Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale ed Architettura (DICAAR)
A - Introduzione allo studio del mezzo particellare multifase
Giuseppe Tropeano 10/06/2020
Introduzione allo studio del mezzo particellare multifase
Sommario
1 Introduzione ... 2
2 Origine e costituzione delle terre ... 3
2.1 Origine dei terreni ... 3
2.2 Struttura dei terreni ... 5
2.2.1 Struttura dei terreni granulari ... 8
2.2.2 Struttura dei terreni a grana fine ... 9
3 Programmazione delle indagini ... 12
4 Scavi e sondaggi ... 12
5 Campionamento ... 12
6 Caratteristiche fisiche generali (CFG) e Classificazione delle terre ... 13
6.1 Rapporti tra le fasi ... 13
6.2 Prove di laboratorio per la misura delle caratteristiche fisiche generali ... 16
6.2.1 Misura del peso dell’unità di volume del solido s ... 16
6.2.2 Misura del peso ‘umido’ e del peso ‘secco’ dell’unità di volume ... 18
6.2.3 Misura del contenuto d’acqua w ... 18
6.2.4 Derivazione delle altre grandezze ... 19
6.3 Curva granulometrica ... 20
6.3.1 Determinazione sperimentale dell’assortimento granulometrico ... 21
7 Stati di addensamento e di consistenza ... 30
7.1 Terreni a grana grossa: Densità Relativa ... 30
7.2 Terreni a grana fine: limiti e indice di consistenza ... 31
7.2.1 Limiti di consistenza ... 31
7.2.2 Indice di Plasticità, Indice di Attività e Carta di Plasticità... 35
7.2.3 Indice di Consistenza ... 37
Declaratoria da DM 336 29/7/2011 SC 08/B1: GEOTECNICA
Il settore si interessa dell'attività scientifica e didattico‐formativa inerente
i principi, le teorie e le metodologie analitiche, computazionali e sperimentali per la modellazione fisico‐meccanica delle terre e delle rocce e per la valutazione del loro comportamento in campo statico e dinamico;
le procedure per la caratterizzazione geotecnica del territorio;
la geotecnica sismica, ambientale e marina e la componente geotecnica delle zonazioni riguardanti i rischi ambientali;
l’analisi, il progetto e la realizzazione di opere geotecniche quali le fondazioni, le costruzioni in sotterraneo, gli scavi e le opere di sostegno, le gallerie, i rilevati, le costruzioni in materiali sciolti;
le tecniche e le modalità d’intervento per il consolidamento geotecnico delle costruzioni, per la stabilizzazione dei pendii e per il miglioramento delle proprietà e la bonifica dei terreni
L’Ingegneria Geotecnica nasce come una branca dell’Ingegneria Civile, per studiare:
le opere a contatto con il terreno (fondazioni, opere di sostegno, etc.)
le opere costruite nel terreno (gallerie, scavi, etc.)
le opere costruite con il terreno (argini, rilevati, colmate, dighe, etc.)
alcuni fenomeni che si verificano nel terreno (frane, subsidenza, etc.)
Gli oggetti di studio della geotecnica sono i materiali naturali che costituiscono la parte più superficiale della crosta terrestre ed in particolare il loro comportamento meccanico: in questa ottica, la geotecnica si inquadra nel macro‐ambito delle scienze dei materiali.
Il campo di studio della geotecnica comprende le discipline di base di:
meccanica (e dinamica) delle terre;
meccanica (e dinamica) delle rocce;
indagini geotecniche;
e le discipline di carattere ingegneristico:
fondazioni
opere di sostegno
scavi superficiali e sotterranei
costruzioni in materiali sciolti
difesa del suolo da catastrofi naturali (stabilità dei pendii, geotecnica sismica etc.)
difesa del suolo dal rischio antropico (geotecnica ambientale, bonifica dei siti contaminati etc.)
2 Origine e costituzione delle terre
I terreni (o rocce sciolte) sono aggregati di particelle (o granuli) di minerali e materiali organici, generalmente sciolti o con deboli legami di cementazione o di adesione che possono essere distrutti con semplice agitazione meccanica o in acqua. Risultano quindi caratterizzati da valori limitati della resistenza meccanica.
Le rocce (lapidee) sono composte da aggregati naturali di minerali tra i quali si esercitano forze attrattive e di adesione di notevole entità che conferiscono all'insieme valori elevati della resistenza meccanica. Per queste ultime, la disaggregazione, se si eccettua il caso di alcune rocce solubili, non può essere ottenuta neppure dopo la permanenza in acqua.
Questa distinzione è convenzionale: in altre discipline scientifiche i termini terreno e roccia assumono significati diversi; inoltre esistono materiali naturali, "di transizione", con caratteristiche tali da non poter essere facilmente inseriti in nessuna delle due categorie.
Nel seguito, ci occuperemo in particolare di terreni o rocce sciolte, cioè di materiali che possono essere schematizzati come mezzi polifase, costituiti da uno scheletro solido, formato dall'insieme di tutti i granuli, o meglio, di tutte le particelle; da una fase liquida (generalmente acqua) e da una fase gassosa (generalmente aria e/o vapore acqueo).
2.1 Origine dei terreni
I terreni derivano dai processi di alterazione fisica e chimica delle rocce.
I processi di alterazione di natura fisica o meccanica producono una disgregazione delle rocce in frammenti di dimensioni ridotte. Questi processi sono legati a fenomeni di erosione delle acque, all'azione di agenti atmosferici (gelo, variazioni termiche), all'azione delle piante, degli animali, dell'uomo.
I processi di alterazione di natura chimica o organica decompongono, invece, i minerali che costituiscono le rocce in particelle di natura colloidale che costituiscono poi la frazione prevalente dei materiali fini. Questi processi sono legati a fenomeni di ossidazione, riduzione ed altre reazioni chimiche generate dagli acidi presenti nell'acqua o prodotti dai microorganismi.
I frammenti di roccia (cioè le particelle, i granuli – indicati anche col il termine generico sedimenti) derivanti da processi di alterazione vengono poi trasportati (più o meno lontano dall’ambiente di formazione) dal vento, dall'acqua e dai ghiacciai fino all’ambiente di sedimentazione (bacini marini o lacustri, fasce costiere, piedi delle montagne o dei ghiacciai etc.) dove si accumulano progressivamente in depositi (o banchi). Durante la fase di trasporto i sedimenti possono subire ulteriori processi di disgregazione meccanica o di alterazione chimica.
