesse possono interferire con la determinazione, specie se presenti in elevate quantità. Questo tipo di interferenza, facilmente individuabile nei cromatogrammi (fig.14) per la presenza di picchi parzialmente sovrapposti, è dipendente dalla fase stazionaria e dalla forza dell’eluente. Ogni qual volta si verifichi un evento del genere, è necessario modificare la forza dell’eluente oppure cambiare il tipo di colonna, secondo le indicazioni delle case produttrici. Nel caso di campioni nei quali gli analiti siano vicini all’estremo superiore del campo di applicabilità, si possono avere interferenze tra i picchi degli analiti stessi. In questo caso è necessario ottimizzare la separazione per ottenere un fattore di risoluzione, R>1 . Una soluzione alternativa è la diluizione del campione stesso o la diminuzione del volume di iniezione. La risoluzione tra sodio e ammonio è problematica per la maggior parte delle fasi stazionarie in commercio, soprattutto quando il sodio è presente in quantità notevolmente superiori all’ammonio. In funzione della selettività della colonna, il manganese, quando presente in concentrazioni di mg/l può interferire con il picco di magnesio e calcio. Questa situazione si può verificare in acque lacustri anossiche e in acque di scarico. L’analisi frequente di campioni contenente metalli disciolti può portare con il tempo alla perdita delle caratteristiche di efficienza e risoluzione della colonna: è consigliabile purificare questo tipo di campioni mediante filtrazione su cartucce in grado di sequestrare metalli, disponibili commercialmente. Per campioni contenenti particolato sospeso, si consiglia la filtrazione attraverso filtri da 0,45 m prima dell’iniezione.

Fig.14. Cromatogramma del cromatografo ionico del dipartimento ARPAT di Livorno. In giallo sono riportati gli anioni, in verde i cationi.

(28)

28 Applicazioni

L’uso della cromatografia ionica per l’analisi anionica di acque è diventata ormai comune non solo per la facilità e rapidità del metodo ma anche per il fatto che essa è la metodica standard (EPA,1998) indicata per la certificazione della qualità delle acque.

Negli ultimi anni è sorto un maggiore interesse per questa tecnica da impiegare in campo ambientale nella determinazione di ioni tossici o potenzialmente tossici. La speciazione (Welz B., 1998), ovvero la separazione e la determinazione di tutte le forme con cui una specie è presente in soluzione ha un notevole interesse strettamente scientifico in geochimica per conoscere esattamente gli equilibri acqua-roccia ed un interesse più applicativo nella geochimica ambientale, di conoscere non solo la concentrazione di un inquinante ma anche in quali forme esso si presenta. Sarzanini & Mentasti (1997) e Lopez- Ruiz (2000) presentano un esame dei principali lavori di interesse geochimico che riguardano l’utilizzo della cromatografia anionica e cationica (fig.15).

Fig.15 Esempi di applicazione della cromatografia ionica alle problematiche geochimiche.

La cromatografia ionica è una tecnica molto versatile che trova la sua applicazione

principale nell’analisi di anioni inorganici ma che è diffusamente applicata anche nella

determinazione dei cationi, dei metalli pesanti, nella speciazione anionica e cationica. Il

(29)

29

costo relativamente basso della strumentazione e la possibilità di studi di speciazione ne fanno una metodica molto utilizzata in tutti i laboratori di geochimica delle acque e di geochimica ambientale e si propone come valida alternativa a strumentazioni più sofisticate e costose.

Per le analisi dei siti di interesse, è stato utilizzato un cromatografo ionico modello Metrhom.

La fase mobile (eluente) impiegata è composta da una soluzione di 5,088 g di NaCO

3

e 0,504 g di NaHCO

3

sciolti in acqua deionizzata e portati a volume di 1000 cc (tale eluente viene indicato con eluente x10). Nel cromatografo va inserito tale eluente diluito 10 volte.