Nella Figura 2.1 è riportata una rappresentazione semplificata del ciclo di formazione dei sedimenti e dei terreni. Nella Tabella 2.1 sono elencati i processi e gli agenti responsabili della formazione dei terreni.
Figura 2.1 ‐ Ciclo di formazione dei sedimenti e dei terreni.
Tabella 2.1 – Schema dei principali processi e agenti responsabili della formazione dei terreni
Processo Agenti Prodotti
Formazione disgregazione meccanici (erosione) fisici (T, w)
terreni granulari
alterazione chimici (reazioni con acque acide) terreni fini
Trasporto acqua, vento, ghiaccio terreni sciolti
Sedimentazione gravità, correnti
Diagenesi sovraccarichi litostatici, precipitazioni saline
terreni addensati terreni cementati
Tabella 2.2 – Schema dei principali processi e agenti responsabili della formazione dei terreni Terreni sedimentari Agenti di trasporto Ambiente di sedimentazione Depositi alluvionali Acque fluenti più o meno
velocemente
Stesse acque che costituiscono l’agente di trasporto
Depositi marini, lacustri, palustri
Acque fluenti più o meno
velocemente Mare, laghi, lagune
Depositi eolici Vento Pianure, fasce costiere
Depositi colluviali Frane e dilavamento dei
versanti Piede dei versanti
Depositi glaciali Moto dei ghiacciai Piede dei ghiacciai
La Tabella 2.2 sintetizza la natura dei depositi prodotti dai diversi agenti di trasporto e dell’ambiente di deposizione.
Se durante le fasi di formazione, trasporto e deposizione intervengono solo processi di natura fisica, il terreno risulterà composto dagli stessi minerali presenti nelle rocce di origine; se intervengono anche processi di alterazione chimica si formeranno nuovi minerali. Un esempio di minerali derivanti da processi di alterazione sono i minerali delle argille (idrofillosilicati: p.es. caolinite, illite, montmorillonite etc.), le cui proprietà (alla scala della singola particella) sono determinanti per comportamento meccanico (alla meso‐macro scala) dei terreni che li contengono.
Le dimensioni delle particelle, che costituiscono il risultato finale di tutti questi fenomeni, sono molto varie, comprendendo frammenti di roccia, minerali e frammenti di minerali.
2.2 Struttura dei terreni
Si definisce struttura del terreno il risultato finale dell'aggregazione delle particelle che può essere molto vario ed influenzare marcatamente il comportamento meccanico del terreno. Le caratteristiche della struttura dei terreni possono essere rilevate a diverse scale:
caratteri microstrutturali: si rilevano alla scala delle particelle del terreno includono forma, dimensioni e tipologia e meccanismi di interazione tra le particelle;
caratteri macrostrutturali: si rilevano su una porzione di terreno di dimensioni limitate (ad esempio un campione di laboratorio) e riguardano la presenza di fessure, intercalazioni, inclusioni di materiale organico, ecc.;
caratteri megastrutturali: si rilevano alla scala del deposito e riguardano la presenza di giunti, discontinuità, faglie ecc.
Di seguito si fa riferimento ai caratteri microstrutturali e alla loro influenza sul comportamento meccanico dei terreni. Si indicheranno con il termine granulo la particella solida elementare in cui si suddivide il terreno a seguito di una prolungata imbibizione, e con il termine scheletro solido l’aggregato costituito dall'insieme dei granuli di un terreno.
Tabella 2.3 – principale distinzione dei terreni in base alla dimensione dei grani
Terre Dimensioni Materiale Granuli Interazione
solido‐solido e solido‐fluido Granulari 10 mm ÷ 10 cm Framm. roccia (> 1 mm)
Framm. minerali (< 1 mm) Inerti Solo meccaniche (forze di massa)
Fini 10 Å ÷ 10 mm Fillosilicati Attivi Meccaniche + elettrochimiche (forze superficiali)
(a) (b)
Figura 2.2 – (2) rappresentazione schematica di un terreno granulare e (b) rappresentazione schematica di un terreno a grana fine
I granuli (e acqua interstiziale) che costituiscono un terreno si scambiano forze tra di loro secondo due meccanismi principali:
1. interazione meccanica, dovuta alle forze di massa (o di volume);
2. interazione chimica, dovuta alle forze di superficie.
L’interazione chimica tra particella ‐ particella (interazione solido‐solido) e particella ‐ acqua interstiziale (interazione solido‐fluido) è legata alla presenza di cariche elettriche non compensate sulla superficie esterna di ciascun granulo. L’interazione meccanica invece è legata alla massa della particella soggetta sostanzialmente al peso proprio (e quindi al campo gravitazionale terrestre). Ne consegue che se la superficie esterna del granulo è grande rispetto alla sua massa, l’effetto dell’interazione chimica è preponderante sull’effetto dell’interazione meccanica (in questo caso si parla di granuli "attivi"). Viceversa, se la superficie esterna del granulo è piccola rispetto alla massa prevalgono le interazioni di tipo meccanico (in tal caso si parla di granuli "inerti").
L'elemento distintivo tra la prevalenza delle forze di volume o delle forze di superficie è legato quindi alla geometria dei granuli che può essere rappresentata sinteticamente dalla superficie specifica, Σ (ovvero alla superficie riferita all'unità di massa) definita come:
2
3
4 6
4 3
r S
V r D
(2.1)
dove S è la superficie del granulo, V il volume, ρ è la massa dell’unità di volume (densità), r e D sono, rispettivamente, il raggio e il diametro della particella supposta sferica.
Se, ad esempio, si considera un grammo di sabbia con diametro medio di 2 mm e si sviluppano tutte le superfici esterne dei grani in esso contenuti, si ottiene un valore di superficie specifica pari a circa 2 10‐4 m2 corrispondente, grossomodo, alla superficie di un unghia; se invece si considera un grammo di argilla "molto attiva" la somma delle aree laterali di tutti gli elementi solidi contenuti in un grammo può essere anche dell'ordine di 800 m2. Si noti che la superficie specifica di un certo materiale dipende dalla forma e dalle dimensioni delle particelle, come è possibile dedurre dall’eq. (2.1).
Valori tipici della dimensione media e della superficie specifica di sabbie e argille sono riportati nella Tabella 2.4.
Tabella 2.4 – Valori tipici di superficie specifica per sabbie e i principali minerali delle argille Terreno Dimensioni medie Σ [m2/g] 1 g equivalente a:
Sabbie 2 mm 0.0002 unghia
Argille
caolinite 0.1 ÷ 4 mm 10 ÷ 20 stanza
illite 0.03 ÷ 0.1 mm 65 ÷ 200 appartamento
montmorillonite 10 Å Fino a 800 edificio
La conseguenza di quanto detto sopra è che nei materiali come le sabbie l'interazione tra i granuli è esclusivamente di tipo meccanico, mentre nelle argille le azioni sono quasi esclusivamente di tipo chimico. Quindi, una prima classificazione tra i diversi tipi di terreno può essere effettuata in base alla dimensione e alla forma delle particelle che li costituiscono, poiché questo è un elemento che ne differenzia notevolmente il comportamento.
Dimensioni e forma delle particelle dipendono dai minerali costituenti.
Si distinguono così, in primo luogo, i terreni a grana grossa (ghiaie e sabbie) i cui granuli presentano una forma sub‐sferica, o comunque compatta, e i terreni a grana fine (limi e argille) con particelle di forma appiattita o lamellare, non visibili a occhio nudo.
I terreni naturali consistono generalmente in una miscela di più tipi di terreno appartenenti alle due categorie suddette, a cui si può aggiungere talvolta del materiale organico.
2.2.1 Struttura dei terreni granulari
I terreni a grana grossa sono generalmente costituiti da frammenti di roccia o, nel caso delle particelle più piccole, da singoli minerali o da frammenti di minerali sufficientemente resistenti e stabili dal punto di vista chimico (p.es. quarzo, feldspati, mica, ecc.).
I minerali meno resistenti danno origine a terreni con grani più arrotondati, quelli più resistenti a granuli più irregolari.
Il comportamento dei terreni a grana grossa dipende soprattutto:
1. dalle dimensioni e dalla distribuzione granulometrica; da questi dipende anche la dimensione dei vuoti inter‐granulari che governa ad esempio le caratteristiche di permeabilità al passaggio di un fluido o la mobilità dei granuli (ad esempio un terreno assortito granulometricamente presenta meno vuoti rispetto ad terreno mono‐granulare – p.es. Fig. 2.3 ‐ ciò garantisce una minore mobilità dei granuli e di conseguenza una minore deformabilità e una maggiore rigidezza).
Figura 2.3 – Confronto tra i vuoti interparticellari di un terreno mono‐granulare e di un terreno con granulometria assortita
2. dalla forma (angolare, sub‐angolare, sub‐arrotondata, arrotondata) (Figura 2.4): è legata alla mineralogia e può essere misurata attraverso il rapporto di sfericità, Ψ, definito come:
superficie sfera di pari volume superficie granulo s
S (2.2)
Figura 2.4 – Rapporto di sfericità per diverse possibili forme dei grani di un terreno granulare
3. dalla mineralogia: particolarmente importante nel caso i granuli siano formati da minerali o aggregati fragili (p.es. terreni micacei o pozzolane).
L’insieme di queste caratteristiche costituiscono la tessitura del terreno da cui dipendono le proprietà meccaniche dello scheletro solido.
2.2.2 Struttura dei terreni a grana fine
Nel caso dei terreni a grana fine, la distribuzione e le caratteristiche granulometriche sono meno significative. I terreni a grana fine sono aggregati di particelle colloidali di forma lamellare, che risultano dalla combinazione di unità elementari. Queste ultime sono tetraedri di silicato (con atomo di silicio al centro e ossigeno ai vertici) o ottaedri di magnesio o alluminio (con un atomo metallico al centro e gruppi ossidrili ai vertici) (Figura 2.5) che si combinano tra loro per formare reticoli piani (pacchetti elementari). Successive combinazioni di pacchetti elementari danno origine ai minerali delle argille (p.es. Figura 2.6).
Figura 2.5 – Strutture delle particelle colloidali: unità elementari di SiO4 e Al(OH)6 e loro combinazione nei reticoli elementari (Silice e Gibsite)
Figura 2.6 – Esempio di combinazione dei reticoli elementari per la formazione della caolinite
Figura 2.7 – Schema di interazione tra il minerale e l’acqua dell’ambiente di sedimentazione A seconda della loro composizione, i pacchetti possono stabilire legami più o meno forti tra loro e, di conseguenza, i minerali delle argille possono avere uno spessore più o meno elevato che implica un comportamento meccanico dei terreni argillosi molto diverso tra loro. Ad esempio, la caolinite ha uno spessore tipico di circa 1 nm, presenta legami piuttosto forti mentre la montmorillonite ha uno spessore di pochi nm (1 nm = 10 Armstrong = I0‐3 µm) e presenta legami deboli tra i pacchetti elementari. Di conseguenza le caratteristiche meccaniche (deformabilità e resistenza) di una argilla composta in prevalenza da caolinite sono nettamente migliori di quella di un’argilla composta in prevalenza da montmorillonite (molto deformabile e con tendenza a rigonfiare in presenza di acqua).
Il comportamento dei minerali argillosi è fortemente condizionato dalla loro interazione con il fluido interstiziale. Le unità fondamentali, tetraedri e ottaedri che costituiscono i minerali argillosi, pur essendo complessivamente neutri, hanno un eccesso di carica negativa sulla superficie esterna. In acqua, quindi, il minerale tende ad idratarsi favorendo legami ionici con le molecole dipolari dell’acqua che sono attratte elettricamente dalla superficie delle particelle di argilla. L'acqua immediatamente a contatto con le particelle diventa perciò parte integrante della loro struttura ed è definita "acqua adsorbita" (Figura 2.7). Allontanandosi dalla superficie delle particelle i legami diventano via via più deboli, finché l'acqua assume le caratteristiche di "acqua libera" o "acqua interstiziale".
È da notare che lo spessore di acqua adsorbita è approssimativamente lo stesso per tutti i minerali argillosi, ma a causa delle differenti dimensioni delle particelle, il comportamento meccanico dell'insieme risulta molto diverso
I complessi granuli + acqua adsorbita si scambiano mutuamente:
azioni repulsive: di tipo elettrico legate alla carica negativa che permane sulla superficie del complesso granulo‐acqua adsorbita;
azioni attrattive: dovute al campo magnetico indotto dal moto degli elettroni (forze di Van der Waals).