Si può osservare un effetto dell’alcalinità del campione sull’altezza dei picchi misurati, soprattutto per i cloruri che escono a ridosso del “picco dell’acqua”. E’ necessario perciò che i campioni e gli standard abbiano la stessa alcalinità dell’eluente. Perché si abbia ciò bisogna aggiungere al campione ed agli standard un volume opportuno di eluente x10. Il volume da aggiungere viene calcolato in base all’alcalinità del campione (determinata in campagna al momento del campionamento).

Gli standard sono preparati a partire da soluzioni concentrate. In particolare:

- La soluzione madre dei cloruri è stata preparata da una concentrazione di NaCl 0.1 N - La soluzione madre dei nitrati ha una concentrazione di 1000 mg/l di NO

3

ed è stata preparata da NaNO

3

- La soluzione madre dei solfati ha una concentrazione di 4800 mg/l di SO

4

ed è stata preparata da soluzioni titolate di H

2

SO

4

e NaOH 0.1 N

Le soluzioni madre sono state a loro volta diluite 1:10, ottenendo soluzioni intermedie di ione cloruro (354,6 mg/l), nitrato (100 mg/l) e solfato (480 mg/l). I campioni diluiti devono rientrare nella scala definita nella tabella precedente. Le analisi sono state effettuate con un fondo scala di 30 S/cm. Le scale degli standard utilizzate sono mostrate in tabella 2.

Tab.2 Scale degli standard utilizzati Standard Cl (mg/l) NO3 (mg/l) SO4 (mg/l)

S0 3,55 1 4,80

S1 1,77 0,5 2,4

S2 7,10 2 9,60

S3 5,32 1,5 7,2

S4 10,64 3 14,4

(30)

30

3.3.2 Spettrometria di assorbimento atomico

Questa tecnica è la più utilizzata nella chimica analitica per la determinazione quali–

quantitativa di specie inorganiche; è basata sull’esame dell’assorbimento di una radiazione elettromagnetica dopo che questa passa in un mezzo in cui il campione sia presente come atomi o ioni monoatomici. Quando un atomo viene posto nelle condizioni di acquistare energia elettromagnetica di intensità adeguata, uno o più elettroni esterni posso infatti abbandonare gli orbitali in cui abitualmente si trovano, per venire promossi ad orbitali più ricchi di energia. Di conseguenza l’atomo, che si trovava nella sua configurazione elettronica normale (o stato energetico fondamentale) raggiunge un livello energetico più ricco di energia e quindi meno stabile (stato eccitato).

Da questo stato eccitato l’atomo decade rapidamente, tornando allo stato fondamentale e restituendo all’ambiente l’energia appena acquistata. Nell’emissione atomica sono coinvolti due processi: quello di eccitazione e quello di decadimento. Lo spettro di emissione di un elemento non risulta continuo ma consiste in un numero limitato di lunghezze d’onda chiamate linee di emissione (infatti gli elettroni eccitati hanno comunque energie ben definite). L’intensità di una linea di emissione aumenterà con il numero degli atomi eccitati.

L’atomo nello stato fondamentale assorbe energia radiante di una specifica lunghezza d’onda passando allo stato eccitato. La quantità di radiazione assorbita è funzione del numero di atomi allo stato fondamentale presenti nel cammino ottico. L’utilizzo di speciali sorgenti di luce ed una attenta selezione della lunghezza d’onda permette la specifica determinazione di elementi individuali. Quando una soluzione è inviata sottoforma di minuscole goccioline all’interno di una fiamma, una frazione degli elementi presenti nella soluzione viene trasferita dallo stato molecolare a quello atomico che è quello capace di assorbire la radiazione caratteristica.