L‘entità di tali azioni dipende dalla distanza delle particelle ma è fortemente condizionata dalla concentrazione di ioni positivi presenti nel fluido interstiziale (e di conseguenza dell’ambiente di sedimentazione) in grado di neutralizzare l’eccesso di carica negativa sulla superficie del minerale (e quindi a diminuire l’effetto delle azioni repulsive) come mostrato schematicamente in Figura 2.8
Figura 2.8 – Forze di interazione tra le particelle: forze di repulsive (rosso) dipendono dalla concentrazione di ioni (p.es. C1, C2 ) nell’ambiente di sedimentazione; forze attrattive di Van der Waals (in
verde) e risultate complessiva delle due azioni (in blu)
Questo fa sì che l'ambiente di sedimentazione riesca a condizionare la forma e la geometria strutturale delle argille: in particolare, se le particelle sono circondate da un fluido con elevata concentrazione di ioni positivi (p. es. in ambiente marino), le cariche negative superficiali esterne tenderanno a neutralizzarsi e quindi l'effetto di repulsione sarà minore: di conseguenza le particelle tenderanno ad aggregarsi in strutture più chiuse (struttura flocculata).
Al contrario, in un ambiente povero di ioni positivi (p.es. in acqua dolce) tra le particelle tenderanno a prevalere le forze di repulsione e si avranno strutture più disperse.
L’attività superficiale dei minerali contribuisce, invece, all’orientamento dei minerali all’interno della struttura flocculata, come schematizzato in Figura 2.9.
Figura 2.9 – Schemi di strutture degli aggregati di minerali argillosi in funzione dell’attività superficiale dei granuli e della salinità (ovvero della concentrazione ionica) dell’ambiente di sedimentazione.
3 Programmazione delle indagini
[da fare…]
4 Scavi e sondaggi
[da fare…]
5 Campionamento
[da fare…]
6 Caratteristiche fisiche generali (CFG) e Classificazione delle terre
6.1 Rapporti tra le fasiUn terreno è, come già detto, un sistema multifase, costituito da uno scheletro formato da particelle solide e da una serie di vuoti, che possono essere a loro volta riempiti di liquido (generalmente acqua) e/o gas (generalmente aria e vapore acqueo) (Figura 6.1a).
Figura 6.1 – Schema a fasi separate: (a) terreno reale, (b) modello a continui sovrapposti
Facendo riferimento ad un certo volume di terreno e immaginando per comodità di separare le tre fasi (Figura 6.1b), indicati con i simboli di seguito i volumi:
Vs = volume del solido (inclusa l'H20 adsorbita)
Vw = volume dell'acqua (libera)
Vg = volume del gas
Vv = volume dei vuoti = (Vw + Vg)
V = volume totale (Vs + Vw + Vg) e i pesi:
Pw = peso dell’acqua
Ps = peso del solido
Pg = peso del gas = 0
P = peso totale (Pw + Ps)
si possono stabilire delle relazioni quantitative tra le grandezze elencate.
In particolare, si definiscono i rapporti tra i pesi o tra i pesi e i volumi:
1. contenuto di acqua w (adimensionale, a volte espresso in percentuale):
peso acqua peso solido
w s
w P
P (6.1)
2. peso dell’unità di volume del solido (o peso dei grani), s (espresso nel S.I. in kN/m3):
peso solido volume solido
s s
s
P
V (6.2)
3. peso dell’unità di volume del fluido (tipicamente acqua), w (espresso nel S.I. in kN/m3):
peso fluido volume fluido
w w
w
P
V (6.3)
dipende da temperatura e pressione. Nelle applicazioni pratiche, in riferimento all’acqua, è lecito considerare w costante e pari a 9.81 kN/m3 (≈ 10 kN/m3 per il calcolo delle pressioni interstiziali).
4. peso ‘umido’ dell’unità di volume, (espresso nel S.I. in kN/m3):
peso solido + fluido volume totale
s w
P P
V (6.4)
5. peso ‘secco’ dell’unità di volume, d (espresso nel S.I. in kN/m3):
peso solido volume totale
s d
P
V (6.5)
In genere risulta che w <d < < s.
Si definiscono, inoltre, i rapporti tra volumi:
1. porosità n (adimensionale), compreso tra 0 (solido continuo privo di vuoti) e 1 (vuoto):
volume vuoti volume totale Vv
n V (6.6)
da cui consegue che
1 V Vv Vs
n V V (6.7)
2. Indice dei vuoti e (adimensionale), compreso tra 0 (solido continuo privo di vuoti) e (vuoto):
volume vuoti volume solido
v s
e V
V (6.8)
da cui consegue che
1 s v
s s
V V V
e V V (6.9)
Tra le due grandezze sopra definite, è più comodo utilizzare l’indice dei vuoti, e, rispetto alla porosità, n, perché al variare del volume dei vuoti varia solo il numeratore del rapporto. Inoltre, l’indice dei vuoti è definito per un intervallo aperto, pertanto, più utile nella modellazione dei fenomeni. In ogni caso, la porosità e l’indice dei vuoti sono biunivocamente legati tra loro:
1
v s
V V n
e V V n (6.10)
1
v s
s
V V e
n V V e (6.11)
3. Grado di saturazione Sr (a volte S) (adimensionale, spesso espresso come percentuale) indica quanta acqua è presente nei pori:
volume acqua volume vuoti
w r
v
S V
V (6.12)
Il grado di saturazione assume valori compresi tra 0 (terreno asciutto) e 1 (terreno saturo).
In relazione al grado di saturazione è possibile definire il legame tra le diverse definizioni di peso dell’unità di volume e i rapporti tra pesi e/o tra volumi.
Per terreno asciutto (Sr = 0) si verifica, attraverso pochi passaggi algebrici, la relazione:
/ (1 )
/ 1
s s s s
d s
s
P P V
V V V e n (6.13)
Per terreno umido con 0 < Sr < 1 (terreno parzialmente saturo):
PsPw Ps w Ps Ps 1 d 1 s 1 1
w w n w
V V V (6.14)
w s w w s s w s s s
r s
v s v s v s w w
P P
V V P P w w
S G
V V V V V V e e (6.15)
Dove Gs è la densità specifica relativa solido/acqua definita come
s
s w
G (6.16)
Per terreno saturo con Sr = 1:
satdwns(1 n) wn (6.17)
dove sat è il peso saturo dell’unità di volume.
Se Sr = 1, inoltre, dalla eq. (6.15) si ottiene:
1 s
r s
w
S e w G w (6.18)
In condizioni di completa saturazione è possibile, inoltre, definire il peso immerso dell’unità di volume ’, che equivale grossomodo all’applicazione del Principio di Archimede:
satw (6.19)
ovvero, sostituendo l’eq. (6.17) nella (6.19), con pochi passaggi algebrici si ottiene:
1
1 1
1
sat w
s w w
s w
s w
n n
n n
n
(6.20)
6.2 Prove di laboratorio per la misura delle caratteristiche fisiche generali La misura delle caratteristiche fisiche generali dei terreni si effettua su provini prelevati da campioni di terreno indisturbato (ad eccezione del peso dell’unità di volume dei grani che, di fatto, è una proprietà intrinseca del terreno) a partire dalla semplice misura di pesi e volumi attraverso l’utilizzo di apparecchiature ordinarie. Se per la misura del peso è sufficiente una normale bilancia di precisione, per la misura del volume ci sono diverse soluzioni alternative che prevedono l’utilizzo di recipienti con volume noto (fustelle) oppure la misura del volume di acqua spostato dal terreno immerso in un recipiente contenente acqua (volumenometro) o, ancora, il volume può essere ottenuto in maniera indiretta a partire da misure ponderali (picnometro).
Sono sufficienti le misure dei pesi dell’unità di volume: s, , d e del contenuto di acqua, w, di provini prelevati dallo stesso campione per ricavare tutti gli altri parametri rimanenti (n, e, Sr).
6.2.1 Misura del peso dell’unità di volume del solido s
Il peso dell’unità di volume del solido s (o, impropriamente, peso specifico dei grani) si misura a partire dalla sua definizione, eq. (6.2).
Indicando con Ps il peso di una piccola quantità di terreno secco, il volume del campione, Vs, si può misurare con due procedure alternative:
1) misura con il volumenometro;
2) misura con il picnometro.
Il volumenometro (Figura 6.2a) è una buretta che presenta un collo allungato e graduato con imboccatura tipicamente a imbuto. Si utilizza solo per terreni a grana grossa e, preferibilmente, per sabbie grossolane e ghiaie. Il volumenometro è riempito di acqua distillata e de‐areata fino al primo
(a) (b)
Figura 6.2 – (a) esempio di volumenometro e (b) esempio di picnometro.
segno di gradazione sul collo (lettura V1), si inserisce quindi il terreno secco precedentemente pesato, Ps, dall’imboccatura a imbuto della buretta e si legge il valore del volume sull’asta graduata della buretta (lettura V2). La differenza V2 ‐ V1 è il volume dei granuli di terreno immessi nella buretta, Vs.
Il picnometro (Figura 6.2b) è una boccetta di vetro a collo più o meno largo, chiusa da un tappo smerigliato e terminante con un tubo capillare su cui è incisa una tacca di riferimento. Si utilizza principalmente per i terreni a grana fine.
La procedura prevede preliminarmente:
1) la calibratura del picnometro in modo tale da disporre di una relazione empirica tra i valori del peso del picnometro colmo d’acqua distillata e de‐areata, al variare della temperatura dell’ambiente di prova (n.b. il peso dell’unità di volume dell’acqua, w, in questa prova non può essere approssimato!).
2) la misura peso del picnometro vuoto (incluso il tappo), Pc, e del peso del picnometro colmo d’acqua, Ppa (incluso il tappo).
Per la misura del volume dei granuli del terreno:
1) si riempie il picnometro vuoto con circa 10 gr di terreno da analizzare, preventivamente essiccato in stufa a 105°C, e si pesa nuovamente lo strumento con il terreno, Pc+t, per verificare l’effettiva quantità di terreno presente nel picnometro (parte del materiale, specie se a grana fine, si può facilmente disperdere nel passaggio dal contenitore in cui è stato pesato al picnometro);
2) si aggiunge acqua distillata in modo tale da ricoprire il terreno depositato sul fondo del picnometro per tutto il suo volume, e lo si lascia imbibire. Passate circa 12 ore dalla preparazione, si aggiunge acqua distillata fino a circa metà del volume totale del picnometro;
3) si elimina l’aria dalla miscela terreno‐acqua distillata, applicando una depressione per circa 20 minuti con una pompa a vuoto;
4) si colma il picnometro con acqua distillata e de‐areata, si tappa, e se ne misura il peso, Ppta. Nota la temperatura T dell’ambiente in cui si è eseguita la prova, il volume dei granuli è dato da:
s t pa pta
V P P P K (6.21)
dove K è un fattore di correzione per la temperatura definito come il rapporto tra il peso dell’unità di volume dell’acqua distillata alla temperatura di prova T, w(T), e il peso dell’unità di volume dell’acqua distillata alla temperatura di riferimento, w(20°C).
6.2.2 Misura del peso ‘umido’ e del peso ‘secco’ dell’unità di volume
La misura sperimentale del peso dell’unità di volume umido e secco, e d, è piuttosto semplice ed è basata sulla misura ponderale di un volume di terreno noto.
Per il peso umido si preleva un provino di terreno da un campione indisturbato, lo si pone in una fustella di dimensioni, Vf, e peso, Pf, note e si misura il peso umido lordo del provino, (Pf+c)u. Essendo noto il volume della fustella, il peso umido dell’unità di volume è dato dalla sua definizione:
peso umido del provino
volume del provino
f c f
u u
f f
P P
P
V V (6.22)
Lo stesso provino, dopo la pesata umida, è lasciato essiccare in forno a 105°C per 24 ‐ 48 ore (a seconda della quantità e del tipo di materiale) e ripesato una volta completamente asciutto ottenendo il peso secco lordo del provino, (Pf+c)d. Ancora una volta, essendo noto il volume della fustella il peso secco dell’unità di volume d è dato dalla sua definizione:
peso solido del provino
volume del provino
f c f
s u w d
d
f f f
P P
P P P
V V V (6.23)
La doppia pesata del provino (terreno + fustella) consente di ricavare anche il contenuto d’acqua.
6.2.3 Misura del contenuto d’acqua w
La misura sperimentale del contenuto d’acqua, w, è piuttosto semplice ed è basata su una doppia misura ponderale. Operativamente si mette una certa quantità di terreno (anche senza conoscerne il volume), di cui si vuole determinare il contenuto in acqua, in un recipiente pulito, numerato e preventivamente pesato, Pf, e si pesa il tutto ottenendo il peso lordo umido, (Pf+c)u. Per ottenere il peso lordo secco, (Pf+c)d, si pone il contenitore con il terreno in forno ad essiccare (a 105°C per 24 ‐ 48 ore a seconda della quantità e del tipo di materiale) e si effettua una nuova pesata del contenitore con il terreno. La differenza tra le due pesate (Pf+c)u ‐ (Pf+c)d, è proprio il peso dell'acqua, Pw, presente nel terreno prima della completa evaporazione.