Fig.16 Processo di decadimento energetico

(31)

31

Tuttavia la fiamma ha sufficiente energia per ionizzare una parte consistente di questi atomi. Tale fenomeno è tanto più effettivo quanto più elevata è la temperatura della fiamma e più basso è il potenziale di ionizzazione dell’elemento in esame. Perciò quando si opera in assorbimento atomico occorre utilizzare una fiamma che assicuri un elevato numero di atomi allo stato fondamentale rispetto a quelli ionizzati. Il contrario è valido quando si lavora in emissione atomica.

Ogni spettrofotometro di Assorbimento Atomico è formato da 5 parti principali:

1- La sorgente di luce che emette lo spettro dell’elemento di interesse

2- Una cella di assorbimento in cui vengono prodotti atomi allo stato fondamentale del campione (fiamma, fornetto di grafite ecc.)

3- Un monocromatore per la dispersione della luce e selezione della riga di assorbimento 4- Un rilevatore (fotomoltiplicatore) che misura l’intensità della luce e amplifica il segnale 5- Un sistema di acquisizione del segnale stesso.

Sorgenti di luce per Assorbimento Atomico

La sorgente di emissione più comune è la lampada a catodo cavo. E’ costituita da un’ampolla di vetro, completamente speculare, al cui interno, per mezzo di due elettrodi tra i quali si stabilisce una differenza di potenziale di qualche centinaio di volt di corrente continua livellata, avviene una scarica elettrica in atmosfera di gas rarefatto: lo spettro emesso dipende dal potenziale di eccitazione del gas raro (argon, elio) presente nell’ampolla. Questo genere di lampade è ottimo per quasi tutti gli elementi (esistono anche lampade multielemento). Per alcuni elementi facilmente ionizzabili sono disponibili lampade a scarica senza elettrodi.

Fig.17 Schema delle parti ottiche e meccaniche necessarie per generare uno spettrometro.

(32)

32 Celle di assorbimento

La cella di assorbimento più diffusa è la fiamma. Possono essere utilizzati vari tipi di fiamma: aria-acetilene (2300°C), aria-idrogeno (2045°C), potassio di azoto-acetilene (2900°C) ed altre. La soluzione da analizzare viene nebulizzata nella fiamma dove sono prodotti gli atomi allo stato fondamentale. Un altro sistema di atomizzazione è costituito dal fornetto di grafite: il campione in questo caso viene introdotto mediante una micropipetta (in genere 10 μl) all’interno di un tubo in grafite posizionato sul cammino ottico della radiazione e viene portato ad elevata temperatura in un tempo brevissimo, dando una corrente di alcune centinaia di ampere (V= 10 volt) ai due estremi del tubo stesso. I principali vantaggi di questo secondo sistema di atomizzazione senza fiamma rispetto al primo sono:

- I campioni non hanno bisogno di particolari pretrattamenti - Si ha la possibilità di analizzare campioni in solventi organici

- Si ha la possibilità di analizzare campioni solidi senza bisogno di pretrattamento.

Monocromatori

Il monocromatore ha la funzione importantissima di selezionare la lunghezza d’onda della radiazione desiderata. Gli spettrofotometro di assorbimento atomico generalmente utilizzano monocromatori a reticolo.

Emissione Atomica (EA)

E’ una tecnica raccomandata solo per alcuni elementi (Na, K, Li, Rb, Cs) e quando non è disponibile la lampada per AA. Per tali elementi l’emissione atomica è più sensibile dell’AA ma meno stabile, questo a causa dell’instabilità della fiamma che, nel caso dell’AA, rappresenta la sorgente di ionizzazione.

Calibrazione dello strumento

Le misure quantitative in assorbimento atomico si basano sulla legge di Lambert e Beer.

Essi affermano che la concentrazione è proporzionale all’assorbanza A misurata:

A = log (1/T) = k C In cui T è la trasmittanza T = I

f

/I

0

A concentrazioni elevate tale legge non è più rispettata, è conveniente perciò lavorare in un

intervallo di concentrazione dove la legge di Lambert e Beer è valida (o poco oltre).

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