Il contenuto di acqua risulta determinato direttamente dalla sua definizione:
peso acqua
peso solido
f c f c
u s u d
w
s s f c f d
P P
P P
w P
P P P P (6.24)
Valori tipici di w variano tra il 0.2 al 0.3 (massimo) per un terreno sabbioso (sebbene in genere il parametro non sia significativo per i terreni a grana grossa), tra il 0.2 e il 0.4 per argille molto dure, tra il 0.4 e 1.0 per argille molli, può assumere valori anche superiori al 1 per terreni che contengono materiale organico.
6.2.4 Derivazione delle altre grandezze
Misurate le grandezze s e d si calcola la porosità e l’indice dei vuoti invertendo l’eq.(6.13):
1 d s 1
s d
n e (6.25)
Il grado di saturazione si ottiene invece dalla eq. (6.15), dopo aver misurato il contenuto di acqua, w.
Nella Tabella 6.1 sono elencati i valori delle caratteristiche fisiche generali tipicamente misurate per i terreni. I valori di porosità e indice dei vuoti sono, inoltre, confrontati con il range massimo – minimo del parametro per un materiale ideale formato da sfere di diametro uniforme.
Tabella 6.1 Valori delle caratteristiche fisiche generali per terreni tipici
Materiale Gs n
1 e n
n
(con r 1)
s
w S
eG
3
(1 ) [kN/m ]
d s n
3
(1 ) [kN/m ]
d w
Sfere uniformi ‐ 0.26‐0.48 0.35‐0.92 ‐ ‐ ‐
Ghiaia
2.6‐2.7
0.25‐0.40 0.30‐0.67 ‐ 14‐21 18‐23
Sabbia 0.25‐0.50 0.30‐1.00 ‐ 13‐18 16‐21
Limo 0.35‐0.50 0.50‐1.00 ‐ 13‐19 16‐21
Argilla tenera 0.40‐0.70 0.70‐2.30 0.4‐1.0 7‐13 14‐18
Argilla dura 0.30‐0.50 0.40‐1.00 0.2‐0.4 14‐18 18‐21
Torba 1.8‐2.2 0.75‐0.95 3‐19 2‐6 1‐5 10‐13
Figura 6.3 – Esempio di curva granulometrica.
6.3 Curva granulometrica
Il comportamento dei terreni a grana grossa è, come già osservato, marcatamente influenzato dalle dimensioni dei grani e dalla loro distribuzione, ovvero dalla granulometria. Per ottenere queste informazioni si ricorre alla analisi granulometrica, che consiste nella determinazione della distribuzione percentuale del diametro dei granuli presenti nel terreno.
Il risultato dell’analisi granulometrica è rappresentato in un diagramma denominato curva granulometrica in cui le percentuali di passante in peso sono espresse in funzione del logaritmo del diametro (presentando quest’ultimo un intervallo di variazione naturale di diversi ordini di grandezza) come mostrato nell’esempio di Figura 6.3.
In generale, il grafico della curva granulometrica, oltre ai dati sperimentali derivanti dall’analisi, riporta i diversi intervalli di dimensione delle particelle per le diverse frazioni di diametro (litotipi):
argilla: d < 0.002 mm;
limo: 0.002 ≥ d > 0.06 mm, spesso distinto in tre classi:
‐ fino (0.002 ≥ d > 0.006 mm);
‐ medio (0.006 ≥ d > 0.02 mm)
‐ grosso (0.02 ≥ d > 0.06 mm)
sabbia: 0.06 ≥ d > 2 mm, spesso distinta in tre classi:
‐ fina (0.06 ≥ d > 0.2 mm);
‐ media (0.2 ≥ d > 0.6 mm)
‐ grossa (0.6 ≥ d > 2 mm)
ghiaia: 2 ≥ d > 60 mm, spesso distinta in tre classi:
‐ fina (2 ≥ d > 6 mm);
‐ media (6 ≥ d > 20 mm)
‐ grossa (20 ≥ d > 60 mm)
ciottoli: 60 ≥ d > 200 mm;
blocchi: d ≥ 200 mm.
Tali distinzioni consentono una prima classificazione del materiale. Secondo la prassi nazionale, infatti, si denomina il terreno in base alle frazioni di terreno rilevate. Individuate le frazioni del litotipo Fi (date dalla differenza tra la percentuale di passante letta sulla curva sperimentale per il diametro maggiore del range di definizione del litotipo e quella letta per il diametro inferiore del range di definizione del litotipo) si provvede a elencare le frazioni in ordine decrescente (da F1, frazione maggiore, fino a F4, frazione più piccola); la nomenclatura del materiale avviene secondo i criteri:
‐ il terreno prende il nome della frazione prevalente F1;
‐ se F2 è compreso tra 25% ÷ 50% si aggiunge “con F2”;
‐ se F3 è compreso tra 10% ÷ 25% si aggiunge “F3‐osa” (oppure “F3‐oso”);
‐ se F4 è compreso tra 5% ÷ 10% si aggiunge “debolmente F4‐osa” (oppure “debolmente F4‐oso”);
ad esempio, con riferimento alla curva granulometrica in Figura 6.3 si ottiene che la frazione prevalente è la sabbia (F1 = 55%) seguono il limo (F2 = 27%) l’argilla (F3 = 13%) e la ghiaia (F4 = 5%), pertanto seguendo i criteri descritti in precedenza, il terreno è denominato come: sabbia con limo argilloso debolmente ghiaioso.
Sulla base della distribuzione granulometrica, un terreno è definito ben assortito se sono presenti più frazioni (con intervallo di diametri ampio) per cui la curva presenta un andamento regolare e tipicamente con concavità verso l’alto o con andamento a sigmoide. Un terreno poco assortito è caratterizzato da un eccesso o una mancanza di certi diametri, al limite il terreno può essere composto da particelle con lo stesso diametro (in questo caso il terreno è detto uniforme).
Per quantificare la uniformità del materiale si definisce il coefficiente di uniformità CU come:
60 10 U
C d
d (6.26)
in cui d60 e d10 sono i diametri corrispondenti ai valori del passante pari a 60% e al 10%, rispettivamente, letti sulla curva sperimentale. Il coefficiente di uniformità assume valore unitario se il terreno è uniforme e valori molto elevati per terreni ben assortiti.
6.3.1 Determinazione sperimentale dell’assortimento granulometrico
La curva granulometrica si ottiene mediate l'analisi granulometrica che viene eseguita attraverso due procedure:
1. stacciatura per la frazione grossolana (diametro dei grani maggiore di 0.074 mm) 2. sedimentazione per la frazione fine (diametro dei grani minore di 0.074 mm)
6.3.1.1 Stacciatura
La stacciatura si esegue utilizzando una serie di stacci (a maglia quadrata) e/o crivelli (con fori circolari) con aperture di diverse dimensioni (la scelta delle dimensioni delle maglie va fatta in relazione al tipo di terreno da analizzare). Gli stacci sono impilati uno sull'altro, con apertura delle maglie decrescente verso il basso. Per ottenere una curva granulometrica significativa è opportuno scegliere la corretta successione degli stacci: ad esempio ogni staccio dovrebbe avere apertura delle maglie pari a circa la metà di quello sovrastante in modo tale da ottenere una sequenza di diametri in progressione geometrica (che corrisponde ad una equi‐spaziatura delle ascisse dei punti della curva granulometrica compilata su carta in scala semilogaritmica).
Nella Tabella 6.2 è riportata la successione di stacci, con i rispettivi diametri equivalenti, suggerita dalle linee guida dell’Associazione Geotecnica Italiana (AGI) a partire dalle serie di stacci UNI 2234 (per i materiali di grande pezzatura) e UNI 2232 (per le terre) e gli stacci corrispondenti della serie ASTM (American Society for Testing and Materials).
Tabella 6.2 ‐ Successione di stacci suggerita dalle linee guida dell’Associazione Geotecnica Italiana (AGI) a partire dalle serie di stacci UNI 2234 e UNI 2232; e per gli stacci della serie ASTM
AGI
(UNI 2234) UNI 2232
ASTM
American Society for Testing and Materials
d [mm] n. d [mm]
(100) 4” 101.6
(71) 3” 76.2
(60)
2” 50.8
(40) (25)
1.5” 12.7
(15) (10)
(5) 4 4.76
2 10 2.00
1 20 0.840
0.425 40 0.420
0.18 80 0.177
0.075 200 0.074
Tabella 6.3 – Massa minima da analizzare in funzione del diametro massimo dei granuli suggerita dalle linee guida dell’Associazione Geotecnica Italiana (AGI)
dmax [mm] massa minima dmax[mm] massa minima
63 70 kg 11.2 600 g
45 25 kg 10 500 g
37.5 15 kg 8 400 g
31.5 10 kg 5.6 250 g
22.4 4 kg 4 200 g
20 2 kg 2.8 150 g
16 1.5 kg 2 o inf. 100 g
Figura 6.4 – Schema di definizione di trattenuto parziale; trattenuto (totale) e passante (totale) riferito allo staccio i‐esimo di una serie di N stacci.
Lo staccio più fine che viene generalmente usato nell'analisi granulometrica di terreni naturali ha un'apertura delle maglie di 0.074 mm (staccio n. 200 ASTM). Al di sotto dell'ultimo staccio è posto un fondo di raccolta e un coperchio al primo staccio della serie utilizzata.
Il terreno da sottoporre all’analisi è prima essiccato all’aria o in forno, segue un rimescolamento detto “quartatura” che garantisce l’uniformità del materiale. Un quantitativo ottimale di terreno viene prelevato, passato al mortaio (allo scopo di disgregarlo, imprimendo una leggera compressione che non provochi la rottura dei grani), pesato e riversato sullo staccio superiore della pila. Tutta la pila viene poi fatta vibrare (con agitazione manuale o meccanica) in modo da favorire il passaggio del materiale dalle maglie dei vari stacci.
Per i terreni più fini si ricorre anche all'uso di acqua (in tal caso si parla di setacciatura per via umida).
Per il quantitativo minimo di materiale da sottoporre alla analisi granulometrica, le Linee Guida AGI suggeriscono le quantità in peso riportati in Tabella 6.3.
Con riferimento allo schema in Figura 6.4, alla fine dell’azione dinamica, sul generico staccio i‐esimo rimane il un quantitativo di materiale, mi (trattenuto parziale) con diametro superiore a quello dell'apertura delle relative maglie, di, e inferiore a quello dello staccio posto subito sopra, di‐1. La percentuale di trattenuto totale allo staccio i‐esimo, Ti, è data dal rapporto tra il peso del terreno trattenuto da ciascuno staccio al di sopra di quello considerato, mj (con j = 1, ... i) e il peso totale del terreno trattato, mtot, ovvero:
1 ij j i
tot
m
T m (6.27)
Il la percentuale di passante in peso invece è data da:
1 1
N j j i
i i
tot
m
P T
m (6.28)
I risultati dell'analisi granulometrica vengono riportati in un diagramma semilogaritmico (per permettere una corretta rappresentazione perché l'intervallo di variazione dei diametri può essere esteso anche diversi ordini di grandezza), con il diametro (equivalente), d, dei setacci in ascissa e il passante in peso, p, espresso in percentuale, in ordinata (Figura 6.5).
Figura 6.5 – Esempio di curva granulometrica per la sola parte riferita alla stacciatura (d > 0.074 mm) 6.3.1.2 Sedimentazione
Per i diametri minori di 0.074 mm, cioè per il materiale raccolto sul fondo della pila di stacci, si ricorre all'analisi per sedimentazione. Si tratta di una procedura basata sulla misura nel tempo della densità di una sospensione di una quantità nota terreno (in genere 50 g) in 1 lt di soluzione di acqua demineralizzata e sostanze disperdenti che impediscono la flocculazione dei minerali argillosi (che inficerebbe l’affidabilità della prova), posta in un contenitore cilindrico di dimensioni standard (p.es.
si veda lo schema in Figura 6.6a).
La misura della densità è effettuata attraverso un densimetro (chiamato anche aerometro o idrometro) composto da un bulbo di vetro chiuso dotato di un peso in piombo alla base e uno stelo (sempre di vetro) graduato (Figura 6.6b).
Durante la prova si misurano
1) le velocità di affondamento idrometro, da cui si ricava il diametro delle particelle, di, attraverso l’applicazione della legge di Stokes;
(a) (b)
Figura 6.6 – (a) schema di densimetro immerso nella sospensione soluzione‐terreno e (b) dettaglio della lettura al densimetro nel tempo.
2) la densità della sospensione da cui si ottiene il passante pi, che si ottiene in maniera empirica attraverso la taratura preliminare del densimetro.
La prova di sedimentazione si basa sul principio che a mano a mano che le particelle si depositano sul fondo del contenitore diminuisce la densità della sospensione e, di conseguenza, si ha un decremento della sotto‐spinta idraulica sul bulbo che ne provoca il progressivo affondamento nel tempo (letture da l1, ... li nella Figura 6.6b).
Per l’interpretazione della prova e si introducono, inoltre, le seguenti ipotesi semplificative:
I. al tempo t, i granuli con diametro d > di hanno percorso una distanza, z, maggiore del percorso di sedimentazione delle particelle, Hr, (ovvero la profondità del baricentro della parte immersa del densimetro al tempo t), che dipende dalla lettura del densimetro, e si ottiene attraverso una procedura di taratura dello strumento
II. la concentrazione di particelle con diametro d < di dipende dalla densità della sospensione del volume corrispondente alla profondità minore di Hr
Le fasi della prova consistono in:
1) preparazione della soluzione di agente disperdente disciogliendo 40 g di sodio esametafosfato in 1 litro di acqua distillata;
2) prelievo di 50 g di terreno passante all’ultimo staccio, da aggiungere a 125 ml della soluzione preventivamente preparata e versata in un beaker: la miscela terreno‐soluzione
deve essere ben mescolata e lasciata a riposo per circa 16 ore per favorire la completa dispersione del terreno nella soluzione. Trascorso tale tempo, la miscela è dispersa tramite un agitatore elettrico e versata in un cilindro di vetro per ottenere una sospensione omogenea. In ultimo si rabbocca il cilindro con la soluzione rimasta fino alla sua capienza massima (1 litro).
3) rimescolamento ulteriore della sospensione per circa 1 minuto con delle rapide inversioni e collocazione del cilindro con la sospensione su una superficie non soggetta a vibrazioni, 4. inserimento del densimetro e misura della densità della sospensione a intervalli di tempo
in progressione geometrica (p.es. la sequenza consigliata: 1, 2, 5, 15, 30, 60, 250 e 1440 min). Durante ciascuna misura si annotano la lettura allo stelo graduato del densimetro e la temperatura dell’ambiente di prova.
L’interpretazione dei risultati della prova prevede due distinte valutazioni:
a) determinazione del diametro delle particelle sedimentate al tempo t;
b) determinazione della percentuale di passante in peso al tempo t.
Per la stima del diametro si fa riferimento alla legge di Stokes per il calcolo della velocità di sedimentazione, v, di particelle sferiche in un fluido di peso w e viscosità η:
2
1800
s w
v d (6.29)
dove s è il peso dei grani che stanno sedimentando.
Dall’eq.(6.29) si ricava facilmente il diametro, d:
1800
s w
d v k v (6.30)
dove k è un parametro che dipende dalla viscosità del fluido e dal peso dell’unità di volume del solido che può essere stimato attraverso la relazione:
0.005531
s 1
k G (6.31)
Si noti che per tale prova la viscosità del fluido dipende dalla temperatura dell’ambiente in cui è effettuata la prova.
La velocità di sedimentazione può essere facilmente espressa come:
Hr
v t (6.32)
In cui il percorso di sedimentazione delle particelle, Hr, è definito sperimentalmente attraverso una taratura preliminare del densimetro. Nelle Figura 6.7 è mostrato un esempio di risultato della taratura del densimetro standard 152H.
Il valore di Hr è espresso in funzione della lettura del valore di densità sullo strumento corretta per l’effetto del menisco, Rm = Ra + Cm.
Figura 6.7 – Relazione tra affondamento dell’idrometro in funzione della lettura sullo stelo corretta per il menisco ottenuta per calibrazione densimetro 152H.
I densimetri, infatti, sono graduati per essere letti alla base del menisco che si forma per adesione tra il liquido e lo stelo di vetro dello strumento. Tuttavia, a causa della torbidità della sospensione, il valore, Ra, è letto alla sommità del menisco pertanto necessita della correzione, Cm, il cui valore si determina come differenza tra letture alla base e alla sommità del menisco determinate sperimentalmente misurando la densità di 1 lt di acqua distillata. Per il densimetro standard 152H il valore della correzione è pari a 1.
Per il calcolo del passante si fa riferimento alla densità della sospensione. La massa della sospensione con densità ρ e volume V, all’istante di tempo t, è data semplicemente da:
Vw V V s s sV (6.33)
ovvero può essere descritta come la somma di due termini: ρw (V ‐ Vs) che è la massa del fluido e ρs Vs che è la massa del terreno presente nella sospensione. Riordinando i termini, con pochi passaggi algebrici si ottiene:
VwV sw V s (6.34)
Il volume della parte solida, Vs, al tempo t, è pari ad una percentuale, p, del volume iniziale presente nella sospensione ovvero ms/ρs ovvero:
w
sw
ss
V p m (6.35)
La percentuale p è proprio il passante al tempo t, pertanto riordinando l’eq.(6.35) si ottiene:
( )
s w c
s w s s
R
p V a
m m (6.36)
dove V (ρ ‐ ρw) è proprio la lettura corretta del densimetro Rc, mentre il coefficiente a è una costante definita come:
ss w
a (6.37)
che dipende dalla densità specifica relativa del solido, Gs, come mostrato in Figura 6.8.
La lettura corretta Rc è data dalla lettura del densimetro, Ra, corretta degli effetti dovuti alla temperatura dell’ambiente di prova (correzione CT) e dal fatto che la parte liquida della sospensione non è acqua distillata ma una soluzione dell’agente disperdente (correzione Cd,): entrambi tali fattori, infatti, alterano il valore della densità del fluido della sospensione. Rc è quindi dato da:
0
c a T d a
R R C C R C (6.38)
Il valore di correzione per l’agente disperdente, Cd, è valutato sperimentalmente confrontando la lettura del densimetro per 1 litro di acqua distillata a temperatura standard (20 °C) con quella di 125 ml di soluzione disperdente e 875 ml di acqua distillata alla stessa temperatura.
Analogamente i valori di correzione per la temperatura, CT, si ottengono mediante taratura dello strumento. I valori delle correzioni sono esprimibili attraverso relazioni empiriche o abachi in funzione della temperatura come la relazione mostrato nella Figura 6.9.
Figura 6.8 – C costante a vs il peso specifico relativo dei grani.
Figura 6.9 –Correzione della lettura del densimetro vs temperatura dell’ambiente di prova.